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sabato 2 luglio 2016

Da: "Gitanjali" - Rabindranath Tagore

Smettila di cantare i tuoi inni,
di recitare le tue orazioni!
Chi adori in quest'angolo buio
e solitario d'un tempio
le cui porte sono tutte chiuse?
Apri i tuoi occhi e guarda:
non è qui il tuo Dio.
E' là dove l'aratore
ara la dura terra,
dove lo spaccapietre
lavora alla strada.
E' con loro nel sole e nella pioggia,
la sua veste è coperta di polvere.
Levati il manto sacro
e scendi con lui nella polvere.
Liberazione?
Dove credi di poter trovare
liberazione?
li tuo stesso signore
ha preso su di sé lietamente
i legami della creazione -
è legato a noi tutti per sempre.
Lascia le tue meditazioni,
abbandona l'incenso e i tuoi fiori!
Che male c'è se le tue vesti
diventano sporche e stracciate?
Va' incontro a lui,
sta presso di lui
nel lavoro e nel sudore della fronte.


- Rabindranath Tagore - 
Da: Gitanjali XI, 1914, Carabba editore Lanciano

- Tintoretto, Ultima cena, 1594 ca-

" Fare uguaglianza..."

"L’attuale crisi economica globale va vista in tal senso anche come un banco di prova: siamo pronti a leggerla, nella sua complessità, quale sfida per il futuro e non solo come un’emergenza a cui dare risposte di corto respiro? Siamo disposti a fare insieme una revisione profonda del modello di sviluppo dominante, per correggerlo in modo concertato e lungimirante? 
Lo esigono, in realtà, più ancora che le difficoltà finanziarie immediate, lo stato di salute ecologica del pianeta e, soprattutto, la crisi culturale e morale, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni parte del mondo.
Occorre allora cercare di stabilire un "circolo virtuoso" tra la povertà "da scegliere" e la povertà "da combattere". 
Si apre qui una via feconda di frutti per il presente e per il futuro dell’umanità, che si potrebbe riassumere così: per combattere la povertà iniqua, che opprime tanti uomini e donne e minaccia la pace di tutti, occorre riscoprire la sobrietà e la solidarietà, quali valori evangelici e al tempo stesso universali. 
Più in concreto, non si può combattere efficacemente la miseria, se non si fa quello che scrive san Paolo ai Corinzi, cioè se non si cerca di "fare uguaglianza", riducendo il dislivello tra chi spreca il superfluo e chi manca persino del necessario. 
Ciò comporta scelte di giustizia e di sobrietà, scelte peraltro obbligate dall’esigenza di amministrare saggiamente le limitate risorse della terra. "

(dall’omelia di Benedetto XVI nella solennità di Maria Santissima Madre di Dio e nella 42a giornata mondiale della pace, l’1/01/2009)




Qui è il tuo sgabello
e qui riposa i tuoi piedi
dove vivono i più poveri,
i più umili, i perduti.
Quando a te io cerco d’inchinarmi,
la mia riverenza non riesce ad arrivare
tanto in basso dove i tuoi piedi
riposano tra i più poveri,
i più umili, i perduti.
L’orgoglio non si può accostare
dove tu cammini, indossando
le vesti dei più poveri,
dei più umili e dei perduti.
Il mio cuore non riesce a trovare
la strada per scendere laggiù
dove tu ti accompagni a coloro che non hanno
compagni, tra i più poveri,
i più umili, e i perduti.

Rabindranath Tagore
Da: Gitanjali X, 1914, Carabba editore Lanciano



Buona giornata a tutti. :-)




domenica 8 maggio 2016

La Madre, 1933 - Giuseppe Ungaretti -

E il cuore quando d’un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d’ombra,
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua di fronte all’Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m’avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.


- Giuseppe Ungaretti - 
"Sentimento del tempo", 1933



"«Ecco, prendi te per esempio. Tu sei unico», spiegò la mamma, «e anch’io sono unica, ma se ti abbraccio non sei più solo e nemmeno io sono più sola».
«Allora abbracciami», disse Ben stringendosi alla mamma.
Lei lo tenne stretto a sé. Sentiva il cuore di Ben che batteva. Anche Ben sentiva il cuore della mamma e l’abbracciò forte forte.
«Adesso non sono solo», pensò mentre l’abbracciava, «adesso non sono solo. Adesso non sono solo».

«Vedi», gli sussurrò mamma, «proprio per questo hanno inventato l’abbraccio»"
- David Grossman - 
"L'abbraccio"





Ninna nanna per mia madre

Dormi, dormi, cara mamma,
dormono i tuoi nipoti dolci,
dormono, lavati, i piatti,
dorme fresco anche il bucato,
dormono le scale stanche
del mio nido di pietra,
dorme silenzioso il grillo
nel campanello della porta,
dorme la tua vecchia casa,
dorme, sotto terra, la vigna.
Dormi! E nel sogno, vicino al mare,
sentiti una ragazza,
e accanto ad una corda,
sentiti una bambina.
Rivediti ancor prima:
quando eri senza ricordi
una piccola piccina.
Dormi, madre mia incanutita,
dormi, madre mia amata!

- Grigore Vieru -
(1935-2009)

poeta moldavo, più volte candidato al Nobel per la Pace

Immagine: Claude Monet - "Camille Monet con bambino", 1875

Per le Mamme che ormai vivono solo nel cuore e nel ricordo


"Eri un roseto. Il fiato che si smorza
fu il tuo dono più tuo, estrema rosa.

Chi scrisse su una tomba “qui riposa”

non sa dove comincia la tua forza"


 - Maria Luisa Spaziani - 

"A mia madre", in : "Transito con catene", 1977


dipinto: Maternità - P. Picasso


La donna è la protezione e quasi la dimora di altre anime che in lei possono svilupparsi. Questa duplice funzione di compagna dell'anima e di madre delle anime, non è limitata agli stretti confini dei rapporti matrimoniali e materni, ma si estende a tutti gli esseri umani che entrano nel suo orizzonte 

- Edith Stein - 
La donna



O potente Madre di Dio e Madre mia Maria,
è vero che non sono degno neppure di nominarti,
ma Tu mi ami e desideri la mia salvezza.

Concedimi, benché la mia lingua sia immonda,
di poter sempre chiamare in mia difesa
il tuo santissimo e potentissimo nome,
perché il tuo nome è l’aiuto di chi vive e la salvezza di chi muore.

Maria purissima, Maria dolcissima, concedimi la grazia
che il tuo nome sia da oggi in poi il respiro della mia vita.
Signora, non tardare a soccorrermi ogni volta che Ti chiamo,
poiché in tutte le tentazioni e in tutte le mie necessità
non voglio smettere di invocarti ripetendo sempre: Maria, Maria.

Così voglio fare durante la mia vita
e spero particolarmente nell’ora della morte,
per venire a lodare eternamente in Cielo il tuo amato nome:
“O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria”.

Maria, amabilissima Maria,
che conforto, che dolcezza, che fiducia, che tenerezza
sente l’anima mia anche solo nel pronunciare il tuo nome,
o soltanto pensando a Te!
Ringrazio il mio Dio e Signore che Ti ha dato per mio bene
questo nome così amabile e potente.

O Signora, non mi basta nominarti qualche volta,
voglio invocarti più spesso per amore;
voglio che l’amore mi ricordi di chiamarti ad ogni ora,
in modo tale da poter esclamare anch’io insieme a Sant’Anselmo:
“O nome della Madre di Dio, tu sei l’amore mio!”.

Mia cara Maria, mio amato Gesù,
i vostri dolcissimi Nomi vivano sempre nel mio ed in tutti i cuori.
La mia mente si dimentichi di tutti gli altri,
per ricordarsi solo e per sempre di invocare i vostri Nomi adorati.

Mio Redentore Gesù e Madre mia Maria,
quando sarà giunto il momento della mia morte,
in cui l’anima dovrà lasciare il corpo,
concedetemi allora, per i vostri meriti,
la grazia di pronunciare le ultime parole dicendo e ripetendo:
“Gesù e Maria vi amo, Gesù e Maria vi dono il cuore e l’anima mia”.

- Sant’Alfonso Maria de’ Liguori - 


Tantissimi Auguri a tutte le mamme del mondo! 
Il Signore Vi Benedica e Vi protegga sempre per quello che fate ogni giorno. 
Un pensiero speciale anche per le mamme che sono in Cielo. 
E una preghiera alla nostra Mamma Celeste!

- Stefania -


domenica 27 settembre 2015

Il giardino - don Bruno Ferrero -

ULTIMO
“Una Principessa sta per venire qui”, disse il Leone agli animali della giungla riuniti in assemblea, “come possiamo dimostrarle che siamo molto felici di averla con noi?”. 
“Potremmo farle dei profondi inchini”, suggerì l’ippopotamo, “ma è vero che non tutti abbiamo il fisico adatto”. 
“Potremmo tutti gridare forte Benvenuta”, soggiunse l’elefante, “ma forse si spaventerebbe”. 
“Potremmo danzare”, propose la Giraffa, ma il Leone guardò l’ippopotamo, scosse la testa e tutti gli animali sospirarono. 
Allora l’Uccellino Marrone cinguettò timidamente: “Non potremmo fare un giardino? Le Principesse adorano i fiori”. 
Tutti lo fissarono ammirati. “Questa sì, che è un’idea felice”, disse il Leone, “lo faremo insieme”. 
Venne scelto con cura un luogo molto bello, ma il Leone osservò che andava dissodato.
“Ci penso io”, gridò l’ippopotamo. “Pesterò la terra coi miei piedoni e con il mio grosso e pesante corpo finché diverrà fine e leggera”. 
“Benissimo”, approvò il Leone. “Ora dobbiamo fare dei buchi per piantare i semi.
“Lo faccio io con gli aculei della mia schiena”, si offrì il Porcospino. 
Si appallottolò tutto e cominciò a rotolare su e giù per il campo, finché fu pieno di buchetti regolari. “Benissimo”, disse il Leone. “Ora pianteremo i semi!”. “tocca a me”, disse la Cavalletta, “sono veloce e leggera”. Sorvolò saltellando il terreno e in un batter d’occhio piantò tutti i semi. 
“Benissimo”, disse il Leone. “Ora bisogna innaffiare il giardino”. “Lasciate fare a me”, esclamò l’Elefante. “Userò la proboscide”. Andò al fiume, riempì bene la proboscide e spruzzò un bel po’ d’acqua sul giardino. “Benissimo”, disse il Leone. 
“E ora come faremo a impedire alla Scimmia di rovinarci tutto il giardino?”. “Sarà mio compito, farò io la guardia”, propose la Giraffa allungando il collo. E l’Uccellino Marrone? Avrebbe voluto essere di aiuto, ma pareva che nessuno avesse bisogno di lui. 
Dopo un po’ i semi cominciarono a crescere, ma il Leone, che si era recato a controllare i progressi del giardino, scosse la testa: “Quante erbacce! Rovineranno tutto! Chi è capace di estirparle?”. 
Gli animali rimasero tutti zitti. L’ippopotamo si giustificò: “I miei piedi sono troppo grossi, rovinerei tutto”. “I miei aculei danneggerebbero le foglie”, si scusò il Porcospino. 
“Le erbacce sono troppo pesanti per me”, disse la Cavalletta. 
“La mia proboscide spezzerebbe gli steli”, affermò l’Elefante. 
“Ho il collo troppo lungo e non posso chinarmi tanto”, si lagnò la Giraffa. “Cri-cri”, fece il grillo e se la squagliò. 
Tutti quei pigroni si girarono e se ne andarono. 
Allora l’Uccellino Marrone volò nel giardino. Con il suo minuscolo becco sradicò un’erbaccia e la gettò dietro una siepe. Le radici erano forti e spesso il becco gli doleva e dopo un po’ anche le ali gli pesavano. Ma con pazienza, un giorno dopo l’altro, l’Uccellino Marrone ripulì il giardino finché non rimase una sola erbaccia. Intanto una miriade di fiori rossi, azzurri e gialli mostrava graziosamente la corolla sui lunghi e sottili steli.
Il giorno dopo, la Giraffa, che era di guardia, annunciò: “Arriva la Principessa! La vedo!”. 
Gli animali si riunirono tutti nel giardino e si meravigliarono di trovarlo così in ordine. “Forse le erbacce si sono seccate”, disse il Leone, mentre l’Uccellino Marrone appollaiato su un albero taceva. 
La Principessa sorrise: “Non ho mai visto un giardino cosi bello”, disse, “dovete aver lavorato sodo!”. “E’ vero, abbiamo lavorato sodo!”, risposero in coro gli animali pieni di sé sorridendo. 
“Chi di voi è così gentile da cogliere qualche bel fiore per me?”, chiese la Principessa. Il Leone si fece avanti. “lo ho dato tutte le istruzioni, perciò tocca a me”. “Però io ho arato la terra”, protestò l’ippopotamo. “E io ho fatto i buchi per i semi”, aggiunse il Porcospino. “E io ho piantato i semi”, fece la Cavalletta. “lo ho innaffiato”, disse l’Elefante. “Mentre io facevo la guardia”, sottolineò la Giraffa. 
La Principessa sorrise. “Chi ha tolto le erbacce?”, chiese. Tutti rimasero zitti, poi: “Nessuno”, disse il Leone. 
In quel momento la Principessa scorse due occhietti brillanti e un sottile becco che faceva capolino tra le foglie di un albero. “L’hai fatto tu questo lavoro, Uccellino Marrone?”, e l’uccellino annui. “Allora tu coglierai i fiori per me, perché il tuo è stato il lavoro più duro e più lungo”. 
L’Uccellino Marrone volò giù verso il giardino; poi con il becco sottile colse con garbo il più bel fiore e l’offrì alla Principessa.
Ne colse un altro e un altro ancora fino a mettere insieme un bel mazzolino variegato. La Principessa baciò la sua testolina marrone e gli sorrise. 
Allora l’Uccellino Marrone cantò come non aveva mai fatto prima finché il sole tramontò nel bel giardino degli animali. 

- don Bruno Ferrero -
da: "365 storie per l'anima" Ed. Elledicì




"Rinnovaci ogni giorno il cuore, o Dio, 
come rinnovi le fonti e il sole...."

 - Padre Maria Turoldo - 




C'è un bambino che nascerà senza gambe.
C'è chi consiglia di abortirlo.
Ci sono tante forme di disabilità.
Non avere le gambe non è la più grave.
La più grave è non avere cuore!





La divinità nell'uomo 

C’era un tempo in cui gli uomini erano simili agli dei, ma abusarono talmente del proprio potere che Brahmā, il dio Supremo, decise di privarli della potenza divina nascondendola in un luogo a loro inaccessibile. 
Pensò di consultare gli altri dei per risolvere il problema. Alcuni degli dei riuniti a consiglio dissero: “Nasconderemo la divinità dell’uomo nelle profondità della terra”. Brahmā rispose: “Non è sufficiente, l’uomo scaverà e la troverà”.
Gli dei dissero allora: “Nasconderemo la divinità dell’uomo negli abissi oceanici”.
Brahmā rispose ancora: “Non basta. L’uomo esplorerà le profondità dei mari e riuscirà a riportarla in superficie”.
Allora gli dei: “La nasconderemo sulla montagna più alta, quasi al limite del cielo, dove l’uomo non potrà arrivare”. Brahmā rispose ancora: “Non basta. L’uomo scalerà le montagne più alte e se ne impadronirà”. Allora gli dei conclusero:
“Non sappiamo dove nascondere la divinità dell’uomo, non c’è posto sulla terra, nel mare o nel cielo che egli non possa raggiungere”.
Finalmente Brahmā sentì di aver trovato la soluzione al problema e disse: “La nasconderemo profondamente dentro l’uomo stesso, abiterà proprio nel suo cuore: è l’unico posto in cui l’uomo non guarderà”.


Signore ti chiedo di starmi accanto,
perché con te al mio fianco
io possa prendermi cura di tutto ciò 
che nel disegno del Padre celeste,
mi hai affidato. 
Semina in me la delicatezza
e donami uno spirito di profondo ascolto,
perché io possa riferirmi a tutti coloro 
che incontrerò come farei con te.
Signore aiutami a chiudere fuori dalla porta
tutte le mie debolezze,
i miei problemi e le mie inadeguatezze
perché attraverso di me tu possa far entrare il tuo amore,
che sa vedere e leggere i segni al di là delle apparenze,
dei pregiudizi, e delle circostanze.
Apri i miei occhi Signore
che sia autentico il mio testimoniarti non ipocrita.
Seguano fatti più che parole.
Insegnami a sentire la tua presenza in tutto attorno a me,
rendi la mia anima aperta in modo
che io possa collaborare
e costruire insieme alle persone che ho accanto.
Quando ciò non sia possibile 
donami la virtù del silenzio e del rispetto. Amen.


Buona giornata a tutti. :-)


venerdì 25 settembre 2015

Gli emigranti - Edmondo De Amicis -

Cogli occhi spenti, con lo guancie cave,
Pallidi, in atto addolorato e grave,
Sorreggendo le donne affrante e smorte,
Ascendono la nave
Come s'ascende il palco de la morte.

E ognun sul petto trepido si serra
Tutto quel che possiede su la terra.
Altri un misero involto, altri un patito
Bimbo, che gli s'afferra
Al collo, dalle immense acque atterrito.

Salgono in lunga fila, umili e muti,
E sopra i volti appar bruni e sparuti
Umido ancora il desolato affanno
Degli estremi saluti
Dati ai monti che più non rivedranno.

Salgono, e ognuno la pupilla mesta
Sulla ricca e gentil Genova arresta,
Intento in atto di stupor profondo,
Come sopra una festa
Fisserebbe lo sguardo un moribondo.

Ammonticchiati là come giumenti
Sulla gelida prua morsa dai venti,
Migrano a terre inospiti e lontane;
Laceri e macilenti,
Varcano i mari per cercar del pane.

Traditi da un mercante menzognero,
Vanno, oggetto di scherno allo straniero,
Bestie da soma, dispregiati iloti,
Carne da cimitero,
Vanno a campar d'angoscia in lidi ignoti.

Vanno, ignari di tutto, ove li porta
La fame, in terre ove altra gente è morta;
Come il pezzente cieco o vagabondo
Erra di porta in porta,
Essi così vanno di mondo in mondo.

Vanno coi figli come un gran tesoro
Celando in petto una moneta d'oro,
Frutto segreto d'infiniti stonti,
E le donne con loro,
Istupidite martiri piangenti.

Pur nell'angoscia di quell'ultim'ora
Il suol che li rifiuta amano ancora;
L'amano ancora il maledetto suolo
Che i figli suoi divora,
Dove sudano mille e campa un solo.

E li han nel core in quei solenni istanti
I bei clivi di allegre acque sonanti,
E le chiesette candide, e i pacati
Laghi cinti di piante,
E i villaggi tranquilli ove son nati!

E ognuno forse sprigionando un grido,
Se lo potesse, tornerebbe al lido;
Tornerebbe a morir sopra i nativi
Monti, nel triste nido
Dove piangono i suoi vecchi malvivi.

Addio, poveri vecchi! In men d'un anno
Rosi dalla miseria e dall'affanno,
Forse morrete là senza compianto,
E i figli nol sapranno,
E andrete ignudi e soli al camposanto.

Poveri vecchi, addio! Forse a quest'ora
Dai muti clivi che il tramonto indora
La man levate i figli a benedire…
Benediteli ancora:
Tutti vanno a soffrir, molti a morire.

Ecco il naviglio maestoso e lento
Salpa, Genova gira, alita il vento.
Sul vago lido si distende un velo,
E il drappello sgomento
Solleva un grido desolato al cielo.

Chi al lido che dispar tende le braccia.
Chi nell'involto suo china la faccia,
Chi versando un'amara onda dagli occhi
La sua compagna abbraccia,
Chi supplicando Iddio piega i ginocchi.

E il naviglio s'affretta, e il giorno muore,
E un suon di pianti e d'urli di dolore
Vagamente confuso al suon dell'onda
Viene a morir nel core
De la folla che guarda da la sponda.

Addio, fratelli! Addio, turba dolente!
Vi sia pietoso il cielo e il mar clemente,
V'allieti il sole il misero viaggio;
Addio, povera gente,
Datevi pace e fatevi coraggio.

Stringete il nodo dei fraterni affetti.
Riparate dal freddo i fanciulletti ,
Dividetevi i cenci, i soldi, il pane,
Sfidate uniti e stretti
L'imperversar de le sciagure umane.

E Iddio vi faccia rivarcar quei mari,
E tornare ai villaggi umili e cari,
E ritrovare ancor de le deserte
Case sui limitari
I vostri vecchi con le braccia aperte.

- Edmondo De Amicis - 



Nel 1884 Edmondo De Amicis si imbarca sul piroscafo Galileo alla volta dell'Argentina come corrispondente per il "Nacional”. 
 Dal suo viaggio nacque il libro “Sull'Oceano”, una fotografia della società dell’epoca scattata tra le murate di una nave che raccoglieva passeggeri d’ogni ceto sociale, trasportando speranze, tristezze, gioie e paure. 
Un resoconto di viaggio che ci riporta in altri tempi, un’epoca in cui una traversata atlantica era, per i passeggeri di terza classe, un viaggio all’inferno da cui molti non sarebbero più usciti. 



…Quando arrivai, verso sera, l'imbarco degli emigranti era già cominciato da un'ora, e il Galileo, congiunto alla calata da un piccolo ponte mobile, continuava a insaccar miseria: una processione interminabile di gente che usciva a gruppi dall'edifizio dirimpetto, dove un delegato della Questura esaminava i passaporti. 
La maggior parte, avendo passato una o due notti all'aria aperta, accucciati come cani per le strade di Genova, erano stanchi e pieni di sonno. Operai, contadini, donne con bambini alla mammella, ragazzetti che avevano ancora attaccata al petto la piastrina di latta dell'asilo infantile passavano, portando quasi tutti una seggiola pieghevole sotto il braccio, sacche e valigie d'ogni forma alla mano o sul capo, bracciate di materasse e di coperte, e il biglietto col numero della cuccetta stretto fra le labbra. 
Delle povere donne che avevano un bambino da ciascuna mano, reggevano i loro grossi fagotti coi denti; delle vecchie contadine in zoccoli, alzando la gonnella per non inciampare nelle traversine del ponte, mostravano le gambe nude e stecchite; molti erano scalzi, e portavan le scarpe appese al collo. Di tratto in tratto passavano tra quella miseria signori vestiti di spolverine eleganti, preti, signore con grandi cappelli piumati, che tenevano in mano o un cagnolino, o una cappelliera, o un fascio di romanzi francesi illustrati, dell'antica edizione Lévy. 
Poi, improvvisamente, la processione umana era interrotta, e veniva avanti sotto una tempesta di legnate e di bestemmie un branco di bovi e di montoni, i quali, arrivati a bordo, sviandosi di qua o di là, e spaventandosi, confondevano i muggiti e i belati coi nitriti dei cavalli di prua, con le grida dei marinai e dei facchini, con lo strepito assordante della gru a vapore, che sollevava per aria mucchi di bauli e di casse. 
Dopo di che la sfilata degli emigranti ricominciava: visi e vestiti d'ogni parte d'Italia, robusti lavoratori dagli occhi tristi, vecchi cenciosi e sporchi, donne gravide, ragazze allegre, giovanotti brilli, villani in maniche di camicia, e ragazzi dietro ragazzi, che, messo appena il piede in coperta, in mezzo a quella confusione di passeggieri, di camerieri, d'ufficiali, d'impiegati della Società e di guardie di dogana, rimanevano attoniti, o si smarrivano come in una piazza affollata. Due ore dopo che era cominciato l'imbarco, il grande piroscafo, sempre immobile, come un cetaceo enorme che addentasse la riva, succhiava ancora sangue italiano.

…..da “ sull’Oceano” di Edmondo de Amicis



…Ma lo spettacolo eran le terze classi, dove la maggior parte degli emigranti, presi dal mal di mare, giacevano alla rinfusa, buttati a traverso alle panche, in atteggiamenti di malati o di morti, coi visi sudici e i capelli rabbuffati, in mezzo a un grande arruffio di coperte e di stracci. 
Si vedevan delle famiglie strette in gruppi compassionevoli, con quell'aria d'abbandono e di smarrimento, che è propria della famiglia senza tetto: il marito seduto e addormentato, la moglie col capo appoggiato sulle spalle di lui, e i bimbi sul tavolato, che dormivano col capo sulle ginocchia di tutti e due: dei mucchi di cenci, dove non si vedeva nessun viso, e non n'usciva che un braccio di bimbo o una treccia di donna. 

…..da “ sull’Oceano” di Edmondo de Amicis





…E il peggio era sotto, nel grande dormitorio, di cui s'apriva la boccaporta vicino al cassero di poppa: affacciandovisi, si vedevano nella mezza oscurità corpi sopra corpi, come nei bastimenti che riportano in patria le salme degli emigrati chinesi; e veniva su di là, come da uno spedale sotterraneo, un concerto di lamenti, di rantoli e di tossi, da metter la tentazione di sbarcare a Marsiglia. 

…..da “ sull’Oceano” di Edmondo de Amicis

   
              

Nella copertina de “L’Illustrazione italiana” il naufragio dell’Utopia, un bastimento inglese che, partito da Trieste e fatta tappa a Napoli, trasportava 3 passeggeri in 1ª classe, 3 clandestini, 59 membri equipaggio e 813 migranti italiani. Arrivato davanti al porto di Gibilterra la sera del 17 marzo 1891 con un tempo pessimo e visibilità ridotta, sbagliò manovra e andò a sbattere contro il rostro di una corazzata alla fonda.
Colò a picco in pochi minuti, facendo 576 vittime. Quasi tutte meridionali.




…Dalla boccaporta spalancata vidi una donna che singhiozzava forte, col viso nella cuccetta: intesi dire che poche ore prima d'imbarcarsi le era morta quasi all'improvviso una bambina, e che suo marito aveva dovuto lasciare il cadavere all'ufficio di Pubblica Sicurezza del porto, perché lo facessero portare all'ospedale.

…..da “ sull’Oceano” di Edmondo de Amicis


…Quando salii sul palco di comando, poco dopo le otto, che era l'ora della colezione, la prua offriva l'aspetto tra d'un mercato di campagna e d'un accampamento di zingari, che avessero disfatto le tende. Ciascun gruppo d'emigranti aveva preso il suo posto, dove passava la maggior parte della giornata, e i posti presi, per consuetudine tradizionale, eran rispettati da tutti. Dovunque si potesse star seduti senza ingombrare il passaggio, in tutti i cantucci che formavan le torri di cordami e i mucchi di fieno o di merci addossati all'opera morta, s'era ficcata, come una covata di gatti, una brigatella di conoscenti o una famigliuola, con le sue seggiole e qualche cuscino o coperta, e alcune eran così ben rimpiattate, che vi si sarebbe potuto passar davanti dieci volte senza scoprirle; poiché la povera gente si adatta a tutti i vani come l'acqua.

…..da “ sull’Oceano” di Edmondo de Amicis




Buona giornata a tutti. :-)