Visualizzazione post con etichetta guerra. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta guerra. Mostra tutti i post

venerdì 25 agosto 2023

da: Lettere contro la guerra - Tiziano Terzani

Cambiamo illusione e, tanto per cominciare, chiediamo a chi fra di noi dispone di armi nucleari, armi chimiche e armi batteriologiche - Stati Uniti in testa - d'impegnarsi solennemente con tutta l’umanità a non usarle mai per primo, invece di ricordarcene minacciosamente la disponibilità. Sarebbe un primo passo in una nuova direzione. 
Non solo questo darebbe a chi lo fa un vantaggio morale - di per sé un'arma importante per il futuro -, ma potrebbe anche disinnescare l'orrore indicibile ora attivato dalla reazione a catena della vendetta. 
In questi giorni ho ripreso in mano un bellissimo libro (peccato che non sia ancora in italiano) di un vecchio amico, uscito due anni fa in Germania. 
Il libro si intitola Die Kunst, nicht regiert zu werden: ethische Politik von Sokrates bis Mozart (L'arte di non essere governati: l'etica politica da Socrate a Mozart). L'autore è Ekkehart Krippendorff, che ha insegnato per anni a Bologna prima di tornare all’Università di Berlino. 
La affascinante tesi di Krippendorff è che la politica, nella sua espressione più nobile, nasce dal superamento della vendetta e che la cultura occidentale ha le sue radici piu' profonde in alcuni miti, come quello di Caino e quello delle Erinni, intesi da sempre a ricordare all'uomo la necessità di rompere il circolo vizioso della vendetta per dare origine alla civiltà.
Caino uccide il fratello, ma Dio impedisce agli uomini di vendicare Abele e, dopo aver marchiato Caino - un marchio che è anche una protezione -, lo condanna all'esilio dove quello fonda la prima città. La vendetta non è degli uomini, spetta a Dio.

Secondo Krippendorff il teatro, da Eschilo a Shakespeare, ha avuto una funzione determinante nella formazione dell'uomo occidentale perché' col suo mettere sulla scena tutti i protagonisti di un conflitto, ognuno col suo punto di vista, i suoi ripensamenti e le sue possibili scelte di azione, il teatro è servito a far riflettere sul senso delle passioni e sulla inutilità della violenza che non raggiunge mai il suo fine.

Purtroppo, oggi, sul palcoscenico del mondo noi occidentali siamo insieme i soli protagonisti ed i soli spettatori, e così, attraverso le nostre televisioni ed i nostri giornali, non ascoltiamo che le nostre ragioni, non proviamo che il nostro dolore.

- Tiziano Terzani - 
Lettere conto la guerra


O Padre Onnipotente, Dio Altissimo,
Ti prego di avere Misericordia di tutti i peccatori.
Apri i loro cuori
per accettare la salvezza
e ricevere un’abbondanza di Grazie.
Ascolta le mie suppliche
per i miei famigliari
e fai sì che ciascuno di loro trovi il favore
nel Tuo amorevole Cuore.
O Divino Padre Celeste,
proteggi tutti i Tuoi figli sulla terra
da una guerra nucleare
o da altri atti
che vengono pianificati per distruggerli.
Preservaci da ogni danno e proteggici.
Illuminaci,
così possiamo aprire i nostri occhi
per esaminare e accettare la Verità
della nostra Salvezza
senza alcun timore nelle nostre anime.
Amen.

Grazie ad alamy per la foto



Buona giornata a tutti :-)

www.leggoerifletto.it



giovedì 29 giugno 2023

Le uniche armi: sciopero e voto - don Lorenzo Milani

"Non discuterò qui l’idea di Patria in sé, non mi piacciono queste divisioni. Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati ed oppressori dall’ altro. 
Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi, e almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto".

(don Lorenzo Milani)


 

"In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla. 
Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). 
Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perchè siano cambiate". 

(don Lorenzo Milani)


" Si può fare politica al di fuori della libertà o al di fuori del concetto di libertà o al di fuori della ricerca della libertà?"

" Sì, in effetti ho un concetto di politica elevato. O se preferite, molto ingenuo, che Dio benedica gli ingenui. 

L'uomo che ho amato, l'uomo sul quale scrissi questo libro, "Un uomo", Alekos Panagulis, soleva ripetere che la politica è un dovere del cittadino. 

Un dovere, prima di essere un diritto. 

E tra l'altro, lo stesso diceva della libertà: "La libertà è un dovere, prima di essere un diritto."

Bè, io concordo pienamente: si può fare politica al di fuori della libertà o al di fuori del concetto di libertà o o al di fuori della ricerca di libertà? Ma, soprattutto, concordo con la scelta del termine "dovere". 

Se una persona non sente questo dovere, vi dico che non è un cittadino. 

Non è neppure un uomo, non è neppure una donna, ma un vegetale che vegeta in attesa di morire, per essere divorato come un soufflè di spinaci o un'insalata dagli impostori, dai tiranni, dai signori della guerra. E dovremmo starcene come vegetali ad assistere ai loro dannati omicidi, in attesa di essere uccisi nelle loro dannate guerre (diciamo dalla Terza guerra mondiale), senza protestare, senza intervenire, senza fare politica o essere politici?" 

 - Oriana Fallaci, dalla conferenza tenuta il 27 gennaio 1983 al Annemberg Center for Health Sciences, Rancho Mirage , California in Oriana Fallaci " Il mio cuore è più stanco della mia voce" 



Buona giornata a tutti :-)










martedì 30 maggio 2023

Dio della Pace

 Ovunque tu sia,
ti staneremo,
Dio della pace.
Abbiamo ordini precisi:
sparare a vista
senza fare prigionieri.
Non importa che tu sia
Uomo o donna,
vecchio o bambino,
ricco o straccione.
I padroni del mondo
Sono già in troppi
E non possono
Fare spazio anche a Te.
Abbia pazienza,
Dio della Pace,
ma questo non è posto per Te.
 
La nostra missione
Non può fallire
A meno che tu ti sia nascosto
Nell’anima di ogni uomo.
E addirittura nella nostra….


Regina della Pace

Aiutaci, dolce Vergine Maria, aiutaci a dire:
ci sia pace per il nostro povero mondo.
Tu che fosti salutata dallo Spirito della Pace,
ottieni pace per noi.
Tu che accogliesti in te il Verbo della pace,
ottieni pace per noi.
Tu che ci donasti il Santo Bambino della pace,
ottieni pace per noi.
Tu che sei vicina a Colui che riconcilia 
e dici sempre sì a Colui che perdona,
dei cuori umani,
ti chiediamo la pace. Amen. 
votata alla sua eterna misericordia,
ottieni a noi la pace.
Astro clemente nelle notti feroci dei popoli,
noi desideriamo la pace.
Colomba di dolcezza tra gli avvoltoi dei popoli,
noi aspiriamo alla pace.
Ramoscello di ulivo che germoglia nelle foreste bruciate 
noi abbiamo bisogno di pace.
Perchè siano finalmente liberati i prigionieri,
gli esiliati ritornino in patria,
tutte le ferite siano risanate,
ottieni per noi la pace.
Per l’angoscia degli uomini ti chiediamo la pace.
Per i bambini che dormono nelle loro culle
ti chiediamo la pace.
Per i vecchi che vogliono morire nelle loro case
ti chiediamo la pace.
Madre dei derelitti, nemica dei cuori di pietra,
stella che risplendi nelle notti dell’assurdo,
Ti chiediamo la Pace. Amen


Buona giornata a tutti :-)






 




domenica 12 marzo 2023

da: Il sergente nella neve - Mario Rigoni Stern

Durante la campagna di Russia del 1942/1943
Che facciamo qui da soli? Non abbiamo quasi più munizioni. Abbiamo perso il collegamento con il capitano. Non abbiamo ordini. Se avessimo almeno munizioni! Ma sento anche che ho fame, e il sole sta per tramontare. Attraverso lo steccato e una pallottola mi sibila vicino. I russi ci tengono d’occhio. Corro e busso alla porta di un’isba. Entro.
Vi sono dei soldati russi, là. Dei prigionieri? No. Sono armati. Con la stella rossa sul berretto! Io ho in mano il fucile. Li guardo impietrito. Essi stanno mangiando attorno alla tavola. Prendono il cibo con il cucchiaio di legno da una zuppiera comune. E mi guardano con i cucchiai sospesi a mezz’aria.
“Mnié khocetsia iestj” (“datemi da mangiare”) – dico.
Vi sono anche delle donne. Una prende un piatto, lo riempie di latte e miglio, con un mestolo, dalla zuppiera di tutti, e me lo porge. Io faccio un passo avanti, mi metto il fucile in spalla e mangio. Il tempo non esiste più. I soldati russi mi guardano. Nessuno fiata. C’è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. E d’ogni mia boccata.
“Spaziba” (“grazie”) – dico quando ho finito.
E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto.
“Pasausta” (“prego”) – mi risponde con semplicità.
I soldati russi mi guardano uscire senza che si siano mossi. Nel vano dell’ingresso vi sono delle arnie. La donna che mi ha dato la minestra, è venuta con me per aprirmi la porta e io le chiedo a gesti di darmi un favo di miele per i miei compagni. La donna mi dà il favo e io esco.
Così è successo questo fatto. Ora non lo trovo affatto strano, a pensarvi, ma naturale di quella naturalezza che una volta dev’esserci stata tra gli uomini. Dopo la prima sorpresa tutti i miei gesti furono naturali, non sentivo nessun timore, né alcun desiderio di difendermi o di offendere. Era una cosa molto semplice. Anche i russi erano come me, lo sentivo. In quell’isba si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini, un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di molto più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini».
- Mario Rigoni Stern - 
da: Il sergente nella neve, Einaudi, Torino, 2008

 

Come fai a spaventare un uomo quando quella che lo tormenta non è fame nella sua pancia ma fame nella pancia dei suoi figli? Non puoi spaventarlo: conosce una paura peggiore di tutte le altre.

- John Steinbeck -


Buona giornata a tutti :-)

www.leggoerifletto.it



venerdì 27 gennaio 2023

Da: “Paura dell'infinito” - Dietrich Bonhoeffer

 La paura è in un certo qual modo il nostro principale nemico. Essa si annida nel cuore dell’uomo e lo mina interiormente finché egli crolla improvvisamente, senza opporre resistenza e privo di forza.

Corrode e rosicchia di nascosto tutti i fili che ci uniscono al Signore e al prossimo. 
Quando l’essere umano in pericolo tenta di aggrapparsi alle corde, queste si spezzano, ed egli, indifeso e disperato, si lascia cadere tra le risate dell’inferno. Allora la paura lo guarda sogghignando e gli dice: ora siamo soli, tu e io, e ora ti mostro il mio vero volto.
Chi ha conosciuto e si è abbandonato a questo sentimento in un’orribile solitudine — la paura di fronte a una grave decisione, la paura di un destino avverso, la preoccupazione per il lavoro, la paura di un vizio a cui non si può più opporre resistenza e che rende schiavi, la paura della vergogna, la paura di un’altra persona, la paura di morire — sa che è soltanto una maschera del
male, una forma in cui il mondo ostile a Dio cerca di ghermirlo. 
Non c’è nulla nella nostra vita che ci renda evidente la realtà di queste forze ostili al Creatore come questa solitudine, questa fragilità, questa nebbia che si diffonde su ogni cosa, questa mancanza di vie di uscita e questa folle agitazione che ci assale quando vogliamo uscire da questa terribile disperazione. 
Avete mai visto qualcuno assalito dalla paura? Il suo viso è orribile quando è bambino e continua a essere spaventoso anche da adulto: quella fissità dello sguardo, quel tremore animalesco, quella difesa supplichevole. 
La paura fa perdere all’uomo la sua umanità. Non sembra più una creatura di Dio, ma del diavolo; diventa un essere devastato, sottomesso.
Abbiamo paura della quiete. Siamo così abituati all’agitazione e al rumore, che il silenzio ci appare minaccioso e lo rifuggiamo. 
Passiamo da un’attività all’altra per non dover stare soli, per non essere costretti a guardarci allo specchio. Ci annoiamo, a tu per tu con noi stessi. Spesso le ore che siamo costretti a trascorrere in solitudine ci sembrano le più tristi e le meno fruttuose. 
Ma non abbiamo soltanto il timore di noi e di scoprirci; temiamo molto di più l’Onnipotente. Vorremmo evitare che disturbi la nostra tranquillità e ci smascheri, creando un rapporto esclusivo a due per poi disporre di noi secondo la sua volontà. 
Questo incontro misterioso ci preoccupa e cerchiamo di sottrarci a questa esperienza. Ci teniamo alla larga dal pensiero di Dio, per evitare che Egli arrivi inaspettatamente e ci rimanga troppo vicino. Sarebbe terribile doverlo guardare negli occhi e doversi giustificare. Dal nostro volto potrebbe scomparire per sempre il sorriso. Potrebbe, per una volta, accadere qualcosa di molto serio a cui non siamo più abituati.
Questa paura è una caratteristica della nostra epoca. Viviamo con l’ansia di essere improvvisamente avvolti e manovrati dall’infinito. 
Allora preferiamo vivere in società, andare al cinema o a teatro per poi essere portati al cimitero, piuttosto che rimanere un minuto di fronte al Signore.
Nell’Apocalisse di san Giovanni leggiamo: «Temete Dio e dategli gloria, perché è giunta l’ora del suo giudizio» (14, 7). «Temete Dio», invece delle cose che vi fanno paura. 
Non temete il futuro, non temete gli altri uomini. 
Non temete la violenza e la forza, anche se possono privarvi dei vostri beni e della vostra vita. 
Non temete i potenti di questo mondo. 
Non temete nemmeno voi stessi. 
Non temete i peccati. 
Morirete a causa di tutti questi timori. 
Liberatevi da queste paure, ma temete Dio e soltanto Lui, che ha autorità su tutti i poteri terreni. Davanti a Lui deve provare timore tutta la Terra.
Può darci la vita o privarcene. Tutto il resto non ha importanza, solo il Signore conta. 
Che cosa ci chiederà il Padre nell’ultimo giorno? Soltanto una cosa: «Avete creduto al Vangelo e gli avete ubbidito?». Non domanderà se eravamo tedeschi o ebrei, se eravamo nazisti oppure no, e nemmeno se facevamo parte della Chiesa confessante, se eravamo persone influenti e di successo, se possiamo vantarci di grandi opere, se eravamo rispettati oppure malvagi, insignificanti, inutili e sconosciuti. Il nostro unico giudice sarà il Vangelo. 
Perché io sono proprio io? Che cosa sono davvero? Chi sono?
Perché esisto? Da dove arrivo? Qual è il mio fine? Cosa ne sarà di me? 
Sono queste le domande che l’umanità si pone da sempre. L’uomo si sente aggredito da una forza superiore, da tutto un mondo, dal suo stesso io; allora comincia a indagare, a cercare, ad arrovellarsi e procede di scoperta in scoperta, sentendosi sempre più inquieto. Di fronte a se stesso viene colto da una grande paura. Per la prima volta è toccato dalla miseria dell’essere umano e il cuore si contrae nella consapevolezza della sua mancanza di libertà. A questo punto reclama una cosa soltanto: la liberazione dal demone delirio e dal suo dominio, la redenzione. 
Come posso salvare il mio io? Come posso diventare libero? Come posso dare una forma a ciò che non ne ha e organizzare ciò che è privo di coerenza?
Come posso dominare il caos?
In ogni tempio greco antico erano riportate queste parole: «Conosci te stesso!». Solo in questo modo diventerai padrone del tuo io. È un’esperienza che può fare ognuno di noi: nessuno riesce realmente a conoscersi nel corso della sua vita. Siamo e rimaniamo ignoti a noi stessi, soltanto Dio è in grado di vedere davvero dentro di noi.
Se ci lambicchiamo il cervello ci procuriamo soltanto grandi tormenti: sappiamo bene che questo atteggiamento conduce alla disperazione e non al sollievo. 
Quindi è necessario percorrere un’altra via: non quella della conoscenza di sé, ma il dominio e la formazione di sé attraverso la volontà.
Perché il problema della debolezza è così importante? 
Hai mai visto nel mondo un mistero più grande dei poveri, dei vecchi, dei malati. 
Hai mai pensato a come appare la vita a uno storpio, a un infermo senza speranza, a una persona sfruttata, a un nero in un ambiente di bianchi, a un intoccabile? Se lo hai fatto, riesci a sentire che in quei casi l’esistenza ha un significato diverso da quello che le attribuisci tu? Comprendi che anche tu, comunque, appartieni alla categoria degli sfortunati, perché anche tu sei un essere umano come loro, perché sei forte e non debole, perché in tutti i tuoi pensieri avvertirai la loro fragilità? Non ci siamo resi conto che non potremo mai essere felici finché questo universo della debolezza, da cui forse finora siamo stati risparmiati ci rimane estraneo e sconosciuto, distante, finché lo teniamo lontano dalla nostra portata, in modo consapevole o inconsapevole?
Che cosa significa debolezza nel nostro mondo? Sappiamo che fin dai primi tempi fu rimproverato al cristianesimo di rivolgere il suo messaggio ai deboli: era considerato la religione degli schiavi, di quelli che soffrono di complessi di inferiorità; si diceva che dovesse il suo successo alla massa di
disperati dei quali ha esaltato la condizione di miseria. È stato proprio l’atteggiamento nei confronti del problema del male nel mondo che ha attirato simpatie oppure odio per questa confessione. Ha sempre prodotto l’opposizione forte e sdegnata di una filosofia aristocratica che esaltava la forza e il potere, in contrapposizione con i nuovi valori di rifiuto della violenza ed esaltazione dell’umiltà.
Anche nella nostra epoca siamo testimoni di questa lotta. Il cristianesimo resiste o fallisce con la sua protesta rivoluzionaria contro l’arbitrio e la superbia del potente, con la sua difesa del povero.
Credo che i cristiani facciano troppo poco, e non troppo, per rendere chiaro questo concetto. 
Si sono adattati troppo facilmente al culto del più forte. Dovrebbero dare molto più scandalo, scioccare molto più di quanto facciano ora.

- Dietrich Bonhoeffer - 

in “L'Osservatore Romano” del 9 aprile 2015
Scritti inediti di Dietrich Bonhoeffer, ucciso nel campo di concentramento di Flossenbürg il 9 aprile 1945, sono appena apparsi nel volume dal titolo "La fragilità del male" (Milano, Piemme, 2015, pagine 176, Stralcio dal primo capitolo)


"I figli di Dio non devono avere quaggiù altra patria che l’universo intero. Con la totalità delle creature ragionevoli che ha contenuto e contiene e conterrà, il nostro amore deve avere la stessa estensione attraverso tutto lo spazio.
Ogni qual volta un uomo ha invocato con cuore puro Osiride, Dioniso, Crisna, Budda, Il Tao ecc. il Figlio di Dio ha risposto inviandogli lo spirito Santo e lo Spirito Santo ha agito sulla sua anima, non inducendolo ad abbandonare la sua tradizi
one religiosa, ma dandogli luce e nei migliori dei casi la pienezza della luce all’interno di tale tradizione.
Poiché in occidente la parola Dio, nel suo significato corrente, disegna una persona, quegli uomini nei quali l’attenzione, la fede e l’amore si applicano quasi esclusivamente al perfetto impersonale di Dio, possono credere e dirsi atei, sebbene l’amore soprannaturale abiti nella loro anima.
Costoro sono sicuramente salvati e si riconosce dal loro atteggiamento verso le cose di quaggiù, quelli che possiedono allo stato puro l’amore per il prossimo e l’accettazione dell’ordine del mondo compresa la sventura, costoro sono tutti sicuramente salvati, anche se vivono e muoiono in apparenza atei". 

- Simone Weil -


"Anche sogliono essere odiatissimi i buoni e i generosi perché ordinariamente sono sinceri, e chiamano le cose coi loro nomi.
Colpa non perdonata dal genere umano, il quale non odia mai tanto chi fa male, né il male stesso, quanto chi lo nomina.
In modo che più volte, mentre chi fa male ottiene ricchezze, onori e potenza, chi lo nomina è strascinato in sui patiboli, essendo gli uomini prontissimi a sofferire o dagli altri o dal cielo qualunque cosa, purché in parole ne sieno salvi." 

- Giacomo Leopardi - 


Cercavo te nelle stelle
quando le interrogavo bambino.
Ho chiesto te alle montagne,
ma non mi diedero che poche volte
solitudine e breve pace.
Perché mancavi, nelle lunghe sere
meditai la bestemmia insensata
che il mondo era uno sbaglio di Dio,
io uno sbaglio nel mondo.
E quando, davanti alla morte,
ho gridato di no da ogni fibra,
che non avevo ancora finito,
che troppo ancora dovevo fare,
era perché mi stavi davanti,
tu con me accanto, come oggi avviene,
un uomo una donna sotto il sole.
Sono tornato perché c’eri tu.

(Primo Levi)


Titolo della poesia "11 febbraio 1946". 
Fa parte della raccolta "Ad ora incerta"


Buona giornata a tutti. :-)


lunedì 14 novembre 2022

A proposito della pace... - Raoul Foullerau

Anno 2000
tempo di paura o primavera d'amore?
Atomo:
trionfo della libertà o patibolo dell'umanità?
Signore, aiutaci!
Detentori ormai di una particella della tua potenza,
eccoci davanti a Te,
deboli, fragili, più poveri che mai,
vergognosi delle nostre coscienze rattoppate e dei nostri cuori a brandelli.
Signore, abbi pietà di noi!
Noi abbiamo costruito chiese,
ma la nostra è una guerra senza fine;
noi abbiamo costruito ospedali,
ma noi, per i nostri fratelli, abbiamo accettato la fame.
Perdono, Signore,
per la natura calpestata, per le foreste assassinate, per i fiumi inquinati...
Perdono per la bomba atomica, il lavoro a catena,
la macchina che divora l'uomo e le bestemmie contro l'Amore.
Noi sappiamo che Tu ci ami,
e che a questo amore noi dobbiamo la vita.
Strappaci dall'asfissia dei cuori e dei corpi.
Che i nostri giorni non siano più deturpati dall'invidia e dall'ingratitudine,
dalle terribili schiavitù del potere.
Donaci la felicità di amare il nostro dovere.
Nel mondo mancano milioni di medici: ispira i tuoi figli a curare;
nel mondo mancano milioni di maestri: ispira i tuoi figli a insegnare;
la fame tormenta i tre quarti della terra: ispira i tuoi figli a seminare;
da cent'anni gli uomini hanno fatto quasi cento guerre: insegna ai tuoi figli ad amarsi.
Perché, Signore,
non vi è amore senza il tuo Amore.
Fa' che ogni giorno, e per tutta la vita,
nella gioia, nel dolore, noi siamo fratelli,
fratelli senza frontiere.
Allora i nostri ospedali saranno anche le tue cattedrali,
e i nostri laboratori i testimoni della tua grandezza.
Nel cuore dei proscritti di un tempo risplenderanno i tuoi tabernacoli.
Allora, non accettando altre tirannie che quella della tua Bontà,
la nostra civiltà martoriata dall'odio, dalla violenza e dal denaro,
rifiorirà nella pace e nella giustizia.
Come l'alba diventa aurora, e poi giorno,
voglia il tuo Amore che i figli del 2000
nascano dalla speranza,
crescano nella pace,
si estinguano infine nella luce,
per ritrovarti, Signore,
tu che sei la Vita.

- Raoul Foulerau - 



Serviamo la pace solo se abbiamo davvero capito che possiamo assumerci delle responsabilità anche esitando o tacendo, se stimiamo i politici solo quando si dimostrano veri uomini in tutte le situazioni e non banali rappresentanti del nostro egoismo e quando sospettiamo dei politici che ci danno troppo ragione, confermando la nostra opinione. 
Avremo la beatitudine promessa dal Vangelo agli operatori di pace, quando combatteremo per la libertà nostra e per quella degli altri, e impareremo, piano piano, a sentire nostra l'ingiustizia commessa non solo verso noi stessi, ma anche verso gli altri.

- Karl Rahner - 


La parola ebraica «shalom» non è soltanto una bellissima e concisa formula di saluto, la più breve dopo l'italiano «ciao» – no, è l'espressione di saluto più bella che esiste al mondo, perché «shalom» significa «pace». Che cosa significhi «ciao» me lo sono fatto spiegare da amici italiani: significa «ciao». Il fatto che il più bel saluto di pace sulla terra lo si trovi in un popolo che, fin dai suoi inizi, si è sempre trovato in un più o meno permanente stato di guerra, può anche essere visto come un'ironia del destino. I pappagalli israeliani lo trovano particolarmente fastidioso. 

- Ephraim Kishon -     



Preghiera ai nostri fratelli

Fratelli nostri che siete nel Primo Mondo:
affinché il suo nome non sia bestemmiato,
affinché venga a noi il suo Regno;
e si faccia la sua Volontà
non solo in cielo ma anche in terra,
rispettate il nostro pane quotidiano
rinunciando voi al vostro sfruttamento quotidiano.
Non vi intestardite a ricevere da noi
il debito che non abbiamo fatto
e che continuano a pagare i nostri bambini, 
i nostri affamati, i nostri morti.
Non cadete più nella tentazione del lucro, 
del razzismo, della guerra;
noi faremo in modo da non cadere
nella tentazione dell'ozio e della sottomissione.
E liberiamoci gli uni gli altri da ogni male.
Solo così potremo recitare insieme la preghiera di famiglia
che il fratello Gesù ci ha insegnato:
Padre nostro - Madre nostra,
che sei in cielo e che sei in terra.

- don Pedro Casaldaliga -


Buona giornata a tutti. :-)


seguimi sulla mia pagina YouTube

 

sabato 6 agosto 2022

6 agosto 1945 per non dimenticare - Stefano Marchesotti

Il 6 agosto 1945. L’ho ricordato anche in passato, ma ogni volta cerco di narrarlo con qualche elemento nuovo, qualche particolare in più, per quanto triste possa essere, stante l’oggetto del ricordo.
Il 6 agosto del 1945 era un lunedì. Il mattino di quel giorno, a Hiroshima, il cielo era chiaro e sereno.
Ne erano lieti gli abitanti. Anche i bambini, che si accingevano a fare una povera colazione: una focaccina di riso e una tazza di te amaro. 
In realtà non era una fortuna, anzi. Fu proprio la giornata serena a far scendere l’inferno sulla città. Non l’inferno di Dio, quello umano, perché l’uomo è più efficace di Dio nel creare inferni.
La notte era stata turbolenta.
L'allarme aereo delle 0,25 era terminato alle 2,10. La gente era tornata a dormire quando alle 7,09 un altro allarme aereo la svegliò. Un semplice aereo da ricognizione americano ad alta quota e quindi fine allarme alle 7,31. Nessuno immaginava il motivo della ricognizione e che, pochi minuti dopo il rapporto sulle condizioni metereologiche a Hiroshima, le ultime disposizioni sarebbero state notificate al colonnello Paul Tibbets, già in rotta per il Giappone a bordo del bombardiere denominato Enola Gay.
Enola Gay: il nome della madre di Tibbets.
Intanto a Hiroshima la gente, dopo una frugale colazione, usciva per avviarsi al lavoro.
I raid aerei americani avevano già devastato una gran parte delle maggiori città giapponesi. In preparazione a tale eventualità, Hiroshima si organizzò nel preparare zone da cui operare lo spegnimento dei fuochi. A questo scopo fu necessario demolire un gran numero di edifici, così da fungere da barriere antifiamme.
Il 6 agosto, squadre composte principalmente da veterani, corpi di volontariato della città e dei dintorni, corpi studenteschi (bambini di seconda e terza media inferiore, la maggior parte dei quali di 12 o 13 anni), bambini e bambine delle classi maggiori delle scuole elementari si preparavano per questi lavori di demolizione.
Scigheo, un bambino di 10 anni, racconta nel celebre libro “Il gran sole di Hiroshima”: “La nostra scuola è chiusa già da tanto tempo. I maestri sono andati a fare il soldato. Le maestre lavorano per la guerra. Io devo badare a mia sorella. Le nostre vicine sono tutte nelle fabbriche, meno la signora Kumakici, perché è molto vecchia”. Dei circa 8.400 bambini impegnati quel giorno, circa 6.300 vennero uccisi all’istante dalla bomba.
Hiroshima fu scelta per caso, solo per le buone condizioni atmosferiche di quella mattina.
Il famoso aereo ricognitore delle 7,09, infatti, comunicò implacabilmente: “a Kokura cielo coperto in prossimità del suolo per nove decimi; a Nagasaki coperto totalmente; a Hiroshima quasi sereno, visibilità 10 miglia".
L'Enola Gay sorvolò la zona a 10.500 metri di altezza e alle 8,15 venne sganciato l'ordigno. 
Il pilota scese in picchiata, guadagnò velocità, virò di 180 gradi e si allontanò. Aveva 45 secondi di tempo. A 600 metri dal suolo la bomba esplose, creando una palla di fuoco che abbagliava come un piccolo sole. Più di un milione di gradi Celsius al suo centro e le superfici vicine all'epicentro arrivavano a 3.000-4.000 gradi.; dopo 7 secondi il silenzio fu rotto da un tuono assordante: vennero distrutti tutti gli edifici nel raggio di tre chilometri, 30.000 persone morirono sul colpo, altre decine di migliaia nel giro dei due giorni seguenti. Centinaia di migliaia nei mesi e negli anni a venire. 
Una colonna di fumo si alzò lentamente a forma di fungo fino a 17.000 metri dal suolo. Iniziò a cadere una pioggia viscida. I fiumi strariparono e invasero ciò che rimaneva della città giapponese.
Molti esseri umani sull'asfalto avevano lasciato solo l'ombra di un sole devastatore fabbricato da altri umani; la loro anima era salita in cielo insieme a quel lampo che aveva visto il pilota, ma pure i loro corpi stavano salendo in cielo insieme al grande fungo, perché tutti corpi erano diventati ormai molecole, atomi.
Non vorrei annoiarvi, ma la tragedia di Hiroshima credo mi autorizzi a dilungarmi un poco, riportandovi il racconto della signora Keiko Ogura, 78 anni, miracolosamente sopravvissuta, riportato dal quotidiano “La Stampa”: “Ero a casa, 2,4 chilometri a nord dall’epicentro dello scoppio. Mio padre aveva voluto che restassi a casa; erano passati molti aerei nei giorni precedenti e temeva iniziassero i bombardamenti. 
Scoprimmo dopo che si trattava di voli di ricognizione. Erano le 8 e un quarto di mattina: fui colpita da una luce fortissima e violenta, che mi scaraventò a terra, svenuta. Quando ripresi conoscenza tutti i vetri erano in mille pezzi, i mobili erano in frantumi. Mio fratello maggiore, come molti altri ragazzi, era stato mandato a costruire muri tagliafuoco, perché si temeva che anche Hiroshima avrebbe subito i bombardamenti che avevano carbonizzato Tokyo. Così molti studenti erano nel centro della città, e lì sono morti. 
Mio fratello vide l’aereo e poi, l’esplosione. Per tornare a casa dovette salire sulla collina, da dove vide la città completamente in fiamme. Hiroshima bruciò per tutta la notte e tutto il giorno dopo. Eravamo confusi, perché per bruciare una città intera ci sembrava ci fosse bisogno di molte bombe, e ne era caduta una sola. Poi arrivarono i superstiti. Camminavano come fantasmi: tenevano le braccia in avanti mentre la pelle cadeva a brandelli. Avevano addosso solo lembi di vestiti bruciati, erano così sfigurati, gonfi e ustionati da essere irriconoscibili. Alcuni avevano i capelli dritti sulla testa, erano quasi nudi, con i corpi così malridotti che non si capiva se fossero uomini o donne. All’inizio, nessun medico era in grado di aiutare nessuno: pensavano che si fosse trattato di un qualche gas velenoso, non si sapeva come soccorrere i sopravvissuti. Eravamo un esperimento. I feriti più gravi chiedevano acqua disperatamente. Io sapevo che non si doveva dare acqua agli ustionati, ma le loro grida erano troppo insistenti e ho portato acqua ad alcuni di loro. Mi sento colpevole della loro morte, non ho mai potuto dimenticarlo. Non avevamo niente per aiutarli. 
Alcuni mettevano fettine di patate sulle bruciature, ma la vera lotta era contro la fame. Altri ragazzi della nostra età erano stati evacuati sulle montagne. Tornarono scoprendo di essere diventati orfani, e che le loro case non esistevano più. Anche per molti di loro però la distanza non era stata sufficiente: perdevano i capelli, avevano nausee fortissime, poi sopravveniva la febbre e morivano. Il fiume era pieno di cadaveri”. 
Sono certo che avrete colto un espressione della signora Ogura, tagliente come una lama, che dovrebbe ferire le coscienze di tutti: “Eravamo un esperimento”. Non più essere umani, ma cifre da statistica, palline da spostare sull’abaco dell’efficienza bellica. 
Cavie per capire gli effetti delle radiazioni sul corpo umano.
Ancora una storia. La racconta Roberto Olla su RAI News. Ci parla di Sunao Tsuboi . Eccola: “«Sul mare luccica l'astro d'argento, placida è l'onda, prospero è il vento, venite all'agile barchetta mia, Santa Lucia, Santa Lucia». Così cantava Sunao Tsuboi alla sua fidanzata la sera del 5 agosto 1945. 
Si, proprio in italiano. L'Italia era di gran moda in Giappone e "Santa Lucia" era la canzone d'amore per eccellenza. Aveva vent'anni. Prima o poi la guerra sarebbe finita e lui voleva sposarsi. 
Al tramonto di quella calda giornata estiva, dopo una lunga passeggiata, lui e la sua ragazza avevano scelto un ponte tra i tanti che offre Hiroshima, la città dei fiumi. Sunao cantava, bella voce, conosceva tutto il testo a memoria. 
Lei ascoltava e lo pregava di ricominciare ancora una volta. Rimasero così per ore, a desiderarsi nel buio tra i luccichii dell'acqua. Quella maledetta guerra sarebbe finita. Certo. Tutte le guerre prima o poi finiscono. In qualche modo. E allora, il loro amore..... 
Alle 8,15 del giorno dopo, sul cielo sopra Hiroshima esplose una bomba. Una sola. Un lampo. Un istante. In quell'istante, 8,15 del 6 agosto 1945, la fidanzata di Sunao Tsuboi scomparve, evaporata assieme ad altri 70.000 abitanti di Hiroshima, evaporata assieme ai tram e alle case, assieme agli alberi e alle panchine, assieme alle macchine e agli animali. Di quella ragazza che la notte prima ascoltava "Santa Lucia" non rimase la minima traccia. Nel raggio di cinquecento metri dal ground zero, la verticale su cui esplose la bomba, non sopravvisse nessuno e di nessuno furono trovati resti. 
Una donna aspettava l'apertura della sua banca seduta sui gradini. Di lei è rimasta solo un'ombra scura sulla pietra. Degli altri edifici non sono rimasti neppure i gradini. Tutto è finito nella colonna di vapore rovente e nero. Sunao Tsuboi negli anni, ha ricostruito la sua faccia e sorridere lo metteva in pace con la sua anima. Lui ha fatto della sua lunga vita una missione di pace. Ma sempre combattendo con gli effetti delle radiazioni. 
Per due volte ha avuto il cancro. L'hanno salvato sottoponendolo a "bombardamenti di radiazioni". E lo diceva ridendo: "Ma cosa vuole che mi facciano un altro po' di radiazioni! A me!". Sorrideva sempre, anche quando raccontava la sua storia d'amore. Di lei, di quella bella ragazza voleva ricordare la notte sul fiume di Hiroshima: venite all'agile barchetta mia! Santa Lucia, Santa Lucia”.
Gli effetti delle radiazioni andarono ben oltre ciò che poteva essere visto a occhio nudo subito dopo l'esplosione della bomba atomica. 
Conseguenze si susseguirono per decadi a venire e continuano a persistere ancora al giorno d'oggi.
All'inizio del 1946, le cicatrici di alcuni superstiti si innalzarono prendendo la forma di cordoncini chiamati cheloidi. Superstiti che al momento dell'esplosione si trovavano nell'utero nacquero con microlissencefalia con le conseguenti limitazioni mentali e fisiche. Intorno al 1950, il numero di casi legati alla leucemia levitarono sostanzialmente.
A partire dal 1955 tiroide, cancro al seno e ai polmoni incrementarono. Ancora al giorno d'oggi spiegazioni sugli effetti delle radiazioni sono inadeguate.
Era necessario ai fini dell’esito bellico il sacrificio delle centinaia di migliaia di civili che morirono ad Hiroshima e, qualche giorno dopo, a Nagasaki?
Probabilmente no. Gli U.S.A. avevano infatti già ricevuto una richiesta di pace da parte del Giappone e i rapporti dell'aviazione affermavano che lo stato nipponico si sarebbe arreso certamente entro la fine dell'anno anche senza che si dimostrassero necessari lo sgancio dei due ordigni o le invasioni sul territorio giapponese. Nel '45 il timore di vedere la Germania vittoriosa non esisteva più e il Giappone era sul punto di arrendersi, ma gli U.S.A. avevano utilizzato le uniche due bombe di cui erano a disposizione con una fretta ingiustificabile. I più autorevoli scienziati statunitensi avevano inoltre ammonito il presidente di non utilizzare la bomba contro civili.
“Anche senza i bombardamenti atomici”, riferì il Rapporto sui Bombardamenti Strategici degli Stati Uniti del 1946, “la supremazia aerea nei confronti del Giappone avrebbe esercitato una pressione sufficiente a indurre la resa incondizionata e a evitare la necessità dell’invasione. Basandosi su un’indagine dettagliata dei fatti, e con il sostegno delle testimonianze dei leader giapponesi sopravvissuti coinvolti nella questione, è opinione del Rapporto che il Giappone si sarebbe arreso anche se le bombe atomiche non fossero state sganciate, anche se la Russia non fosse entrata in guerra, e anche se non fosse stata prevista o contemplata un’invasione”.
Gli Archivi Nazionali di Washington contengono documenti del governo americano che registrano aperture di pace da parte dei giapponesi già nel 1943. Non ne venne presa in considerazione nessuna.
Perché il presidente aveva agito comunque? Alcuni scrittori indicano quale motivo il fatto che Stalin si era impegnato ad attaccare il Giappone per l'8 agosto. Era chiaro che se la Russia fosse riuscita a scontrarsi vittoriosamente con il Giappone finché gli Stati Uniti erano fermi a Okinawa, ne avrebbe ricavato un grande prestigio internazionale, a danno degli Usa. Così, sganciate le due bombe, l'attacco russo riuscì, ma passò inosservato, a causa del clamore provocato dall'utilizzo della bomba nucleare. Qualcuno arriva così a dire che il lancio delle bombe può già essere considerato il primo atto della guerra fredda. 
Non a caso il comunicato della Presidenza degli Stati Uniti, nel celebrare la carneficina, affermava: "Siamo in grado di dire che usciamo da questa guerra come la nazione più potente del mondo. La nazione più potente, forse, di tutta la storia". Chissà se il presidente di allora degli Stati Uniti d'America, Harry Truman, dormì bene le notte successive all’ordine di usare le bombe atomiche. Ma forse era assuefatto alle stragi di civili compiute dall’aviazione americana. In Germania il sistematico bombardamento delle città tedesche causò centinaia di migliaia di vittime, che culminarono con il bombardamento di Dresda che causò la morte di 35 000 persone e la distruzione di una delle maggiori città d'arte tedesche. Stessa sorte toccò peraltro all'Italia, che vide pesantemente bombardati i maggiori centri industriali e portuali di tutta la penisola con enormi devastazioni e tantissime perdite umane. 
Molti scienziati rimasero inorriditi dall’uso militare dell’energia atomica. Si giunse al “Manifesto di Russell-Einstein”, una dichiarazione presentata il 9 luglio 1955 a Londra in occasione di una campagna per il disarmo nucleare e che aveva avuto come promotori Bertrand Russell e Albert Einstein. Nel documento - controfirmato da altri 11 scienziati e intellettuali di primo piano - Einstein e Russell invitavano gli scienziati di tutto il mondo a riunirsi per combattere i rischi per l'umanità prodotti dall'esistenza delle armi nucleari. 
Tra i redattori del Manifesto vi fu anche Joseph Rotblat, che fu uno degli scienziati coinvolti nel progetto della bomba atomica e che abbandonò il lavoro a causa di contrasti di natura morale. Rotblat diresse la conferenza stampa di presentazione del Manifesto a Caxton Hall, a Londra. Fu sua la celebre frase: “Ricordatevi della vostra umanità, e dimenticate il resto”.
Ma se Rotblat si ritirò dal progetto, vi fu anche chi rifiutò di entrarvi. Fu un italiano: il fisico Franco Rasetti.
Nel gennaio del 1943, mentre dirigeva il nuovo dipartimento di Fisica dell'Università di Quebec, rifiutò di partecipare al progetto anglo-canadese per lo sviluppo dell'energia nucleare a scopi militari. Negli anni successivi tenne sempre ferma questa sua scelta e criticò duramente quegli scienziati che avevano fatto la opzione opposta rivendicando non solo l'importanza delle scoperte scientifiche, ma anche l'eticità della loro applicazione. Dopo la guerra, con il conseguente sganciamento delle bombe atomiche, abbandonò gli studi fisici dedicandosi con successo alla botanica e alla paleontologia.
"La fisica non può vendere l'anima al diavolo", disse Franco Rasetti dopo Hiroshima e Nagasaki.
Al contrario il presidente degli Stati Uniti Harry Truman, una volta appresi gli effetti del bombardamento di Hiroshima dichiarò: “E' il più grande giorno della storia".
Chissà che cosa gli avrebbero risposto, se avessero potuto, le decine di migliaia di bimbi che quel giorno e nei mesi a venire morirono atrocemente a Hiroshima prima ed a Nagasaki poi?
6 agosto 1945. Poteva essere un’occasione per riflettere sulle potenzialità distruttive della guerra combattuta con le armi frutto dei progressi scientifici. Ma naturalmente così non è stato, perché, come scrisse Antonio Gramsci, “l'illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva; la storia insegna, ma non ha scolari”. Ecco allora che la successiva proliferazione delle armi nucleari durante la Guerra fredda tra Usa e Urss ha portato le due superpotenze a costruire bombe sempre più potenti: gli Stati Uniti si dotarono della B-41, (anche conosciuta come Mk-41) un ordigno da 25 megatoni (mille e seicento volte più potente della bomba che distrusse Hiroshima). La risposta di Mosca arrivò con la bomba Zar, che venne testata il 30 ottobre del 1961: aveva una capacità distruttiva di 50 megatoni. Attualmente l'atomica più potente negli arsenali americani è la B83: la sua capacità è di "soli" 1,2 megatoni.
Nonostante i proclami e i programmi di disarmo, nel mondo si stima ci sono ancora 15.700 testate nucleari: la Russia ne ha 7.500 e detiene il primato mondiale degli armamenti nucleari. Seguono gli Usa con 7.200 testate, mentre al terzo posto si trova la Francia con 300 testate e non ci sono dati certi sull'arsenale di Pechino. Le stime parlano di 250 testate ma un dato è certo: l'arsenale cinese è in aumento, insieme a quello indiano e pakistano.
Secondo alcuni calcoli, se in un conflitto globale ognuno degli Stati del "club dell'atomica" utilizzasse l'equivalente di 50 bombe simili a quelle fatte esplodere a Hiroshima, il nostro pianeta si troverebbe nel mezzo di un inverno nucleare senza precedenti, che durerebbe per molti anni e che porterebbe all'estinzione di molte forme di vita terrestri. Uomo compreso.

Permettetemi di chiudere con le bellissime e forti parole di Karl Bruckner autore del bellissimo libro per ragazzi “Il gran sole di Hiroshima”:
“In questo secondo, l’uomo, che Dio aveva creato a propria immagine e somiglianza, aveva compiuto, con l’aiuto della scienza, il primo tentativo per annientare se stesso. Il tentativo era riuscito”.

- Stefano Marchesotti -



Buona giornata a tutti :-)