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domenica 11 aprile 2021

Amare perdendo di vista se stesse - Simona Oberhammer



Ci sono donne che amano con tutte se stesse, fino a perdere il proprio cuore - e la propria anima- da qualche parte.
Quando l'amore femminile viene dato perdendo di vista se stesse, ci si smarrisce. Si vaga disconnesse dal proprio nucleo interiore, dalla propria anima.
Ma se perdiamo la connessione interiore, l'amore diventa ben poca cosa: l'albero maturo pronto a donare i suoi frutti si trasforma in rami secchi. 
Non si possono formare frutti sani e rigogliosi se non c'è più la nostra calda presenza interiore. Se non c'è un fuoco vivo e palpitante che alimenta il nostro amore. Diventiamo fredde senza il nostro calore. 
Oppure possessive, nel tentativo di scaldarci. 
O ancora ossessive, nella ricerca di una stabilità che manca.
Certe volte le donne mi raccontano:
«Se non sono sempre con lui ho la sensazione di essere inutile, di non avere un mio valore ».
« Sono sospettosa, gelosa. Dove si troverà adesso? Con chi sarà in questo momento? Cosa starà facendo senza di me?» »Se lui mi lascia io cosa farò?».
«Gli piacerò abbastanza? Ho paura di perderlo».
«Sembrava una bellissima storia d'amore, di quelle che durano…invece, se mi guardo come sono ora, ecco come mi sento: invecchiata, risucchiata, ripiegata. Sono morta dentro».
«Con lui mi capita di sentirmi la metà di nulla ».
Sono frasi che parlano di un amore che guarda solo al di fuori.
Un amore che non è scaldato dalla propria presenza viva e intensa, dalla passione prima di tutto per se stesse.
Ma se amiamo in questo modo è difficile diventare delle persone interessanti, vitali e intensamente presenti. 
Si perde fiducia, dignità, capacità di far emergere le proprie potenzialità.
Ci si svaluta.
Amare perdendo di vista se stesse… significa camminare nel mondo dell' amore …senza la propria forza ... senza la propria anima ...

(Simona Oberhammer )

Fonte: Simona Oberhammer - La Via Femminile




La magia è un modo di percepire ciò che ci circonda.
La vita è piena di magia, per chi la vuole vedere.
Ed è quando inizi a guardati intorno con occhi diversi che iniziano ad accadere cose meravigliose.

- Simona Barè Neighbors -



Si dice che ogni persona è un’isola, e non è vero,
ogni persona è un silenzio,
questo sì, un silenzio,
ciascuna con il proprio silenzio,
ciascuna con il silenzio che è.

[José Saramago - La caverna]


Che ti diano gioia

Che il sole e la luna ti diano gioia,
che le stagioni ti diano gioia.
O tu che abiti il mondo sapendo
che è la Casa di tuo Padre,
a te soprattutto l'uomo tuo fratello
dia grande gioia.

- N. Hikmet -



Ama la Vita!
Perché è l’unico regalo che non riceverai due volte.



L’amore non è cieco, è presbite:
prova ne sia che comincia a scorger i difetti man mano che s’allontana.

- Oscar Wilde -

Buona giornata a tutti. :-)


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domenica 21 marzo 2021

La primavera e altre poesie – Grazia Deledda

L'inverno aveva rinfrescato anche

il colore delle rocce.

Dai monti scendevano,

vene d'argento, mille rivoletti silenziosi,

scintillanti tra il verde vivido dell'erba.

Il torrente sussultava in fondo alla valle tra

i peschi e i mandorli fioriti,

e tutto era puro,

giovane, fresco,

sotto la luce argentea del cielo.

 - Grazia Deledda -

 

Chi sei tu, lettore, che leggerai le mie poesie
tra cento anni?
Non posso mandarti un solo fiore di questa ricca primavera,
né darti un solo raggio d’oro delle nuvole
che mi sovrastano.
Apri le tue porte, guardati intorno.
Nel tuo giardino in fiore cogli i fragranti ricordi
dei fiori sbocciati cento anni fa.
Nella gioia del tuo cuore che tu possa sentire
la vivente gioia che cantò, in un mattino di primavera,
mandando la sua voce lieta, attraverso cento anni.

- Rabindranath Tagore - 


Il pesco 
  
Colmo di fiori è il pesco,
non tutti diventeranno frutto,
splendono limpidi come schiuma di rose
per l'azzurra fuga delle nubi.

- Hermann Hesse - 



Mandorli in fiore 

Con stupore infinito vi guardo, beati, guardo il vostro contegno
e come l'ornamento effimero portate con spirito d'eterno.
Ah, chi sapesse fiorire: il suo cuore sarebbe d'un balzo
al di là dei pericoli vili, e fermo dinanzi al pericolo grande.

- Rilke Rainer Maria - 

Spring
Giuseppe Arcimboldo (1527-1593)
Louvre Museum, Paris, France

Piogge di primavera 

Mentre cammini, una nuvola si apre
all'improvviso, viene giù acqua.
La pioggia, però, finisce quasi subito.
Allora, camminando sul selciato
della città, si vedono le strade scintillare
sotto il sole.

- Gustave Flaubert -


Vincent Van Gogh,Albicocchi in fiore, 1888
Museum, Amsterdam


Dall'inverno alla Primavera 

Quando l'inverno muore lentamente
nella primavera, nelle sere di quei bei giorni limpidi,
lieti, senza vento, su cui si tengono spalancate
per le prime volte le finestre e si portano sulle
terrazze i vasi dei fiori, le città offrono uno
spettacolo gentile e pieno d'allegrezza e di poesia.
A passeggiare per le vie si sente, di tratto
in tratto, sul viso,
un'ondata d'aria tiepida, odorosa.
Di che? di quali fiori? di quali
erbe? Chi lo sa!

- Edmondo De Amicis - 




Prima di primavera

Prima di primavera ci sono dei giorni
che alita già sotto la neve il prato,
e sussurrano i rami disadorni
e c'è un vento tenero ed alato.

- Anna Achmatova - 


Unconscious Rivals, 1893
Lawrence Alma-Tadema (1836–1912)
Bristol Museum and Art Gallery, UK


È un mattino di primavera, di giorno in giorno, il cielo diventa più azzurro e splendente si fa il sole, che rende l’aria più tiepida. 
La neve finisce di sciogliersi sulle montagne e scivola gorgogliosa giù in ruscelli per buttarsi nei fiumi o nei campi arati. Spuntano le gemme sui rami. Il fiore di pesco, già sbocciato a marzo, ha inondato di nuvole rosa i prati di tenera e verde erba. Le prime violette spandono il loro profumo e stormi di rondini sono tornate a far giochi di voli nel sole. Le eteree eppur variopinte farfalle, invece, volteggiano intorno alla chioma fiorita dell’albicocco. 
La sera, appare la luna a illuminare il mare, i vicoli, i boschi, i campi, le vette e le valli, bianca – grande – luminosa, fatta di silenzio e di pace. 
Tutt’intorno è un palpitare nuovo: colori, profumi, suoni. 
La Terra canta la Vita che rinasce in un miracolo che si rinnova ogni anno.

È arrivata la Primavera!


Eclissi di sole, 20 marzo 2015, ore 10.20
La cupola di San Pietro a Roma (Italy) foto dal web


Buon inizio di primavera a tutti..... e buona giornata. :-)

www.leggoerifletto.it

www.efuseraefumattina.blogspot.it

lunedì 8 marzo 2021

"Voglio le mimose" da Memorie di una vagina

Oggi è la Festa della Donna e se c’è una cosa che non capisco della Festa della Donna, sono le donne che disdegnano la Festa della Donna.
Per carità, mi rendo conto che l’8 marzo tocca sorbirsi i sermoni di tutte le milf della televisione italiana, un redazionale della Palombelli, decine di pubblicità dedicate alle donne du-du-du-in-cerca-di-guai, una timeline di Facebook infognata di quotes sul fatto che oltre alle ciglia finte c’è di più.
……
Ok, lo so. Siamo d’accordo.
Ma, a parte questo, nella Festa della Donna c’è dell’altro, inclusa l’occasione – magari insufficiente ma ultra legittima – di discutere di femminilità in tutte le sue imponderabili declinazioni. Ed è proprio in ragione di questo che io non riesco a comprendere le donne che disdegnano la Festa della Donna.
Non capisco perché lo facciano.
Per sentirsi intellettuali?
Per sentirsi contro-corrente? 
Ma ci sono così tanti modi per essere contro-corrente, potrebbero smetterla di depilarsi lì giù, per dirne una, se volessero essere davvero contro-corrente.
Per cercare di risolvere questo complicatissimo rebus, delle donne che disdegnano la Festa della Donna, ho provato a indagare e mi sono imbattuta in ricercatissime argomentazioni del tipo:
1.       “Ogni giorno dev’essere la festa della donna, non solo l’8 marzo” (no guarda che questo si dice per San Valentino, mi sa che stai confondendo il repertorio delle frasi originali)
2.       “Diventa uno spettacolo indecente, queste donne in giro con gli spogliarellisti, senza rispetto per se stesse” (riflettendoci, persino Dio ammette il libero arbitrio, se ti sforzi puoi farcela anche tu)
3.       “A me le mimose non mi piacciono, puzzano!” (hai ragione, manco le fogne di Bombay maleodorano quanto un ramoscello di mimosa)
4.       “Tanto è solo una scusa per far spendere soldi, tutto consumismo” (perché invece le unghie di gel che ti sei fatta fare per 50 euro cosa sono? Un bisogno primario di memoria marxista?)
La verità è che io non capisco le donne che disprezzano la Festa della Donna, perché a me la Festa della Donna piace. 
Mi piace formalmente e mi piace sostanzialmente. A costo di risultare conformista, post-femminista, retorica e asfalta-coglioni, io la Festa della Donna la amo e le mimose le voglio. Sempre.
Voglio le mimose per le donne che sanno rullare le sigarette e per quelle che ai concerti ci vanno anche da sole.
Voglio le mimose per quelle che non sono mai state in Tanzania o nel Laos.
Voglio le mimose per le donne insicure che hanno bisogno di conferme, per quelle che conservano sempre un briciolo di vanità, per quelle che hanno i capelli crespi e il coraggio di tagliarli corti.  
Voglio le mimose per le donne che, nella difficoltà, sanno sorridere e quelle che, nel baccano, sanno emozionarsi.
Voglio le mimose per le donne che lavorano e per quelle che il lavoro l’hanno perso.
Voglio le mimose per le madri e per le figlie che si amano senza dirlo.
Voglio le mimose per quelle che ogni sera mettono a tavola la cena per la propria famiglia.
Voglio le mimose per quelle che ogni sera mettono a tavola la cena per se stesse.
Voglio le mimose per le donne che hanno una vita in salita e per quelle che ogni giorno devono dimostrare il proprio valore.
Voglio le mimose per le donne in salute e per le donne “difettose”.
Voglio le mimose per le donne che sanno amare e soprattutto per quelle che sanno amarsi.
Voglio le mimose per le donne che non hanno paura di sperimentare e di scoprirsi.
Voglio le mimose per le donne che sanno quello che vogliono e per quelle che stanno cercando di capirlo.
Voglio le mimose per le donne capaci di amore puro.
Voglio le mimose per le donne che amano solo nell’errore.  
Voglio le mimose per le donne che hanno il desiderio di crescere. 
Voglio le mimose per le donne che hanno la sincerità di invecchiare.
Voglio le mimose per le donne che hanno il coraggio di denunciare. 
Voglio le mimose per le donne forti, che non hanno paura delle proprie debolezze.
Voglio le mimose per i volti deturpati dall’acido.
Voglio le mimose per ogni livido.
Voglio le mimose per ogni coltellata, per ogni lacrima, per ogni urlo. 
Voglio le mimose per tutte le straordinarie donne qualsiasi che ho conosciuto.
Voglio le mimose perché non serve rifiutare un fiore, per dimostrare di avere personalità. 

da "Memorie di una vagina"
https://memoriediunavagina.wordpress.com/



Alzai lo sguardo verso il cielo azzurro e capii di non essere cambiata affatto da quando ero bambina.
Una scoperta di cui mi meravigliai.
Come se nell'animo delle persone, il fulcro da cui scaturiscono i sentimenti, non cambiasse mai.


- Banana Yoshimoto -
da: "L'abito di piume"



La donna uscì dalla costola dell'uomo, non dai piedi per essere calpestata, non dalla testa per essere superiore ma dal lato, per essere uguale, sotto il braccio per essere protetta, accanto al cuore per essere amata...

(WIlliam Shakespeare)


“Ci sono luoghi e culture dove la donna viene discriminata o sottovalutata per il solo fatto di essere donna, dove si fa ricorso persino ad argomenti religiosi e a pressioni familiari, sociali e culturali per sostenere la disparità dei sessi, dove si consumano atti di violenza nei confronti della donna rendendola oggetto di maltrattamenti e di sfruttamento nella pubblicità e nell'industria del consumo e del divertimento. 
Dinanzi a fenomeni così gravi e persistenti ancor più urgente appare l’impegno dei cristiani perché diventino dovunque promotori di una cultura che riconosca alla donna, nel diritto e nella realtà dei fatti, la dignità che le compete.”

- Papa Benedetto XVI -
9 febbraio 2009





“...la Chiesa desidera ringraziare la Santissima Trinità per il «mistero della donna», e, per ogni donna - per ciò che costituisce l'eterna misura della sua dignità femminile, per le «grandi opere di Dio» che nella storia delle generazioni umane si sono compiute in lei e per mezzo di lei. In definitiva, non si è operato in lei e per mezzo di lei ciò che c'è di più grande nella storia dell'uomo sulla terra: l'evento che Dio stesso si è fatto uomo?”

Papa Giovanni Paolo II
da: "Mulieris Dignitatem, 31"



Buona giornata e ..... buona Festa della donna a tutte :-)





giovedì 4 marzo 2021

Al mio amante che torna da sua moglie – Anne Sexton

 Lei è tutta là.

Per te con maestria fu fusa e fu colata,
per te forgiata fin dalla tua infanzia,
con le tue cento biglie predilette fu costrutta.


Lei è sempre stata là, mio caro.
Infatti è deliziosa.
Fuochi d’artificio in un febbraio uggioso
e concreta come pentola di ghisa.

Diciamocelo, sono stata di passaggio.
Un lusso. Una scialuppa rosso fuoco nella cala.
Mi svolazzano i capelli dal finestrino.
Son fumo, cozze fuori stagione.

Lei è molto di più. Lei ti è dovuta,
t’incrementa le crescite usuali e tropicali.
Questo non è un esperimento. Lei è tutta armonia.

S’occupa lei dei remi e degli scalmi del canotto,
ha messo fiorellini sul davanzale a colazione,
s’è seduta a tornire stoviglie a mezzogiorno,
ha esposto tre bambini al plenilunio,
tre puttini disegnati da Michelangelo,

l’ha fatto a gambe spalancate
nei mesi faticosi alla cappella.
Se dai un’occhiata, i bambini sono lassù
sospesi alla volta come delicati palloncini.


Lei li ha anche portati a nanna dopo cena,
e loro tutt’e tre a testa bassa,
piccati sulle gambette, lamentosi e riluttanti,
e la sua faccia avvampa neniando il loro
poco sonno.

Ti restituisco il cuore.
Ti do libero accesso:

al fusibile che in lei rabbiosamente pulsa,
alla cagna che in lei tramesta nella sozzura,
e alla sua ferita sepolta
- alla sepoltura viva della sua piccola ferita rossa -

al pallido bagliore tremolante sotto le costole,
al marinaio sbronzo in aspettativa nel polso
sinistro,
alle sue ginocchia materne, alle calze,
alla giarrettiera – per il richiamo -

lo strano richiamo
quando annaspi tra braccia e poppe
e dai uno strattone al suo nastro arancione
rispondendo al richiamo, lo strano richiamo.

Lei è così nuda, è unica.
È la somma di te e dei tuoi sogni.
Montala come un monumento, gradino per gradino.
lei è solida.

Quanto a me, io sono un acquerello.
Mi dissolvo.

(Anne Sexton)
amanti, Alain Dumas

Tutto ciò che è malato nell’uomo nasce dalla mancanza d’amore.
Tutto ciò che non va nell’uomo è in qualche maniera collegato con l’amore: o non è stato capace d'amare oppure non è stato capace di ricevere amore.
Non è riuscito a condividere il suo essere.
Da qui la sofferenza che crea complessi d'ogni genere.
Queste ferite interne possono venire a galla in molti modi: possono diventare disturbi fisici o malattie mentali – ma, di base, ciò di cui l’uomo soffre è la mancanza d’amore.
Proprio come il cibo è necessario per il corpo, l’amore lo è per l’anima.
Il corpo non può vivere senza nutrimento e l’anima non può vivere senza amore.
In realtà, senza amore l’anima non nasce nemmeno – non arrivi nemmeno al punto di pensare alla sopravvivenza.
Se non hai amato, non hai mai conosciuto la tua anima.
Solo nell’amore arrivi a comprendere che sei più del corpo, più della mente. (Osho)

Donna che si infila una calza (1894)
Henri de Toulouse-Lautrec
Parigi, Museo d'Orsay

Buona giornata a tutti. :-)

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mercoledì 2 dicembre 2020

Donne nella Bibbia - Madre Anna Maria Cànopi

Quando, secondo il racconto della "Genesi", Dio presenta Eva ad Adamo, l’uomo finalmente esclama con gioioso stupore: 
«Questa volta essa / è carne dalla mia carne / e osso dalle mie ossa!» (2,23). 
È il primo canto d’amore che si trova nella sacra Scrittura. 
La gioia dell’incontro e della corrispondenza dell’uomo e della donna illumina tutto l’Eden, che solo adesso diventa veramente «paradiso», perché vi risplende il sorriso della creatura umana fatta a immagine di Dio, in rapporto "comunionale".
Il primo canto d’amore ben presto, però, si muta in pianto a causa di una oscura presenza nemica nascosta nel giardino. 
Incomprensibile mistero d’iniquità! 
Nella sua perfida astuzia il «serpente» si avvicina alla donna e la seduce sibilando alle sue orecchie parole che insinuano in lei la diffidenza verso Dio; Eva cede alla tentazione, mangia il «frutto proibito» e ne dà anche all’uomo.
Il testo sacro commenta brevemente: «Allora si aprirono loro gli occhi e si accorsero di essere nudi» ("Genesi" 3,7). 
Si vedono nello squallore della loro povertà e se ne vergognano. 
Cercano di nascondersi, ma la voce di Dio li raggiunge: «Dove sei?». 
Il peccato li ha distolti da Dio e divisi tra di loro... La condanna che ne consegue apre una via di sofferenza e nello stesso tempo una speranza di redenzione.
Creati per essere insieme cultori e custodi del giardino paradisiaco nella pace e nella gioiosa comunione, Adamo ed Eva si ritrovano in una terra piena di triboli e spine. 
Ancora insieme e ancora chiamati ad aiutarsi, fanno l’amara esperienza che nella loro stessa relazione c’è un ostacolo, una tensione a volte drammaticamente accentuata sotto la spinta dell’istinto passionale, a volte, sia pure faticosamente, superata in forza di un cammino di purificazione interiore.
Dio dispone che, come attraverso la donna era passata la seduzione del maligno, così ancora attraverso una donna – Maria, la vergine madre – potesse passare la grazia inestimabile della redenzione. Ma prima di arrivare a lei, e quasi andandole incontro, quante donne nel corso dei secoli, attraverso la maternità fisica e spirituale, hanno preparato la pienezza dei tempi! Colui che è «nato da donna», dall’unica Donna immacolata, tutta bella nell’ordine della grazia, è stato, in certo modo, già concepito e portato in grembo dalle antiche «madri di Israele», da tutte quelle donne che, nonostante la loro condizione di povertà e di debolezza, hanno avuto un ruolo determinante per la salvezza del popolo eletto e dell’intera umanità. 

I loro nomi brillano come perle preziose nelle pagine del testo sacro: sono Sara, Rebecca, Rachele, Myriam, Debora, Rut, Anna, Giuditta, Ester...
Sullo sfondo del quadro della storia dell’umanità appaiono innanzitutto, come stelle radiose, le donne dei patriarchi: "Sara, Rebecca, Rachele"...
Donne nelle quali il fascino della bellezza fisica è unito al fascino della bellezza interiore. Tutte però segnate dalla sterilità e tutte, in questa povertà, visitate e benedette da Dio.
"Sara", il cui nome significa «principessa», segue silenziosamente e docilmente Abramo nel suo pellegrinare dietro la voce del Signore verso la terra promessa (cfr. "Genesi" 12). Lungo questo viaggio pieno di peripezie, di fatiche, di notti oscure, se pur trapuntate di stelle, ella gli è sempre accanto come sposa, come sorella, come madre, come donna saggia che gli attira benevolenza... Ma nasconde nel cuore una ferita che vela di tristezza la sua esistenza: è sterile.
Ed ecco che un giorno, mentre ormai anziana dimora con Abramo nella tenda presso la quercia di Mamre, il Signore la visita e le dà l’annunzio della maternità umanamente impossibile. "JHWH" si rivela così come colui che può e vuole operare meraviglie di grazia nell’estrema debolezza e impotenza umana. Al tempo stabilito, davanti al tanto desiderato dono, Sara esclama: «Motivo di lieto riso mi ha dato Dio», e chiama il bambino Isacco.

Il viaggio di Sara con Abramo continua; le grandi prove non mancano, eppure
non spengono mai quella gioia, perché tutto è vissuto nella fede e nella speranza. Anche il morire si illumina: Sara muore a Ebron, nel paese di Canaan, ed è sepolta nel piccolo campo che Abramo acquista in Macpela, primo lembo di "Terra promessa" che, con questo primo seme che le è affidato, ancora terra straniera, comincia a diventare "Terra Santa".
Dopo Sara, "Rebecca", sposa di Isacco: una donna tutta disponibilità. Cercata in terra lontana, lascia la casa paterna accompagnata da una bellissima benedizione: «Tu, sorella nostra, diventa migliaia di miriadi...», scenda su di te la benedizione che Dio ha promesso.
Il volto nascosto dietro il velo, il suo mistero traspare nella bellezza di quel segno di pudore e di fedeltà, di esclusiva appartenenza. Vera madre anche nello spirito, Rebecca avverte come suo principale compito quello di proteggere, di tutelare la vita, di evitare gli scontri violenti tra i due fratelli che ha dato miracolosamente alla luce dopo lunga attesa e che fin dal suo grembo aveva percepito in rapporto conflittuale.
Le generazioni umane sono come un ruscello che diventa fiume. Ed ecco "Rachele", sposa di Giacobbe che, nel suo incontenibile desiderio di maternità, dà un nome altamente simbolico al figlio ottenuto per grazia: Giuseppe, ossia «Dio aggiunga». Che cosa? Un altro figlio... E mentre è in viaggio, lungo la strada verso Efrata, Rachele muore dando alla luce Beniamino, il «figlio del dolore». Evento carico di umano "pathos"! Altra tomba nella Terra promessa.
Proprio per questa strada un giorno passerà Maria di Nazaret che, giunta nella campagna di Betlemme, darà alla luce il Figlio di Dio concepito unicamente per grazia, per potenza di Spirito Santo.
Se le donne dei patriarchi sono madri che portano avanti la catena delle generazioni mettendosi al servizio della vita con struggente amore, fino all’estremo sacrificio, altre donne dopo di loro, fragili ed eroiche ad un tempo, sostengono il popolo nel suo cammino irto di difficoltà. Esse sono figure paradigmatiche che mostrano quanto il «genio femminile» – come si esprimeva il santo padre Giovanni Paolo II – sia necessario nella storia, poiché esso ha come caratteristica fondamentale l’amore che attinge energia dalla preghiera e diventa sorgente di pace, supplemento di forza e di fede, offerta e dono di sé per tutti.
La carestia aveva costretto i figli di Israele a ritornare popolo errante, a scendere esuli in Egitto. Nell’ardua attraversata del deserto per la riconquista della Terra promessa incontriamo, accanto al grande e umile Mosè, anche la sorella "Myriam", significativa figura femminile che sembra impersonare gli slanci di ardore e le gravi debolezze dell’intero popolo in cammino.
Ci appare allora come colei che porta su di sé le conseguenze del peccato di molti ed insieme come colei che, guarita per intercessione dello stesso Mosè, impara per viva esperienza che cosa siano l’umiltà e l’amore gratuito.
Nel libro dei Giudici emerge la figura di "Debora", la profetessa, che, abitata dalla Spirito del Signore, veglia su tutto Israele.
Debora allora celebra la liberazione di Israele con uno stupendo cantico in cui esprime l’amore di Dio per il suo popolo e l’amore riconoscente del popolo per il suo Dio da cui si sente fortemente protetto. Poesia, teologia e storia si intrecciano, offrendo un grandioso quadro dove è messo in risalto l’intervento dell’onnipotenza divina mediante figure femminili. 
Infatti: «Era cessata ogni autorità di governo, / era cessata in Israele, / fin quando sorsi io, Debora, / fin quando sorsi come madre in Israele. / Si preferivano divinità straniere / e allora la guerra fu alle porte [...]. / Il mio cuore si volge ai comandanti d’Israele, / ai volontari tra il popolo; / benedite il Signore!» ("Giudici" 5,7-9). In definitiva è sempre il Signore ad essere glorificato.
Con "Giuditta" ed "Ester" – che danno il nome a due libri "deuterocanonici" – ci troviamo ancora, come con Debora, di fronte a donne che, attingendo forza da Dio, salvano il popolo di Israele in momenti in cui ai capi responsabili viene meno il coraggio. L’esercito di Oloferne avanza minaccioso, tutta la città di Betulia è in preda al panico: l’acqua e i viveri scarseggiano. Il re Ozia e gli anziani del popolo sono sul punto di consegnarsi al nemico. Ma c’è una donna che crede fermamente nell’aiuto che viene dal Signore proprio nelle situazioni più disperate: "Giuditta". Vedova, vive ritirata nella sua casa sotto lo sguardo di Dio; tutta raccolta in preghiera, riceve luce e forza dall’Alto. Ella si pone perciò davanti agli anziani con l’autorità che le viene dall’essere una donna che ama Dio al di sopra di tutto e che ama il popolo con viscere materne.
Questa fiducia non la rende però passiva; anzi, pur consapevole della propria debolezza, riceve il coraggio di mettere in pericolo la propria vita per affrontare apertamente il «nemico».
Giuditta perciò si prepara al passo decisivo con digiuno, penitenza, preghiera. E così preme sul cuore di Dio: «La tua forza non sta nel numero, ma nell’amore che si china pietoso al grido dei poveri, degli oppressi, dei deboli, dei derelitti, degli sfiduciati, dei disperati».
Dopo la debole-forte Giuditta, la Bibbia ci presenta un’altra mirabile donna d’Israele. Sul popolo eletto in terra d’esilio pende un edito di sterminio. Per vie misteriose Dio prepara una giovane ebrea, "Ester", a diventare strumento di salvezza per Israele. Orfana e lontana dalla sua terra, ancora giovinetta viene provvidenzialmente scelta tra tante sue coetanee per sostituire la regina Vasti ripudiata dal grande re Assuero. Ella si trova quindi a corte nel tempo in cui tutti gli Israeliti esuli vivono con «la morte davanti ai loro occhi» ("Ester" 4,17i). Il suo posto di privilegio diventa subito per lei un posto di più grande responsabilità: se è lì, non è per avere salva la propria vita, ma per salvarla ai suoi fratelli.
Fede integra e angoscia mortale si combattono nel suo cuore da cui sgorga un grido di preghiera che è insieme altissima testimonianza di amore e pressante invocazione di aiuto: «Mio Signore, nostro re, tu sei "l’unico"! Vieni in aiuto a me che sono "sola" e non ho altro soccorso se non te, perché un grande pericolo mi sovrasta» ("Ester" 4,17).
Malgrado le grandi tentazioni cui ogni giorno la vita di corte certamente la esponeva, il cuore di questa donna è unicamente posseduto dall’amore del suo Dio e del suo popolo.
All’inizio del primo libro di Samuele troviamo "Anna", moglie di uno "zufita" delle montagne di Efraim, un’altra donna sterile, come le spose dei patriarchi... Essa, umiliata e disprezzata per questa sua condizione, va a sfogare la sua angoscia davanti al Signore nel santuario di Silo. Là osa pronunciare un voto: «Signore, se vorrai ricordarti di me [...], se darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita». La sua preghiera di povera è esaudita e Anna mantiene il voto. Dopo lo svezzamento, offre il piccolo Samuele al Signore per tutti i giorni della sua vita. Al momento dell’offerta, dal suo cuore e dalle sue labbra sgorga un bellissimo cantico di ringraziamento, il primo "Magnificat": «Il mio cuore esulta nel Signore, / la mia fronte s’innalza grazie al mio Dio [...]. / L’arco dei forti s’è spezzato, / ma i deboli sono rivestiti di vigore» ("1Samuele" 2,14).
Su uno scenario di povertà e di debolezza si apre anche il libro di "Rut": Noemi, emigrata in terra di Moab, rimasta vedova, senza figli e senza nipoti, decide di far ritorno alla sua terra d’origine... Benché si avvii da un paese straniero verso la terra dei suoi padri, non parte sospinta dalla speranza, bensì con l’animo abbattuto di chi si sente sconfitto dalla vita. Ma Rut, la nuora, tenacemente fedele, la segue: «Dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta» (1,16-17).
Ed ecco le due donne giungere a Betlemme al tempo della mietitura dell’orzo: bellissimo segno di speranza. Rut va a spigolare dietro i mietitori, con l’umiltà di chi è consapevole non solo di essere povera, ma anche di essere straniera.
Sollecita e riservata, viene definita "donna virtuosa" (cfr. 3,11): "donna forte" nel bene, forte nella mansuetudine, nella bontà, nell’amore fino al sacrificio. Ed è per questo che trova grazia agli occhi di Booz, il padrone del campo e suo parente prossimo con il «diritto di riscatto».
Quando egli – alla porta della città secondo il rito in uso in Israele – dichiara di volerla prendere come sposa, gli anziani pronunziano un bellissimo augurio benedicente: «Il Signore renda la donna, che entra in casa tua, "come Rachele e Lia", le due donne che fondarono la casa d’Israele» (4,16).
Così Rut entra nel solco delle generazioni d’Israele, diventa antenata di Cristo, anzi, entra nel "Nuovo Testamento", perché il suo nome compare nella genealogia del nato Messia (cfr. "Matteo" 1, 1-17).
Non con le parole, ma con la sua stessa vita, Rut intona uno splendido cantico all’amore provvidente e gratuito di Dio; un cantico che potrebbe esprimersi così: "Dio d’Israele, Dio di tutte le genti, Tu, che mi hai guardata nella mia estrema povertà di vedova e straniera, Tu, che mi hai condotta fuori dalla mia terra, dal mio popolo e dalla casa di mio padre, Tu, che mi hai accolta all’ombra delle tue ali, Tu, che mi hai nutrita con il pane della terra promessa, Tu, che mi hai consolata dandomi una insperata prole, Tu, che mi hai onorata dandomi il tuo Nome, Tu che sei il Benedetto e la fonte d’ogni bene: accogli il mio rendimento di grazie!".


- Madre Anna Maria Cànopi -
* Abbazia Benedettina "Mater Ecclesiae"
("Avvenire", 14/10/’07)


Buona giornata  a tutti. :-)

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