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domenica 24 settembre 2017

Saggezza

Si racconta che il bel cavallo di un saggio un giorno sfondò la porta della stalla e fuggì via. 
Ai vicini di casa che andarono da lui per compatirlo rispose con un dolce sorriso: “Magari è un bene”. Sei mesi dopo il cavallo fece ritorno insieme a dieci cavalli selvaggi che lo avevano eletto a capo branco. 
Quando i vicini casa accorsero a congratularsi con lui, il saggio rispose: “Magari è un male”. Il figlio del saggio cercò di domare uno di quei cavalli. Ma il cavallo indomito lo scaraventò per terra. 
Il giovane si ruppe una gamba e rimase zoppo per tutta la vita. 
Il saggio disse ai vicini venuti a consolarlo: “Magari è un bene”. 
Scoppiò la guerra e tutti i ragazzi del villaggio furono costretti ad arruolarsi nell’esercito, tutti tranne il figlio del saggio, perchè era zoppo.


Morale 
Tutto accade per una ragione e a volte quello che può sembrare il male peggiore, ne evita soltanto uno maggiore.



Il merlo prende la decisione giusta

Un vecchio merlo trovò una mollica di pane e volò via portandosela appresso. Visto ciò, gli uccelli più giovani accorsero per attaccarlo.
Di fronte al combattimento imminente, il merlo abbandonò la briciola di pane nella bocca di un serpente, pensando fra sé e sé: "Quando si è vecchi, si vede la vita in un'altra maniera: ho perso il mio cibo, è vero, ma posso trovare dell'altra mollica di pane domani. "Invece, se avessi insistito nel portarmela via, avrei scatenato una guerra nel cielo.
Il vincitore sarebbe stato invidiato, gli altri si sarebbero armati per combatterlo, l'odio avrebbe colmato il cuore degli uccelli e questa situazione sarebbe potuta durare per molto tempo.

Morale
"La saggezza della vecchiaia è questa: saper scambiare vittorie immediate con conquiste durature."


Buona giornata a tutti. :-)




domenica 21 agosto 2016

Devi diventare Uno! - Osho

Il Maestro Zen Gutei era solito alzare un dito ogni volta che rispondeva alle domande dei suoi discepoli.
Prova a osservare la tua vita: se stai facendo qualcosa e tutto a un tratto smetti, chi se ne accorge?
Ti tieni occupato con cose banali dalla mattina alla sera, e come unico risultato alla sera sei stanco morto e te ne vai a dormire.
Al mattino poi sei pronto a ricominciare tutto da capo – ancora le stesse cose inutili. È un circolo vizioso: vivi una vita non-essenziale, ti incontri con altri esseri non-essenziali, ti ci attacchi…
Ma hai una tale paura a dare un’occhiata alla banalità di questa vita, che continui a volgere le spalle, è troppo deprimente rendersi conto della banalità della tua vita – «Ma che sto facendo?»
E se poi ti accorgi che tutto quello che stai facendo è assolutamente inutile, il tuo ego va a pezzi, perché l’ego si sente importante solo quando fai qualcosa che giudichi di capitale importanza.
E così ti inventi dei significati per le cose insulse che continui a fare. Devi credere che stai facendo il tuo dovere di cittadino, che stai servendo la patria, la famiglia, l’umanità – come se senza di te le cose non potessero andare avanti. In realtà niente di quello che stai facendo è importante, ma tu devi dargli un significato, come potrebbe altrimenti sopravvivere il tuo ego?
Vivi nell’ignoranza e continui a fare cose non-essenziali. E qualunque cosa tu faccia, persino le tue meditazioni, le tue preghiere, il tuo andare a messa… tutto è futile.
Anche se preghi non può essere una cosa più profonda che leggere il giornale, perché il problema non è quello che fai, il problema è come sei tu. Se tu hai profondità, allora dovunque tu vada, qualunque cosa tu faccia, le tue azioni saranno essenziali, profonde.
Ma se tu sei superficiale, anche se vai a messa o preghi tutto il giorno, non fa nessuna differenza: entri in chiesa allo stesso modo in cui entreresti al cinema. Tu sei lo stesso, perciò che sia un cinema o una chiesa non può fare molta differenza.
Perché Gutei alzava un dito ogni volta che rispondeva alle domande dei suoi discepoli?
Tutti i tuoi problemi nascono perché non sei uno, sei frammentato, diviso, in conflitto. Tutti i tuoi problemi sorgono perché c’è il caso dentro di te, non c’è nessuna armonia.
Quando la tua mente è divisa non riesci a pregare, non sei in grado di meditare, perché c’è sempre un conflitto dentro di te.
E ricordati questo: la parte in cui ti stai impegnando di più perde energia ogni momento che passa, e la parte avversa, che è poi la parte critica, diventa sempre più forte e alla fine sarà quella che deciderà il tuo comportamento.
Pazienza significa che sei pronto ad aspettare all’infinito. E se sei veramente pronto ad attendere all’infinito, non ti sfiorerà più il pensiero che non è ancora successo niente.
Non ha più alcun senso chiedersi perché si sta sprecando tanto tempo… se sei pronto ad aspettare all’infinito non c’è più niente che vada sprecato, e se la tua attesa è eterna, infinita, l’altra parte non avrà più niente da dire, viene automaticamente resa impotente.
È necessario raggiungere l’unità, annullare la continua lotta interiore. Ecco perché Gutei era solito alzare un dito ogni volta che parlava dello Zen. Con questo gesto intendeva dire: «Sii uno! – e tutti i tuoi problemi saranno risolti».
Vi sono molte religioni, molti cammini spirituali, molti metodi, ma il punto essenziale è sempre lo stesso: devi diventare uno.
Qualunque cosa tu scelga di essere diventa uno, e se riesci ad essere infinitamente paziente, se puoi abbandonarti totalmente, diventerai uno.
Se entrerai in silenzio profondo, se non vi saranno più pensieri e sarai in stato di meditazione, raggiungerai l’unità. Se preghi Iddio e la tua preghiera diventa così intensa che tu non esisti più, ti sei completamente dissolto nella preghiera, questo basterà.
Potando il tuo giardino, se riesci a farti assorbire totalmente da quello che stai facendo, e non vi è più spazio o pensiero per nient’altro – allora sei in meditazione, allora colui che medita è diventato la meditazione – e improvvisamente tutte le onde del maya scompaiono, e tutte le illusioni cadono.
Sei pervenuto tutto a un tratto a un livello diverso, hai raggiunto un differente spazio dell’essere, sei arrivato all’Uno.
Quando tu sei uno, ecco che raggiungi l’Uno, il Supremo.
Quando sei molte persone, quando sei diviso, sei nel mondo. I mondi sono tanti e Dio è Uno.
Ma per conoscere quell’Uno devi prima diventare tu uno, prima d’allora non potrai mai conoscerlo”

- Osho Rajneesh - 
da: "Dieci storie zen", pp. 119-124 




Nella serietà non puoi mai essere libero; nella serietà sarai sempre perseguitato dall’ansia; nella serietà hai sempre paura che qualcosa possa andare storto.
Con me niente può andare storto perché non c’è niente che sia dritto.
Se c’è qualcosa di dritto, allora qualcosa può andare storto; se non c’è niente di dritto, niente può andare storto.
Questo è il significato del concetto orientale di “leela”, gioco.
Sei stato un po’ troppo serio di recente, seriamente… è tempo di lasciar perdere!
Fatti una bella risata e metti da parte i tuoi bei piani.
Davvero non ne hai bisogno.
Ciò che dovrà accadere accadrà e tu hai una scelta: andarci insieme o andarci contro.


- Osho Rajneesh - 



A volte cerchi pietre.
A volte cerchi farfalle.
A volte cerchi fiori.
A volte cerchi la verità.
Ma ricorda sempre:
la bellezza sta nel cercare, non in ciò che trovi.
Quella è soltanto una scusa.

- Osho Rajneesh -
da: "Trova la tua voce interiore"


Buona giornata a tutti.:-)





lunedì 25 luglio 2016

Il giro del 99 - Osho

C'era una volta un re molto triste che aveva un servo, e questo servo, come ogni servo di re triste, era molto felice. Ogni mattina svegliava il re e gli portava la colazione canticchiando allegre canzoncine dei trovatori. Aveva sempre un grande sorriso sul volto disteso, e nei confronti della vita un atteggiamento sereno e felice.
Un giorno il re lo fece chiamare.
«Paggio» disse «qual è il tuo segreto?» «Quale segreto, maestà?»
«Qual è il segreto della tua allegria?» «Non c'è nessun segreto, Maestà.»
«Non mentire, paggio. Ho fatto tagliare teste per offese meno gravi di una menzogna.»
«Non vi sto mentendo, maestà. Non ho nessun segreto.» «Perché sei sempre felice e allegro? Eh? Perché?»
«Signore, non ho motivo di essere triste. La vostra maestà mi onora consentendomi di servirvi. Con mia moglie e i miei figli vivo nella casa che ci è stata assegnata dalla corte. Ci forniscono cibo e vestiti e inoltre la vostra maestà ogni tanto mi premia con qualche moneta e possiamo levarci qualche capriccio. Come potrei non essere felice?» «Se non mi dici subito il tuo segreto, ti farò decapitare sedu­ta stante» disse il re. «Nessuno può essere felice per le ragio­ni che hai detto.»
«Ma maestà, non c'è nessun segreto. Desidero soltanto com­piacervi, non vi sto nascondendo nulla.» «Và via, va' via prima che chiami il boia!» 

Il servitore sorrise, fece una riverenza e uscì dalla stanza.
Il re era come impazzito. Non riusciva a spiegarsi per quale motivo quel paggio fosse così felice vivendo di cose prese in prestito, indossando vestiti dismessi e nutrendosi degli avan­zi dei cortigiani.
Quando riuscì a calmarsi, chiamò il consigliere più saggio e gli raccontò la conversazione di quella mattina. «Perché quell'uomo è felice?»
«Ah, maestà, il fatto è che lui è fuori dal giro.» «Fuori dal giro?»
«Esatto.»
«E questo lo rende felice?»
«No, signore. Questo non lo rende infelice.»
«Vediamo se ho capito. Stare nel giro ti rende infelice?» «Esatto.»
«E lui non è dentro al giro.»
«Esatto.»
«E come ha fatto a uscire?»
«Non è mai entrato.» «Ma di che giro si tratta?» «Il giro del novantanove.»
«Non ci capisco niente davvero.»
«Potrai capirlo soltanto se lasci che te lo dimostri con i fatti.» «E come?»
«Facendo entrare il tuo paggio nel giro.»
«Sì, costringiamolo a entrare.»
«No, maestà. Nessuno può essere costretto a entrare nel giro.»
«Allora dovremo tendergli un tranello.»
«Non ce n'è bisogno, maestà. Se gli diamo l'opportunità, ci entrerà da solo.»
«Ma lui non si renderà conto che diventerà una persona infelice?»
«Sì, se ne renderà conto.»
«Allora non ci entrerà.» «Non potrà evitarlo.»
«Dici che si rende conto dell'infelicità che proverà entrando in quel ridicolo giro e ciononostante lo farà e non potrà più uscirne?»
«Esatto, maestà. Sei disposto a perdere un eccellente servito­re per poter capire la struttura del giro?» «Sì.»
«Molto bene. Stanotte verrò a prenderti. Devi avere prepa­rato una borsa di cuoio con dentro novantanove monete d'oro. Non una di più né una di meno.» «Che altro? Devo portarmi dietro anche le guardie?» «Soltanto la borsa di cuoio. Ci vediamo stanotte, maestà.» «Ci vediamo stanotte.»
Così fu. Quella notte il saggio andò a prendere il re. Insieme scesero di nascosto nei cortili del palazzo e si nascosero vici­no alla casa del paggio. E lì attesero l'alba.
Nella casa si accese la prima candela. Il saggio legò alla borsa di cuoio un foglietto con un messaggio che diceva:

"Questo tesoro è tuo.
È il premio
Per essere un brav'uomo. Goditelo
E non dire a nessuno 
Come lo hai trovato."

Poi legò la borsa alla porta della casa del servo, bussò e tornò a nascondersi.
Quando il paggio uscì, il saggio e il re spiarono le sue mosse da dietro a un cespuglio.
Il servitore aprì la borsa, lesse il messaggio, agitò il sacco e, sentendo il suono metallico provenire dall'interno, venne percorso da un brivido, strinse il tesoro contro il petto, si guardò intorno per controllare che nessuno lo osservasse e rientrò in casa.
Dall'esterno si sentì che il domestico stava sbarrando la porta, e i due spioni si affacciarono alla finestra per osserva­re la scena.
Il domestico aveva buttato per terra tutto quello che c'era sopra il tavolo, tranne una candela. Si era seduto e aveva svuotato il contenuto della borsa. I suoi occhi non credeva­no a quello che stavano vedendo. Era una montagna di monete d'oro!
Lui che non ne aveva mai toccata nessuna, adesso ne aveva un'intera montagna a sua disposizione. Il paggio le maneggiava tutte e le ammucchiava. Le accarez­zava e faceva in modo che la luce della candela le facesse risplendere. Le metteva insieme e le sparpagliava di nuovo, facendone tanti mucchietti.
E così, a forza di giocherellare, cominciò a fare dei muc­chietti di dieci monete. Un mucchietto di dieci, due muc­chietti di dieci, tre mucchietti, quattro, cinque, sei... E intanto faceva le somme: dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, sessanta... Fino a formare l'ultimo mucchietto... ed era di nove monete!
Dapprima indugiò con lo sguardo sopra il tavolo, alla ricer­ca della moneta mancante. Poi guardò per terra e alla fine la borsa.
«Non è possibile» pensò. Accostò l'ultimo mucchietto a tutti gli altri e vide che era più basso.
«Sono stato derubato!» gridò. «Sono stato derubato! Ma­ledetti!»
Cercò di nuovo sopra il tavolo, per terra, nella borsa, tra i vestiti, nelle tasche, sotto ai mobili... Ma non trovò quello che cercava.
Sopra il tavolo, quasi a prendersi gioco di lui, un mucchiet­to di monete splendenti gli ricordava che aveva novantano­ve monete d'oro. Soltanto novantanove.
«Novantanove monete. Sono tanti soldi» pensò. «Ma mi manca una moneta. Novantanove non è un numero com­pleto» pensava. «Cento è un numero completo, novanta­nove no.»
Il re e il suo consigliere guardavano dalla finestra. La faccia del paggio non era più la stessa. Aveva la fronte corrugata e i lineamenti irrigiditi. Stringeva gli occhi e la bocca gli si con­traeva in una orribile smorfia, mostrando i denti.
Il servitore rimise le monete nella borsa e, guardando a destra e a sinistra per non farsi vedere da nessuno in casa, nascose la borsa in mezzo alla legna. Poi prese carta e penna e si sedette per fare i conti.
Per quanto tempo avrebbe dovuto mettere da parte i rispar­mi per comprarsi la moneta numero cento? Il servo parlava da solo, ad alta voce. Era disposto a lavorare sodo pur di ottenerla. Poi magari non avrebbe avuto più bisogno di lavorare. Con cento monete d'oro un uomo può smettere di lavorare. Con cento monete un uomo è ricco. Con cento monete si può vivere tranquilli. Finì di fare i suoi conti. Se lavorava e metteva da parte il salario e qualche extra che magari gli davano, nel giro di undici o dodici anni avrebbe avuto il necessario per com­prarsi un'altra moneta d'oro.
«Dodici anni sono tanto tempo» pensò.
Magari avrebbe potuto chiedere alla moglie di cercarsi un lavoro in paese per un po' di tempo. E dopotutto lui fini­va il lavoro a palazzo alle cinque del pomeriggio, per cui avrebbe potuto lavorare fino a sera e ricevere una paga extra.
Fece i conti: sommando il suo lavoro in paese e quello della moglie, in sette anni avrebbe potuto mettere insieme il denaro sufficiente.
Era troppo tempo!
Magari avrebbe potuto portare in paese il cibo che avanza­vano ogni sera e venderlo per poche monete. In effetti, meno mangiavano, più cibo avrebbero potuto vendere. Vendere, vendere...
Iniziava a fare caldo. Perché ci volevano tanti vestiti d'inver­no? Perché avere più di un paio di scarpe?
Era un sacrificio. Ma con quattro anni di sacrifici avrebbe guadagnato la sua moneta numero cento. Il re e il saggio ritornarono a palazzo. Il paggio era entrato nel giro del novantanove...
Nei mesi successivi il servitore seguì i suoi piani così come li aveva concepiti quella notte. Una mattina, il paggio entrò nell'alcova reale sbattendo la porta, brontolando e di malu­more.
«Che cos'hai?» chiese il re con belle maniere.
«Non ho niente, non ho niente.»
«Prima, poco tempo fa, ridevi e cantavi sempre.»
«Faccio il mio lavoro, no? Che cosa pretende la vostra mae­stà? Pretende che faccia anche il buffone e il trovatore?» Non passò molto tempo che il re licenziò il servitore. Non era piacevole avere un paggio sempre di cattivo umore.


Tutti quanti, me e te compresi, siamo stati educati con questa stupida ideologia. Ci manca sempre qualcosa per essere soddisfatti, e soltanto se siamo soddisfatti possiamo godere di quello che possediamo.
Per cui abbiamo imparato che la felicità arriva soltanto quando avremo completato quel che ci manca...
E dato che ci manca sempre qualcosa, si ricomincia daccapo e non riusciamo mai a goderci la vita...


Ma che cosa succederebbe se l'illuminazione accendesse le nostre vite e ci rendessimo conto, così di colpo, che le nostre novantanove monete sono il cento per cento del tesoro e che non ci manca nulla, nessuno ci ha portato via nulla, il numero cento non è più rotondo del novantanove.
È soltanto un tranello, una carota che ci hanno messo davanti al naso per renderci stupidi, per farci tirare il carretto, stanchi, di malumore, infelici e rassegnati
Un tranello per non farci mai smettere di spingere e tutto sarà sempre uguale. Eternamente uguale!
Quante cose cambierebbero Se potessimo goderci i nostri tesori così come sono.


Vai col vuoto tra le mani, poiché questo è tutto.
Questo è il mio dono.
Se riesci a portare il vuoto tra le tue mani, allora ogni cosa diventa possibile.
Non portarti dietro i tuoi pensieri, la tua conoscenza, non portarti dietro niente di ciò che riempie il secchio, e che non è altro che acqua, perché altrimenti guarderai sempre e solo il riflesso, e nient’altro.
Nella ricchezza, nei beni materiali, nella casa, nell’automobile, nel prestigio, tu non vedrai che il riflesso della luna piena nell’acqua del secchio, mentre la luna vera è lì, in alto, che ti aspetta da sempre.
Lascia cadere il secchio, così che l’acqua sfugga via, e con essa la luna.
Solo questo ti permetterà di alzare lo sguardo e vedere la vera luna nel cielo, ma prima devi avere conosciuto il sapore del vuoto, devi lasciar cadere il secchio della tua mente, dei tuoi pensieri: non più acqua, né luna.

- Osho Rajneesh -
da: Dieci storie Zen


"Il vostro essere interiore altro non è che il cielo vuoto. 
Le nubi vanno e vengono, i pianeti nascono e scompaiono, le stelle sorgono per poi morire, e quel cielo interiore rimane intatto, identico a se stesso, immacolato, limpido. 
Quel cielo interiore è chiamato sakshin, il testimone, ed è quella la meta della meditazione. Entra in te, e godi di quel cielo interiore. Ricorda: tutto ciò che puoi vedere, non sei tu. 
Puoi vedere i tuoi pensieri, dunque non sei i pensieri; puoi vedere i tuoi sentimenti, dunque non sei i tuoi sentimenti; puoi vedere i tuoi sogni, i desideri, i ricordi, le immaginazioni, le proiezioni, dunque non sei nulla di tutto ciò. Vai avanti, eliminando tutto ciò che sei in grado di vedere. E un giorno sorgerà un istante incredibile, l'istante più ricco di significato nella vita di un uomo, l'istante in cui non resta più nulla da scartare. Tutto ciò che può essere visto è scomparso solo il veggente rimane.' Colui che vede è il cielo vuoto. Conoscerlo rende liberi da ogni timore, conoscerlo rende ricolmi d'amore, Conoscerlo significa essere Dio, essere immortali".



Buona giornata a tutti. :-)

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