Miei cari fratelli,
mi era venuta in mente l’idea di intitolare questa lettera così: “L’Internazionale della Croce”. Ma poi l’ho scartata.
Prima di tutto, perchè poteva apparire solo una bella frase ad effetto. E poi perchè temevo che evocasse spettri di chi sa quali contaminazioni. La frase, però, mi sarebbe servita tantissimo per far comprendere una verità fondamentale: che non c’è solo la Croce mia, la sofferenza tua, il dolore di Angela, la tragedia di Franco, l’agonia dei singoli. C’è anche una croce collettiva.
C’è anche una sofferenza comune. C’è anche un dolore di classi. C’è anche una tragedia di popoli. C’è anche un’agonia di gruppi umani ben definiti.
E per poco che uno, da un terrazzo del Calvario, si metta a contemplare il panorama sottostante, gli è dato sentire non solo l’affanno dei malati, il pianto dei delusi, il gemito degli sfortunati che arrancano sui tornanti del Golgota.
Ma gli toccherà giù, alle pendici del colle, Croci enormi che ondeggiano sospinte da folle sterminate di oppressi. Lì c’è la Croce dei paesi del Quarto Mondo condannati allo sterminio per fame. Accanto, avanza la croce sostenuta da una turba, incredibilmente privata dei diritti fondamentali dell’uomo, su cui grava la congiura del silenzio. Più in fondo si intravede il patibolo di intere popolazioni considerate marginali dalle grandi potenze, e destinate cinicamente al genocidio.
Ecco lì la croce dei “desaparecidos”.
Ecco quella degli abitanti di Haiti.
Ecco quella dei massacrati del Guatemala.
Ecco la croce che schiaccia la schiena delle popolazioni afgane.
Ecco quella trascinata dalle tribù violente dell’Iran.
Più in là la croce dei dissidenti dell’Est, che copre, con la sua ombra, interminabili campi di concentramento, squallide prigioni e lontanissime terre di esilio.
Poi sotto gli occhi, ecco la croce delle grandi masse di tutta la Terra discriminate dalle leggi razziali del mercato.
Condannate dalle centrali del Capitalismo mondiale, a non risollevarsi mai, a rimanere sempre subalterne, a diventare sempre più schiave, sempre più umiliate, sempre più offese.
Miei cari fratelli, non fate lo sbaglio di dire che il vostro Vescovo sta facendo politica solo perchè cerca di distogliervi da un certo “uso intimistico” della Croce, o da una visione “formato personale” della via del Calvario. Non accusatelo d’inquinare l’atmosfera quaresimale con ingredienti poco ascetici sol perchè tenta di sottrarvi al consumo troppo domestico della Passione di Gesù. Se è vero che ogni cristiano deve accogliere la sua croce, ma deve anche staccare tutti coloro che vi sono appesi, noi oggi siamo chiamati ad un compito della portata storica senza precedenti:”Sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi”.
Pertanto, non solo dobbiamo lasciare “il belvedere” delle nostre competizioni panoramiche e correre in aiuto del fratello che geme sotto la sua croce personale, ma dobbiamo anche individuare con coraggio ed intelligenza, le botteghe dove si fabbricano le croci collettive.
In oscure centrali della terra ci sono dei Cagliostri che con alchimie macabre di potere confezionano per noi croci sintetiche che addossano poi sulle masse sterminate di poveri.
Per noi, oggi, essere fedeli alla Croce di Gesù Cristo, nostro indistruttibile amore, significa disintegrare queste fucine di morte e distruggere tutte le agenzie periferiche di questi arsenali di giustizia planetaria.
E forse non c’è bisogno di andare troppo lontano per scovarle. Perchè piccole succursali di queste botteghe, veramente oscure, dove si confezionano croci collettive, esistono anche nelle nostre città.
Con grande Speranza. Vostro.
- Don Tonino Bello -
La morte di croce respinge "l’incompreso" nella zona del silenzio...
...Essere uomini significa essere destinati alla morte. Essere uomini significa dover morire, conoscere la contraddizione per cui, dal punto di vista biologico, morire è un fatto naturale e necessario, ma, al tempo stesso, nella sfera biologica si è dischiuso un centro spirituale che aspira all’eternità e alla cui luce il morire non è un fatto naturale, bensì illogico, è un essere cacciati dalla sfera dell’amore, è una lacerazione di quel rapporto di comunione che vuole stabilità. In questo mondo, vivere significa morire. «Si è fatto uomo» significa, dunque, anche questo: ha imboccato la via della morte. La contraddittorietà propria della morte umana conosce in lui tutta la sua asprezza. In lui, infatti, che vive fino in fondo la comunione e il dialogo con il Padre, l’isolamento assoluto della morte appare del tutto inconcepibile. D’altra parte, proprio in lui la morte trova la sua più specifica necessità. Abbiamo visto, infatti, che proprio il suo essere con il Padre fonda anche l’incomprensione da parte degli uomini e così il suo isolamento nella vita pubblica.
...Essere uomini significa essere destinati alla morte. Essere uomini significa dover morire, conoscere la contraddizione per cui, dal punto di vista biologico, morire è un fatto naturale e necessario, ma, al tempo stesso, nella sfera biologica si è dischiuso un centro spirituale che aspira all’eternità e alla cui luce il morire non è un fatto naturale, bensì illogico, è un essere cacciati dalla sfera dell’amore, è una lacerazione di quel rapporto di comunione che vuole stabilità. In questo mondo, vivere significa morire. «Si è fatto uomo» significa, dunque, anche questo: ha imboccato la via della morte. La contraddittorietà propria della morte umana conosce in lui tutta la sua asprezza. In lui, infatti, che vive fino in fondo la comunione e il dialogo con il Padre, l’isolamento assoluto della morte appare del tutto inconcepibile. D’altra parte, proprio in lui la morte trova la sua più specifica necessità. Abbiamo visto, infatti, che proprio il suo essere con il Padre fonda anche l’incomprensione da parte degli uomini e così il suo isolamento nella vita pubblica.
La morte di croce è l’atto ultimo e conseguente di questa non-comprensione, di questo rifiuto dell’incompreso, respinto nella zona del silenzio...
- Card. Joseph Ratzinger -
- Card. Joseph Ratzinger -
da "Il Dio di Gesù Cristo"
"Grazie terra mia, piccola e povera, che mi hai fatto nascere povero come te, ma che proprio per questo mi hai dato la ricchezza incomparabile di capire i poveri e di potermi oggi disporre a servirli".
- Don Tonino Bello -
“A me, vostro vescovo e padre, viene la voglia di inginocchiarmi davanti a voi per ricevere la vostra benedizione. Non abbiate timore. Dátemela, nel nome del padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E così, rafforzato dal vostro segno di Croce, sarò più pronto e più forte nel proclamarvi le meraviglie compiute da Dio, lo Sposo che ci ha sedotti ma senza abbandonarci”.
- Don Tonino Bello -
Non demordete: la coerenza paga, anche se con qualche ritardo. Paga anche l'onestà. E la speranza non delude.
- don Tonino Bello -
- don Tonino Bello -
Buona giornata a tutti. :-)
Nessun commento:
Posta un commento