Impegnatevi a riunirvi più di frequente
nell'azione di grazie e di gloria verso Dio.
Quando vi riunite spesso, le forze di Satana
vengono abbattute e il suo flagello si dissolve nella concordia della fede.
Niente è più bello della pace nella quale si
frustra ogni guerra di potenze celesti e terrestri.
Nulla di tutto questo vi sfuggirà, se avete
perfettamente la fede e la carità in Gesù Cristo, che sono il principio e lo
scopo della vita. Il principio è la fede, il fine la carità.
L'una e l'altra insieme riunite sono Dio, e
tutto il resto segue la grande bontà.
Nessuno che professi la fede pecca, nessuno
che abbia la carità odia. «L'albero si conosce dal suo frutto» (Mt 12,33). Così
coloro che si professano di appartenere a Cristo saranno riconosciuti da quello
che operano.
Ora l'opera non è di professione di fede, ma che ognuno si trovi
nella forza della fede sino all'ultimo.
È meglio tacere ed essere, che dire e non essere.
È meglio tacere ed essere, che dire e non essere.
È bello insegnare se chi parla opera.
Uno solo è il maestro (Mt 23,8) e «ha detto e
ha fatto» (Sal 32,9) e ciò che tacendo ha fatto è degno del Padre.
Chi possiede veramente la parola di Gesù può
avvertire anche il suo silenzio per essere perfetto, per compiere le cose di
cui parla o di essere conosciuto per le cose che tace.
Nulla sfugge al Signore, anche i nostri
segreti gli sono vicino. Tutto facciamo considerando che abita in noi templi
suoi ed egli il Dio che è in noi.
- San Vincenzo de' Paoli -
1581-1660, sacerdote, fondatore di comunità
religiose
fonte: Colloqui; avvisi a A. Durand, 1656
fonte: Colloqui; avvisi a A. Durand, 1656
Vincenzo de' Paoli, (Pouy, 25 aprile 1581–
Parigi 27 settembre 1660), sacerdote francese fondatore e ispiratore
di numerose congregazioni religiose come i Lazzaristi, le Figlie della
Carità, la Società San Vincenzo de’ Paoli.
Papa Benedetto XIII lo ha proclamato beato il
21 agosto 1729; ed è stato canonizzato il 16 giugno 1737 da papa Clemente XII.
Fino al 1969, la memoria liturgica di San Vincenzo de’ Paoli era celebrata il
19 luglio, ma papa Paolo VI ne ha spostato la festa al 27 settembre.
“Avverto la compagnia in generale di una
mancanza che parecchi commettono qui alla presenza di Nostro Signore nel
Santissimo Sacramento dell’altare.
Ho osservato che molti facendo la
genuflessione davanti al Santissimo Sacramento, non la fanno fino a terra, o la
fanno senza devozione.
L’ avevo notato altre volte, e mi ero proposto di
avvertirne la Compagnia …e affinché quelli che non fanno con devozione la
genuflessione, come conviene alla gloria e alla maestà di Dio vivente, se ne
correggano, mi sono creduto in dovere di non differire più oltre e di avvertire
come faccio la Compagnia, perché vi faccia più attenzione.
I motivi che ci
inducono a fare questa prostrazione con la dovuta devozione esteriore ed
interiore, ed è così che devono fare i veri cristiani sono: l’esempio del
Figlio di Dio, e quello di altre comunità religiose.
Il Figlio di Dio si
prostrò (…) Io pure, in questo, non ho mai dato l’esempio che dovevo.
Purtroppo la mia età e il mio mal di gambe me lo impediscono.
Se, tuttavia,
vedrò che la Compagnia non si corregge, mi sforzerò di far il meglio che mi
sarà possibile, anche se per rialzarmi dovrò appoggiarmi con le mani contro
terra, pur di dare l’esempio”.
- San Vincenzo De Paoli -
Ripetizione
dell’orazione 28 Luglio 1655, Conferenze ai Missionari
"La nostra vocazione è di andare ad
infiammare il cuore degli uomini, a fare quello che fece il Figlio di Dio, Lui
che venne a portare il fuoco nel mondo per infiammarlo dell’amor suo. Che
possiamo noi desiderare, se non che arda e consumi tutto?
È dunque vero che sono inviato non solo ad
amare Dio, ma a farlo amare.
Non mi basta amare Dio se anche il mio
prossimo non lo ama. Devo amare il mio prossimo come immagine di Dio e oggetto
dell’amor suo e far di tutto perché a loro volta gli uomini amino il loro
Creatore che li riconosce e li considera come suoi fratelli, che li ha salvati;
e procurare che, con mutua carità, si amino tra loro per amor di Dio, il quale
li ha tanto amati da abbandonare per essi il proprio Figlio alla morte. È
dunque questo il mio dovere.
Orbene, se è vero che siamo chiamati a
portare lontano e vicino l’amore di Dio, se dobbiamo infiammarne le nazioni, se
la nostra vocazione è di andare a spargere questo fuoco divino in tutto il
mondo, se così è, dico, se così è, fratelli, quanto devo ardere io stesso
di questo fuoco divino!
Come daremo la carità agli altri, se non
l’abbiamo tra noi? Osserviamo se vi è, non in generale, ma se ciascuno l’ha in
sé, se vi è al grado dovuto; perché se non è accesa in noi, se non ci amiamo
l’un l’altro come Gesù Cristo ci ha amati e non facciamo atti simili ai suoi, come
potremo sperare di diffondere tale amore su tutta la terra? Non è possibile
dare quello che non si ha.
L’esatto dovere della carità consiste nel
fare ad ognuno quello che con ragione vorremmo fosse fatto a noi. Faccio
veramente al mio prossimo quello che desidero da lui?
Osserviamo il Figlio di Dio. Non c’è che
Nostro Signore che sia stato tanto rapito dall’amore per le creature da
lasciare il trono del Padre suo per venire a prendere un corpo soggetto ad
infermità.
E perché? Per stabilire fra noi, mediante la
sua parola e il suo esempio, la carità del prossimo. È questo l’amore che l’ha
crocifisso e ha compiuto l’opera mirabile della nostra redenzione.
Se avessimo un poco di questo amore,
rimarremmo con le braccia conserte? Oh! no, la carità non può rimanere oziosa,
essa ci spinge a procurare la salvezza e il sollievo altrui."
- San Vincenzo de’ Paoli -
Dalle “Conferenze ai Preti
della Missione” di san Vincenzo de’ Paoli (Conferenza 207)
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