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mercoledì 4 dicembre 2019

Ma perché un figlio sappia a chi appartiene, bisogna che anche il padre sappia a chi appartiene - Franco Nembrini

"Ma perché un figlio sappia a chi appartiene, bisogna che anche il padre sappia a chi appartiene."

"La tragedia del nostro tempo è che non c’è più educazione. Siamo forse la prima generazione di adulti che vive in modo così drammatico il problema della tradizione, cioè della consegna da una generazione all’altra di un patrimonio di conoscenze, di valori, di certezze, di positività, di un’idea buona della vita. 
Non è più così scontato, non è più così facile che avvenga quel miracolo che sempre è stata l’educazione e che ha garantito, nel bene e nel male, anche in momenti terribili della storia, che il mondo andasse avanti. 
Evidentemente ci sono delle ragioni. Per esempio, è stata troppo sistematicamente distrutta, da parte di una certa cultura, l’idea del padre. Perché è attorno a questo nodo che si gioca la partita dell’educazione: l’educazione c’è se in primo luogo c’è l’adulto.
Una certa cultura prima ha distrutto l’idea stessa di Dio, di una Paternità grande a cui l’uomo appartiene o è desideroso di appartenere; ma così si è tarlata la certezza stessa dell’uomo di avere qualche cosa di buono e di intelligente da dire ai propri figli, in casa sua. 
Il problema è il cinismo di una cultura che ha distrutto l’unica cosa di cui i nostri figli hanno bisogno: sapere a chi appartengono, cioè avere un padre e una madre. 
Sapere di chi sono, perché è l’unica cosa che li educa e li preserva, anche psicologicamente, da tutte le patologie da cui sono ormai massacrati. 
Ma perché un figlio sappia a chi appartiene, bisogna che anche il padre sappia a chi appartiene."

- Franco Nembrini -
 in Il Sussidiario. net



1. Padre nostro che sei nei cieli
Dio onnipotente, ogni cosa viene da te: il tempo, gli uomini, le cose. Ma tu non sei una fonte senza nome, né una forza bruta, cieca, impersonale.
Tu porti un nome: Padre.
Sì, tu sei Padre e noi siamo tuoi figli, Tuo Figlio è venuto per dircelo.
Che mai il tuo nome sia cancellato dalla nostra memoria. 
Qualunque cosa accada, ricordacelo senza posa.
Nelle ore di scoraggiamento o di rivolta torna a dire a ciascuno una parola della speranza, la parola di liberazione: «Non aver paura: Io sono tuo Padre. Una madre dimenticherebbe forse il suo bambino? 
Io non ti dimenticherò mai. Io resto per te un Padre oggi e per sempre».
2. Sia santificato il tuo nome
Signore, fin dalle origini hai rivelato il tuo nome al tuo popolo.
Gli hai detto: «Il mio nome è Jahwé», 
che vuol dire: lo sono sempre con te. Non ti abbandono mai e su di te si volge per sempre il mio sguardo. «Il mio nome è Jahwé, il Signore», che vuol dire: lo ti salvo. Io ti libero dai tuoi oppressori, ma quando voglio e come io voglio: perché non sono legato da nulla, se non dal mio amore infinito per te, o popolo mio. «Sì, il mio nome è Jahwé», che vuol dire: Al di fuori di me non c'è altro Dio. 
Non appoggiarti, dunque, su nessun altro perché io non posso soffrire rivali e distruggo ogni idolo. 
Conta soltanto su di me e sul mio nome: «Jahwé, il Signore». 
Sì, o Padre, che il tuo nome sia santificato.

3. Venga il tuo Regno
Padre, il tuo Regno viene. Noi lo crediamo sulla tua parola anche se lo percepiamo appena, anche se qualche volta esso ci è completamente nascosto. Perdonaci se ci lamentiamo: «Dove sono l'amore, la gioia, la giustizia e la pace del tuo Regno? Dove sono i doni del tuo Spirito? Dove la messe biondeggiante che il Cristo ci ha promesso?». Padre, ci sono tante cose in questo mondo che ci fanno chiedere se è proprio vero che il tuo Regno viene: sofferenze e ferite che - come il tuo Figlio nell'ora della croce ci fanno gridare: «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?». 
Resta con noi, Signore, nelle difficili ore del dubbio. 
Non lasciarci soccombere all'angoscia del giardino degli ulivi ma fortificaci nella certezza che niente può ritardare l'ora del tuo Regno di giustizia, d'amore e di pace.

4. Sia fatta la tua volontà
Padre, il tuo Figlio ha detto sempre di sì. Attraverso la sua croce e la sua risurrezione, una volta per tutte, egli ha piantato sulla nostra terra il «sì» che eternamente egli proferisce davanti al tuo volto. 
Così, anche noi possiamo dire «sì», anche noi, dopo di lui, in lui, nella forza del suo cuore obbediente. 
Il suo «sì» ci ha preceduti, come quello di sua madre che è madre di tutti: Maria. Anche e soprattutto nei momenti in cui ci domandiamo, con angoscia e perplessità: «Come avverrà questo?». 
Padre, donaci la grazia di credere che per te tutto è possibile, e donaci la gioia di dire: «Sia fatto di noi secondo la tua parola».

5. Dacci oggi il nostro pane quotidiano
Padre, non ti chiediamo l'abbondanza che ci mette al sicuro da ogni rischio, ma ti chiediamo il pane quotidiano che ci basta per oggi. Mentre il tuo popolo camminava nel deserto - nel paese della morte - tu gli hai offerto ogni giorno la manna, pane venuto dal cielo che non si poteva conservare. Ed ogni giorno il tuo popolo mangiava secondo la sua fame confidando, l'indomani, in altro nutrimento. 
Insegnaci a vivere in questa confidenza sempre rinnovata. 
Metti nei nostri cuori la fede audace che ci permetterà di camminare sui tuoi sentieri, senza altra assicurazione che la tua promessa e la certezza d'essere amati da te.

6. Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori
Padre, non c'è niente di tanto difficile come offrire un vero perdono, soprattutto a quanti ci sono vicini e che ci hanno davvero fatto soffrire. 
Tanti pretesti percorrono la mente: «Non tocca a me cominciare. Ne vale la pena? No, oggi non posso... Forse domani...». Non solo ci costa perdonare, ma ci chiediamo anche se il perdono è davvero possibile. 
Padre, noi lo sappiamo, la riconciliazione e il perdono non possono venire che da te. Allora, donaci la grazia del perdono, la forza di riconciliarci con quanti ci sono vicini, sotto il nostro tetto; con quelli che sono lontani. 
Facci amare anche i nostri nemici. Non permettere che il sole tramonti sopra la nostra collera o i nostri rancori. 
Facci la grazia di fare il primo passo e ti rassomiglieremo.

7. Non ci indurre in tentazione
Padre, non sei tu che induci in tentazione. Siamo noi che soccombiamo per debolezza o disimpegno, dopo una lotta ardente o una timida resistenza. Siamo così fragili, così deboli davanti agli innumerevoli idoli che ci attirano lontano da te! Noi restiamo come sospesi tra la tua grazia e la nostra libertà così precaria. 
Ti preghiamo, Padre, salvaci dalla tentazione, strappaci dalla trappola del denaro, degli onori, del potere. 
Resta con noi con la forza del tuo Spirito agli innumerevoli incroci dove siamo chiamati a scegliere tra la via della vita e quella che conduce alla morte. 
Resta con noi, Signore.

8. Ma liberaci dal male
Padre, un male dai molteplici volti ci assedia: l'egoismo forsennato che si installa nell'intimo dell'uomo o si annida nelle strutture della nostra società, la violenza, l'odio... Ma questo male che percorre un mondo che sembra alla deriva, abita anche i nostri cuori: perché è proprio là che esso nasce. Padre, ricordaci ancora che il male non è una semplice forza cieca, ma una potenza intelligente, calcolatrice e raffinata. 
Esso è Qualcuno: il Maligno, principe della menzogna; il Diavolo: colui che fin dall'inizio semina la discordia nei cuori, nelle famiglie, tra i popoli, tre le grandi potenze. 
Padre, liberaci dal Male.
Amen.
Padre nostro
- Card. Godfried Danneels -
Arcivescovo di Malines - Bruxelles


Buona giornata a tutti :-)


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giovedì 3 gennaio 2019

La speranza che non delude - card. Godfried Danneels

Come combattere la depressione? 
Come vivere la speranza, giorno per giorno, in tempi difficili? 
Da cosa si può riconoscere che noi siamo degli “esseri di speranza”? 
Perché la speranza non è un pio pensiero, un'ipotesi gratuita ma deve manifestarsi nel comportamento quotidiano. 
In altri termini, c'è “una spiritualità della speranza”? Tentiamo di discernerne i componenti.
Tutta la vita cristiana è costruita su tre pilastri: fede, speranza e carità.
Essi si tengono in reciproco equilibrio. Se si rompe l'equilibrio, il cristiano perde, per così dire, la bussola. Vacilla.

Fede e Speranza 
Senza la fede la speranza non può vivere: si trasforma nel sognare. Secondo la lettera agli Ebrei, “la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” ( Eb 11, 1) . 
Senza la fede negli eventi salvifici - Antico e Nuovo Testamento - la nostra speranza è solo immaginazione, una chimera.
Al contrario, senza la speranza, la fede è morta: una fossa comune dei fatti del passato che serve solo a popolare la memoria; non c'è più niente da aspettarsi, non c'è più niente di nuovo da vivere. Certamente, un tempo è successo qualcosa, ma la “rivoluzione” a fatto il suo tempo e il vulcano si è spento.
Questo gioco sottile della fede e della speranza è uno degli ingredienti di una spiritualità equilibrata: ne determina il grado di salute. 
Perché, nella fede, c'è già una parte di speranza: noi crediamo nella Risurrezione del Cristo a titolo di garanzia della nostra propria risurrezione che verrà. Ma nella speranza c'è anche una parte di fede: la speranza trova uno stimolo che gli offre la fede. Poiché la promessa si è già realizzata, essa si può nuovamente realizzare.

Doppia tentazione
In questo ambito il cristiano è sottoposto a due tentazioni: quello della temeraria fiducia nella novità e quella della mancanza d'immaginazione.
Colui che vive solo proteso all'avvenire, che si preoccupa solo delle sue realizzazioni, affrancato da tutta la saggezza trasmessa dal passato, costui è privato della memoria. 
Non si rende conto del fatto che certe “vie nuove” sono state sperimentate già da molto tempo e si sono rivelate impraticabili. 
Privato della memoria, egli sperimenta a tutto andare. Questa è la fonte di dolorose delusioni, e più tardi anche di demotivazione. 
Sono i rivoluzionari senza memoria che si ricongiungono per primi al campo dei conservatori.
Ma, al contrario, c'è anche la mancanza d'immaginazione, l'illusione d'una vita senza rischi. Ci si dimentica che c'è sempre “un di più” che non è ancora stato inventato o sperimentato. C'è qui una speranza insufficiente. 
Perché il momento presente contiene ancora tante cose meravigliose rimaste inutilizzate.

Speranza e Carità 
Chi ha fiducia in Dio e spera in Lui, deve come Lui donarsi interamente agli uomini. 
La speranza si riversa nella carità. Ciò suppone un delicato equilibrio tra i due atteggiamenti: attendere nella fiducia e rimboccarsi le maniche per l'azione. 
Il cristiano è sempre come seduto sul bordo estremo della sua sedia. 
Seduto su quello che dispone d'un appoggio sicuro: la speranza. All'estremo bordo della sedia, perché è pronto ad alzarsi e a pagare di persona. 
La poltrona del fannullone non fa parte dei suoi mobili.
Non si accorda una piena fiducia a Dio se non Lo si ama. E non si può amare Dio se non si ama il proprio prossimo. 
Così la fede conduce alla speranza e la speranza conduce all'amore. In sovrappiù non si spera mai solo per se stessi. La speranza non ha raggiunto il suo termine finché essa non si estende a tutti gli uomini, all'intero universo. Come posso raggiungere il cielo nella gioia, se so che sarò tutto solo?
Fede, speranza e carità, le tre grandi che non possono fare a meno l'una dell'altra. 
La fede vede cosa è già, la speranza dice ciò che verrà, la carità ama ciò che è; la speranza si occupa già di ciò che sarà. 
Per il nostro tempo la speranza sarebbe ugualmente la più grande? Comunque sia le tre si tengono reciprocamente in equilibrio e tutte e tre ci sono necessarie.

Vegliare nella preghiera
Infatti non c'è che un solo esercizio di speranza: vegliare nella preghiera. L'atteggiamento silenzioso di attesa davanti a Dio è la scuola della speranza. Imparare ad attendere e porsi come una vedetta.
Tutta la Bibbia descrive la preghiera come vigilanza e attenzione: tenersi pronti per il ritorno del Signore presso di Lui e provvedere alle lucerne nella Sua attesa. I salmi sono i libri delle lamentazioni per eccellenza, dell'attesa della giustizia, dell'attesa che il giusto sia protetto e il perdono accordato al peccatore, della perseveranza nelle prove. “Mio Dio, mio Dio, quanto tempo ancora... ?”.
Pregare è anche mantenersi con pazienza tra il passato e l'avvenire. 
È prendere nelle mani la Bibbia e ricordarsi “le meraviglie che fece il Signore”. 
È il nutrire la propria memoria e permetterle di lavorare. Ma è anche lo sperare con il cuore ardente ai giorni del compimento, al tempo della ‘liberazione d'Israele' e del ritorno del Signore. “Maranatha”.
Pregare è render grazie per tutto quello che ci ha preceduti ed entrare già nelle promesse di quanto deve ancora venire. 
È esultare di gioia cantando il Magnificat ed esercitarsi al paziente abbandono del Nunc dimittis . 
È il sedersi tra Maria e Simeone, tra l'azione delle grazie e la speranza corrisposta.
A dire il vero, esiste per una cultura (e per una Chiesa!) una terapia della depressione diversa dalla preghiera? “
È perché voi non pregate, che siete senza coraggio” , potrebbe dire Giovanni alle Chiese in una nuova versione della sua Apocalisse.

Impegnarsi
La speranza non giungerà mai se io non m'impegno in niente, se non mi decido a fare qualcosa, se non scelgo. La nostra cultura deve reimparare a legarsi, a scegliere, a risolversi a qualcosa. Si è sviluppata una sorta d'irresolutezza generalizzata: di fronte al matrimonio, di fronte ad ogni impegno definitivo, di fronte a ogni decisione di rendersi disponibili in maniera impegnativa. 
Può darsi che ci siano delle spiegazioni di questo atteggiamento, delle motivazioni più o meno ammissibili. Ma ci sono anche delle ragioni soggiacenti molto poco eleganti. 
Una specie di narcisismo che non permette di rinunciare alle proprie comodità, il bisogno di garanzie assolute - questa mentalità che spinge a sottoscrivere un'assicurazione a fronte di qualsiasi cosa - e a volte manifestamente la pigrizia e il “ciascuno per sé”.
Ma bisogna anche rilevare nella nostra cultura il disagio della percezione del tempo. Non solo l'impossibilità di aspettare, la legge del “tutto, tutto subito”, ma anche la diffidenza fondamentale per il credito da accordare al tempo. 
Dobbiamo imparare di nuovo a fare del tempo un amico... aspettando di ridivenire sensibili a una realtà chiamata classicamente “Provvidenza divina”. 
Quando vorremo capire che Dio si prende cura di noi molto meglio di quanto lo possiamo fare noi stessi?



La crisi della Fedeltà 
Nella sfera del “provvisorio” nella quale noi evolviamo, sopravviene anche la crisi della lealtà. E questo in tanti ambiti: matrimoni, amicizie, affari, ambienti di lavoro. 
La fedeltà non la si guarda più con ammirazione, ma tutt'al più con sorpresa, se non con compassione.
Così si degrada il tessuto sociale: è logorato. 
Da che tempo è tempo, la fedeltà ha avuto un ruolo legato fino a un certo punto con il tragico della condizione umana. 
La fedeltà di Lefte al suo voto lo portò ad immolare sua figlia. 
La fedeltà di Antigone alle leggi non scritte dell'amore fraterno la condusse alla morte. Questo tragico era profondamente umano, anche se pagano. Proclamava chiaro e forte che non si può mancare alla parola data. La nostra epoca non conosce più i tormenti di questo aspro dramma pagano. Ne conosce altri. 
Lo strappo di tanti partner abbandonati e di tanti bambini privati dei genitori, la fatica di dover continuamente riprovare con qualcun altro, i cinici preavvisi significati a delle persone che invecchiando rischiano di costar troppo caro, la rottura dei contratti, quella specie di amnesia che riguarda i propri impegni passati...
L'infedeltà rende una società profondamente deprimente. In più, l'infedeltà ha la tendenza di propagarsi con la velocità dei funghi in una foresta. Un girotondo di streghe. 
Ogni infedeltà fa venir voglia alla parte lesa di fare altrettanto.
Se vogliamo sfuggire a questo funesto ingranaggio, bisognerà ritrovare la virtù naturale della fedeltà. Ricordandoci che è d'altronde il tratto più caratteristico di Dio: è un Dio fedele.


La Speranza si prende cura degli altri 
L'esclusione, comunque si manifesti, provoca molta disperazione nella nostra società. 
Esclusione dal lavoro e dall'avvenire, esclusione da se stesso, dalla patria e dalla cultura, esclusione dalle cure e dall'alloggio. Troppa gente oltrepassa il limite. Questo assomiglia a una spirale che si stringe sempre di più, un laccio attorno al collo. 
Tutti gli assistenti sociali, gli uomini politici, i sacerdoti e gli animatori pastorali la conoscono bene. È la preoccupazione costante dei servizi sociali, e la Fondazione Re Baldovino l'ha studiata a fondo dal punto di vista scientifico.
Cosa dovremo fare se vogliamo dare delle possibilità alla speranza? Certamente dei provvedimenti di giustizia s'impongono alla collettività. Molti responsabili politici ci lavorano d'altronde con prudenza. Ma si è creata anche una rete di punti d'ascolto e soccorso, troppo numerosi per enumerarli, che funzionano spesso grazie al numero di benefattori, e ricevendo migliaia di persone, giovani e vecchie, con tutti i loro possibili problemi. Poiché i servizi pubblici non bastano, né per il numero, né per l'efficacia, né soprattutto per questa prossimità affettuosa necessaria a chi soffre. 
Pensiamo al corpo umano: quando un'arteria s'incrosta e si ostruisce, sono dei piccoli vasi sanguigni che ne sostituiscono la funzione. Quindi, a fianco degli organismi pubblici, agiscono delle migliaia di piccoli centri di speranza. 
La speranza si prende dunque cura degli altri. Questo è sufficiente?

La Speranza anticipa
La speranza non può accontentarsi di limitare o riparare i danni quando il danno è fatto. 
La speranza è anche previdente. Vuole agire preventivamente. Se noi non agiamo preventivamente, in effetti trascuriamo le vittime ed esponiamo il contribuente a degli oneri sempre più pesanti. Poiché la vittima è già ferita e riparare costa molto più che prevenire. Oltre tutto la società avrà la tendenza a scindersi in assistenti e assistiti. La frattura sociale diventerà sempre più profonda.
Dove si colloca la prevenzione? Nelle scuole e nelle famiglie. Non bisogna investire di più in questa azione? Non solo dal punto di vista finanziario, ma anche psicologicamente? 
La mancanza di speranza nella nostra società è spesso imputabile al fatto che genitori ed educatori abdicano. Da ciò la necessità di lanciare questo appello profetico: “Aiutate i genitori e i maestri” . 
Tutto quello che non si fa a casa e a scuola, si iscriverà automaticamente un giorno al debito della società.

- card. Godfried Danneels -
(Il testo è tratto dalla lettera pastorale: Espérer?)

Buona giornata a tutti. :-)