venerdì 31 maggio 2019

Maria, icona della santa Trinità - Stefano De Fiores

La Santissima Trinità di Dio:
La dottrina si è precisata nell'ambito del Cristianesimo antico: prima nel credo del primo concilio di Nicea (325), poi nel Simbolo niceno-costantinopolitano (381), dove venne affermato come primo articolo di fede l'unicità di Dio e, come secondo, la divinità di Gesù Cristo figlio di Dio e Signore, a seguito, tra le altre, della controversia suscitata dal teologo Ario, che negava quest'ultima.
Il dogma della "trinità" è in relazione alla natura divina: esso afferma che Dio è uno solo, unica e assolutamente semplice è la sua "sostanza", ma comune a tre "persone" (o "ipòstasi") della stessa numerica sostanza (consustanziali) e distinte. Ciò non va interpretato come se esistessero tre divinità (politeismo) né come se le tre "persone" fossero solo tre aspetti di una medesima divinità (modalismo). Le tre "persone" (o, secondo il linguaggio mutuato dalla tradizione greca, "ipòstasi") sono in effetti ben distinte ma della stessa sostanza, Dio:
I° - Dio Padre, creatore del cielo e della terra, Padre trascendente e celeste del mondo;
II° -il Figlio: generato dal Padre prima di tutti i secoli, fatto uomo come Gesù Cristo nel seno della Vergine Maria, il Redentore del mondo.
III° -lo Spirito Santo che il Padre e il Figlio mandano ai discepoli di Gesù per far loro comprendere e testimoniare le verità rivelate.
Al mistero della "trinità" è dedicata, nella Chiesa cattolica, la solennità della Santissima Trinità, che ricorre ogni anno, la domenica successiva alla Pentecoste.
La dottrina trinitaria è stata accolta dalla maggior parte dei Protestanti, particolarmente dal protestantesimo storico (di cui fanno parte fra gli altri il luteranesimo e il calvinismo).




Verso di te noi veniamo, Maria, icona della santa Trinità, che in te ha operato meraviglie di grazia!
Tu sei una di noi, figlia della nostra stirpe e sorella di fede. 
Ma sei prima di noi, strada regale al Verbo incarnato, sposa fedele dell’eterno Amore.

Tu sei la montagna di Dio, che si staglia innevata sulla cima dei monti. 
Su di te noi dimoriamo per vivere i misteri cristiani del Tabor e del Calvario, delle beatitudini e della Pasqua.

Sei nostra madre, tipo esemplare della Chiesa che genera Cristo mediante la Parola di vita.
E noi come il discepolo amato ti accogliamo, dono prezioso di Cristo crocifisso, in tutto lo spazio del nostro io umano e cristiano.

Insegnaci una cosa sola: a dire amen al volere del Padre, amen al Vangelo del Figlio, amen all’azione dello Spirito.

Con te cammineremo sulle strade del tempo verso i fratelli e la piena comunione con Dio dove tu ci hai preceduto.
Vergine degli inizi, guidaci e aiutaci a seguirti nella tua missione. 
Come tu hai inserito Cristo nella cultura ebraica, così noi lo incarneremo nelle culture dei popoli. 
Saremo tua discendenza, donna nuova, perché anche da noi nasca Cristo nel mondo.

Amen.

- Stefano De Fiores -

Padre Stefano De Fiores (2 ottobre 1933 – Catanzaro, 15 aprile 2012) è stato un presbitero monfortano italiano, mariologo di fama internazionale, professore ordinario di Mariologia sistematica alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e presidente dell’Associazione mariologica interdisciplinare italiana.


Buona giornata a tutti. :-)






giovedì 30 maggio 2019

La maldicenza - San Francesco di Sales

Il giudizio temerario causa preoccupazione, disprezzo del prossimo, orgoglio e compiacimento in se stessi e cento altri effetti negativi, tra i quali il primo posto spetta alla maldicenza, vera peste delle conversazioni. 
Vorrei avere un carbone ardente del santo altare per passarlo sulle labbra degli uomini, per togliere loro la perversità e mondarli dal loro peccato, proprio come il Serafino fece sulla bocca di Isaia.


Se si riuscisse a togliere la maldicenza dal mondo, sparirebbero gran parte dei peccati e la cattiveria. 

A chi strappa ingiustamente il buon nome al prossimo, oltre al peccato di cui si grava, rimane l'obbligo di riparare in modo adeguato secondo il genere della maldicenza commessa. 
Nessuno può entrare in Cielo portando i beni degli altri; ora, tra tutti i beni esteriori, il più prezioso è il buon nome. 
La maldicenza è un vero omicidio, perché tre sono le nostre vite: la vita spirituale, con sede nella grazia di Dio; la vita corporale, con sede nell'anima; la vita civile che consiste nel buon nome. 
Il peccato ci sottrae la prima, la morte ci toglie la seconda, la maldicenza ci priva della terza. Il maldicente, con un sol colpo vibrato dalla lingua, compie tre delitti: uccide spiritualmente la propria anima, quella di colui che ascolta e toglie la vita civile a colui del quale sparla. Dice San Bernardo che sia colui che sparla come colui che ascolta il maldicente, hanno il diavolo addosso, uno sulla lingua e l'altro nell'orecchio. 

Davide, riferendosi ai maldicenti dice: Hanno affilato le loro lingue come quelle dei serpenti.
Il serpente ha la lingua biforcuta, a due punte, come dice Aristotele; tale e quale è quella del maldicente, che con un sol morso ferisce e avvelena l'orecchio di chi ascolta e il buon nome di colui di cui parla male.
Per questo ti scongiuro, carissima Filotea, di non sparlare mai di alcuno, né direttamente, né indirettamente. 


Sta attenta a non attribuire delitti e peccati inesistenti al prossimo, a non svelare quelli rimasti segreti, a non gonfiare quelli conosciuti, a non interpretare in senso negativo il bene fatto, a non negare il bene che sai esistere in qualcuno, a non fingere di ignorarlo, tanto meno poi devi sminuirlo a parole; agendo in questo modo offenderesti seriamente Dio, soprattutto se dovessi accusare falsamente il prossimo o negassi la verità a lui favorevole; mentire e contemporaneamente nuocere al prossimo è doppio peccato.
Coloro che per seminare maldicenza fanno introduzioni onorifiche, e che la condiscono di piccole frasi gentili, o peggio di scherno, sono i maldicenti più sottili e più velenosi.
Protestano, dicono, che gli voglio bene e che per il resto è un galantuomo, ma, continuano, la verità va detta: ha avuto torto nel commettere quella perfidia; quella è una ragazza virtuosissima, ma si è lasciata sorprendere..., e simili piccole cornici!

(...)

Se è vero che bisogna essere molto attenti a non parlare mai male del prossimo, però bisogna anche guardarsi dall'estremo opposto, in cui cadono alcuni, i quali, per paura di fare della maldicenza, lodano e dicono bene del vizio.
Se ti imbatti in un maldicente senza pudore, per scusarlo, non dire che è una persona libera e franca; di una persona apertamente vanesia, non dire che è generosa e senza complessi; le libertà pericolose non chiamarle semplicità e ingenuità; non camuffare la disobbedienza con il nome di zelo, l'arroganza con il nome di franchezza, la sensualità con il nome di amicizia.
Cara Filotea, per fuggire il vizio della maldicenza, non devi favorire, accarezzare, e nutrire gli altri vizi; ma con semplicità e franchezza, devi dire male del male e biasimare le cose da biasimare; solo se agiamo in questo modo diamo gloria a Dio.
Fa però attenzione ed attieniti a quello che ora ti dirò.
Si possono lodevolmente biasimare i vizi degli altri, anzi è necessario e richiesto, quando lo esige il bene di colui di cui si parla o di chi ascolta.
Facciamo degli esempi: supponi che in presenza di ragazze vengano raccontate delle licenziosità commesse da Tizio e da Caia: è una cosa senz'altro pericolosa; oppure supponi che si parli della dissolutezza verbale di un tale o di una tale, sempre esemplificando; o ancora di una condotta oscena: se io non biasimo chiaramente quel male, o, peggio, tento di scusarlo, quelle tenere anime che ascoltano, avranno la scusa per lasciarsi andare a qualche cosa di simile; il loro bene esige che, con molta franchezza, biasimi all'istante quelle sconcezze. Potrei riservarmi di farlo in un altro momento soltanto se sapessi di ricavarne sicuramente un miglior risultato togliendo allo stesso tempo importanza ai colpevoli.
E', necessaria anche un'altra cosa: per parlare del soggetto devo averne l'autorità, o perché sono uno di quelli più in evidenza nel gruppo; nel qual caso se non parlo, avrò l'aria di approvare il vizio; se invece nel gruppo non godo di molta considerazione, devo guardarmi bene dal fare censure.
Più di tutto poi è necessario che io sia ponderato ed esatto nelle parole, per non dirne una sola di troppo: per esempio, se devo riprendere le eccessive libertà di quel giovanotto e di quella ragazza, perché chiaramente esagerate e pericolose, devo saper conservare la misura per non gonfiare la cosa nemmeno di un soffio.
Se c'è soltanto qualche sospetto, dirò soltanto quello; se si tratta di sola imprudenza, non dirò di più; se non c'è né imprudenza, né sospetto di male, ma soltanto materia perché qualche spirito malizioso faccia della maldicenza, non dirò niente del tutto o dirò soltanto quello che è.
Quando parlo del prossimo, la mia bocca nel servirsi della lingua è da paragonarsi al chirurgo che maneggia il bisturi in un intervento delicato tra nervi e tendini: il colpo che vibro deve essere esattissimo nel non esprimere né di più né di meno della verità.
Un'ultima cosa: pur riprendendo il vizio, devi fare attenzione a non coinvolgere la persona che lo porta. 


Ti concedo di parlare liberamente soltanto dei peccatori infami, pubblici e conosciuti da tutti, ma anche in questo caso lo devi fare con spirito di carità e di compassione, non con arroganza e presunzione; tanto meno per godere del male altrui. Farlo per quest'ultimo motivo è prova di un cuore vile e spregevole.
Faccio eccezione per i nemici dichiarati di Dio e della Chiesa; quelli vanno screditati il più possibile: ad esempio, le sette eretiche e scismatiche con i loro capi. E' carità gridare al lupo quando si nasconde tra le pecore, non importa dove.
Tutti si prendono la libertà di giudicate e censurare i governanti e parlar male di intere nazioni, lasciandosi guidare dalla simpatia: Filotea, non commettere quest'errore. Tu, oltre all'offesa a Dio, corri il rischio di scatenare mille rimostranze.
Quando senti parlare male, se puoi farlo con fondatezza, metti in dubbio l'accusa; se non è possibile, dimostra compassione per il colpevole, cambia discorso, ricorda e richiama alla mente dei presenti che coloro i quali non sbagliano lo devono soltanto a Dio. Riporta in se stesso il maldicente con buone maniere; se sai qualche cosa di bene della persona attaccata, dilla.


- San Francesco di Sales -

Nato il 21 agosto 1567 in Savoia (Francia), morto il 28 dicembre 1622 a Lione (Francia)
Fonte: FILOTEA Introduzione alla vita devota
Parte III, Capitolo XXIX - LA MALDICENZA

( Filotea – Introduzione alla vita devota del famoso Vescovo di Ginevra, SAN FRANCESCO DI SALES,co-fondatore dell’ordine della Visitazione di Maria o delle salesiane, patrono della stampa cattolica; dei giornalisti e scrittori cattolici (1923).
Filotea ha avuto più di milletrecento edizioni ed è un tesoro che nessuna epoca ha trovato estraneo alla propria problematica spirituale.)





















... Dovremmo chiederci tutti: come mi lascio guidare dallo Spirito Santo in modo che la mia vita e la mia testimonianza di fede sia di unità e di comunione? Porto la parola di riconciliazione e di amore che è il Vangelo negli ambienti in cui vivo? A volte sembra che si ripeta oggi quello che è accaduto a Babele: divisioni, incapacità di comprendersi, rivalità, invidie, egoismo. 
Io che cosa faccio con la mia vita? 
Faccio unità attorno a me? 
O divido, con le chiacchiere, le critiche, le invidie? 
Che cosa faccio? Pensiamo a questo. 
Portare il Vangelo è annunciare e vivere noi per primi la riconciliazione, il perdono, la pace, l’unità e l’amore che lo Spirito Santo ci dona. 
Ricordiamo le parole di Gesù: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri.»


- Papa Francesco –




“Pensiamo ai cristiani buoni, con buona volontà; pensiamo al segretario della parrocchia, una segretaria della parrocchia… ‘Buonasera, buongiorno, noi due – fidanzato e fidanzata – vogliamo sposarci’. E invece di dire: ‘Ma che bello!’. 
Dicono: ‘Ah, benissimo, accomodatevi. Se voi volete la Messa, costa tanto…’. Questi, invece di ricevere una accoglienza buona – ‘E’ cosa buona sposarsi!’ – ricevono questo: ‘Avete il certificato di Battesimo, tutto a posto…’. 
E trovano una porta chiusa. Quando questo cristiano e questa cristiana ha la possibilità di aprire una porta, ringraziando Dio per questo fatto di un nuovo matrimonio… Siamo tante volte controllori della fede, invece di diventare facilitatori della fede della gente”. 
E’ una tentazione che c’è da sempre che è quella “di impadronirci, di appropriarci un po’ del Signore”. 

- Papa Francesco -
 riflessione del 25 maggio 2013 alla casa Santa Marta
  


Preghiera per la notte

Concedi alle mie palpebre un sonno leggero
sicché la mia lingua non resti a lungo
muta alla tua lode.
Né il tuo creato taccia nel rispondere
al coro degli angeli.
Ma il mio riposo sempre con te mediti
pensieri pii, né la notte trattenga
le colpe del giorno trascorso.
Né le follie della notte turbino i miei sogni.

- Gregorio di Nazianzeno -

Vescovo e Dottore della Chiesa
Poesie dogmatiche, XXXII



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mercoledì 29 maggio 2019

Signore, io credo: io voglio credere in te – Preghiera di san Paolo VI per conseguire la Fede


Alcune note
per il mio testamento



In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. 
Amen.

1. Fisso lo sguardo verso il mistero della morte, e di ciò che la segue, nel lume di Cristo, che solo la rischiara; e perciò con umile e serena fiducia. Avverto la verità, che per me si è sempre riflessa sulla vita presente da questo mistero, e benedico il vincitore della morte per averne fugate le tenebre e svelata la luce.

Dinanzi perciò alla morte, al totale e definitivo distacco dalla vita presente, sento il dovere di celebrare il dono, la fortuna, la bellezza, il destino di questa stessa fugace esistenza: Signore, Ti ringrazio che mi hai chiamato alla vita, ed ancor più che, facendomi cristiano, mi hai rigenerato e destinato alla pienezza della vita.

Parimente sento il dovere di ringraziare e di benedire chi a me fu tramite dei doni della vita, da Te, o Signore, elargitimi: chi nella vita mi ha introdotto (oh! siano benedetti i miei degnissimi Genitori!), chi mi ha educato, benvoluto, beneficato, aiutato, circondato di buoni esempi, di cure, di affetto, di fiducia, di bontà, di cortesia, di amicizia, di fedeltà, di ossequio. Guardo con riconoscenza ai rapporti naturali e spirituali che hanno dato origine, assistenza, conforto, significato alla mia umile esistenza: quanti doni, quante cose belle ed alte, quanta speranza ho io ricevuto in questo mondo!

Ora che la giornata tramonta, e tutto finisce e si scioglie di questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena, come ancora ringraziare Te, o Signore, dopo quello della vita naturale, del dono, anche superiore, della fede e della grazia, in cui alla fine unicamente si rifugia il mio essere superstite? Come celebrare degnamente la tua bontà, o Signore, per essere io stato inserito, appena entrato in questo mondo, nel mondo ineffabile della Chiesa cattolica? Come per essere stato chiamato ed iniziato al Sacerdozio di Cristo? Come per aver avuto il gaudio e la missione di servire le anime, i fratelli, i giovani, i poveri, il popolo di Dio, e d’aver avuto l’immeritato onore d’essere ministro della santa Chiesa, a Roma specialmente, accanto al Papa, poi a Milano, come arcivescovo, sulla cattedra, per me troppo alta, e venerabilissima dei santi Ambrogio e Carlo, e finalmente su questa suprema e formidabile e santissima di San Pietro? In aeternum Domini misericordias cantabo.

Siano salutati e benedetti tutti quelli che io ho incontrati nel mio pellegrinaggio terreno; coloro che mi furono collaboratori, consiglieri ed amici - e tanti furono, e così buoni e generosi e cari!

Benedetti coloro che accolsero il mio ministero, e che mi furono figli e fratelli in nostro Signore!

A voi, Lodovico e Francesco, fratelli di sangue e di spirito, e a voi tutti carissimi di casa mia, che nulla a me avete chiesto, né da me avuto di terreno favore, e che mi avete sempre dato esempio di virtù umane e cristiane, che mi avete capito, con tanta discrezione e cordialità, e che soprattutto mi avete aiutato a cercare nella vita presente la via verso quella futura, sia la mia pace e la mia benedizione.

Il pensiero si volge indietro e si allarga d’intorno; e ben so che non sarebbe felice questo commiato, se non avesse memoria del perdono da chiedere a quanti io avessi offeso, non servito, non abbastanza amato; e del perdono altresì che qualcuno desiderasse da me. Che la pace del Signore sia con noi.

E sento che la Chiesa mi circonda: o santa Chiesa, una e cattolica ed apostolica, ricevi col mio benedicente saluto il mio supremo atto d’amore.

A te, Roma, diocesi di San Pietro e del Vicario di Cristo, dilettissima a questo ultimo servo dei servi di Dio, la mia benedizione più paterna e più piena, affinché Tu Urbe dell’orbe, sia sempre memore della tua misteriosa vocazione, e con umana virtù e con fede cristiana sappia rispondere, per quanto sarà lunga la storia del mondo, alla tua spirituale e universale missione.

Ed a Voi tutti, venerati Fratelli nell’Episcopato, il mio cordiale e riverente saluto; sono con voi nell’unica fede, nella medesima carità, nel comune impegno apostolico, nel solidale servizio al Vangelo, per l’edificazione della Chiesa di Cristo e per la salvezza dell’intera umanità. Ai Sacerdoti tutti, ai Religiosi e alle Religiose, agli Alunni dei nostri Seminari, ai Cattolici fedeli e militanti, ai giovani, ai sofferenti, ai poveri, ai cercatori della verità e della giustizia, a tutti la benedizione del Papa, che muore.

E così, con particolare riverenza e riconoscenza ai Signori Cardinali ed a tutta la Curia romana: davanti a voi, che mi circondate più da vicino, professo solennemente la nostra Fede, dichiaro la nostra Speranza, celebro la Carità che non muore, accettando umilmente dalla divina volontà la morte che mi è destinata, invocando la grande misericordia del Signore, implorando la clemente intercessione di Maria santissima, degli Angeli e dei anti, e raccomandando l’anima mia al suffragio dei buoni.

2. Nomino la Santa Sede mio erede universale: mi obbligano a ciò dovere, gratitudine, amore. Salvo le disposizioni qui sotto indicate.

3. Sia esecutore testamentario il mio Segretario privato. Egli vorrà consigliarsi con la Segreteria di Stato e uniformarsi alle norme giuridiche vigenti e alle buone usanze ecclesiastiche.

4. Circa le cose di questo mondo: mi propongo di morire povero, e di semplificare così ogni questione al riguardo.

Per quanto riguarda cose mobili e immobili di mia personale proprietà, che ancora restassero di provenienza familiare, ne dispongano i miei Fratelli Lodovico e Francesco liberamente; li prego di qualche suffragio per l’anima mia e per quelle dei nostri Defunti. Vogliano erogare qualche elemosina a persone bisognose o ad opere buone. Tengano per sé, e diano a chi merita e desidera qualche ricordo dalle cose, o dagli oggetti religiosi, o dai libri di mia appartenenza. Distruggano note, quaderni, corrispondenza, scritti miei personali.

Delle altre cose che si possano dire mie proprie: disponga, come esecutore testamentario, il mio Segretario privato, tenendo qualche ricordo per sé, e dando alle persone più amiche qualche piccolo oggetto in memoria. Gradirei che fossero distrutti manoscritti e note di mia mano; e che della corrispondenza ricevuta, di carattere spirituale e riservato, fosse bruciato quanto non era destinato all’altrui conoscenza.

Nel caso che l’esecutore testamentario a ciò non possa provvedere, voglia assumerne incarico la Segreteria di Stato.

5. Raccomando vivamente di disporre per convenienti suffragi e per generose elemosine, per quanto è possibile.

Circa i funerali: siano pii e semplici (si tolga il catafalco ora in uso per le esequie pontificie, per sostituirvi apparato umile e decoroso).

La tomba: amerei che fosse nella vera terra, con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me.

6. E circa ciò che più conta, congedandomi dalla scena di questo mondo e andando incontro al giudizio e alla misericordia di Dio: dovrei dire tante cose, tante. Sullo stato della Chiesa; abbia essa ascolto a qualche nostra parola, che per lei pronunciammo con gravità e con amore. Sul Concilio: si veda di condurlo a buon termine, e si provveda ad eseguirne fedelmente le prescrizioni. Sull’ecumenismo : si prosegua l’opera di avvicinamento con i Fratelli separati, con molta comprensione, con molta pazienza, con grande amore; ma senza deflettere dalla vera dottrina cattolica. Sul mondo: non si creda di giovargli assumendone i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo.

Chiudo gli occhi su questa terra dolorosa, drammatica e magnifica, chiamando ancora una volta su di essa la divina Bontà. Ancora benedico tutti. Roma specialmente, Milano e Brescia. Alla Terra santa, la Terra di Gesù, dove fui pellegrino di fede e di pace, uno speciale benedicente saluto.

E alla Chiesa, alla dilettissima Chiesa cattolica, all’umanità intera, la mia apostolica benedizione.



Poi: in manus Tuas, Domine, commendo spiritum meum.

Ego: Paulus PP. VI.

Dato a Roma, presso S. Pietro, il 30 giugno 1965, anno III del nostro Pontificato.




Note complementari
al mio testamento



In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum.
Magnificat anima mea Dominum. Maria!

Credo. Spero. Amo.

Ringrazio quanti mi hanno fatto del bene.

Chiedo perdono a quanti io avessi non fatto del bene. A tutti io do nel Signore la pace.

Saluto il carissimo Fratello Lodovico e tutti i miei familiari e parenti e amici, e quanti hanno accolto il mio ministero. A tutti i collaboratori, grazie. Alla Segreteria di Stato particolarmente.

Benedico con speciale carità Brescia, Milano, Roma, la Chiesa intera. Quam diletta tabernacula tua, Domine!

Ogni mia cosa sia della Santa Sede.

Provveda il mio Segretario particolare, il caro Don Pasquale Macchi, a disporre per qualche suffragio e qualche beneficenza, e ad assegnare qualche ricordo fra libri e oggetti a me appartenuti a sé e a persone care.

Non desidero alcuna tomba speciale.

Qualche preghiera affinché Dio mi usi misericordia.

In Te, Domine, speravi. Amen, alleluia.

A tutti la mia benedizione, in nomine Domini.


PAULUS PP. VI

Castel Gandolfo, 16 settembre 1972, ore 7,30.



Aggiunta
alle mie disposizioni testamentarie


Desidero che i miei funerali siano semplicissimi e non desidero né tomba speciale, né alcun monumento. Qualche suffragio (beneficenze e preghiere).


PAULUS PP. VI
14 luglio 1973

  



Signore, io credo; io voglio credere in Te.


O Signore, fa’ che la mia fede sia piena, senza riserve, e che essa penetri nel mio pensiero, nel mio modo di giudicare le cose divine e le cose umane;

O Signore, fa’ che la mia fede sia libera; cioè abbia il concorso personale della mia adesione, accetti le rinunce ed i doveri ch’essa comporta e che esprima l’apice decisivo della mia personalità: credo in Te, O Signore;

O Signore, fa’ che la mia fede sia certa; certa d’una esteriore congruenza di prove e d’un’interiore testimonianza dello Spirito Santo, certa d’una sua luce rassicurante, d’una sua conclusione pacificante, d’una sua assimilazione riposante;

O Signore, fa’ che la mia fede sia forte, non tema le contrarietà dei problemi, onde è piena l’esperienza della nostra vita avida di luce, non tema le avversità di chi la discute; la impugna, la rifiuta, la nega; ma si rinsaldi nell’intima prova della Tua verità, resista alla fatica della critica, si corrobori nella affermazione continua sormontante le difficoltà dialettiche e spirituali, in cui si svolge la nostra temporale esistenza;

O Signore, fa’ che la mia fede sia gioiosa e dia pace e letizia al mio spirito, e lo abiliti all’orazione, con Dio e alla conversazione con gli uomini, così che irradi nel colloquio sacro e profano l’interiore beatitudine del suo fortunato possesso;

O Signore, fa’ che la mia fede sia operosa e dia alla carità le ragioni della sua espansione morale, così che sia vera amicizia con Te e sia di Te nelle opere, nelle sofferenze, nell’attesa della rivelazione finale, una continua ricerca, una continua testimonianza, un alimento continuo di speranza;

O Signore, fa’ che la mia fede sia umile e non presuma fondarsi sull’esperienza del mio pensiero e del mio sentimento; ma si arrenda alla testimonianza dello Spirito Santo, e non abbia altra migliore garanzia che nella docilità alla Tradizione e all’autorità del magistero della santa Chiesa. 

Amen.

- Papa Paolo VI -
Udienza Generale, 30 ottobre 1968 
29 maggio memoria liturgica di san Paolo VI


Buona giornata a tutti. :-)


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Alla sera ... posiamo i nostri fardelli

Uno psicologo stava spiegando come gestire meglio lo stress. Quando sollevò un bicchiere d’acqua, tutto il pubblico immaginò che avrebbe posto la solita domanda: “Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?”
Quello che invece domandò fu: “Quanto credete che pesi questo bicchiere d’acqua?”
Le risposte variarono da 250 a 400 grammi.
“Il peso assoluto non conta, - replicò lo psicologo - dipende dal tempo per cui lo reggo. Se lo sollevo per un minuto, non è un problema. Se lo sostengo per un’ora, il braccio mi farà male. Se lo sollevo per tutto il giorno, il mio braccio sarà intorpidito e paralizzato. 
In ogni caso il peso del bicchiere non cambia, ma più a lungo lo sostengo, più pesante diventa.” E continuò: “Gli stress e le preoccupazioni della vita sono come quel bicchiere d’acqua. Se ci pensate per un momento, non accade nulla. Pensateci un po’ più a lungo e incominciano a far male. E se ci pensate per tutto il giorno, vi sentirete paralizzati e incapaci di far qualunque cosa.” 
E’ importante ricordarsi di lasciare andare i nostri stress. 
Alla sera, il più presto possibile, posiamo i nostri fardelli. 
Non portiamoceli addosso per tutta la sera e tutta la notte. 
Ricordiamoci di posare il bicchiere.



Al principio, Eva non voleva mangiare la mela. "Mangiala - le disse il serpente - e sarai come gli Angeli". 
"No" rispose Eva imbronciata. 
"Sarai immortale". "No". 
"Sarai come Dio". "No no e no!". 
Il serpente, esasperato, imprecò dio per aver creato le donne così complicate, poi gli venne un'idea. 
Le porse la mela e le disse: "Mangiala, non ingrassa". 



Illustrazione by Laura Watson


Di tutte le passioni, la più complicata, la più difficile a praticare in modo superiore, la più inaccessibile ai comuni mortali, la più sensuale nel vero senso della parola, la più degna degli artisti più raffinati, è sicuramente quella che riguarda il piacere della gola.

- Guy de Maupassant - 





Stressie Cat

Buona giornata a tutti. :-)





martedì 28 maggio 2019

Quell' "esorcismo" compiuto da Papa Benedetto XVI - don Gabriele Amorth

È una mattina di maggio dell’anno 2009. Joseph Ratzinger è Papa già da quattro anni. Nel corso del suo pontificato ha parlato più volte di Satana. Capisco che per lui il demonio è uno spirito esistente, che lotta e agisce contro la Chiesa. E contro di lui. Altrimenti non si spiegherebbero frasi del genere: «Per quanti continuano a peccare senza mostrare nessuna forma di pentimento, la prospettiva è la dannazione eterna, l’inferno, perché l’attaccamento al peccato può condurci al fallimento della nostra esistenza. È il tragico destino che spetta a chi vive nel peccato senza invocare Dio. Solo il perdono divino ci dà la forza di resistere al male e non peccare più. Gesù è venuto per dirci che ci vuole tutti in paradiso e che l’inferno, del quale poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore».

E ancora: «Oggi constatiamo con dolore nuovamente che a Satana è stato concesso di vagliare i discepoli visibilmente davanti a tutto il mondo. E sappiamo che Gesù prega per la fede di Pietro e dei suoi successori. Sappiamo che Pietro, attraverso le acque agitate della storia, va incontro al Signore ed è in pericolo di affondare, ma viene sempre di nuovo sorretto dalla mano del Signore e guidato sulle acque».

Fa caldo in piazza San Pietro. La primavera è oramai inoltrata. Il sole picchia sulla piazza dove una folla di fedeli aspetta il Papa. È mercoledì, il giorno dell’udienza generale. I fedeli sono arrivati da tutto il mondo. Dal fondo della piazza entra un gruppetto di quattro persone. Due donne e due giovani uomini. Le donne sono due mie assistenti. Mi aiutano durante gli esorcismi, pregano per me e per i posseduti e assistono per quanto è loro possibile i posseduti nel loro lungo e difficile percorso di liberazione. I due giovani uomini sono due posseduti. Nessuno lo sa. Lo sanno soltanto loro e le due donne che li “scortano”.

Quel mercoledì le donne decidono di portare i due all’udienza del Papa perché pensano che potrebbero trarne giovamento. Non è un mistero che molti gesti e parole del Papa facciano imbestialire Satana. Non è un mistero che anche la sola presenza del Papa inquieti e in qualche modo aiuti i posseduti nella loro battaglia contro colui che li possiede. I quattro si avvicinano verso le transenne in prossimità del “palco” da dove Benedetto XVI di lì a poco è chiamato a parlare. Le guardie svizzere li fermano. Non hanno i biglietti per proseguire oltre. Le due donne insistono. È importante per loro riuscire a portare i due posseduti il più possibile vicino al Papa. Le guardie svizzere non ammettono deroghe e intimano loro di allontanarsi. Così una delle due donne fa finta di sentirsi male. La sceneggiata ottiene un risultato.

I quattro vengono fatti accomodare oltre le transenne, nei posti riservati ai disabili.
«Avete visto, Giovanni e Marco?» chiedono le due donne ai due posseduti. «Ce l’abbiamo fatta. Tra poco arriverà il Papa e noi siamo qui vicini a lui.» I due non parlano. Sono stranamente silenziosi. È come se coloro che li possiedono (si tratta di due demoni diversi) stiano cominciando a capire chi di lì a poco arriverà in piazza.
Suonano le dieci. Dall’arco delle campane, il portone a fianco della basilica vaticana, esce una jeep bianca. Sopra tre uomini. Un guidatore, il Papa in piedi e, seduto al suo fianco, il suo segretario particolare monsignor Georg Gänswein.

Le due donne si girano verso Giovanni e Marco. Istintivamente li sorreggono con le braccia. I due, infatti, iniziano ad avere comportamenti strani. Giovanni trema e batte i denti. Le due donne capiscono che qualcuno sta cominciando ad agire nel corpo di Giovanni e di Marco. Qualcuno che col passare dei minuti si mostra sempre più agitato. «Giovanni, mantieni il controllo di te stesso» dice una delle due donne.
«Mantieni il controllo, Giovanni. Non farti sopraffare. Reagisci. Mantieni il controllo.» L’altra donna dice le stesse parole a Marco. Giovanni non sembra ascoltare le parole della donna. Salvo, d’improvviso, girarsi e dirle con voce lenta e che sembra venire da non si sa quale mondo: «Io non sono Giovanni».

La donna non dice più nulla. Sa che con il diavolo solo un esorcista può parlare. Se lei lo facesse sarebbe molto rischioso. Così rimane in silenzio e si limita a sostenere il corpo di Giovanni ora completamente in mano al demonio. La jeep gira per tutta la piazza. I due posseduti si piegano per terra. Battono la testa per terra. Le guardie svizzere li osservano ma non intervengono. Sono forse abituate a scene del genere? Forse sì. Forse altre volte hanno assistito alle reazioni dei posseduti innanzi al Papa.
La jeep compie un lungo percorso. Poi arriva in cima alla piazza, a pochi metri dal portone della basilica vaticana. Il Papa scende dall’auto e saluta le persone poste nelle prime file.

Giovanni e Marco, insieme, iniziano a ululare. Sdraiati per terra ululano. Ululano fortissimo. «Santità, santità, siamo qui!» urla al Papa una delle due donne cercando di attirare la sua attenzione. Benedetto XVI si gira ma non si avvicina. Vede le due donne e vede i due giovani uomini per terra che urlano, sbavano, tremano, danno in escandescenze. Vede lo sguardo d’odio dei due uomini. Uno sguardo diretto contro di lui. Il Papa non si scompone. Guarda da lontano. Alza un braccio e benedice i quattro. Per i due posseduti è una scossa furente. Una frustata assestata su tutto il corpo. Tanto che cadono tre metri indietro, sbattuti per terra. Adesso non urlano più. Ma piangono, piangono, piangono. Gemono per tutta l’udienza. Quando poi il Papa se ne va, rientrano in se stessi. Tornano se stessi. E non ricordano nulla.

Benedetto XVI è temutissimo da Satana. Le sue messe, le sue benedizioni, le sue parole sono come dei potenti esorcismi. Non credo che Benedetto XVI compia esorcismi. O almeno la cosa non mi risulta. Credo tuttavia che tutto il suo pontificato sia un grande esorcismo contro Satana. Efficace. Potente.

Un grande esorcismo che molto dovrebbe insegnare ai vescovi e ai cardinali che non credono: costoro comunque dovranno rispondere della loro incredulità. 
Non credere e soprattutto non nominare esorcisti laddove ce ne è esplicito bisogno è, a mio avviso, un peccato grave, un peccato mortale.

Il modo con cui Benedetto XVI vive la liturgia. 

Il suo rispetto delle regole. Il suo rigore. La sua postura sono efficacissimi contro Satana. 
La liturgia celebrata dal Pontefice è potente. Satana è ferito ogni volta che il Papa celebra l’eucaristia.
Satana molto ha temuto l’elezione di Ratzinger al soglio di Pietro perché vedeva in lui la continuazione della grande battaglia che contro di lui ha fatto per ventisei anni e mezzo il suo predecessore, Giovanni Paolo II.

- don Gabriele Amorth -

Fonte: "L’ultimo esorcista. La mia battaglia contro Satana", Don Gabriele Amorth e Paolo Rodari (Edizioni Piemme, pp. 263, estratto di un capitolo dedicato a Papa Ratzinger



"Chi si affida a Dio, non ha paura del diavolo", dichiara sant'Ambrogio (De sacramentis, v, 4, 30), che giunge a dire: "Dove il diavolo dà battaglia, là Cristo è presente. 
Dove il diavolo pone l'assedio, là, chiuso tra gli assediati, sta Cristo a difendere la cerchia delle mura spirituali" (Expositio Psalmi cXVIii, 20, 51). 
Per quanto le macchinazioni diaboliche possano essere pericolose e aggressive, essi "lo hanno vinto grazie al sangue dell'Agnello" (Apocalisse, 12, 11).



Come il ragno cattura le prede con i fili della sua rete, così il diavolo, tirando certi fili di pensieri capziosi, studiando cioè i difetti ai quali l'uomo è più incline, lo avvolge con la fitta rete delle sue tentazioni e lo fa sua preda". 

- Sant'Antonio di Padova -



Buona giornata a tutti. :-)




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