Mi avete messo dalla parte di cattivi. Da secoli spio
la mia statuina nei vostri presepi. La vedo sulla porta dell'osteria, la faccia
truce, lo sguardo severo, il dito alzato in segno di rifiuto; oppure dietro le
porte dell'albergo, china sui profitti della giornata, incurante della coppia
di galilei che bussa per domandare un giaciglio.
Forse non avete l'idea di cosa significhi gestire una locanda in un borgo come Betlemme. Pochi guadagni, lavoro di bassa lega, rogne a grappoli.
Clientela non selezionata, e ladri e farabutti pronti a portarti via i magri ricavi appena giri le spalle. È vero: in quel periodo gli affari andavano bene. Merito della follia di Cesare Augusto, e del suo ordine assurdo di bandire un censimento. Ma più degli introiti, ad essere sinceri, crescevano le preoccupazioni. La mia locanda era invasa da persone di ogni tipo: viaggiatori sconosciuti, gente comune che veniva a farsi registrare, facce da galera pronte a tagliare la gola per due denari, vagabondi di passaggio, avventori con pochi soldi e tante richieste. E quella notte io, l'albergatore di Betlemme, semplicemente non ce la facevo più.
Tutti a pretendere un posto, a gridare ordini, a tirarmi per i capelli, a lamentarsi per la minestra insipida o il vino annacquato; tutti pronti a darmi addosso perché il servizio era lento, il letto sporco, il cibo cattivo. Gli uomini bestemmiavano, i bambini gridavano, le donne si accapigliavano.
Altro che notte di stelle e di amore, come cantate nelle vostre canzoni. Era una bolgia, un inferno. C'erano persone sdraiate sul tavolo della cucina, bestie ed esseri umani buttati l'uno sull'altro, animali e ragazzi coricati insieme.
Non mi restava nemmeno il mio letto, ceduto per quattro spiccioli all'ultimo avventore, e dormivo in piedi, come un somaro.
Forse non avete l'idea di cosa significhi gestire una locanda in un borgo come Betlemme. Pochi guadagni, lavoro di bassa lega, rogne a grappoli.
Clientela non selezionata, e ladri e farabutti pronti a portarti via i magri ricavi appena giri le spalle. È vero: in quel periodo gli affari andavano bene. Merito della follia di Cesare Augusto, e del suo ordine assurdo di bandire un censimento. Ma più degli introiti, ad essere sinceri, crescevano le preoccupazioni. La mia locanda era invasa da persone di ogni tipo: viaggiatori sconosciuti, gente comune che veniva a farsi registrare, facce da galera pronte a tagliare la gola per due denari, vagabondi di passaggio, avventori con pochi soldi e tante richieste. E quella notte io, l'albergatore di Betlemme, semplicemente non ce la facevo più.
Tutti a pretendere un posto, a gridare ordini, a tirarmi per i capelli, a lamentarsi per la minestra insipida o il vino annacquato; tutti pronti a darmi addosso perché il servizio era lento, il letto sporco, il cibo cattivo. Gli uomini bestemmiavano, i bambini gridavano, le donne si accapigliavano.
Altro che notte di stelle e di amore, come cantate nelle vostre canzoni. Era una bolgia, un inferno. C'erano persone sdraiate sul tavolo della cucina, bestie ed esseri umani buttati l'uno sull'altro, animali e ragazzi coricati insieme.
Non mi restava nemmeno il mio letto, ceduto per quattro spiccioli all'ultimo avventore, e dormivo in piedi, come un somaro.
E allora ho detto no. Non per cattiveria, non perché
Maria e Giuseppe (si chiamano così, vero?) erano dei poveracci che non potevano
pagare. Semplicemente perché non ce la facevo più.
Cosa ne sapete voi, che mi avete messo tra i cattivi? Magari - oltre a tutto questo - avevo anch'io una vecchia madre malata, o una moglie bisbetica con cui bisticciare, o un figlio scappato di casa, o un dolore sordo nel cuore, una ferita nelle viscere, un rimorso, un fallimento, un rimpianto.
Da secoli vedo che fate come me, del resto. Come me chiudete le porte a Dio, incatenati dai vostri dispiaceri, schiantati dalla stanchezza della vita, torchiati da pesi che non riuscite a portare, da paure che vi tolgono la speranza e il respiro. E Dio arriva, e bussa alla soglia.
Ma non ce la fate più, e la vostra casa rimane chiusa.
Cosa ne sapete voi, che mi avete messo tra i cattivi? Magari - oltre a tutto questo - avevo anch'io una vecchia madre malata, o una moglie bisbetica con cui bisticciare, o un figlio scappato di casa, o un dolore sordo nel cuore, una ferita nelle viscere, un rimorso, un fallimento, un rimpianto.
Da secoli vedo che fate come me, del resto. Come me chiudete le porte a Dio, incatenati dai vostri dispiaceri, schiantati dalla stanchezza della vita, torchiati da pesi che non riuscite a portare, da paure che vi tolgono la speranza e il respiro. E Dio arriva, e bussa alla soglia.
Ma non ce la fate più, e la vostra casa rimane chiusa.
Eppure - i vostri vangeli non lo raccontano - eppure
non è finita così.
Quella notte, quella stessa notte, mi sono destato di soprassalto. Un rumore, un tuono, un canto: non chiedetemi cos'è stato. Ho aperto gli occhi di colpo, e ho rivisto come in un sogno Maria e Giuseppe che camminavano verso la stalla che avevo loro indicato. Ho raccolto un paio di coperte, un po' di formaggio, del pane avanzato. Mi sono messo il fagotto sulle spalle e sono uscito dall'albergo di nascosto, come un ladro. La capanna era poco distante, avvolta da una luce strana; qualcuno si allontanava nel buio, verso le colline dei pascoli. Sono entrato quasi di soppiatto e mi sono fermato in un angolo, nascosto dietro una trave di legno. Ho lasciato le quattro cose che mi ero portato appresso, e sono caduto in ginocchio. Non so quanto tempo sono rimasto, incantato, a fissare il Bambino. Quel tanto che basta per capire che io gli avevo detto di no, ma lui mi diceva di sì. Che per lui non c'era posto nel mio albergo, ma per me c'era posto nella sua vita, nel suo cuore, tutte le volte che avrei voluto.
Quella notte, quella stessa notte, mi sono destato di soprassalto. Un rumore, un tuono, un canto: non chiedetemi cos'è stato. Ho aperto gli occhi di colpo, e ho rivisto come in un sogno Maria e Giuseppe che camminavano verso la stalla che avevo loro indicato. Ho raccolto un paio di coperte, un po' di formaggio, del pane avanzato. Mi sono messo il fagotto sulle spalle e sono uscito dall'albergo di nascosto, come un ladro. La capanna era poco distante, avvolta da una luce strana; qualcuno si allontanava nel buio, verso le colline dei pascoli. Sono entrato quasi di soppiatto e mi sono fermato in un angolo, nascosto dietro una trave di legno. Ho lasciato le quattro cose che mi ero portato appresso, e sono caduto in ginocchio. Non so quanto tempo sono rimasto, incantato, a fissare il Bambino. Quel tanto che basta per capire che io gli avevo detto di no, ma lui mi diceva di sì. Che per lui non c'era posto nel mio albergo, ma per me c'era posto nella sua vita, nel suo cuore, tutte le volte che avrei voluto.
E vorrei dirvi che poco m'importa se nei vostri presepi
e nelle vostre recite sarò sempre l'oste cattivo: perché lui non mi vede così,
perché - ne sono sicuro - mi aspetta di nuovo, come quella notte, ogni notte,
ogni giorno, in ogni istante. Siete, siamo ancora in tempo.
Non importa se gli abbiamo detto no.
Non importa se l'affanno, la stanchezza, la tristezza della vita ci ha fatto, un giorno, chiudere le porte a Dio.
C'è tempo. La sua casa rimane aperta, non ci manderà indietro.
E forse cadremo, finalmente, in ginocchio davanti a lui, nel pentimento e nel perdono, in un sorriso di tenerezza o nella consolazione del pianto.
Non importa se gli abbiamo detto no.
Non importa se l'affanno, la stanchezza, la tristezza della vita ci ha fatto, un giorno, chiudere le porte a Dio.
C'è tempo. La sua casa rimane aperta, non ci manderà indietro.
E forse cadremo, finalmente, in ginocchio davanti a lui, nel pentimento e nel perdono, in un sorriso di tenerezza o nella consolazione del pianto.
Buon Natale!
- don Davide Caldirola -
Dal Magistero di
Giovanni Paolo II
“E’ nato nel tempo. Dio è entrato nella storia.
L’incomparabile oggi eterno di Dio
si è fatto presenza
nelle quotidiane vicende dell’uomo...
Non è una reggia
quella in cui nasce il Redentore,
destinato ad instaurare
il Regno eterno ed universale...
Il Verbo vagisce in una mangiatoia.
Si chiama Gesù, che significa Dio salva...
O Bambino di Betlemme,
Ti adoriamo con Maria,
tua Madre sempre Vergine.
Ti riconosciamo come nostro unico Dio,
fragile Bambino che stai inerme nel presepe.
A Te la gloria e la lode nei secoli,
divin Salvatore del mondo!”.
“E’ nato nel tempo. Dio è entrato nella storia.
L’incomparabile oggi eterno di Dio
si è fatto presenza
nelle quotidiane vicende dell’uomo...
Non è una reggia
quella in cui nasce il Redentore,
destinato ad instaurare
il Regno eterno ed universale...
Il Verbo vagisce in una mangiatoia.
Si chiama Gesù, che significa Dio salva...
O Bambino di Betlemme,
Ti adoriamo con Maria,
tua Madre sempre Vergine.
Ti riconosciamo come nostro unico Dio,
fragile Bambino che stai inerme nel presepe.
A Te la gloria e la lode nei secoli,
divin Salvatore del mondo!”.
Dal Magistero di
Benedetto XVI:
“La regalità di Cristo
rimase del tutto nascosta fino ai suoi trent’anni,
trascorsi in un’esistenza ordinaria a Nazareth”.
“La regalità di Cristo
rimase del tutto nascosta fino ai suoi trent’anni,
trascorsi in un’esistenza ordinaria a Nazareth”.
Sono nel tuo
Natale
Signore eccomi davanti a te! Sono nel tuo Natale...
Davanti alla tua capanna di luce lontana che illumina i
miei passi insicuri.
Davanti ai tuoi pastori che mi ricordano la bellezza
semplice della vita.
Davanti ai raggi della tua stella che filtrano negli
occhi della mia anima e rincuorano il cammino.
Davanti ai tuoi angeli che, fratelli e sorelle, mi
parlano di te.
Davanti a Maria, tua madre, che, come me, vive il sogno
silenzioso del Dio vicino.
Davanti a Giuseppe, tuo padre nella fedeltà, che, come
me, cerca risposte nel vangelo che non abbandona.
Davanti alle tue creature che, come me, vivono la
fragilità dell'umanità.
Davanti alla tua storia che, fuori dal tempo, vive la
storia del mio tempo.
Davanti alla tua luna splendente che, come me, vive la
nostalgia della tua tenerezza.
Si Signore, sono davanti a te! Infreddolito, incredulo,
ma meravigliato che mi cerchi ancora...
Buona giornata a tutti :-)