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venerdì 20 marzo 2020

Véronique. Dialogo della storia e dell’anima carnale di Charles Péguy

C’è un solo avventuriero al mondo, e ciò si vede soprattutto nel mondo moder­no: è il padre di famiglia. 
Gli altri, i peggiori avventu­rieri non sono nulla, non lo sono per niente al suo confronto. 
Non corrono assolutamente alcun perico­lo, al suo confronto. Tutto nel mondo moderno, e so­prattutto il disprezzo, è organizzato contro lo stolto, contro l’imprudente, contro il temerario,
Chi sarà tanto prode, o tanto temerario?
Contro lo sregolato, contro l’audace, contro l’uomo che ha tale audacia, avere moglie e bambini, contro l’uomo che osa fondare una famiglia. 
Tutto è contro di lui. Tutto è sapientemente organizzato contro di lui. Tutto si rivolta e congiura contro di lui. 
Gli uomini, i fatti; l’accadere, la società; tutto il congegno automatico delle leggi economiche. E infine il resto. 
Tutto è contro il capo famiglia, contro il padre di famiglia; e di conse­guenza contro la famiglia stessa, contro la vita di fami­glia. 

Solo lui è letteralmente coinvolto nel mondo, nel secolo. Solo lui è letteralmente un avventuriero, corre un’avventura. Perché gli altri, al maximum, vi sono coinvolti solo con la testa, che non è niente. 
Lui invece ci è coinvolto con tutte le sue membra. Gli altri, al maximum, si giocano solo la loro testa, il che non è niente. 
Lui invece mette in gioco tutte le membra. Gli altri soffrono solo per se stessi. Ipsi. Al primo grado. Lui solo soffre per altri. Alii patitur. Al secondo, al ven­tesimo grado. 
Fa soffrire altri, ne è responsabile. Lui solo ha degli ostaggi, la moglie, il bambino, e la malattia e la morte possono colpirlo in tutte le sue membra. 
Gli altri navigano a secco di vele. 
Lui solo, qualunque sia la forza del vento, è obbligato a navigare a piene vele. Tutti hanno vantaggio su di lui e lui non ha vantaggio su nes­suno. Si muove continuamente con i suoi ostaggi, in lungo e in largo tra quei terribili fortunali. Le cose che accadono, i guai, la malattia, la morte, tutto ciò che accade, tutti i guai hanno vantaggio su di lui, sempre; è sempre esposto a tutto, in pieno, di fronte, perché navi­ga su una larghezza immensa. 
Gli altri scantonano. So­no corsari. Sono a secco di vele.
Ma lui, che naviga, che è obbligato a governare la nave su questa rotta immen­samente larga, lui solo non può assolutamente passare senza che la fatalità si accorga di lui. E allora è lui che è coin­volto nel mondo, e lui solo. 
Tutti gli altri possono infi­schiarsene. Lui solo paga per tutti. Capo e padre di ostaggi, anche lui stesso è sempre ostaggio. Che impor­ta agli altri di guerre e rivoluzioni, guerre civili e guer­re straniere, l’avvenire di una società, ciò che accade alla città, la decadenza di tutto un popolo. 
Non rischia­no mai altro che la testa. Niente, meno di niente. Lui invece non solo è coinvolto dappertutto nella città pre­sente. 
Dalla famiglia, dalla sua razza, dalla sua discen­denza da quei bambini è coinvolto dappertutto nella citta futura, nello sviluppo ulteriore, in tutto il tempo­rale accadere della città. 
Si gioca la razza, si gioca il popolo, si gioca la società, mette come posta la società. Si gioca (tutta) la città, presente, passata, a venire. Tale è la sua posta in gioco. Gli altri scantonano sempre. Sono carene leggere, sotti­li come lame di coltello. Lui è la nave grossa, pesante bastimento da carico. È il luogo d’appuntamento di tutte le tempeste. Tutti i venti del cielo congiurano e si mettono d’accordo, si abbattono da tutti gli angoli del cielo, accorrono e si intersecano da tutti i punti del­l’orizzonte per assalirlo. Lui scopre alla sorte, alla for­tuna, alla sfortuna che vigila, alla fatalità una larghezza (di spalle) (su cui abbattersi), una superficie, un vo­lume incredibile. Non è coinvolto solo nella cit­tà presente.
È coinvolto dappertutto nell’avvenire del mondo. E anche in tutto il passato, nella memoria, in tutta la storia. È assalito dagli scrupoli, straziato dai rimorsi, a priori, (di sapere) in che città di domani, in quale ulteriore società, in quale dissoluzione di tutta una società, in quale miserabile città, in quale deca­denza, in quale decadenza di tutto un popolo lasceran­no, consegneranno, domani, stanno per lasciare, entro qualche anno, il giorno della morte, quei bambini di cui i padri  si sentono così pienamente, così assoluta­mente responsabili, di cui sono temporalmente i pieni autori. Quindi per loro nulla è indifferente. Niente di quello che succede, niente di storico è per loro indiffe­rente. Soffrono di tutto. Soffrono dappertutto. Solo loro hanno esaurito la sofferenza temporale, tutto il dolore di chi vive nel tempo. Chi non ha mai avuto un bam­bino malato non sa cosa sia la malattia. Chi non ha perso un bambino, chi non ha visto morto il suo bambino non sa cosa sia il dolore. E non sa cosa sia la morte. E, coinvolti da ogni parte nelle sof­ferenze, nelle miserie, in tutte le responsabilità, sono tutti  ingolfati nell’esistenza, sono pesanti e impacciati, sono goffi, impediti nelle manovre; sembrano deboli e vili; non solo lo sembrano; sono deboli, sono vili, sono codardi. Nella manovra. Capi responsabili e appesanti­ti, carichi e responsabili di una banda di prigionieri, prigionieri essi stessi, carichi, responsabili di una banda di ostaggi, ostaggi essi stessi, non fanno un passo che non sia vigliacco, sembrano, sono circospetti, sono prudenti, non fanno una mossa che non sia sconcertante. E tutti li disprez­zano e, quel che è peggio, hanno ragione a disprezzarli. Gli altri scantonano sempre. Non hanno bagagli. Vili, scantonano con districamenti politici. Coraggiosi scan­tonano con districamenti eroici, con districamenti d’au­dacia. Temporali, scantonano verso la carriera e le domi­nazioni temporali. Spirituali, scantonano, si defilano verso le osservanze della regola. Storici, scantonano verso le carriere della gloria. Riescono sempre, sia nella regola, sia nel secolo.
II padre di famiglia è solo, e condannato a non riuscire affatto. Non può mai scanto­nare. Deve sempre passare in tutta la sua larghezza. Ed è molto semplice, non ci passa. Non ci passa mai. Non passa da nessuna parte. Non riesce né nella regola né nel secolo. Non riesce nella regola, la regola si oppone. Prima di cominciare. Non riesce nel secolo. Il secolo si oppone prima, durante, dopo. Non riesce nella poli­tica e non riesce nell’audacia… È troppo grosso. Ha tutta la famiglia attorno al corpo. È come la donnola di La Fontaine, ma dopo che è ingrassata. Ha socialmente un grasso, un tessuto adiposo sociale, che lo rende inadatto alla corsa. Ora, temporalmente tutto non è altro che corsa, non è altro che concorso e con­correnza. Gli altri corrono, intanto, gli altri arrivano, quelli magri, fini, sottili, socialmente scarichi, sgombri di bagagli. Così tutti lo disprezzano; in sua presenza, tra di loro, lo schermi­scono; sordamente, involontariamente congiurano con­tro di lui. Più di tutti gli altri, lo disprezzano i preti. Perché hanno questo (di bello), quando si accaniscono su qualcuno, ci si riaccaniscono di preferenza. Prefe­renzialmente. E quello che chiamano la carità.
Bisogna sottolineare attentamente che la vita di famiglia è la vita più impegnata nel secolo, la vita meno conforme, la meno simpatica, la meno affine alla regola. Vuol dire lasciarsi prendere, lasciarsi ab­bindolare dalle apparenze più grossolane, commettere l’errore più smaccato, e anche naturalmente il più co­mune, l’errore più frequente, quello di dire che la vita pubblica è vivace, e la vita di famiglia è silen­ziosa, e la regola, la vita regolare è anche lei silenziosa; e quindi la vita pubblica è non ritirata, e la vita di fa­miglia è ritirata, e la regola, la vita regolare è anche lei ritirata; e concluderne, credere, che sia la vita di famiglia che è vicina alla vita di regola, apparentata alla vita di regola, e che sia la vita pubblica che se ne è allontanata. Questo è lasciarsi prendere dalle più grossolane apparenze. È diame­tralmente il contrario.
La vita di famiglia è agli antipodi della vita della regola. 
Nessun uomo al mondo è coin­volto nel mondo, nella storia e nel destino del mon­do quanto l’uomo di famiglia, tanto quanto il padre di famiglia, così pienamente, così carnalmente. L’uomo pubblico invece, il vir politicus, non è affatto coinvolto nel mondo, non è affatto coinvolto nella storia e nel destino del mondo. 
Cosa importa all’uomo politico, al demagogo, al tribuno, all’oratore, al legislatore, all’eloquente, anche all’uomo politico serio, all’uomo pubblico, all’uomo di Stato, all’uomo di governo, (e a maggior ragione) al capo di partito (come tali), cosa importa al militare e al giudice, al generale e al presidente di corte e al presidente di camera, (come tali, come tali), che importa come tali al funzionario e al magistrato, al generale, al deputato, al senatore, al giornalista, al pubblici­sta, all’esattore, e all’usciere del ministero, cosa importa al signor sindaco; cosa importa come tale a ogni uomo pubbli­co delle sorti della città presente, le sorti ulteriori, la destinazione e il destino; cosa gli importa di cosa sarà di questo popolo, cosa faremo di questo popolo; vi sono coinvolti solo con la testa e qualcuno con la gloria; al massimo con l’onore, quando ne hanno: niente, meno di niente. Non ci rischiano che la testa, al più, al maximum; al meno, di solito l’avanzamento, la carriera, al più del meno l’apice; miserie. Gloria tem­porale, onore temporale; niente, meno di niente. Avan­zamento temporale, carriera temporale, apice temporale, testa temporale; miserie. E le gioie e le miserie del dominio. E le gioie e le miserie del denaro. Ecco tutto quello che si giocano. Come tali. Se intanto, se insieme sono padri di famiglia, cosa estremamente rara, l’ope­razione è tutta diversa, il comportamento e l’azione pubblica è tutta diversa, tutta diversa la situazione anche per così dire topografica, geografica, demogra­fica. Cosa importa loro, come tali, una rivoluzione, una guerra civile o straniera, un sabotaggio di tutto un po­polo. Una diminuzione, una decrescita; una perdita, forse irrimediabile; una decadenza, forse irreparabile, irrevocabile. Tutt’al più si giocano, nel temporale, una gloria del loro nome, la gloria, ulteriore, l’onore o il discredito sul loro nome. Di solito questo tipo di con­siderazione li lascia abbastanza freddi. Sono abba­stanza poco sensibili a considerazioni di questo tipo. Di solito.
Solo il padre di famiglia mette in gioco, rischia, impegna infinitamente di più nella destinazione del mondo, nel secolo, nella destinazione di tutto un popolo; nel futuro di una razza. Nel destino di tutto questo popolo, nell’avvenire di questa razza impegna tutto, mette tutto, la sua carne e di più; si gioca la razza, si gioca davvero il popolo, si gioca la sua discendenza. II solo padre di famiglia, il padre di famiglia da solo. Ed è un pover’uomo. Tormentato da scrupoli, assalito, invaso, tormentato da rimorsi, per crimini che non ha affatto commesso, che non commetterà mai, che altri mille, che tutti gli altri commetteranno, sente oscura­mente, molto profondamente, che è lui, in effetti, che è lui davvero il responsabile. Perché è padre di famiglia. È uno dei casi più significativi che ci siano di responsa­bilità senza colpa, di colpevolezza senza colpa. Eppure di responsabilità reale, di colpevolezza reale; comune; misteriosa; di fatalità, anche; infinitamente più profonda; segreta; in comunità, in comunione; con la crea­zione con (tutto) il mondo; infinitamente più grave delle nostre proprie responsabilità, personali, particola­ri, limitate, note, individuali e collettive; infinitamente più profonda; infinitamente più vicina alla creazione stessa; e quasi (oscuramente ce ne accorgiamo), quasi infinitamente più giusta, attinente alla creazio­ne stessa, al mistero, al segreto della creazione; una col­pevolezza, allora, infinitamente più seria delle nostre colpevolezze propriamente criminali.
Per il padre di famiglia (questo è lo stato, costante, uno stato situazionale; è la sua stessa patente, la sua condizione ab urbe condita, una volta fondata la famiglia. È la sua stessa definizione, il pane di tutti i (suoi) giorni, il cruccio delle sue notti. È il midol­lo, stesso, della sua vita, il segreto della sua esistenza, la sua regola interiore, la sua regola esteriore, la regola del suo secolo, la sua regola di secolo. 
Ed è un pover’uomo; innocente criminale; innocente responsabile; innocente colpevole; innocente assalito da scrupoli; innocente tormentato dai rimorsi; legato, incatenato da ogni parte, mani, piedi, da tutti i lacci, da tutte le catene, è lui, amico mio, è lui, e lui solo, che ha le relazioni peri­colose; confuso, prigioniero, ostaggio, manette alle ma­ni, ganasce ai piedi, capo, responsabile dei prigionieri, capo, responsabile degli ostaggi, fa pena, è esposto a tutto, ai quodlibet, alle ingiurie, al peggio di tutto: a una sorta di riprovazione, di malevolenza universale, di presa in giro, di tacita ingiuria, (peggiore, infinitamen­te più grave di quella formale), perché se è così tacita, se può essere così sottintesa, come se andasse da sé, per così dire; non vale la pena di parlarne, perché tutti lo sanno bene; è una cosa intesa, senza che ci si pensi, una cosa alla quale tutti consentono, a cui tutti danno la mano. 
È infinitamente peggio di una cosa infinitamen­te concertata, che una cosa universalmente concertata. È una cosa universalmente non concertata. Così è infi­nitamente meno demolibile. Una cosa che va da sé. Che si sappia. Allora tutti ci calpestano sopra.
Allora, rin­galluzzito, anche il prete ci calpesta sopra. Clericus. Il sacerdote se ne accorge bene, un istinto di casta lo av­verte, uno degli avvertimenti, uno degli istinti più si­curi, uno degli istinti più infallibili, un segreto orgo­glio infallibile lo avverte che è lui il nemico, il più lontano, il più straniero, che l’uomo di famiglia, che il padre di famiglia è l’uomo più lontano dalla regola e dalla clericatura, l’uomo del mondo più coinvolto nel mondo, un istinto segreto lo avverte che lui è infinita­mente più vicino al pubblico peccatore; e reciproca­mente; che il tribuno, l’oratore, l’eloquente, l’uomo della tribuna è infinitamente più vicino all’uomo del pulpito, infinitamente più imparentato all’uomo del pulpito, che l’uomo del meeting, della pubblica riunio­ne è infinitamente più vicino all’uomo della predica e all’uomo del sermone; più pronto, per l’uno e per l’al­tro, sia per diventarlo, sia per subirne l’effetto, sia insie­me l’uno e l’altro, che sono dello stesso genere, che si passa comodamente e quasi continuamente dall’uno all’altro, che c’è tra loro un’intesa, interna, un accordo segreto, una somiglianza, almeno di modo, e in più che appartengono allo stesso mondo; e per la regola che il celibe, l’uomo libero, il non prigioniero, il non ostag­gio, lo slegato, il non legato, l’inlegato, il mai legato, lo scantonatore, il pié leggero, il corridore, il bombarolo, il festaiolo, l’uomo all’erta è infinitamente più vicino; e più pronto, più disponibile; che lui piace di più; che con lui ci si capirà meglio, ci si intenderà sempre. E poi è lui che è un personaggio gradevole. Il padre di fami­glia è un povero essere. Tirar su solo tre bambini, pensa un po’. Che grottesco, che ridicolo. Tutte le forze della società sono congiurate, si congiurano contro una cosa del genere. Ora, il sacerdote è una forza della società, fa parte delle forze della società. 
Allora tutti calpestano il padre di famiglia. Allora il sacerdote, ardi­to, lo calpesta. Non ha che indulgenza, e che indulgenze, per tutti gli altri. Si crede di solito che il celibe, l’uomo senza famiglia è un uomo di fortuna(e), un avven­turiero, che vive di avventure.
Invece è l’uomo di fami­glia che è un avventuriero, che vive non solo alcune avventure, ma una sola, una grande, un’immensa, una totale avventura; l’avventura più terribile, la più costan­temente tragica; la cui vita stessa è un’avventura, il tes­suto stesso della vita, la trama e l’ordito, il pane quoti­diano. 
Ecco l’avventuriero, il vero, il reale avventuriero.

- Charles Péguy -


Tanti auguri a tutti i papà... a quelli che lo sono ...  a quelli che lo saranno .... 
e un abbraccio a tutti gli uomini che vorrebbero ...  ma la vita ha disposto altrimenti. 
Un abbraccio!
Stefania






martedì 10 marzo 2020

Per volersi bene

Un giorno, un vecchio monaco fece la seguente domanda ai suoi discepoli:

"Perchè le persone gridano quando sono arrabbiate ? "
rispose uno di loro :
"Gridano perchè perdono la calma."
Chiese nuovamente il monaco :
"Ma perchè alzare la voce se la persona sta di fronte a noi?"
replicò un altro discepolo :
"Beh, gridiamo perchè desideriamo che l'altra persona ci ascolti!"
Il monaco tornò a domandare:
"Ma non è proprio possibile parlargli a voce bassa?"
Varie altre risposte furono date ma nessuna convinse il vecchio monaco , che continuò :
"Non sapete proprio dirmi perchè si grida contro un'altra persona quando si è arrabbiati? Il fatto è che quando due persone sono arrabbiate i loro cuori si allontanano molto. Per coprire questa distanza bisogna gridare per potersi ascoltare. Quanto più arrabbiati sono, tanto più forte dovranno gridare per sentirsi l'uno con l'altro. D'altra parte, che succede quando due persone sono innamorate?
Loro non gridano, parlano soavemente e dolcemente. E perchè?
Perché i loro cuori sono molto vicini. La distanza tra le loro anime è breve. A volte sono talmente vicini i loro cuori che neanche parlano, solamente sussurrano. E quando l'amore è più intenso
non è necessario nemmeno sussurrare, basta guardarsi.
I loro cuori si intendono. È questo quello che accade ai cuori di due persone che si amano, si avvicinano."

Il vecchio monaco concluse dicendo:


"Quando voi avrete l'occasione di discutere con qualcuno, non permettete che i vostri cuori si allontanino, non dite parole che li possano distanziare ancor di più, perché prima o poi arriverà un giorno in cui la distanza sarà tale che non incontreranno mai più la strada per tornare."

Adesso sai come custodire un amore o un'amicizia.



“Mi sarà sufficiente che ecco, in un angolo del mondo, ci sia tu, e il vivere non riuscirà a venirmi a nausea.” 

-Fedor Dostoevskij, I fratelli Karamàzov


Nella libertà dello Spirito che sorpassa ogni legge poiché instaura la legge dell'amore, ogni cosa è permessa, ma in questa libertà, che ci fa crescere in Dio, si stabilisce un ordine di priorità. 
Non tutto costruisce e forma il corpo.
A volte la nostra libertà luminosa può diventare oggetto di scandalo, può cioè far cadere chi è ancora piccolo.
Immensa è la gioia della rinuncia e dell'offerta di ciò che in sé non è cattivo, ma può creare sofferenza, e afflizione, e persino far cadere un povero.
Io non credo in Dio, sarebbe troppo poco. Io gli voglio bene.

- don Lorenzo Milani - 




  
Le parole dolci e le carezze amorevoli lasciano su di noi un segno indelebile 

che si dilata nel tempo.



Buona giornata a tutti. :-)


lunedì 3 febbraio 2020

Cominciare da se stessi - Martin Buber

Alcune persone eminenti di Israele erano un giorno ospiti di Rabbi Isacco di Worki. 
La conversazione cadde sull’importanza di un servitore onesto per la gestione di una casa: “Tutto volge al bene - dicevano - se si ha un buon servitore, come dimostra il caso di Giuseppe, nelle cui mani tutto prosperava”. 

Ma Rabbi Isacco non condivideva l’opinione generale. “Ero anch’io dello stesso avviso - disse - finché il mio maestro non mi dimostrò che in realtà tutto dipende dal padrone di casa. 
Da giovane, infatti, mia moglie era per me fonte di tribolazione, e pur essendo disposto a sopportare per quel che riguardava me stesso, mi facevano pena i servitori. 
Andai allora a consultare il mio maestro, Rabbi David di Lelow, e gli chiesi se dovevo oppormi o meno a mia moglie. 
"Perché ti rivolgi a me? - rispose - Rivolgiti a te stesso!"
Dovetti riflettere a lungo su queste parole prima di capirle, e le capii solo ricordandomi anche delle parole del BaalShem: 

‘Ci sono il pensiero, la parola e l’azione. Il pensiero corrisponde alla moglie, la parola ai figli, l’azione ai servitori. Tutto si volgerà al bene per chi saprà mettere in ordine le tre cose nel proprio spirito’. Allora compresi cosa avesse voluto dire il mio maestro: che tutto dipendeva da me”. 


Questo racconto tocca uno dei problemi più profondi e più seri della nostra vita: il problema della vera origine del conflitto tra gli uomini. 
Abbiamo l’abitudine di spiegare le manifestazioni del conflitto innanzitutto con i motivi che gli antagonisti riconoscono coscientemente come origine della disputa, oppure con le situazioni e i processi oggettivi che stanno alla base di questi motivi e nei quali le due parti sono implicate; un’altra pista è invece quella di procedere in modo analitico, cercando di esplorare i complessi inconsci, considerati allora come i danni organici di una malattia di cui i motivi evidenti rappresentano i sintomi. 

L’insegnamento chassidico si avvicina a quest’ultima concezione in quanto rimanda anch’esso la problematica della vita esteriore a quella della vita interiore. Ma ne differisce in due punti essenziali, uno di principio e l’altro, ancora più importante, di ordine pratico. 

La differenza di principio risiede nel fatto che l’insegnamento chassidico non tende a esaminare le difficoltà isolate dell’anima, ma ha di mira l’uomo intero. 
Non si tratta tuttavia di una differenza quantitativa, ma piuttosto della constatazione che il fatto di separare dal tutto elementi e processi parziali ostacola sempre la comprensione della totalità, e che solo la comprensione della totalità in quanto tale può comportare una trasformazione reale, una reale guarigione, innanzitutto dell’individuo e poi del rapporto tra questi e i suoi simili (o, per usare un paradosso: la ricerca del punto nodale sposta quest’ultimo e fa cosi fallire l’intero tentativo di superare la problematica). Questo non significa assolutamente che non si debbano prendere in considerazione tutti i fenomeni dell’anima; ma nessuno di essi dev’essere posto al centro dell’esame, al punto che tutto il resto possa esserne dedotto. E invece indispensabile considerare tutti i punti, e non in modo separato ma proprio nella loro connessione vitale. 
Quanto alla differenza pratica, consiste nel fatto che l’uomo, invece di essere trattato come oggetto dell’analisi, è sollecitato a “rimettersi in sesto”. 

Bisogna che l’uomo si renda conto innanzitutto lui stesso che le situazioni conflittuali che l’oppongono agli altri sono solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua anima, e che quindi deve sforzarsi di superare il proprio conflitto interiore per potersi cosi rivolgere ai suoi simili da uomo trasformato, pacificato, e allacciare con loro relazioni nuove, trasformate. Indubbiamente, per sua natura, l’uomo cerca di eludere questa svolta decisiva che ferisce in profondità il suo rapporto abituale con il mondo: allora ribatte all’autore di questa ingiunzione - o alla propria anima, se è lei a intimargliela - che ogni conflitto implica due attori e che perciò, se si chiede a lui di risalire al proprio conflitto interiore, si deve pretendere altrettanto dal suo avversario. Ma proprio in questo modo di vedere - in base al quale l’essere umano si considera solo come un individuo di fronte al quale stanno altri individui, e non come una persona autentica la cui trasformazione contribuisce alla trasformazione del mondo - proprio qui risiede l’errore fondamentale contro il quale si erge l’insegnamento chassidico. 



Cominciare da se stessi: ecco l’unica cosa che conta. 
In questo preciso istante non mi devo occupare di altro al mondo che non sia questo inizio. Ogni altra presa di posizione mi distoglie da questo mio inizio, intacca la mia risolutezza nel metterlo in opera e finisce per far fallire completamente questa audace e vasta impresa. 
Il punto di Archimede a partire dal quale posso da parte mia sollevare il mondo è la trasformazione di me stesso. 
Se invece pongo due punti di appoggio uno qui nella mia anima e l’altro là, nell’anima del mio simile in conflitto con me, quell’unico punto sul quale mi si era aperta una prospettiva, mi sfugge immediatamente. 

Cosi insegnava Rabbi Bunam: “I nostri saggi dicono: ‘Cerca la pace nel tuo luogo’. 
Non si può cercare la pace in altro luogo che in se stessi finché qui non la si è trovata. 
E detto nel salmo: ‘Non c’è pace nelle mie ossa a causa del mio peccato”. Quando l’uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero”. 
Ma il racconto che ho preso come punto di partenza non si accontenta di indicare la vera origine dei, conflitti esterni e di attirare l’attenzione sul conflitto interiore in modo generico. L’affermazione del Baal-Shem che vi si trova citata ci precisa anche esattamente in cosa consiste il conflitto interiore determinante. 
Si tratta del conflitto fra tre principi nell’essere e nella vita dell’uomo: il principio del pensiero, il principio della parola e il principio dell’azione. 
Ogni conflitto tra me e i miei simili deriva dal fatto che non dico quello che penso e non faccio quello che dico. 
In questo modo, infatti, la situazione tra me e gli altri si ingarbuglia e si avvelena sempre di nuovo e sempre di più; quanto a me, nel mio sfacelo interiore, ormai incapace di controllare la situazione, sono diventato, contrariamente a tutte le mie illusioni, il suo docile schiavo. Con la nostra contraddizione e la nostra menzogna alimentiamo e aggraviamo le situazioni conflittuali e accordiamo loro potere su di noi fino al punto che ci riducono in schiavitù. Per uscirne c’è una sola strada: capire la svolta - tutto dipende da me - e volere la svolta - voglio rimettermi in sesto. Ma per essere all’altezza di questo grande compito, l’uomo deve innanzitutto, al di là della farragine di cose senza valore che ingombra la sua vita, raggiungere il suo sé, deve trovare se stesso, non l’io ovvio dell’individuo egocentrico, ma il sé profondo della persona che vive con il mondo. E anche qui tutte le nostre abitudini ci sono di ostacolo. 

Vorrei concludere questa riflessione con un divertente aneddoto antico ripreso da uno zaddik. 
Rabbi Hanoch raccontava: “C’era una volta uno stolto così insensato che era chiamato il Golem. Quando si alzava al mattino gli riusciva cosi difficile ritrovare gli abiti che alla sera, al solo pensiero, spesso aveva paura di andare a dormire. Finalmente una sera si fece coraggio, impugnò una matita e un foglietto e, spogliandosi, annotò dove posava ogni capo di vestiario. Il mattino seguente, si alzò tutto contento e prese la sua lista: ‘Il berretto: là’, e se lo mise in testa; ‘I pantaloni: lì, e se li infilò; e così via fino a che ebbe indossato tutto. 
‘Si, ma io, dove sono? - si chiese all’improvviso in preda all’ansia - Dove sono rimasto?’. Invano si cercò e ricercò: non riusciva a trovarsi. Cosi succede anche a noi”, concluse il Rabbi.


Buona giornata a tutti. :-)


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domenica 17 novembre 2019

Le donne forti: difficili ma speciali - Oberhammer Simona

Le donne forti le riconosci, non passano inosservate. 
Quando camminano senti la loro presenza, quando arrivano senti che qualcosa cambia. 
Non sono donne facili, perché non si accontentano, perché vogliono e cercano qualcosa di più. 
Non hanno paura delle sfide per trovare ciò che hanno nel cuore, non hanno paura nemmeno di soffrire per inseguire i loro ideali. 
Non vogliono piacere a tutti le donne forti, vogliono piacere soprattutto a se stesse. 
Quando le donne forti ti guardano non vedi solo i loro occhi. 
C'è qualcosa di più. 
È la loro anima che scorgi, ha il colore del sole e la luce della luna. 
Quando le donne forti si muovono non c'è solo il loro corpo ma ci sono anche i loro sogni, le loro speranze, la fiducia che hanno in se stesse e negli altri. 
Le donne forti non sono come tutti gli altri, ascoltano anche il loro lato più istintivo, ridono e piangono senza vergognarsi e se ne hanno voglia si siedono per terra o camminano scalze come se fosse la cosa più normale del mondo. 
Le donne forti non sono donne che non sbagliano mai, ma sono donne che affrontano i loro sbagli con la forza dell'anima. 
I fallimenti e le sconfitte diventano terreno fertile per imparare, per migliorare. Diventano il luogo dove l'anima trova gli spazi per crescere. 
Le donne forti sono in grado di vestirsi di niente ma di sembrare tutto. 
È la loro anima che le veste, è la forza di se stesse che le circonda. Ed è proprio questa loro presenza, a volte difficile, che merita di averle conosciute.

Simona Oberhammer -
dal libro "La forza delle donne" di Simona Oberhammer



Se la regola del gioco è barare bisogna ammettere di ingannarsi per vincere...


«Non mi pare che stiano giocando con lealtà,» protestava Alice, «e poi battibeccano tutti con quanto fiato hanno in gola che uno non riesce neanche a sentire la propria voce... e le regole poi, così imprecise, ammesso che ce ne siano, non le rispetta nessuno...». 

Alice come la nostra consapevolezza finalmente cresce: decide di affrontare la Regina di Cuori (la legge morale imposta dal sociale) che offesa intima di mozzarle il capo, ma Alice ormai è tornata alle dimensioni reali e non teme nulla "Non siete che un mazzo di carte!" e a queste parole tutto il mazzo si alza in aria e ridiscende in picchiata su di lei: infatti quando sei diverso, quando sei originale, quando sei consapevole, il mondo ti viene addosso, le carte (le regole o leggi sociali o morali) ti giudicano, vogliono calpestarti. Alice cresce con le sue vesti, simbolo della personalità, per cui la sua gonna spazza il tavolo della giuria facendo cadere tutti i giurati. Dopo poco è diventata così grande che non si preoccupa più di re e regine ritrovando la giusta misura della realtà: "non siete altro che un mazzo di carte". 
E' diventata adulta, non teme giudizi, ha un autostima, sa guidarsi e reggersi da sola, può tornare nel mondo che la gente irreale chiama reale.




Buona giornata a tutti. :-)



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mercoledì 6 novembre 2019

“Buona giornata” – Erma Bombeck

L'espressione «buona giornata» fu coniata la settimana in cui finì la provvista di gasolio, l'acqua cominciò a scarseggiare, aumentarono le tariffe telefoniche, venne razionata la benzina e i prezzi della carne, del caffè e dello zucchero fecero il grande balzo in avanti. 
Era come se fosse finito il periodo di garanzia concesso al paese. 
«Buona giornata» era proprio l'espressione giusta.
Ecologia diventò la parola d'ordine. 
Mio marito si trasformò in un genio del riciclaggio. Fino a qualche anno prima credeva che il riciclaggio fosse un programma supplementare della lavatrice che gli strappava i bottoni dalle camicie e gli riduceva in brandelli la biancheria. Ora passa le giornate a trasformare in portasciugamani gli attaccapanni.
Un giorno mia figlia infilò la testa in cucina e mi disse che la situazione dell'ozono era precaria.
«Fammi capire», dissi. «La macchina perde l'antigelo? le mie cavità nasali stanno per emettere fumo? oppure qualcuno ha acceso l'accendino vicino alle carte ammucchiate nel seminterrato?»
«Sto parlando delle confezioni spray», gemette lei. «Non intendo più usarle e anche tu dovresti fare lo stesso. Ti rendi conto che il governo sta preparando un progetto di legge che proibirà l'uso dei prodotti spray contenenti fluorocarburi?» 
«Non mi sembra che ci fosse bisogno di sottoporre la questione al governo», dissi. «Mamma! Di certo hai potuto renderti conto da te di come i fluorocarburi contenuti nei prodotti spray stiano danneggiando lo strato atmosferico che protegge la terra dalle radiazioni solari.»
«Ma certo!» annuii. «Per non parlare di quando per sbaglio ci si spruzza il detersivo per il bagno sui denti. Voglio dire, chi vuole avere i denti schiumanti e deodorati?»
«Non posso crederci, mamma.» Sorrise. «Ti rendi conto che questa è la prima conversazione seria che io e te riusciamo a intavolare da anni?»
Passai in bagno e mi spruzzai le ascelle con un po' di deodorante. Può darsi che questi siano gli unici due ozoni che riuscirò mai ad avere, e ho intenzione di tenermeli stretti.
Buona giornata...


A mano a mano che la tecnologia della compagnia telefonica diventava più sofisticata, l'uso del telefono si faceva maledettamente complicato. 
Non mi ero mai resa conto del significato esatto della parola complicato fino a quando la compagnia dei telefoni lanciò una campagna pubblicitaria intesa a farmi risparmiare.
Tutte le volte che sollevavo il ricevitore, mi sembrava di vedere la faccia di un'impiegata della compagnia su un teleschermo, con mezza cornetta che le spuntava dall'orecchio. Diceva: «Usi la teleselezione. Risparmierà il sessanta per cento di notte e durante i fine settimana. Le tariffe diminuiscono con il diminuire della distanza. Ventidue minuti di conversazione con Nashville le costeranno come dieci minuti in un giorno feriale all'ora di punta».
Una domenica mi trovai a caricare la sveglia per le tre di notte, a chiamare in teleselezione un tizio di Nashville che non mi era mai andato a genio e a conversare con lui per quattro minuti, tutto questo per risparmiare un dollaro e venticinque cent. Era un'occasione che non potevo perdere. In effetti, nel corso di quattro settimane, riuscii a risparmiare abbastanza da telefonare a mia sorella nell'Ohio a un'ora civile, durante la settimana e con una centralinista ad annunciare la chiamata. Mi adattai alla situazione perché sapevo che si stavano facendo grandi progressi nel campo delle comunicazioni. Comunque la chiamata di una centralinista che mi chiedeva se avessi fatto una telefonata nel Nord Carolina e, nel caso di risposta affermativa, se potevo comunicarle il numero, perché non era stato registrato, mi colse assolutamente impreparata.
«Come ha fatto ad avere il mio numero?» le chiesi. «Non c'è, sulla guida.» «Dal servizio informazioni», disse lei.
«Vergogna», dissi io. «Che razza di spreco. E lo sa che se mi avesse telefonato durante il fine settimana, invece che all'ora di punta di un giorno lavorativo, avrebbe potuto risparmiare trentadue cent durante il primo minuto di conversazione?» «Ma io...»
«Non solo, se mi telefonerà per avere informazioni del genere altre tre volte questo mese, pagherà venti cent per ogni telefonata. Questi sono soldi. Suppongo che stia telefonando da un apparecchio d'ufficio, al cui numero viene addebitato l'intero costo del servizio, il che significa che ogni minuto di conversazione con me le viene a costare quaranta cent. Senta, mia cara, ora le farò un grosso favore e riattaccherò. Non credo che possa permettersi di parlare con me.»
Buona giornata...


L'Ammutinamento della Carne arrivò senza preavviso. Un giorno si mangiava di più e si pagava di meno, e quello dopo vennero immessi sul mercato duecentosettantotto prodotti per arricchire gli hamburger.
Le massaie non restarono con le mani in mano. Manifestarono davanti ai negozi, mangiando per protesta cibo per cani.
Alzarono cartelli con la scritta: BOICOTTATE LA CARNE. SUCCHIATEVI IL POLLICE.
E vennero pubblicati centinaia di libri di cucina povera per affrontare la crisi. (La cucina povera, $ 19.95.)
Da un giorno all'altro i macellai diventarono gli ospiti più ambiti ai cocktail e alle feste, al posto dei medici. Mi vergognavo come una ladra, ma non potei fare a meno di comportarmi come tutte le altre massaie.
«Com'è il filetto oggi, Fred?» chiesi un giorno al macellaio, quando chiamò il mio numero.
Si guardò intorno con aria circospetta. «Sei una mia buona cliente da due anni, Erma.
Mi hai curato il bambino quando c'era l'epidemia di influenza e mi hai prestato i soldi per aprire il negozio. Favori del genere non si dimenticano. (Feci un sorriso.)
Posso finanziarti l'acquisto di un filetto al sei per cento per trentasei mesi.»
«Ci vediamo a casa mia sabato sera?» dissi sorridendo.
«Puoi scommetterci», disse lui, agitando la mano in segno di saluto.
Avevo perso ogni pudore. «Ma guarda, è proprio Fred Astor. Odio tirare in ballo questo argomento a una festa, Fred, ma mi chiedevo se potessi darmi qualcosa per una bistecca dura. Il termometro segna normale e le ho già somministrato due cucchiai di 'ammorbidente'.»
Mi guardò con aria annoiata. «Dalle due aspirine e telefonami domattina», disse. «Ora, se vuoi scusarmi, stavo parlando con questa signora. Il suo girello ha un orzaiolo all'occhio.»
Restai lì, confusa. Chissà perché, mi sentivo meglio solo per aver toccato la mano dell'uomo che aveva toccato una costoletta...
Far la fila davanti al banco della carne un giorno dopo l'altro era molto deprimente.
Mi trovai a esaminare tagli di carne che in tempi normali avrei giudicato adatti a esser conservati in formalina al museo di storia naturale.
«Che cos'è quello?» chiesi un giorno a Fred. «Là nell'angolo.»
«Lingua.»
«Di chi?»
«Un anonimo benefattore», rispose lui seccamente. «E questa è trippa», disse, alzando un contenitore.
«Ah, davvero?» dissi io debolmente.
«Hai mai provato lo zampino di porco?»
«No, non si può mai sapere dove li hanno infilati.»
«Pollo?»
«Farò finta di non aver sentito.»
Feci segno a Fred di avvicinarsi: «Senti, Fred, ricordi quel filetto che mi hai finanziato la settimana scorsa? Be', dopo che gli hai tolto un po' di grasso, ha avuto uno choc e...»
«Non faccio visite a domicilio», disse lui freddamente.
«Allora perché non fai un salto a casa nostra domani sera», dissi. «Ci sarà un po' di gente e...»
«Il mercoledì gioco a golf», disse lui.
Buona giornata...
Quando il prezzo del caffè salì a due dollari l'etto, decisi di boicottarlo. Ci provai, ma sono fondamentalmente debole e non riesco a sopportare il dolore.
Ero conscia del fatto che sei etti di caffè costavano più del cappotto che avevo comprato ai tempi del mio matrimonio, ma non riuscivo a farne a meno.
Non potete immaginare le pressioni che esercitavano su di me le donne del quartiere.
Una mattina, mi trovai praticamente a correre a casa di Sara. Mi aveva invitato a far quattro chiacchiere davanti a una tazza da caffè.
Appena dentro la porta, Sara disse: «Vuoi una tazza?»
Mi mise in mano una tazza vuota.
«E il caffè dov'è?» chiesi.
«Non ho mai detto che ci sarebbe stato anche il caffè.»
«Senti, Sara, se è uno scherzo non è divertente. Hai idea di quello che darei per una tazza di caffè? Venderei i miei figli.»
«Saremmo tutte disposte a fare lo stesso.»
«Venderei il mio corpo.»
«Esagerata.»
«Sara, venderei il trofeo del bowling.»
«Vuoi cercare di darti una regolata? Dobbiamo restare unite, altrimenti il prezzo del caffè andrà alle stelle.»
«Senti», dissi, riacquistando la padronanza di me stessa, «non ho mai pensato che avrei finito con il fare un'ammissione del genere, ma io sono più vecchia di tutte voi e ricordo perfettamente la Grande Penuria di Caffeina del 1942, durante la guerra» «Non ne ho mai sentito parlare», disse Sara.
«Non sai quanto sei fortunata», dissi. «Io l'ho vista, mia madre, senza la tazza di caffè del mattino.
Lo spettacolo più penoso a cui abbia mai assistito. L'ho vista tostarsi e imburrarsi la mano e poi metterla nel piatto di mia sorella. L'ho vista sbattere la testa contro uno sgabello. L'ho sentita dire che c'era uno spiffero d'aria e invece aveva solo battuto le palpebre. Quando credeva che nessuno la stesse guardando, infilava la testa nel barattolo del caffè e inalava come una matta. Mio padre la sorprese mentre tentava di radersi la lingua. Uno spettacolo spaventoso.»
«Dev'esser stata un'esperienza terribile, per una bambina», cercò di confortarmi Sara, «ma fatti coraggio, non durerà a lungo.»
«Lo so», gemetti, «ma un giorno senza moka è un giorno senza sole.»
Non si può reggere a lungo una situazione del genere. Tornando da scuola dopo colazione, entrai di corsa in un bar e urlai: «Una tazza di caffè, per favore... posso pagare con un assegno di conto corrente?»
Buona giornata...

- Erma Bombeck -




Buona giornata a tutti :-)


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