C’è un solo avventuriero al mondo, e ciò si
vede soprattutto nel mondo moderno: è il padre di famiglia.
Gli altri, i
peggiori avventurieri non sono nulla, non lo sono per niente al suo confronto.
Non corrono assolutamente alcun pericolo, al suo confronto. Tutto nel mondo
moderno, e soprattutto il disprezzo, è organizzato contro lo stolto, contro
l’imprudente, contro il temerario,
Chi sarà tanto prode, o tanto temerario?
Contro lo sregolato, contro l’audace, contro
l’uomo che ha tale audacia, avere moglie e bambini, contro l’uomo che osa
fondare una famiglia.
Tutto è contro di lui. Tutto è sapientemente organizzato
contro di lui. Tutto si rivolta e congiura contro di lui.
Gli uomini, i fatti;
l’accadere, la società; tutto il congegno automatico delle leggi economiche. E
infine il resto.
Tutto è contro il capo famiglia, contro il padre di famiglia;
e di conseguenza contro la famiglia stessa, contro la vita di famiglia.
Solo
lui è letteralmente coinvolto nel mondo, nel secolo. Solo lui è letteralmente
un avventuriero, corre un’avventura. Perché gli altri, al maximum, vi sono
coinvolti solo con la testa, che non è niente.
Lui invece ci è coinvolto con
tutte le sue membra. Gli altri, al maximum, si giocano solo la loro testa, il
che non è niente.
Lui invece mette in gioco tutte le membra. Gli altri soffrono
solo per se stessi. Ipsi. Al primo grado. Lui solo soffre per altri. Alii
patitur. Al secondo, al ventesimo grado.
Fa soffrire altri, ne è responsabile.
Lui solo ha degli ostaggi, la moglie, il bambino, e la malattia e la morte
possono colpirlo in tutte le sue membra.
Gli altri navigano a secco di vele.
Lui solo, qualunque sia la forza del vento, è obbligato a navigare a piene
vele. Tutti hanno vantaggio su di lui e lui non ha vantaggio su nessuno. Si
muove continuamente con i suoi ostaggi, in lungo e in largo tra quei terribili
fortunali. Le cose che accadono, i guai, la malattia, la morte, tutto ciò che
accade, tutti i guai hanno vantaggio su di lui, sempre; è sempre esposto a
tutto, in pieno, di fronte, perché naviga su una larghezza immensa.
Gli altri
scantonano. Sono corsari. Sono a secco di vele.
Ma lui, che naviga, che è obbligato a
governare la nave su questa rotta immensamente larga, lui solo non può
assolutamente passare senza che la fatalità si accorga di lui. E allora è lui
che è coinvolto nel mondo, e lui solo.
Tutti gli altri possono infischiarsene.
Lui solo paga per tutti. Capo e padre di ostaggi, anche lui stesso è sempre
ostaggio. Che importa agli altri di guerre e rivoluzioni, guerre civili e guerre
straniere, l’avvenire di una società, ciò che accade alla città, la decadenza
di tutto un popolo.
Non rischiano mai altro che la testa. Niente, meno di
niente. Lui invece non solo è coinvolto dappertutto nella città presente.
Dalla famiglia, dalla sua razza, dalla sua discendenza da quei bambini è
coinvolto dappertutto nella citta futura, nello sviluppo ulteriore, in tutto il
temporale accadere della città.
Si gioca la razza, si gioca il popolo, si
gioca la società, mette come posta la società. Si gioca (tutta) la città,
presente, passata, a venire. Tale è la sua posta in gioco. Gli altri
scantonano sempre. Sono carene leggere, sottili come lame di coltello. Lui è
la nave grossa, pesante bastimento da carico. È il luogo d’appuntamento di
tutte le tempeste. Tutti i venti del cielo congiurano e si mettono d’accordo,
si abbattono da tutti gli angoli del cielo, accorrono e si intersecano da tutti
i punti dell’orizzonte per assalirlo. Lui scopre alla sorte, alla fortuna,
alla sfortuna che vigila, alla fatalità una larghezza (di spalle) (su cui
abbattersi), una superficie, un volume incredibile. Non è coinvolto solo nella
città presente.
È coinvolto dappertutto nell’avvenire del
mondo. E anche in tutto il passato, nella memoria, in tutta la storia. È
assalito dagli scrupoli, straziato dai rimorsi, a priori, (di sapere) in che
città di domani, in quale ulteriore società, in quale dissoluzione di tutta una
società, in quale miserabile città, in quale decadenza, in quale decadenza di
tutto un popolo lasceranno, consegneranno, domani, stanno per lasciare, entro
qualche anno, il giorno della morte, quei bambini di cui i padri si
sentono così pienamente, così assolutamente responsabili, di cui sono
temporalmente i pieni autori. Quindi per loro nulla è indifferente. Niente di
quello che succede, niente di storico è per loro indifferente. Soffrono di
tutto. Soffrono dappertutto. Solo loro hanno esaurito la sofferenza temporale,
tutto il dolore di chi vive nel tempo. Chi non ha mai avuto un bambino malato
non sa cosa sia la malattia. Chi non ha perso un bambino, chi non ha visto
morto il suo bambino non sa cosa sia il dolore. E non sa cosa sia la morte. E,
coinvolti da ogni parte nelle sofferenze, nelle miserie, in tutte le
responsabilità, sono tutti ingolfati nell’esistenza, sono pesanti e
impacciati, sono goffi, impediti nelle manovre; sembrano deboli e vili; non
solo lo sembrano; sono deboli, sono vili, sono codardi. Nella manovra. Capi
responsabili e appesantiti, carichi e responsabili di una banda di
prigionieri, prigionieri essi stessi, carichi, responsabili di una banda di
ostaggi, ostaggi essi stessi, non fanno un passo che non sia vigliacco, sembrano,
sono circospetti, sono prudenti, non fanno una mossa che non sia sconcertante.
E tutti li disprezzano e, quel che è peggio, hanno ragione a disprezzarli. Gli
altri scantonano sempre. Non hanno bagagli. Vili, scantonano con districamenti
politici. Coraggiosi scantonano con districamenti eroici, con districamenti
d’audacia. Temporali, scantonano verso la carriera e le dominazioni
temporali. Spirituali, scantonano, si defilano verso le osservanze della
regola. Storici, scantonano verso le carriere della gloria. Riescono sempre,
sia nella regola, sia nel secolo.
II padre di famiglia è solo, e condannato a
non riuscire affatto. Non può mai scantonare. Deve sempre passare in tutta la
sua larghezza. Ed è molto semplice, non ci passa. Non ci passa mai. Non passa
da nessuna parte. Non riesce né nella regola né nel secolo. Non riesce nella
regola, la regola si oppone. Prima di cominciare. Non riesce nel secolo. Il
secolo si oppone prima, durante, dopo. Non riesce nella politica e non riesce
nell’audacia… È troppo grosso. Ha tutta la famiglia attorno al corpo. È come la
donnola di La Fontaine, ma dopo che è ingrassata. Ha socialmente un grasso, un
tessuto adiposo sociale, che lo rende inadatto alla corsa. Ora, temporalmente
tutto non è altro che corsa, non è altro che concorso e concorrenza. Gli altri
corrono, intanto, gli altri arrivano, quelli magri, fini, sottili, socialmente
scarichi, sgombri di bagagli. Così tutti lo disprezzano; in sua presenza, tra
di loro, lo schermiscono; sordamente, involontariamente congiurano contro di
lui. Più di tutti gli altri, lo disprezzano i preti. Perché hanno questo (di
bello), quando si accaniscono su qualcuno, ci si riaccaniscono di preferenza.
Preferenzialmente. E quello che chiamano la carità.
Bisogna sottolineare attentamente che la vita
di famiglia è la vita più impegnata nel secolo, la vita meno conforme, la meno
simpatica, la meno affine alla regola. Vuol dire lasciarsi prendere, lasciarsi
abbindolare dalle apparenze più grossolane, commettere l’errore più smaccato,
e anche naturalmente il più comune, l’errore più frequente, quello di dire che
la vita pubblica è vivace, e la vita di famiglia è silenziosa, e la regola, la
vita regolare è anche lei silenziosa; e quindi la vita pubblica è non ritirata,
e la vita di famiglia è ritirata, e la regola, la vita regolare è anche lei
ritirata; e concluderne, credere, che sia la vita di famiglia che è vicina alla
vita di regola, apparentata alla vita di regola, e che sia la vita pubblica che
se ne è allontanata. Questo è lasciarsi prendere dalle più grossolane
apparenze. È diametralmente il contrario.
La vita di famiglia è agli antipodi della
vita della regola.
Nessun uomo al mondo è coinvolto nel mondo, nella storia e
nel destino del mondo quanto l’uomo di famiglia, tanto quanto il padre di
famiglia, così pienamente, così carnalmente. L’uomo pubblico invece, il vir
politicus, non è affatto coinvolto nel mondo, non è affatto coinvolto nella
storia e nel destino del mondo.
Cosa importa all’uomo politico, al demagogo, al
tribuno, all’oratore, al legislatore, all’eloquente, anche all’uomo politico
serio, all’uomo pubblico, all’uomo di Stato, all’uomo di governo, (e a maggior
ragione) al capo di partito (come tali), cosa importa al militare e al giudice,
al generale e al presidente di corte e al presidente di camera, (come tali,
come tali), che importa come tali al funzionario e al magistrato, al generale,
al deputato, al senatore, al giornalista, al pubblicista, all’esattore, e
all’usciere del ministero, cosa importa al signor sindaco; cosa importa come
tale a ogni uomo pubblico delle sorti della città presente, le sorti
ulteriori, la destinazione e il destino; cosa gli importa di cosa sarà di
questo popolo, cosa faremo di questo popolo; vi sono coinvolti solo con la
testa e qualcuno con la gloria; al massimo con l’onore, quando ne hanno:
niente, meno di niente. Non ci rischiano che la testa, al più, al maximum; al
meno, di solito l’avanzamento, la carriera, al più del meno l’apice; miserie.
Gloria temporale, onore temporale; niente, meno di niente. Avanzamento
temporale, carriera temporale, apice temporale, testa temporale; miserie. E le
gioie e le miserie del dominio. E le gioie e le miserie del denaro. Ecco tutto
quello che si giocano. Come tali. Se intanto, se insieme sono padri di
famiglia, cosa estremamente rara, l’operazione è tutta diversa, il
comportamento e l’azione pubblica è tutta diversa, tutta diversa la situazione
anche per così dire topografica, geografica, demografica. Cosa importa loro,
come tali, una rivoluzione, una guerra civile o straniera, un sabotaggio di
tutto un popolo. Una diminuzione, una decrescita; una perdita, forse
irrimediabile; una decadenza, forse irreparabile, irrevocabile. Tutt’al più si
giocano, nel temporale, una gloria del loro nome, la gloria, ulteriore, l’onore
o il discredito sul loro nome. Di solito questo tipo di considerazione li
lascia abbastanza freddi. Sono abbastanza poco sensibili a considerazioni di
questo tipo. Di solito.
Solo il padre di famiglia mette in gioco,
rischia, impegna infinitamente di più nella destinazione del mondo, nel secolo,
nella destinazione di tutto un popolo; nel futuro di una razza. Nel destino di
tutto questo popolo, nell’avvenire di questa razza impegna tutto, mette tutto,
la sua carne e di più; si gioca la razza, si gioca davvero il popolo, si gioca
la sua discendenza. II solo padre di famiglia, il padre di famiglia da solo. Ed
è un pover’uomo. Tormentato da scrupoli, assalito, invaso, tormentato da
rimorsi, per crimini che non ha affatto commesso, che non commetterà mai, che
altri mille, che tutti gli altri commetteranno, sente oscuramente, molto
profondamente, che è lui, in effetti, che è lui davvero il responsabile. Perché
è padre di famiglia. È uno dei casi più significativi che ci siano di responsabilità
senza colpa, di colpevolezza senza colpa. Eppure di responsabilità reale, di
colpevolezza reale; comune; misteriosa; di fatalità, anche; infinitamente più
profonda; segreta; in comunità, in comunione; con la creazione con (tutto) il
mondo; infinitamente più grave delle nostre proprie responsabilità, personali,
particolari, limitate, note, individuali e collettive; infinitamente più
profonda; infinitamente più vicina alla creazione stessa; e quasi (oscuramente
ce ne accorgiamo), quasi infinitamente più giusta, attinente alla creazione
stessa, al mistero, al segreto della creazione; una colpevolezza, allora,
infinitamente più seria delle nostre colpevolezze propriamente criminali.
Per il padre di famiglia (questo è lo stato,
costante, uno stato situazionale; è la sua stessa patente, la sua condizione ab
urbe condita, una volta fondata la famiglia. È la sua stessa definizione, il
pane di tutti i (suoi) giorni, il cruccio delle sue notti. È il midollo,
stesso, della sua vita, il segreto della sua esistenza, la sua regola
interiore, la sua regola esteriore, la regola del suo secolo, la sua regola di
secolo.
Ed è un pover’uomo; innocente criminale; innocente responsabile;
innocente colpevole; innocente assalito da scrupoli; innocente tormentato dai
rimorsi; legato, incatenato da ogni parte, mani, piedi, da tutti i lacci, da
tutte le catene, è lui, amico mio, è lui, e lui solo, che ha le relazioni pericolose;
confuso, prigioniero, ostaggio, manette alle mani, ganasce ai piedi, capo,
responsabile dei prigionieri, capo, responsabile degli ostaggi, fa pena, è
esposto a tutto, ai quodlibet, alle ingiurie, al peggio di tutto: a una sorta
di riprovazione, di malevolenza universale, di presa in giro, di tacita
ingiuria, (peggiore, infinitamente più grave di quella formale), perché se è
così tacita, se può essere così sottintesa, come se andasse da sé, per così
dire; non vale la pena di parlarne, perché tutti lo sanno bene; è una cosa
intesa, senza che ci si pensi, una cosa alla quale tutti consentono, a cui
tutti danno la mano.
È infinitamente peggio di una cosa infinitamente
concertata, che una cosa universalmente concertata. È una cosa universalmente
non concertata. Così è infinitamente meno demolibile. Una cosa che va da sé.
Che si sappia. Allora tutti ci calpestano sopra.
Allora, ringalluzzito, anche il prete ci
calpesta sopra. Clericus. Il sacerdote se ne accorge bene, un istinto di casta
lo avverte, uno degli avvertimenti, uno degli istinti più sicuri, uno degli
istinti più infallibili, un segreto orgoglio infallibile lo avverte che è lui
il nemico, il più lontano, il più straniero, che l’uomo di famiglia, che il
padre di famiglia è l’uomo più lontano dalla regola e dalla clericatura, l’uomo
del mondo più coinvolto nel mondo, un istinto segreto lo avverte che lui è
infinitamente più vicino al pubblico peccatore; e reciprocamente; che il
tribuno, l’oratore, l’eloquente, l’uomo della tribuna è infinitamente più
vicino all’uomo del pulpito, infinitamente più imparentato all’uomo del
pulpito, che l’uomo del meeting, della pubblica riunione è infinitamente più
vicino all’uomo della predica e all’uomo del sermone; più pronto, per l’uno e
per l’altro, sia per diventarlo, sia per subirne l’effetto, sia insieme l’uno
e l’altro, che sono dello stesso genere, che si passa comodamente e quasi
continuamente dall’uno all’altro, che c’è tra loro un’intesa, interna, un
accordo segreto, una somiglianza, almeno di modo, e in più che appartengono
allo stesso mondo; e per la regola che il celibe, l’uomo libero, il non
prigioniero, il non ostaggio, lo slegato, il non legato, l’inlegato, il mai
legato, lo scantonatore, il pié leggero, il corridore, il bombarolo, il
festaiolo, l’uomo all’erta è infinitamente più vicino; e più pronto, più
disponibile; che lui piace di più; che con lui ci si capirà meglio, ci si
intenderà sempre. E poi è lui che è un personaggio gradevole. Il padre di famiglia
è un povero essere. Tirar su solo tre bambini, pensa un po’. Che
grottesco, che ridicolo. Tutte le forze della società sono congiurate, si
congiurano contro una cosa del genere. Ora, il sacerdote è una forza della
società, fa parte delle forze della società.
Allora tutti calpestano il padre
di famiglia. Allora il sacerdote, ardito, lo calpesta. Non ha che indulgenza,
e che indulgenze, per tutti gli altri. Si crede di solito che il celibe, l’uomo
senza famiglia è un uomo di fortuna(e), un avventuriero, che vive di
avventure.
Invece è l’uomo di famiglia che è un
avventuriero, che vive non solo alcune avventure, ma una sola, una grande,
un’immensa, una totale avventura; l’avventura più terribile, la più costantemente
tragica; la cui vita stessa è un’avventura, il tessuto stesso della vita, la
trama e l’ordito, il pane quotidiano.
Ecco l’avventuriero, il vero, il reale
avventuriero.
- Charles Péguy -
Tanti auguri a tutti i papà... a quelli che lo sono ... a quelli che lo saranno ....
e un abbraccio a tutti gli uomini che vorrebbero ... ma la vita ha disposto altrimenti.
Un abbraccio!
Stefania