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mercoledì 15 maggio 2019

Gli inganni della mente

Girovagando per il mondo, a Gesù venne un'idea per mettere alla prova il suo amico Pietro.
«Ascolta, Pietro: ti piacerebbe avere un bel cavallo sul quale percorrere senza fatica lunghi tragitti?»
«Altrochè!» rispose Pietro di rimando. «Ho sempre sognato un destriero che obbedisca solo al mio richiamo e mi trasporti veloce come il vento». 
Già si immaginava ergersi impettito su un gran cavallo bianco, poi guardò il Signore, forse un po' vergognandosi di quel pensiero che lui certamente aveva letto nella sua mente.
«E allora, sai cosa ti propongo? Avrai quel cavallo se sarai capace di recitare tutto di fila un Padre nostro senza mai distrarti per un solo attimo.»
A Pietro non parve vero. Che ci voleva! Gli sembrava fin troppo facile come compito per un regalo così prezioso.
«Oh certo, non ci sono problemi, figurarsi, è dagli anni della nostra amicizia sulla terra che mi insegnasti questa preghiera e io da allora l'ho sempre recitata, e tu sai quanto tempo è passato!»
«Bene, Pietro, allora siamo d'accordo: tu reciterai il Padre nostro senza mai distrarre la tua mente e il cavallo sarà tuo» disse Gesù tutto serio.
A Pietro non parve vero e senza aspettare un solo istante cominciò la sua orazione. Si fosse almeno concentrato un po'!... 
Macchè, via con il Padre nostro.
«Padre nostro che sei nei cieli, venga il tuo regno... acciderba con un cavallo attraverserei tutto un regno... sia fatta la tua volontà... tutto è sua volontà, forse anche il fatto che io abbia un cavallo..., come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano... anch'io darei ogni giorno la biada al mio cavallo. .. rimetti a noi i nostri debiti, così come noi li rimettiamo ai nostri debitori... non dovrei neppure fare un debito per avere questo cavallo.. .non ci indurre in tentazione...»
E qui Pietro si fermò, conscio solo in quel momento di quale tiro birbone gli aveva giocato la mente!
«Pietro, Pietro, dopo tanto tempo ancora non hai imparato che il cavallo più difficile da domare è proprio la nostra mente.»
«Perdona, Signore, ma è stato senza che io me ne accorgessi. 
D'ora innanzi sarò molto più consapevole che non sempre io sono padrone della mia volontà, ma che la mente può in un attimo portarmi dove lei vuole.»
«Non c'è problema, Pietro» rispose Gesù. «Certo è che oggi tu ci hai rimesso un cavallo».

- Leggenda popolare apocrifa greco-romana -
da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 



Buona giornata a tutti. :-)








sabato 16 marzo 2019

L'incontro - Antica leggenda giudeo-cristiana

A Gerusalemme era festa. La gente percorreva le strade vociando, bancarelle cariche di merce punteggiavano qua e là la città come piccole aiuole fiorite e i bambini, eccitati da quell'atmosfera gioiosa, correvano rimbalzando fra un richiamo e l'altro dei genitori. 
Uno di loro, approfittando della confusione, si allontanò in fretta. Era un bimbetto di sette anni, magro e scuro di pelle, con grandi occhi neri in perenne movimento. Scrutava ogni cosa, curioso di quel mondo a lui ancora sconosciuto. Tutto lo interessava e la sua voglia di sapere gli era valsa il soprannome di "Perché".
Ogni creatura incontrata sulla sua strada si trasformava subito in una domanda, perenne angoscia per chi gli stava intorno.
Tutto per lui poteva essere fonte di conoscenza e, di domanda in domanda, finiva sempre per allontanarsi da casa, come un piccolo esploratore mai sazio di nuove avventure.
Quel giorno stava seguendo uno strano cane zoppicante che sembrava, come lui, all'inseguimento di un non ben identificato oggetto misterioso.
Gira di qua, svolta di là, il cane e il suo piccolo inseguitore si trovarono sulle
colline, in un piccolo podere chiamato Orto del Getsemani.
Si faceva sera e le prime ombre rendevano la caccia ancora più interessante.
Il cane aveva allungato l'andatura e ora il piccolo "Perché" stentava a stargli dietro. Con rammarico gli pareva ormai di aver perso le sue tracce quando, a un tratto, ritrovò la sua pelosa preda tutta scodinzolante ai piedi di un uomo, seduto lì, tutto solo.
L'uomo accarezzava il cane lentamente come se avesse la consapevolezza che quel gesto non sarebbe stato mai più ripetuto.
«Ciao, signore, è tuo il cane?» chiese il bimbo arrivando di corsa tutto trafelato.
«No» rispose lui, accorgendosi solo in quel momento del sopraggiungere del piccolo.
«Perché stai qui, mentre tutti sono in città per la festa?»
L'uomo sembrava sorpreso di quell'incontro imprevisto, titubante fra disagio e accoglienza.
Ci pensò un po', poi sorrise e gli disse: «Perché qui aspetto mio padre».
«Ma io non vedo tuo padre: è molto vecchio?»
«È molto vecchio e molto giovane.»
«Come può essere vecchio e giovane?»
«Tu una volta eri piccolo, oggi sei molto giovane, poi diventerai un uomo e, in un futuro ancora più lontano, sarai molto vecchio; lui invece in ogni istante è già tutta la sua vita.»
«Oh, mi piacerebbe conoscere tutta la mia vita!» rispose il bambino convinto. Poi ci ripensò: «Se sapessi cosa mi accadrà domani, forse non farei quello che faccio, ma qualcosa d'altro. Che dici?».
«Oh certo, piccolo, ma se tu non facessi quello che stai facendo, anche quello che ti accadrà domani sarà diverso!»
«Uh, com'è complicato! Allora cosa devo fare?»
«Fai bene quello che ti chiede ogni momento; al resto ha già pensato Dio.»
«In questo momento sto bene qui con te, e tu?»
«Anch'io in questo momento sto bene qui con te.»
«E domani tu cosa farai?»
«Quello che Dio vorrà.»
«Allora perché sei triste? Dio non vuole per te una cosa bella?»
«Dio non prevede cose belle o brutte, lui non pensa come noi.»
«Allora quello che noi pensiamo non è mai quello che pensa Dio?»
«No, non è mai la stessa cosa.»
«Perché?»
«Perché la nostra mente è piccola e vede entro piccoli confini, mentre Dio non ha nessun confine, per lui non esiste tempo e non esiste spazio.»
«Non riesco a immaginare nulla così come tu dici.»
«Certo, è per questo che devi fidarti di lui.»
Il cane si era rialzato e dimenava la coda guardando ansioso ora Gesù e ora il suo piccolo inseguitore, nella speranza che uno di loro lo facesse giocare.
«Ma tu, come ti chiami?»
«Gesù di Nazareth.»
«Hai bambini?»
«Si, tanti.»
«E quanti?»
«Questa notte guarda il cielo: ogni stella è un mio bambino.»
Il piccolo "Perché" non parve affatto sorpreso da quella risposta, come ogni fanciullo aveva il dono di penetrare la realtà attraverso una porta fatata, oltre la quale le stelle non sono più stelle ma palpitanti creature e ogni parola possiede un magico significato.
«Sarebbe bello giocare lassù con i tuoi bambini... Come posso arrivarci?»
«Vieni qua in braccio a me e chiudi gli occhi» gli rispose Gesù.
Accoccolato su quelle ginocchia, il bimbo fu trasportato in un luogo talmente fantastico che mai poté descriverlo ad altri, ma che mai cessò di ricercare per tutto il resto della sua vita.
Si faceva buio, ma "Perché" non voleva lasciare il nuovo amico.
«Ora vai, piccolo mio, i tuoi genitori ti staranno cercando» gli disse Gesù dolcemente, staccandosi a malincuore da quell'ultimo tenero incontro.
«Gesù, quando potrò rivederti ancora?»
«Quando vorrai chiudi gli occhi, dimentica il mondo che ti circonda e mi troverai.»
Il piccolo "Perché" correva verso casa allargando le braccia come un uccellino nel vento, ogni tanto si girava per gridare il suo saluto, il cane lo seguiva saltellando festoso e Gesù li guardava pensoso finché scomparvero all'orizzonte.

- Antica leggenda giudeo-cristiana -

da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 

Sandro Botticelli, Orazione nell'orto, 1500 ca, Granada, Cappella Reale

Buona giornata a tutti. :-)







mercoledì 20 febbraio 2019

L'uomo che perse e riacquistò la parola

Accadde un pomeriggio, quando tutta la gente del villaggio, radunata davanti al tempio, aspettava l'offerta all'altare del profumo, nel tempio del Signore.
In quella quieta giornata, all'apparenza come tante altre nel regno di Erode re di Giudea, al vecchio e saggio sacerdote Zaccaria accadde ciò che sto per narrarvi.
Il nostro sacerdote apparteneva alla nobile famiglia di Abia ed era sempre vissuto in quella dolce terra dove il sole, i profumi e la calda sabbia rendono l'orizzonte perennemente sfocato e ciò che ti circonda pieno di luce.
Fin dalla fanciullezza Zaccaria era stato attratto dal fascino del tempio, dal quale udiva uscire il lento salmodiare degli anziani e nel quale egli percepiva battere il cuore del suo villaggio.
Sedotto da quello che per lui era un magico incanto, Zaccaria crebbe forte nel sapere e nella fede fino a diventare egli stesso custode di quel tempio tanto amato.
Per lunghi anni con lui visse la sua compagna, Elisabetta, piena di bellezza e di grazia, e la loro unione, con l'andare del tempo, divenne l'esempio citato ad ogni coppia di giovani sposi.
Si può pensare che Zaccaria fosse veramente un uomo appagato avendo accumulato sapere, saggezza e pace nella sua casa. Ma mai nell'uomo alberga la totalità: così anche a lui mancava un pezzetto di felicità.
Infatti, il grande desiderio che la vita non gli aveva concesso di realizzare era la nascita di un figlio.
Probabilmente così aveva scelto il Signore, pensava Zaccaria, trovando conforto solo in questa riflessione, oppure semplicemente così aveva architettato la natura, rendendo sterile Elisabetta.
Va da sé che il nostro devoto sacerdote si guardava bene dal muovere rimprovero a chicchessia e, anno dopo anno, aveva visto svanire ogni sua speranza di paternità.
Nel giorno di cui stiamo narrando toccava proprio a Zaccaria officiare un rito di offerta nel tempio ed egli vi si stava recando con l'usuale devozione, ringraziando più per quanto nella sua lunga vita aveva ricevuto che rimpiangendo ciò che non gli era stato concesso.
Sul piccolo spiazzo sabbioso scambiò alcune parole amichevoli e si fermò a bere un mestolo d'acqua fresca dal pozzo, usanza che acquistava un particolare significato per ogni uomo di quell'arida regione.
Era quello un momento di convivenza e partecipazione molto caro a Zaccaria, che ogni giorno ascoltava con comprensione e saggezza sia le confidenze sia le richieste di consiglio da parte della popolazione del villaggio.
Giunta l'ora di officiare il rito e lasciato fuori il mondo, il sacerdote entrò tutto solo nell'avvolgente aroma di olio e incenso che avevano il buon profumo di Dio e della sua pace.
Grande fu quindi il suo stupore nel percepire, proprio accanto all'altare, una presenza che non avrebbe dovuto esserci.
Chi mai aveva osato entrare nel tempio prima di lui, sconvolgendo l'usanza?
Si voltò deciso da quella parte e rimase impietrito. Non vi erano dubbi: quello che vedeva non poteva che essere un angelo di grande bellezza, fatto di infiniti pulviscoli di luce iridescente, come un raggio di sole che sciabola improvvisamente in una stanza.
Abituato all'attenta lettura delle Sacre Scritture, Zaccaria seppe subito che un Messaggio divino stava attraversando la sua strada e che lui nulla contava né poteva fare in quell'attimo.
Anche il grande angelo sapeva, nella sua profonda conoscenza dell'uomo, che il vecchio sacerdote aveva paura di quell'apparizione che, benché conosciuta sui libri, era ignota alla sua consapevolezza, e subito lo rassicurò.
«Non temere, Zaccaria, perché io sono un angelo del Signore e ti dico che il tuo desiderio è stato esaudito. Tu avrai la gioia di un figlio che si distinguerà fra gli uomini, gli darai nome Giovanni e il suo cammino sulla terra sarà ricordato nel tempo.»
Nel preciso istante in cui quelle parole furono pronunciate, la mente del sacerdote si frappose velocissima fra lui e il volere divino. Cosa suggerì? Nessuno lo sa: forse un pensiero d'orgoglio per essere in quell'attimo un prediletto o forse il dubbio sulla possibilità che la previsione dell'angelo si avverasse.
Certo fu che la bocca di Zaccaria si aprì in una risposta che forse il suo cuore non avrebbe dato: «Ma come è possibile quello che mi stai dicendo? Io e mia moglie siamo ormai anziani e lei mai poté concepire un figlio!».
«Io sono Gabriele e sto davanti a Dio, raccolgo i suoi voleri e li paleso agli uomini; ma tu non hai avuto abbastanza fiducia nella sua onnipotenza e così perderai quella parola che più di ogni altra cosa serve all'uomo per manifestare pensieri ed emozioni. D'ora innanzi tu sarai muto». 
E così dicendo lo sfiorò con le ali, spargendo intorno a sé miriadi di coriandoli luminosi.
Come era apparso in un turbinio di luce, Gabriele sparì, portandosi via la voce di Zaccaria che rimase lì stupefatto, sconvolto e turbato, ma ormai incapace di condividere con altri ciò che aveva visto e udito.
Uscito dal tempio, lo accolse il tranquillo parlottare della gente che aspettava di poter a sua volta entrare. Tutti si sarebbero aspettati una delle sue solite frasi cordiali, e invece niente... solo silenzio... silenzio assoluto.
Zaccaria era pallido e sudato. Il suo imbarazzo, di fronte a tanti occhi che lo guardavano, era davvero grande, ma così era accaduto e lui nulla poteva fare né, soprattutto, dire.
In paese, tutti s'interrogavano sull'improvviso mutismo del sacerdote, chiedendosi se per caso non avesse visto cose talmente inenarrabili da togliergli addirittura la favella e qualcuno sussurrava: «A volte Dio si mostra, ma non essendoci parola appropriata per esprimere ciò che accade in quel momento, non rimane che il silenzio».
Passarono i mesi e quanto era stato predetto si avverò. 
A Zaccaria ed Elisabetta nacque un bimbo e il sacerdote esultò nel suo cuore, non potendo esprimere la sua immensa gratitudine al Signore con alcuna parola.
I due genitori furono festeggiati come mai era successo nel villaggio: quella nascita era un vero prodigio!
II figlio di Elisabetta e Zaccaria fu portato al tempio, affinché Dio lo accogliesse ufficialmente fra il numero dei suoi figli terreni. Non rimaneva dunque che una domanda: come avrebbero chiamato il bimbo?
«Giovanni, dovrà chiamarsi Giovanni!»
Chi aveva pronunciato con tanta forza quel nome? Tutti si voltarono verso di lui e Zaccaria, più stupito degli altri, si accorse di aver ritrovato la parola proprio nel momento giusto per rispettare il volere dell'angelo.
«Giovanni, sì, sarà Giovanni il suo nome» ripeteva fuori di sé dalla gioia, riascoltando il suono di quelle parole che uscivano dalla sua bocca.
«Dio mio, quanto sei grande!» esclamò a un tratto Zaccaria a gran voce. Egli era felice per quel bimbo che gli era appena stato donato, ma soprattutto lo era per l'incontenibile emozione esplosa in quel grido d'amore.
In quel momento, se qualcuno dei presenti avesse avuto occhi buoni per vedere, si sarebbe accorto di una miriade di pulviscoli luminescenti che andava scomponendosi nella luce del sole.

- Dai Vangeli apocrifi - 
da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 





Risveglia il mio spirito, Signore.
Apro il libro della mia esistenza
Davanti a te, Mio Dio.
Gusto la tua dolce presenza
E ascolto il mormorio dello Spirito
Che parla e risveglia il mio intimo.
Donami di vivere nella costante ricerca
Del senso più profondo della vita
E di saper discernere
Dove lo Spirito orienta il mio cammino.

- suor Anna Maria Vissani - 
da: "La preghiera che è in te", ed. Velar, Elledicì


Buona giornata a tutti. :-)







lunedì 18 febbraio 2019

Le ciliegie di san Pietro

Come voi certamente già sapete, Gesù e san Pietro, di tanto in tanto, ritornano sulla terra per concedersi qualche giorno in mezzo agli uomini e, ma questo è un segreto, perché amano più di ogni altro il nostro pianeta.
Ed ecco che una bella mattina si trovavano a spasso per le campagne della Navarra quando Gesù vide qualcosa in mezzo all'erba.
Osservando più da vicino si accorse che si trattava di un ferro di cavallo, forse un po' arrugginito ma sempre valido. Si rivolse quindi a Pietro pregandolo di chinarsi a raccoglierlo. «Non si sa mai» disse Gesù: «non è detto che non possa servirci».
Pietro, sempre polemico e anche un po' pigro, si domandò quale utilità potesse mai avere per loro quel vecchio ferro; il Maestro a volte gli pareva davvero bizzarro con quelle sue strampalate richieste.
Con fare noncurante gli diede un leggero calcetto togliendolo dal bordo del sentiero. Gesù fece finta di nulla ma, mentre Pietro era tutto infervorato in una discussione su importanti questioni morali, si chinò e raccolse il ferro.
Camminarono quindi fino a raggiungere un villaggio dove contavano di fermarsi a riposare un poco.
Mentre Pietro gironzolava curioso, Gesù adocchiò una bottega di maniscalco al quale pensò di offrire il ferro appena raccolto in cambio di qualche soldo. Con quelle poche monete comprò da un ambulante una manciata di succose ciliegie mature che subito ripose nella sua tasca.
Poco più tardi i due viaggiatori si ritrovarono vicino a una fontanella e si sedettero sul muretto di pietra da cui l'acqua trasbordava fresca e rilucente. Pietro, come sempre, aveva una buona scorta di pettegolezzi raccolti ascoltando gli abitanti del piccolo borgo e Gesù stava divertito ad ascoltarlo.
Venne l'ora di riprendere il cammino e i due forestieri si lasciarono alle spalle il villaggio, intenzionati a raggiungere un monastero di cui avevano tanto sentito parlare da un ospite del Paradiso e dove avevano quindi deciso di passare la notte.
La giornata era caldissima, anzi torrida. Tutto pareva d'oro: il sole, il cielo, i campi colmi di spighe mature e persino l'erba ricordavano il biondo metallo.
Pietro cominciò a provare un'incredibile arsura e, come spesso accade, quel pensiero gli riempì talmente la mente che null'altro pareva avere ormai interesse per lui.
«Cosa c'è, Pietro? Qualcosa non va?» chiese Gesù sollecito.
«Niente, Signore, sto meditando» rispose pronto Pietro, che non voleva confessare quella sua debolezza tutta umana.
Proseguirono in silenzio, Gesù davanti e Pietro dietro di lui, finché dalla tasca di Gesù scivolò a terra un succoso frutto rosso. C'era forse un buchino in quella tasca? Neanche a farlo apposta, rotolò proprio davanti ai piedi di Pietro che, senza proferire parola, lo raccolse come una vera manna piovuta dal cielo.
Che frescura, che nettare, che delizia gustare quel frutto e spremerne il succo nel palato riarso! Quando, dopo pochi passi, un'altra ciliegia cadde a terra, a Pietro non parve vero. Si chinò in fretta, sbirciando appena davanti a sé per controllare che il Maestro non lo vedesse, ma Gesù camminava tranquillo e silenzioso come se nulla fosse.
Una ciliegia dopo l'altra, la tasca si svuotò e Pietro fece una gran scorpacciata di gustose ciliegie, riuscendo a togliersi la sete e riprendendo la sua baldanza.
A un tratto il Signore si voltò verso di lui.
«Fermiamoci sotto l'ombra di quest'albero: potremo riposarci un po'. Fa così caldo!»
Solo in quel momento Pietro cominciò a chiedersi che cosa avrebbe detto se Gesù avesse voluto mangiarsi qualche ciliegia. Che sciocco era stato, si era lasciato prendere dal desiderio di liberarsi dalla sete e dalla golosità per quei frutti squisiti, e ora... come giustificarsi?
Cercò di liberare la gola che pareva aver eretto una barriera contro qualsiasi parola avesse voluto uscire, e bofonchiò qualcosa come... «Sì... d'accordo... sediamoci qui... già, fa caldo... ma tu non hai sete?». Si sentiva così vulnerabile, come un umano qualsiasi colto in flagrante nell'atto di commettere un misfatto.
«Siediti qui, amico mio». Il dolce richiamo del Maestro lo fece sentire ancora più in colpa. Quante volte questo copione era già stato recitato e perché non riusciva a sconfiggere quel suo limite che lo faceva agire d'impulso, senza mai dargli il tempo di riflettere? Era un incorreggibile zuccone!
«Ascolta, Pietro». Gesù iniziava sempre così con il suo amico, perché sapeva bene in quale stato d'animo si trovasse. «Quante volte ti sei chinato di nascosto per raccogliere le ciliegie che cadevano dalla mia tasca? Non sarebbe stato più saggio ubbidire alla mia richiesta e chinarti una sola volta per raccogliere il ferro di cavallo? 
Avresti potuto venderlo tu al villaggio e ci saremmo goduti in santa pace quelle buone ciliegie. Ma non devi rammaricarti: tu sei fatto così e un giorno, quando sarà il momento, imparerai da solo che fidarti di me conviene sempre».
Dette queste parole, Gesù batté tre volte le mani e un bel cesto di ciliegie comparve lì sul prato.
«Dai, non fare quella faccia: gustiamoci insieme questi meravigliosi frutti. Dopo tanto cammino ce li siamo meritati.»

- Antica leggenda armena - 
da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 


Buona giornata a tutti. :-)