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martedì 24 novembre 2015

Chi ha ucciso la torta di mele? - Erma Bombeck

È una sensazione spaventosa svegliarsi una mattina e scoprire che mentre si dormiva si è passate di moda.
È quello che è successo a milioni di casalinghe, che un bel giorno si sono guardate allo specchio e hanno detto: «Abbassare il coperchio della tazza del cesso dieci volte al giorno non basta a realizzarmi».
Le donne erano stufe di schiacciare pulsanti. Per di più i pulsanti avevano cominciato a vendicarsi. 
Una mattina una casalinga di New York, mentre puliva il tappeto con l'aspirapolvere, si chinò a raccogliere un oggetto. I capelli rimasero imprigionati nella spazzola e la poveretta cadde a faccia in giù sull'elettrodomestico, subendo un elettrochoc alla parte sinistra della testa.
Così le casalinghe cominciarono a dubitare della validità della teoria formulata da un'associazione medica britannica, secondo la quale i lavori domestici erano il segreto della longevità femminile: tutto quel movimento prolungava la vita.
Un pomeriggio, mentre, inginocchiata sul pavimento, col peso di tutti i letti a castellosulla schiena, cercavo di infilare le assicelle nelle scanalature, mio marito mi chiese:
«Che cosa fai lì sotto?»
«La cura della giovinezza», dissi seccamente.
«Quegli aggeggi si spostano in continuazione», disse lui. «Perché non comperi delle assicelle più lunghe?»
«Erano più lunghe quando le abbiamo comprate», dissi io.
«Ricominci con quella tua assurda storia degli oggetti inanimati che crescono e rimpiccioliscono? Star chiusa qua dentro tutto il giorno ti fa male al cervello. Dovresti uscire di più. Quando finisci di sistemare tutta questa roba, perché non fai qualcosa che hai sempre desiderato di fare?»
Mi accovacciai per terra e mi misi a riflettere. 
Quello che avevo sempre desiderato di fare era scapparmene di casa. 
Sapete cosa voglio dire. Si segue una dieta ferrea per due settimane e si ingrassa di un chilo. 
Ci si spezza la schiena per riuscire ad andare a una svendita di biancheria e si scopre che sono rimaste solo lenzuola matrimoniali da sopra, o a una piazza da sotto, e federe formato gigante.
La vostra migliore amica (nella quale avete sempre riposto la massima fiducia) vi telefona per dirvi che è appena riuscita a scoprire come si fa il pane in casa. 
Qualche spiritoso ha scritto AIUTO nello strato di polvere che ricopre i tendaggi.
Il supermercato ha smesso di regalare le posate prima che abbiate completato il servizio, e vi accorgete, dopo aver passato quaranta minuti a stirarlo, che il vestito di lino vi sta stretto.
Siete bloccati nel traffico in una strada a senso unico e alla macchina davanti alla vostra si sgonfia una gomma. 
Quando la vostra vicina esce per andare in ufficio le gridate dietro: «Spero proprio che qualcuno abbia riempito di briciole di gomma la tua IBM».
E vi rendete conto di non farcela più.
Poi, un giorno, su una delle riviste più importanti, lessi un articolo dal titolo «È cominciata l'era delle donne».
Sopra l'articolo c'era la fotografia di una bionda bene in carne in un cantiere, circondata da un gruppo di uomini e intenta a spiegar loro i particolari di un progetto. Indossava un paio di scarpe in tinta con il caschetto giallo di Gucci. Nella seconda fotografia la medesima bionda, fasciata da un diafano pigiama, in piedi davanti a un fornello, sorvegliava sorridendo la cottura di un filet-mignon (ricetta a pagina 36), mentre il marito condiva l'insalata e i bambini preparavano amorosamente la tavola. 
Mi venne voglia di vomitare.
Anch'io volevo vivere nell'«era delle donne». (Anche se la mia «era» ormai non «era» più.) Immaginatevi un po'! Uscire tutte le mattine per recarsi in un ufficio tappezzato di moquette... mangiare pane fresco a colazione... usare un telefono luccicante invece che sporco di marmellata d'uva... profumarsi l'incavo delle ginocchia e far girare la testa ai fattorini.
E dissi a me stessa: «Basta. Se trovo una baby-sitter mi cerco un lavoro». 


Da: “Se la vita è un piatto di ciliegie, perché a me solo i noccioli?di Erma Bombeck, ed. Longanesi




Una volta presa la decisione, passai sei mesi a esaminare una serie di aspiranti baby­sitter. 
È deprimente rendersi conto che nessuno vuol fare a pagamento un lavoro che voi avete fatto gratis per anni. 
Una delle ragazze poteva lavorare solo fino all'ora in cui i ragazzi tornavano da scuola. Un'altra credeva nei sonnellini fino a trentacinque anni suonati e una terza venne a lavorare un giorno, poi se ne andò dicendo: «Ma lei si aspetta davvero che io continui a lavorare in una casa dove la caraffa dell'acqua sembra una di quelle palle di vetro con la neve dentro che cade quando le si capovolge?»
Le altre donne, scoprii in seguito, avevano lo stesso problema. 
Una mia amica, infermiera diplomata, raccontò una storia terribile. 
Aveva trovato una «perla» disposta a tenere i bambini purché le si dessero istruzioni precise. Il primo giorno la mia amica le lasciò il seguente biglietto:
Tony deve prendere un cucchiaino della medicina rosa che troverà in frigorifero alle otto, e un altro prima di colazione. Ha l'impetigine, quindi si lavi bene le mani con acqua e sapone e non lasci che gli altri bambini bevano nel suo bicchiere.
Paola deve prendere un cucchiaio della medicina arancione nella boccetta marrone alle otto, e un altro all'ora di colazione. Per colazione ci sono affettati di ogni tipo, marmellata, ecc.
Paola deve andare sul vasino ogni due o tre ore. C'è un vasino al piano di sopra e una seggiolina nella stanza dei giochi.
Il cane non deve mangiare la gomma da masticare. La adora, ma poi bisogna portarlo dal veterinario. Deve prendere una pillola (non anticoncezionale) al giorno, perché ha una leggera infezione. Chieda a Franco (che va e viene tutto il giorno) di tenerlo, quando gliela dà, perché c'è rischio di beccarsi un morso.
Se telefona qualcuno si faccia lasciare un messaggio. Non usi la tazza del bagno di servizio. L'acqua non scorre. Se ha bisogno di qualcosa, mi telefoni. Se le chiedono chi parla, dica una delle infermiere.
Quando tornò a casa, trovò la porta d'ingresso imbrattata di sangue d'agnello e un grosso cartello che metteva in guardia contro le malattie infettive. La baby-sitter se l'era squagliata.

Da: “Se la vita è un piatto di ciliegie, perché a me solo i noccioli?di Erma Bombeck, ed. Longanesi


Basta andare a lavorare una volta nella vita per scoprire che questa storia dell'«era delle donne» è una gran balla. Forse hanno scambiato le didascalie sotto le foto. Forse quella bionda indossava il pigiama diafano in ufficio e il caschetto giallo in casa. Dio sa se è necessario avere qualcosa in testa, quando te la martellano di urla tutto il giorno.
Dov'erano le fotografie di lei mentre corre intorno al tavolo della cucina in pantofole, con due costolette sotto le ascelle per scongelarle più in fretta, urlando come una pazza «Va bene, disgraziati, lo so che ci siete, sento il brontolio del vostro stomaco»? 
A sentire il giornalista, la soluzione del problema lavoro esterno - lavoro domestico stava in un programma scritto per tutti i membri della famiglia, nel quale si elencavano i doveri e le responsabilità di ciascuno. 
Alla madre restava così il tempo non solo di lavorare tutto il giorno fuori casa, ma anche di dipingere, cucirsi i vestiti da sé, andare a cavallo e candidarsi alle presidenziali.

Da: “Se la vita è un piatto di ciliegie, perché a me solo i noccioli?di Erma Bombeck, ed. Longanesi



Le cose non sono affatto così semplici. Una sera telefonai a casa e dissi: «Voglio parlare con papà».
«È dal dentista», disse mio figlio. «Stamattina si è spezzato un dente con il pane surgelato.»
«Ah! E a chi toccava sgelare il pane, secondo il programma?»
«A me, ma avevo dimenticato le chiavi, sono rimasto chiuso fuori e ho dormito da Michele. Anche il garzone del droghiere è rimasto chiuso fuori. 
Nel garage ci sono due casse di acqua minerale.» «Dov'è tua sorella?»
«Ho rifatto il letto con lei dentro. Non mi parla più. 
La lavatrice è piena di panni bagnati tutti macchiati di marrone. Stiamo sgelando le costolette sotto il tuo casco. Indovina chi ha dimenticato di metter fuori il cane tornando a casa? Quando torni?» «Domani. Sentite la mia mancanza?»
«No ma, stando al programma, domani i piatti toccherebbero a te.» 
Parità di doveri è la parola d'ordine del movimento di liberazione della donna. 

Da: “Se la vita è un piatto di ciliegie, perché a me solo i noccioli?di Erma Bombeck, ed. Longanesi



Comunque, ci sono alcune regole fondamentali, alle quali è necessario attenersi, quando la madre lavora fuori casa. Primo: quando rompere e quando non rompere. In altre parole, quando si può telefonare alla mamma in ufficio?
Esistono i casi di emergenza. Su questo non ci sono dubbi, ma bisogna pure cercare di stabilire alcuni criteri generali di guida.
Prima di telefonare alla mamma in ufficio, un bambino dovrebbe chiedersi: 
1) Le verrà un colpo quando le racconterò questa? 
2) Riuscirà a trovare un idraulico dopo le cinque? 
3) Metterà in atto la minaccia di trasferirsi in un'altra città e cambiare nome? Se le risposte sono «Sì, No, Sì», sarebbe bene che il bambino tentasse di inquadrare l'incidente nella giusta prospettiva.
Per esempio, se si tratta di un fatto di sangue, il suddetto bambino dovrebbe prendere in considerazione i seguenti particolari: si tratta di sangue suo? o del fratello? ce n'è molto? poco? sul divano senza fodere scozzesi? su quello da cinquecento dollari di cui i genitori stanno ancora pagando le rate? il sangue si fermerà? si è trattato di un incidente? di un dentino traballante? si può tacere e far finta che si tratti di una puntura di zanzara?
Un altro esempio: quando nel quartiere un bambino su due decide che la vostra casa è il posto ideale per giocare, perché non ci sono adulti in giro durante il giorno, vostro figlio dovrebbe chiedersi: «Voglio passare l'adolescenza chiuso nella mia stanza senza cibo e senza televisione? tengo veramente all'amicizia di un bambino che lancia i cubetti di ghiaccio al canarino? la mamma si accorgerà che abbiamo usato il frullatore per fare i coriandoli?» Altre situazioni sulle quali non lasciar adito a dubbi:
Quando un gruppo di bambini decide di lavare il gatto, lo mette nella lavatrice e vuole sapere che programma usare...  TELEFONARE IMMEDIATAMENTE. 
Quando lui e suo fratello stanno facendo a botte per l'ultima coca e lui vuole un parere autorevole su chi dovrebbe averla vinta... NON TELEFONARE. Quando un paio di uomini con un furgone gli dicono che la sua mamma vuole una fodera per il televisore, un posto sicuro in cui tenere l'argenteria, una bella pulita ai gioielli e una sistemata alla bicicletta a dieci marce, TELEFONARE ... E IN FRETTA. 
Quando sua sorella lo insegue per la casa con la canna per innaffiare i fiori e i mobili stanno stranamente diventando tutti bianchi, CORRERE.
Quando si annoia e non ha niente da fare e vuol solo scambiare due parole con qualcuno, TELEFONARE AL PADRE.

Da: “Se la vita è un piatto di ciliegie, perché a me solo i noccioli?di Erma Bombeck, ed. Longanesi




Per apprezzare fino in fondo sua moglie, ogni marito dovrebbe guidare almeno una volta una macchina piena di bambini.
Portare in giro i bambini è il ventiseiesimo tra i compiti preferiti da mio marito. Sta più o meno a metà tra il far colazione in una sala da tè e il lasciarsi cadere una palla da bowling sul piede.
«Ricordati», lo avvertii la prima volta che si accinse all'arduo compito, «sono bambini piccoli... non sacchi di patate. Questo vuol dire che devi fermare bene la macchina e scendere ad aprire la portiera. Non gridare, e assicurati che stiano tutti e sei vicino al finestrino. Che Dio te la mandi buona.» 
Un'ora e mezzo dopo, quando lo vidi entrare barcollando dalla porta, chiesi:
«Allora, perché ci hai messo tanto?»
«Per cominciare, quella peste con la bocca sporca di dentifricio non voleva salire in macchina. Ha detto che sua madre gli aveva raccomandato di non accettare mai passaggi da estranei. Poi il cartellino con il nome appuntato al vestito di Comesichiama è caduto e lei non sapeva più chi era. Debbie ha pianto per tre isolati perché aveva dimenticato il cestino della colazione sull'altalena. Cecilia... credo che si chiami così... quella che sta sempre ad abbottonarsi il golf nel tentativo di azzeccare l'asola giusta...» «Sì, è proprio Cecilia.»
«Mi ha detto che abitava nella gelateria all'angolo.» «Ma come mai ci hai messo tanto?»
«Michele. È stata tutta colpa di Michele. Ha detto che non sapeva dove abitava e così, per farmelo amico, gli ho dato un lecca lecca. Devo aver girato in tondo per almeno mezz'ora prima che si decidesse a dire: 'Ecco la mia casa'.
«Michele», ho detto, «siamo passati davanti a questa casa almeno venti volte. Perché non hai detto niente prima?»
«Perché», mi ha risposto, «non devo parlare con la bocca piena.»
C'è chi dice che responsabilizzando i bambini li si aiuta a crescere. C'è chi invece sostiene che si aiuta a crescere solo il premio dell'assicurazione. 


Buona giornata a tutti. :-)


martedì 29 settembre 2015

"Non abbiate mai paura di sbagliare, per i nostri figli siamo i migliori genitori possibili" - da: Franco Nembrini "Di padre in figlio - Conversazioni sul rischio di educare" -

"Ma se pensa ad una casa fondata sulla roccia, tuo figlio dice che è una roccia anche se sbagli, anche se non le indovini tutte. "

"...Tuo figlio, con quel tira e molla pazzesco per cui ti saltano i nervi e con il quale ti mette alla prova, vuol sapere se suo padre e sua madre stanno, restano, sono la roccia di cui lui ha bisogno. 
E su cosa è posta questa casa, se sulla roccia: lo vogliono sapere. 
E ti mettono alla prova, tirano, mollano per vedere se la corda si spezza, ma tu stai. 
Invece l’altro errore che facciamo per non lasciarli andare, cioè per non patir la ferita di questa libertà, l’altro ragionamento assolutamente sbagliato che facciamo, preoccupati come siamo della sorte dei nostri figli, è quello di chiudere la casa e di dire: «Vengo anch’io con te». 
Vengo anch’io così lo tengo d’occhio, così almeno è più vicino, è più sotto controllo. 
Ma pensate quel figliol prodigo se il giorno in cui si accorge di essere uno sciocco che si è ridotto a mangiare le carrube, che mangiano i porci, invece di un padre che lo aspetta dovesse avere il padre che è lì, poveraccio come lui, e la casa non c’è più. 
Che disperazione! Avere il desiderio di tornare a casa e tuo padre, per star con te, ha chiuso la casa e l’ha venduta, e non abbiamo più una casa. 
Non c’è più chi ci perdona! Come ne "I due orfani" di Pascoli, che Giussani ci ha insegnato a leggere. 
Non c’è più chi ci perdona; cioè non c’è più né un padre, né una madre, non siamo più di nessuno, siamo orfani appunto. 
I due errori: chiudere la casa per non farli uscire, oppure uscire con loro. 
Invece l’adulto è quello che sta. 
La mia povera mamma quando di dieci figli, uno lasciò la famiglia, il primo, per mesi, preparò un piatto in più e lo teneva in caldo. Dopo per dieci giorni noi dicevamo: «Mamma, è andato, è andato, piantala! È andato!» e lei serissima che ci diceva: «Potrebbe tornare questa sera. Potrebbe tornare stasera». e per mesi e mesi ha voluto preparare il posto per mio fratello, il primo, il posto tra quello del mio papà e quello del secondo figlio. Apparecchiava il posto perché sarebbe potuto tornare stasera. 
Questa è la statura dei nostri genitori! Ed è la statura che chiedono a noi i nostri figli. Gente che sta, che resta per la felicità che gode lui, per il bene che intravede lui, per la speranza che vive lui. 
Questa è l’unica cosa di cui hanno bisogno i nostri figli, e se è così scattano due o tre conseguenze che vi accenno soltanto. 
Per esempio, primo: non abbiate mai paura di sbagliare, per i nostri figli siamo i migliori genitori possibili. Se l’educazione è quel che ho detto, non c’è il problema della coerenza, dell’incoerenza: i tuoi figli non sono stupidi, sanno che sei incoerente e far finta di vendergli l’idea di un padre particolarmente buono, bravo, coerente è una cosa che non li convincerà, non ce la farete mai a fregarli; lo sanno troppo bene di che incoerenza siamo capaci; cioè lo sanno che siamo straccioni come loro, non li convincerete mai del contrario. 
I nostri figli non hanno bisogno della nostra coerenza in senso moralistico, hanno bisogno della nostra coerenza ideale, quella che Giussani ne "Il rischio educativo" chiama «funzione di coerenza» 
L’adulto, l’autorità dell’adulto la chiama «funzione di coerenza»: è questo stare che vi dicevo prima. Non abbiate paura di sbagliare perché i figli sanno che sbaglierete e vi perdoneranno molto più di quello che siete disposti a perdonargli voi; perché i nostri figli ci perdonano questo. Non ci perdonano il non coraggio, la non responsabilità di fronte al reale, la non certezza ultima rispetto al destino: questo non ci perdonano. Quando in sessanta metri quadrati voi costringete a vivere i dieci figli, da zero a quindici anni, è un bel macello. 
D’inverno poi, quando non si può uscire e andare all’oratorio! 
Per cui mio padre arrivava a casa la sera stanco dal lavoro e, a volte, era una specie di giungla, erano saltati tutti i paletti, e non gli restavano molte risorse poveretto! Magari mia mamma non stava bene, era incinta o allattava. 
Allora sfilava la cinghia dei pantaloni e pata-pim e pata-pum, chi ciapa ciapa e chi la dura scapa; nel senso che trovato un vetro rotto, due feriti, la moglie in lacrime, il bambino più piccolo che piange, non è che avesse il tempo di fare le indagini preliminari su chi fosse quella volta lì che aveva cominciato. 
Allora mi ricordo di quella volta che arrivo a casa da scuola, non faccio a tempo a togliermi lo zaino e appoggiarlo per terra, che dietro arriva mio padre. Vede un macello pazzesco, io non sono stato sufficientemente svelto quella volta ed è toccato a me: me ne ha date un sacco e una sporta. 
La mia povera mamma, che aveva anche un debole per me, è corsa in mio soccorso e lo ha fermato, ma me ne aveva già date abbastanza! Lo ha fermato e gli ha detto: «Ma Dario, Franco è rientrato in casa non c’entra niente!». 
Mio padre, serissimo, mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha detto: «Va bene, mettile vie per la prossima volta». 
Non gli è venuto il problema di dire: «O Dio! Adesso Franchino resterà traumatizzato dalle botte paterne immeritate!». 
Mi ha detto: «Mettile via per la prossima volta» e io vi assicuro che ho odiato fortemente i miei fratelli perché erano stati più veloci – solo per quello! – ma non mi ha attraversato neanche l’anticamera del cervello l’idea che mio padre non mi volesse bene. È un pensiero che nella vita non mi ha mai sfiorato, neanche in quel frangente dove aveva palesemente sbagliato; aveva peccato d’ingiustizia grave, almeno le botte a me erano sembrate gravi, nei miei confronti. 
È questo che intendo dire quando dico: «Non preoccupatevi». Anche tutta questa mania per cui dovremmo tutti avere lo psicologo fisso in casa! 
Nessuno è più capace di fare il padre, nessuna è più capace di fare la madre, al primo problema bisogna andare dall’esperto: l’ospedalizzazione del rapporto educativo a scuola e in famiglia. 
Bisogna avere tre lauree per tirar su un bambino! Basta con questa storia! Basta, perché siete i migliori genitori possibili e non preoccupatevi se sbagliate perché non è quello che traumatizza i bambini. 
Li traumatizza la sensazione di camminare sulle sabbie mobili, li traumatizza lo sguardo incerto di padri e madri quando si guardano, quando stanno a tavola, li traumatizza l’impressione che la loro casa sia costruita sulla sabbia e che basti un filo di vento per portar via tutto. 
Questo li spaventa la notte e non li fa dormire, anche se non urlano e non hanno gli incubi. Ma se pensa ad una casa fondata sulla roccia, tuo figlio dice che è una roccia anche se sbagli, anche se non le indovini tutte. 
Diversamente ci facciamo dei problemi pazzeschi: «Gli do una sberla o non gliela do? O Dio, ho letto che lo psicologo diceva che quel ragazzo si è buttato giù da un ponte perché ha preso quattro in matematica. Cosa devo fare? La Carla dice sempre il contrario di quello che dico io. Se gliele voglio dare, mia moglie dice di no; se non gliele voglio dare io lo vuole la moglie!». Dargliele e basta! Nell’incertezza io suggerisco di dargliele! Non è qui il problema! "

da: Franco Nembrini "Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare" Ed. Ares




"Ci si dimentica di chiedere l’obbedienza"

"...Anzi, datemi ancora due minuti perché volevo anche dire che secondo me moltissime difficoltà che oggi i genitori vivono nascono dal di dentro (le difficoltà hanno sempre un’origine, non cadono dal cielo e non sono casuali). Si tratta secondo me di una debolezza del genitore rispetto alla propria autorevolezza. 
Mi spiego: posso puntare il dito? Non lo punto mai una volta tanto lo faccio. Siete voi per primi che non credete alla vostra autorevolezza. 
Siete voi per primi che non date fiducia alle vostre certezze, al vostro compito. E questo se lo collegate al problema che dicevo prima, cioè che vi hanno proposto di essere solo curativi e capaci di rispondere ai bisogni, viene di conseguenza che un genitore non esprime più la propria autorevolezza. Moltissime difficoltà che ci sono oggi coi figli vengono da questa debolezza. 
I primi a dover riconoscere la vostra autorevolezza siete voi!
Essere genitori vi costituisce guida, faro di orientamento, capacità di decisione, capacità di rischiare, capacità di scegliere, di segnare il passo, di guidare nella realtà. Noi siamo lontani mille miglia dall’essere solo servizio ai figli. Una conseguenza di questa debolezza genitoriale è che ci si dimentica, dentro la famiglia, di educare all’obbedienza. L’atteggiamento di servizio al figlio non struttura l’obbedienza del figlio.
Ci si dimentica di chiedere l’obbedienza. 
E’ così difficile entrare in un legame che possa esaltare la crescita di un figlio e la propria. 
E’ così difficile entrare in un legame che dà la soddisfazione piena di essere dentro l’essere, dentro l’essere del figlio. Noi chiediamo di tutto ai nostri figli, ma non chiediamo la cosa fondamentale, cioè di essere figlio. E cosa fa un figlio? Obbedisce al genitore, ascolta il genitore, interiorizza il genitore. 
Se lo porta dentro. Io credo che molte difficoltà trovino nella debolezza dell’autorevolezza la loro radice, la loro origine."

(da una testimonianza della psicologa Vittoria Maioli Sanese)





"...Infine ci sono altre due lettere che mi hanno impressionato, Una dice:
" Ormai per me è tardi". Non potete dire così, nessuno di noi può dir così! 
Io conosco situazioni terribili, dolorosissime, che qualcuno vive con i figli; ma non possiamo dire " Ormai è tardi!". 
Noi siamo i tifosi di Nicodemo. il vecchio che va da Gesù di notte vergognandosi, e gli va a dire: " Ormai è tardi, sono vecchio"; e Gesù gli risponde che non è vero, è possibile ricominciare da capo ( come i nostri figli: " Papà, è possibile ricominciare da capo?" ).
" Gesù, è possibile rinascere di nuovo, può un vecchio come me ritornare nel ventre di sua madre? " Gesù gli ha risposto di sì, che è un dono che lo Spirito può dare, si può rinascere. Allora l'educatore è combattente sempre, è la madre trafitta dal male di suo figlio che però non demorde mai, non riesce a dire " Basta, non mi interessi" , qualunque cosa accada , fino all'ultimo respiro, suo figlio è suo figlio e ci crede e spera e prega perchè qualcosa possa accadere, qualcosa lo possa riprendere. 
L'insegnante è uguale. L' alunno che ti fa disperare, proprio il più duro di tutti, è quello cui dici:" Non ti mollo fino all'ultimo minuto dell'ultima ora di scuola del 12 giugno, tu sei mio e io sono qui per te e non cedo. Poi sarà quel che vorrai tu, quel che la tua libertà ti consentirà di essere, ma io sono qui, fino all'ultimo secondo dell'ultimo minuto dell'ultima ora di lezione": L'adulto, l'educatore non può mai dire." Per me ormai è tardi", non esiste!"

da: Franco Nembrini, "Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare", Ed. Ares




Buona giornata a tutti. :-)


venerdì 31 luglio 2015

da: "Guardare i volti di una classe è faticoso ma non mi stanca" - Alessandro D'Avenia

"Guardare tutti i volti di una classe ogni giorno in modo unico è faticoso, ma non stanca. 
Allattare il bimbo è faticoso, ma riempie. 
Questo guardare il rinnovarsi di tutte le cose che tocchiamo è ciò che abbiamo da dare ad un mondo stanco. 
Un cristiano che non prega (veglia) in ogni istante, attraverso ciò che sta facendo, rapidamente perde smalto, perché ha perso il suo legame con la fonte, con la vite/a. 
Non ha più nulla che lo rinnovi, non può vedere più nulla, perché non guarda più nulla. 
La meraviglia di una continua novità, quella che ci prende di fronte ad un panorama alla fine di una lunga camminata, quella che ci afferra nelle movenze della donna di cui ci innamoriamo, quella che ci spiazza nel sorriso di un bambino, è la possibilità data in ogni momento a ciascuno di noi. 
È quello che la strada chiede a quella donna affacciata al balcone nel quadro di Boccioni: dare senso e casa al caos di quella strada. 
Grazie a quel «guarda» ogni giorno mi stanco, ma non mi annoio. 
Ho il cuore e gli occhi pieni di una meraviglia che nessuno può strapparmi, perché non l’ho messa io nelle cose: il loro reale rinnovarsi è lì disponibile per i miei occhi liberati dalle squame. 
Il mio compito, a volte faticoso, è goderne. E poi raccontarla."

- Alessandro D'Avenia - 
Da: "Guardare i volti di una classe è faticoso ma non mi stanca"





Perché ripetiamo ancora ai maschi «non piangere come una femminuccia»? 
E come mai le femmine si sentono dire da parenti e insegnanti «una bambina non fa questo» se strillano troppo? 
Noi adulti non consentiamo ai bambini ed alle bambine di crescere secondo le loro inclinazioni; ma li ingabbiamo nei nostri schemi di virilità e femminilità. Sembriamo sicuri che sia utile dividere i giochi, i colori e le collane letterarie per maschi da quelle per femmine. 
Spesso indirizziamo i nostri figli persino nella scelta degli studi come quando scoraggiamo le femmine che vorrebbero occuparsi di fisica nucleare e i maschi attratti dall’insegnamento. 
Eppure il meglio che possa accadere nella vita è scegliere senza condizionamenti e che le scelte siano il frutto dei nostri desideri e non di pregiudizi e gabbie predefinite per sesso, orientamento sessuale, età ed etnia.

da: 27esimaora.corriere.it/




Concediamo ai bambini un tempo in cui il loro spirito possa svilupparsi senza la continua pressione di dover dimostrare di valere e di essere i migliori.



Una prova della correttezza del nostro agire educativo è la felicità del bambino.

 - Maria Montessori - 




Buona giornata a tutti. :-)









mercoledì 15 luglio 2015

Tu non mi vuoi bene? - Erma Bombeck

«Tu non mi vuoi bene?»
Quante volte ve lo siete sentito dire dai vostri figli in tono accusatore? E quante volte avete resistito alla tentazione di spiegar loro quanto li amavate? Un giorno, quando i miei figli saranno abbastanza grandi da capire la logica che spinge una madre a comportarsi in un certo modo, glielo dirò.
Ti ho amato abbastanza da chiederti continuamente dove andavi, con chi e a che ora saresti tornato.
Ti ho amato abbastanza da insistere perché ti comprassi una bicicletta con i tuoi soldi, anche se noi potevamo permettercela e tu no.
Ti ho amato abbastanza da star zitta e lasciare che scoprissi da solo chi era l'amico che ti eri scelto.
Ti ho amato abbastanza da costringerti a restituire al proprietario del negozio la cioccolata già morsicata e confessare: «L'ho rubata».
Ti ho amato abbastanza da restar lì come un gendarme per più di due ore a guardarti pulire la stanza, un lavoro che io avrei potuto fare in un quarto d'ora. Ti ho amato abbastanza da dire: «Sì, vai pure al luna park. Non importa se è il giorno della mamma».
Ti ho amato abbastanza da lasciare che vedessi la rabbia, la delusione, il disgusto e le lacrime nei miei occhi.
Ti ho amato abbastanza da non scusarmi mai con gli altri per le tue mancanze o cattive maniere.
Ti ho amato abbastanza da ammettere di aver avuto torto e chiederti scusa. Ti ho amato abbastanza da ignorare quello che dicevano o facevano «le altre madri». Ti ho amato abbastanza da lasciare che inciampassi, cadessi, ti facessi male, sbagliassi. Ti ho amato abbastanza da lasciare che ti prendessi le responsabilità delle tue azioni, a sei, come a dieci, o a sedici anni.
Ti ho amato abbastanza da sospettare che avevi mentito sulla presenza dei genitori del tuo amico a quella festa, e lasciar correre... dopo aver scoperto che non mi sbagliavo. 
Ti ho amato abbastanza da metterti a terra, lasciarti andare la mano, non rispondere alle tue suppliche... perché imparassi a stare in piedi da solo.
Ti ho amato abbastanza da accettarti per quello che sei, non per quello che avrei voluto che fossi.

Ma soprattutto ti ho amato abbastanza da continuare a dire «No» anche sapendo che mi avresti odiato. È stata questa la decisione più difficile.

- Erma Bombeck - 




“Non dobbiamo essere influenzati dalle opinioni altrui, anche se ci vengono da persone a noi care, come i nostri familiari, i nostri capi o i nostri amici intimi. Così, noi siamo solidi e radicati come la montagna. 
Noi sappiamo, nel profondo del nostro cuore, che incarniamo l’essenza perfetta di un essere spirituale. 
Le parole degli altri non possono rubarci la pace interiore o la gioia, a meno che noi non diamo loro il potere di farlo.”

- Brian Weiss -





I bambini troppo spesso si trovano davanti a degli ostacoli troppo pesanti per loro. Da soli non riusciranno ad affrontarli. 
Il loro disperato grido “aiutami per favore” non riescono ad esprimerlo in parole. 
Noi possiamo imparare ad ascoltare queste richieste di aiuto silenziose. 

- Gustav Birth - 





Buona giornata a tutti. :-)




sabato 11 luglio 2015

da: "L’embrione, un uomo: etica e genetica" - Jerome Lejeune

Voi sapete che vi sono in Australia dei bipedi, grandi più o meno come noi, dal pelo rossastro che, abitualmente, abortiscono i loro piccoli al secondo mese. Si tratta dei canguri.
Abortito spontaneamente al secondo mese, il piccolo canguro assomiglia ad una piccola salsiccia che misuri circa 2,5 cm di lunghezza. 
Gli arti sono ridotti ad un piccolo unghione sulla zampa anteriore, uno su quella posteriore, ed esso conosce solo la sensazione della pesantezza.
Espulso dalla vagina con l’aborto spontaneo, esso s’aggrappa alla pelliccia della madre e, sapendo lottare contro la pesantezza, sale in verticale automaticamente fino al marsupio e vi cade dentro, e vi resterà per sette mesi finendo il suo sviluppo, che assomiglia abbastanza, nella durata, allo sviluppo d’un piccolo essere umano.
Ciò che è straordinario, per il biologo, è il fatto che nel piccolo cervello d’una madre canguro la natura abbia, anche se non so come, iscritto una sorta di concetto di ‘cangurosità’ del piccolo canguro. 
Poiché questa piccola salsiccia è il solo animale ch’essa lasci entrare nel suo marsupio. 
Se un topo volesse installarvisi, essa lo eliminerebbe rapidamente.
Allora io mi dicevo che se la natura, in un cervello tanto piccolo quanto quello della madre canguro, ha inscritto la nozione che si tratta d’un membro della sua specie, che è suo figlio, mi sembra completamente impossibile che nel litro e mezzo che noi abbiamo nella nostra scatola cranica la natura non abbia posto un’intelligenza sufficiente per rendersi conto che i piccoli uomini non sono altro che uomini piccoli.
E tuttavia noi tutti qui apparteniamo ad una nazione che fu da lungo tempo civilizzata, e che ha abrogato con un voto ciò che tutti i medici avevano costantemente giurato, vale a dire: 
“Io non darò a nessuno, neppure se pregato, del veleno; parimenti non fornirò mezzi abortivi ad una donna”. 
(...)

- Jerome Lejeune -



“La compassione per i genitori è un sentimento che ogni medico dovrebbe avere. 
L'uomo che riesce ad annunciare a dei genitori che il loro bambino è gravemente malato senza sentire il cuore schiantarsi al pensiero del dolore che li assalirà, non è degno del suo mestiere. 
Non è commettendo un crimine che si protegge qualcuno da una disgrazia. 
E uccidere un bambino è semplicemente omicidio. 
Non si dà sollievo al dolore di un essere umano uccidendone un altro. 
Quando la medicina perde tale consapevolezza, non è più medicina.” 

- Jerome Lejeune - 




“Informazione è sostanzialmente qualcosa di immateriale, è pensiero, è parola. 
Al momento del concepimento, il pensiero, la parola, diviene carne, individuo vivente appartenente alla specie umana. Et verbum caro factum est.” 

- Jerôme Lejeune - 





"Non scoraggiate mai qualcuno che si sta impegnando per fare dei progressi. Non importa quanto lentamente migliora." 

- Platone - 


Buona giornata a tutti. :-)