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lunedì 6 agosto 2018

Il miracolo della Madonna di Fatima a Padre Pio, 6 agosto 1959 – Domenico Lucchetti

Il 5 agosto del 1959 è una di quelle date fatidiche che rientrano negli avvenimenti più cari ella vita di Padre Pio.
Arriva finalmente a S. Giovanni Rotondo, la statua della Madonna di Fatima che viene portata in elicottero in tutti i capoluoghi di provincia.
Per San Giovanni Rotondo viene fatta un’eccezione.
Preparata da una serie di brevi catechesi svolte proprio da Padre Pio ammalato, la visita si rivela carica di suggestione oltre che di affetto verso la Madonna.
Durante la mattinata del 6 agosto il Padre può scendere in chiesa, soffermandosi più volte, seduto perché sfinito e seriamente malato, dinanzi all’immagine della Madonna di Fatima.
E, quale gesto affettuoso di tenerezza filiale offre, al bianco simulacro di Maria, la corona del rosario.
E’ il momento topico della visita del simulacro della Madonna a S. Giovanni. La statua viene abbassata fino al viso del Padre che finalmente la può baciare teneramente.
E’ lo stesso uomo, lo stesso innamorato di Maria, il sacerdote, che quarantaquattro anni prima, scrivendo a padre Agostino aveva così espresso i suoi teneri sentimenti verso l’Immacolata: "Vorrei avere una voce si forte per invitare i peccatori di tutto il mondo ad amare la Madonna. Ma poiché ciò non è in mio potere, ho pregato, e pregherò il mio angiolino a compiere per me questo ufficio"

- a Padre Agostino, il 1° maggio 1912, Epistolario pag. 277


Tra le 14 o 15 del pomeriggio, l’elicottero con la statua della Madonna si alza in volo dalla terrazza della Casa Sollievo della sofferenza.
Davanti a Padre Pio che si trova affacciato alla finestra del coro della Chiesa, l’elicottero compie tre giri attorno alla piazza gremita di fedeli.
Poi s’allontana verso le Terre di Sicilia.
A questo punto, con gli occhi inumiditi dalla commozione, padre Pio rivolge a Maria un breve lamento intriso di abbandono filiale: "Madonna, Mamma mia, sei entrata in Italia e mi sono ammalato; ora te ne vai e mi lasci ancora malato" 

- Raffaele da S.Elia a Pianisi, ms. c. ff. 112-114. Cf Diario p. 187; G. Curci, l’Innamorato della Madonna, o.c., pp. 46-47


In questo stesso istante Padre Pio avverte come un brivido scorrere per tutta la persona e guarisce miracolosamente dal male che i medici gli avevano diagnosticato: un tumore alla pleura.
E’ lo stesso Padre Agostino, amico e direttore spirituale di Padre Pio fin dagli anni di seminario a confermare la guarigione immediata del frate stigmatizzato: "In un momento il Padre si sentì come una forza misteriosa nel suo corpo e disse ai confratelli: Sono guarito!"

- Padre Agostino da S.Marco in Lamis, Diario, p.240) per la visita di Nostra Signora di Fatima a S. Giovanni Rotondo cfr. Fernando da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Crocifisso senza croce, Ed. omonime, pag. 424-425)



Per dare completezza alla narrazione di quanto avvenuto, bisogna riportare la testimonianza del dottor Giuseppe Sala, il quale precisa che "in quel tempo, il Padre era già clinicamente guarito dalla pleurite essudativa; si prevedeva una convalescenza, che si sarebbe potuta protrarre per mesi e mesi, salvo complicazioni, ignorandone l’esito e obbligando il paziente a sospendere la consueta attività.
Il dott. Sala riconosce che "padre Pio si riprese in modo inaspettato e con la terapia predisposta dai medici"

- Lettera del dott. Giuseppe Sala, S.Giovanni Rotondo 24 settembre 1971, ms, in APG, ff. , in Fernando da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Crocifisso senza croce, ed omonime, pag. 426)

Un gruppo di medici ha l’occasione di fare visita a Padre Pio e rendersi pienamente consapevole di una guarigione istantanea e rapida, dallo stesso Padre Pio attribuita alla Madonna quando afferma con convinzione: "la Madonna è venuta qui, perché voleva guarire Padre Pio".

- Domenico Lucchetti -
San Giovanni Rotondo (Foggia)


Buona giornata a tutti. :-)









mercoledì 18 luglio 2018

Meditazione e Preghiera - Padre Anthony Bloom

MEDITARE CON DISCIPLINA

Abbiamo tante occasioni per dedicarci ad abbondanti riflessioni; in un sacco di situazioni nella vita di tutti i giorni ci troviamo senza nulla da fare, eccetto aspettare; se siamo disciplinati - e questo fa parte della nostra educazione spirituale saremo capaci di ritrovare rapidamente la concentrazione per fissare l'attenzione repentinamente sull' oggetto dei nostri pensieri, del nostro meditare. 

Dobbiamo imparare a farlo obbligando i nostri pensieri ad aderire a un punto focale ben preciso, lasciando cadere ogni altra cosa. 
Agli inizi, pensieri indesiderati irromperanno nella mente, ma se li allontaniamo con costanza, ogni volta che si presentano, alla fine ci lasceranno in pace. E solo quando grazie all' allenamento, all' esercizio, all' abitudine, si è divenuti capaci di concentrarsi profondamente e prontamente, che si può continuare per tutta la vita a vivere in uno stato di raccoglimento, noncuranti di quel che si sta facendo.

-Padre Anthony Bloom -
1914 – 2003 

Da “La preghiera giorno dopo giorno”, Gribaudi Editore nella collana Meditazione e preghiera 





METODO DI MEDITAZIONE 

Spesso consideriamo al più, un paio di punti per poi passare al successivo. E' un atteggiamento errato: abbiamo visto infatti che ci vuole un lungo tempo per ottenere il raccoglimento, per divenire come quelle persone che i padri chiamano "vigilanti", uomini capaci di prestare attenzione a un'idea così bene e talmente a lungo che nulla di essa viene perso per strada.
Tutti gli spirituali del passato e del tempo presente ci diranno: prendi un testo, ritorna su di esso ora dopo ora, giorno dopo giorno, fino a esaurire tutte le sue risorse per l'intelletto e la tua affettività; grazie alla lettura attenta e al costante ritornare su quel testo, sei pervenuto a un nuovo atteggiamento. Spesso la meditazione non consiste in null' altro che nell' esaminare il testo, girando e rigirando le parole che Dio ci rivolge in modo da diventare del tutto familiari con esse, talmente imbevuti della loro essenza da essere ormai una cosa sola con quelle parole. In questo cammino, anche se non riteniamo di aver scoperto nessuna particolare ricchezza intellettuale, in realtà siamo cambiati.

-Padre Anthony Bloom -
1914 – 2003

Da “La preghiera giorno dopo giorno”, Gribaudi Editore nella collana Meditazione e preghiera 



IL CONTRASTO FRA PREGHIERA E MEDITAZIONE

Meditare è un' attività del pensiero, mentre la preghiera è rifiuto di qualsiasi pensiero. Secondo quanto insegnano i padri dell' oriente, perfino i pensieri più spirituali e le considerazioni teologiche più profonde e sublimi, se compiute nel corso dell' orazione, devono essere ritenute alla stregua di una tentazione, e perciò soppresse; perché, come dicono i padri, è da stupidi pensare a Dio e dimenticare che ci troviamo in sua presenza. 

Tutte le guide spirituali dell' ortodossia ci ammoniscono di non sostituire all'incontro con Dio una riflessione su di lui. La preghiera è essenzialmente stare davanti a Dio, faccia a faccia, consapevoli di dover lottare per rimanere raccolti, assolutamente nel silenzio e attenti alla sua presenza, vale a dire serbare una mente, un cuore e una volontà indivisi al cospetto del Signore. E non è affatto facile.

Per quanto possiamo aver imparato dall' educazione ricevuta, una scorciatoia si può sempre aprire in qualsiasi momento: l'unificazione può essere raggiunta da quella persona per la quale l'amore di Dio è tutto, che ha rotto ogni legame, che si è offerta completamente a Dio; allora non c'è più lotta personale, ma solo l'opera luminosa della grazia di Dio.


-Padre Anthony Bloom -
1914 – 2003
Da “La preghiera giorno dopo giorno”, Gribaudi Editore nella collana Meditazione e preghiera 



LO SCOPO DELLA MEDITAZIONE

Fine della meditazione non è praticare una riflessione di tipo accademico; essa non intende essere un' attività puramente intellettuale, né un mero abbozzo di pensiero privo di conseguenze. Essa vuole essere un pensare sotto la guida di Dio e "verso Dio", e per questo dovrebbe portarci a trarre conclusioni sul nostro modo di vivere.

E importante rendersi conto fin da principio che una meditazione si rivela utile quando ci pone in condizione di vivere in modo più preciso e concreto le esigenze dell'evangelo. Qualunque cosa raccogliamo, sia un versetto, o un comando, un evento della vita di Cristo, dobbiamo anzitutto pesarne il contenuto oggettivo. E' estremamente importante, perché il fine per cui si medita non è la costruzione di strutture fantastiche, quanto la comprensione di una verità. 

La verità sta lì, è la verità di Dio, e la meditazione si propone di costruire un ponte fra la nostra mancanza di comprensione e la verità rivelata. 
E' un modo per educare la nostra intelligenza, per imparare gradualmente ad assumere "il pensiero di Cristo", come dice Paolo (1Cor 2,16).

-Padre Anthony Bloom -
1914 – 2003
Da “La preghiera giorno dopo giorno”, Gribaudi Editore nella collana Meditazione e preghiera 


Buona giornata a tutti. :-)





domenica 15 luglio 2018

I semi migliori - Padre Anthony de Mello

Un agricoltore, il cui grano vinceva sempre il primo premio alla fiera regionale, aveva l’abitudine di dividere i semi migliori con tutti i contadini del vicinato.
Quando gli chiesero perché, egli rispose:
 
“Il vento solleva il polline e lo trasporta da un campo all’altro, perciò se i miei vicini coltivassero un grano di qualità inferiore, l’impollinazione crociata impoverirebbe la qualità del mio raccolto.
Ecco perché ci tengo che essi piantino solo i semi migliori“.
-Tutto ciò che diamo agli altri lo diamo a noi stessi.

- Padre Anthony De Mello -
da: "La preghiera della rana"



Ma a voi che ascoltate io dico:
Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano.


Ti innamori? Ecco che ti ritrovi a guardare tutte le persone con un occhio diverso. Ti scopri generoso, pronto al perdono, o, in una parola, "buono", mentre forse prima eri inflessibile e meschino.

Inevitabilmente la gente che avvicini comincia anch’essa a reagire nella stessa maniera nei tuoi riguardi, e presto ti accorgerai di vivere in un mondo d’amore che tu stesso hai costruito.

Al contrario, pensa a quei periodi in cui ti sei trovato di cattivo umore, irritabile, meschino, sospettoso, fors’anche addirittura nevrotico. E in quei periodi hai constatato come la gente reagiva nei tuoi riguardi in maniera negativa e ti sei ritrovato a vivere in un mondo ostile, che però era stato creato dal tuo cervello e dai tuoi stati d’animo.

Quale comportamento adottare per creare un mondo felice, buono, pacifico? 

È necessario imparare questa semplice, bella ma faticosa arte: l’arte del "guardare".
Ecco il metodo. Ogni qual volta ti senti stizzito, o invelenito contro qualcuno, non devi guardare quella persona, ma te stesso; la domanda da farti non è: 

"Che cos’è che non va in questa persona?", bensì: "Questa mia irritazione che cosa mi dice di me stesso?"

Questa domanda comincia a fartela subito. Pensa a qualche persona che ti rende di malumore e ripeti a te stesso questa difficile, ma liberatrice frase: 

"La causa della mia irritazione non sta in questa persona, ma in me."
Dopo esserti detto questa frase, mettiti d’impegno a scoprire come tu stesso produci nel tuo animo questa irritazione. Innanzi tutto pensa a questo: che è effettivamente possibile che i difetti – o cosiddetti difetti – di quella persona ti infastidiscano proprio perché li hai anche tu, nascosti nel fondo di te stesso. Tu inconsciamente proietti negli altri questi tuoi difetti. 

Le cose stanno quasi sempre così, ma quasi nessuno arriva ad ammetterlo.

Cerca perciò nel tuo cuore e nel tuo inconscio i difetti che trovi in quella persona, e la tua irritazione verso di lei si trasformerà in gratitudine, perché il suo comportamento ti ha portato a scoprire un lato oscuro di te stesso.
C’è ancora un altro aspetto su cui è bene soffermarsi. Può darsi che tu ti senta urtato da ciò che quella persona dice o fa, perché le sue parole e il suo modo di fare mettono in luce qualcosa della tua vita, o di te stesso che tu rifiuti di vedere.


Pensa all’imbarazzo che creano i mistici e i profeti: nessuno più è disposto a considerarli mistici o profeti quando ci sfidano con le loro parole o con la loro vita.
Un’altra cosa è chiara: tu ti senti urtato da quella persona, uomo o donna, perché non vive secondo le aspettative che ti sei formato dentro di te a suo riguardo.
Prima ipotesi: se tu hai qualche diritto a esigere che quell’uomo, o quella donna agiscano secondo i tuoi programmi (per esempio, quando si comportano in maniera ingiusta o crudele), non pensarci più.

Se infatti vuoi cambiare quella persona nel suo comportamento, non saresti più efficace se non fossi irritato? L’irritazione infatti non fa altro che intorpidire la tua percezione e rende efficace il tuo intervento. Tutti sanno che quando uno sportivo (per esempio un pugile) perde la calma, la sua azione scade di qualità, perché la passione e la rabbia gli fanno perdere la concentrazione.
Seconda ipotesi: in molti casi, tu non hai alcun diritto di esigere che quella persona si comporti secondo le tue aspettative.

Altri nella tua stessa situazione, di fronte a quello stesso comportamento, non ne sarebbero affatto irritati. Ripensa a questa verità, e la tua irritazione svanirà. Non è forse illogico da parte tua esigere che anche altre persone vivano secondo gli standard e le norme che i tuoi genitori hanno posto in te?
C’è infine un’ultima verità da considerare: visto l’ambiente che sta alle spalle di quella persona, viste le sue esperienze di vita, vista la sua assenza di consapevolezza, essa non può comportarsi in maniera diversa da come si comporta. 

È stato affermato con molta esattezza che conoscere tutto vuol dire perdonare tutti. Se tu conoscessi profondamente quella persona, tu la vedresti, semmai, come handicappata e non come degna di biasimo, e la tua irritazione svanirebbe immediatamente.

La prima cosa che sperimenterai sarà che tratterai quella persona, uomo o donna, con amore, ed essa risponderà con altrettanto amore, e tu ti troverai a vivere in un mondo d’amore che hai tu stesso creato.


- Padre Anthony de Mello -
Fonte:  "Chiamati all’amore", Anthony de Mello, Ed. Paoline, 1994



Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 27 giugno 2018

Ho preso la parola, Signore - Padre Michel Quoist

Ho preso la parola, Signore, e sono stizzito,
Sono stizzito perché mi sono agitato, speso, con il gesto e con la voce.
Ce l'ho messa tutta nelle mie frasi, nelle mie parole,
E temo di non aver dato l'essenziale.
Perché l'essenziale non è in mio potere, Signore, e le parole sono troppo strette per contenerlo.

Ho preso la parola, Signore, e son inquieto,
Ho paura di parlare, perché è grave;
E' grave disturbare gli altri, farli uscire da loro, immobilizzarli sulla soglia di casa loro;
E' grave trattenerli lunghi minuti, a mani tese, cuore teso, alla ricerca di un lume o di un po' di coraggio per vivere e per agire.
Se io li rimandessi a mani vuote, Signore!

Eppure debbo parlare.
Mi hai donato la parola per alcuni anni, e debbo servirmene.
Son debitore della mia anima agli altri, e sulle mie labbra le parole attendono per trasportarla presso gli altri in lunghi convogli serrati.
Perché l'anima non saprebbe esprimersi se le fosse tolta la parola.

Non si sa nulla del bimbo racchiuso nella sua carne
E la famiglia tutta esulta quando, a sillabe, a parole, a frasi, la sua anima appare davanti alla nostra anima.
Ma la famiglia si raccoglie disperata al capezzale del morente, ascoltando religiosamente le ultime parole, che egli pronuncia.
Egli se ne va, chiudendosi nel silenzio, ed i parenti non conosceranno più la sua anima quando pietosamente ne avranno chiuso gli occhi e serrato le labbra.

La parola è una grazia, Signore, e non ho il diritto di tacere per orgoglio, viltà, negligenza o paura dello sforzo.
Gli altri hanno diritto alla mia parola, alla mia anima, perché ho un messaggio da trasmettere da parte Tua. E nessun altro che me, Signore, sarebbe in grado di dirlo loro.
Ho una frase da pronunciare, breve, forse, ma ripiena della mia vita.
Non mi posso sottrarre.
Ma le parole che lancio debbono essere parole vere.
Sarebbe abuso di fiducia captare l'attenzione altrui se sotto la scorza delle parole non dessi la verità dell'anima.
Le parole che spando debbono essere parole vive, ricche di quanto la mia anima unica ha colto del mistero del mondo e del mistero dell'uomo.
Le parole che dono debbono essere portatrici di Dio, perché le labbra, che mi hai donato, Signore, sono fatte per dire la mia anima, e la mia anima Ti conosce e ti tiene avvinto.

Perdonami, Signore, per aver parlato tanto male;
Perdonami per aver spesso parlato per non dir nulla;
Perdonami i giorni in cui ho prostituito le mie labbra
pronunciando parole vuote,
parole false,
parole vili,
parole in cui Tu non hai potuto infiltrarti.

Sorreggimi quando debbo prendere la parola in un'assemblea, intervenire in una discussione, conversare con un fratello.
Fa soprattutto, o Signore, che la mia parola sia un seme
E che quanti ricevono le mie parole possano sperare una bella messe.

Padre Michel Quoist
da: "Preghiere", ed. Marietti, Torino 1963, pagg. 72,74



Se vuoi essere gradito alle persone che incontri, parla loro di ciò che le interessa e non di ciò che interessa te.
Va incontro all'altro. Tendere la mano è sorridere, è sostenere, è dire "e il vostro bimbo come sta?", "che cosa è accaduto, povero amico mio?", e in ciascuna di queste brevi frasi, metti te stesso tutto intero, metti tutto l'amore del Signore che eternamente chiama.

- Padre Michel Quoist -


Se la nota dicesse: non è una nota che fa la musica …
non ci sarebbero le sinfonie
Se la parola dicesse:
non è una parola che può fare una pagina …
non ci sarebbero i libri
Se la pietra dicesse:
non è una pietra che può alzare un muro …
non ci sarebbero le case
Se la goccia d'acqua dicesse:
non è una goccia d'acqua che può fare il fiume …
non ci sarebbe l'oceano
Se il chicco di grano dicesse:
non è un chicco di grano che può seminare il campo …
non ci sarebbe il pane
Se l'uomo dicesse:
non è un gesto d'amore che può salvare l'umanità …
non ci sarebbero mai né giustizia né pace,
né dignità né felicità nella terra degli uomini.
Come la sinfonia ha bisogno di ogni nota,
Come il libro ha bisogno di ogni parola,
Come la casa ha bisogno di ogni pietra,
Come l'oceano ha bisogno di ogni goccia d'acqua,
Come la messe ha bisogno di ogni chicco,
L'umanità intera ha bisogno di te, qui dove sei, unico, e perciò insostituibile.

- Padre Michel Quoist -


Buona giornata a tutti. :-)




domenica 24 giugno 2018

Se vuoi pregare bene - padre Andrea Gasparino


Dedica un tempo ben preciso alla tua preghiera: all’inizio, è utile almeno mezz’ora.
Scegli bene il luogo della preghiera: è necessario che sia silenzioso e raccolto. Se puoi, metti davanti a te un crocifisso o un’immagine sacra. se ti è possibile, fa’ la tua preghiera davanti all’Eucaristia.
Mettiti in ginocchio: con le spalle erette, le braccia rilassate; se impari a far pregare anche il corpo, la tua preghiera sarà più attenta.
Incomincia col segno di croce fatto bene: toccando la fronte consacra al Padre i tuoi pensieri; toccando il petto consacra a Cristo il tuo cuore, la tua capacità di amare; toccando le spalle consacra allo Spirito le tue azioni, la tua volontà.
Dividi la preghiera in tre spazi esatti: più organizzi la tua preghiera più la rendi facile.
Il primo spazio dedicalo allo Spirito Santo, è lui il maestro della preghiera; concentrati sulla presenza dello Spirito Santo in te. 
Dice san Paolo: "Siete tempio di Dio, e lo Spirito di Dio abita in voi" (1cor 3,16). 
Prova a dialogare con lui, prova a esprimergli un problema difficile che hai tra le mani. 
Invocalo con fede: "Vieni, Spirito Creatore!".
Il secondo spazio dedicalo a Gesù. 
Fa’ preghiera di ascolto, prendi tra le mani i brani della Parola di Dio che ti sono stati presentati nella riflessione e prova a leggere come se Gesù ti parlasse personalmente. 
Esperimenta anche l’ascolto della tua coscienza. 
Interrogati: "Signore, che cosa vuoi da me?". 
"Signore, che cosa disapprovi in me?".
Il terzo spazio dedicalo al Padre. 
Ama! Sta’ in silenzio davanti a Lui, sei immerso in Lui: "in Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (atti 17,28). 
Ama! Aiuta il tuo silenzio, se è necessario, dicendo: "Padre mio, mio tutto!"
Prendi qualche decisione pratica e offrila come un tuo atto concreto di amore.
Non terminare la preghiera senza qualche decisione pratica da attuare al più presto: abituati ad amare con i fatti; la preghiera deve portarti all’azione.
Concludi con un pensiero a Maria Santissima, implora con un’Ave Maria la grazia di imparare a pregare e il dono di gustare la preghiera e di essere costante.

- Padre Andrea Gasparino - 



La preghiera è sostegno del mondo, riconciliazione con Dio, misura del progresso spirituale, giudizio del Signore prima del futuro giudizio. 

- San Giovanni Climaco - 



Abbellisci la tua casa di modestia e umiltà mediante la pratica della preghiera. Rendi splendida la tua abitazione con la luce della giustizia; orna le tue pareti con le opere buone come di una patina di oro puro e al posto dei muri e delle tante cose,utili e inutili,colloca la fede , ponendo sopra ogni cosa la preghiera ,a decoro di tutto il complesso. Così prepari per il Signore una degna dimora, così lo accogli in splendida reggia. Egli ti concederà di trasformare la tua anima in tempio della sua presenza. 

- San Giovanni Crisostomo -



Buona giornata a tutti. :-)







mercoledì 20 giugno 2018

da: Lettere dal Deserto - Fratel Carlo Carretto

Sono diventato piccolo fratello di Gesù perché Dio l'ha voluto.
Mai ho dubitato della chiamata; anche perché, se non fosse stata la volontà di Dio a mettermi su questa strada, non avrei potuto resistere a lungo. 
Il dormire all'addiaccio, il vivere in climi estenuanti, il frequentare tribù veramente povere e il sopportarne il fetore, è ancora piccola cosa in confronto allo svuotamento della personalità, al taglio col passato, all'accettazione radicale di civiltà e patrie diverse dalle nostre. 

E mi spiego. 
Come sapete, il piccolo fratello non può avere opere sue. 
Non può fare scuola, organizzare ospedali, creare dispensari, distribuire aiuti. Deve venire qui, scegliere un villaggio, una bidonville, una tribù nomade, installarsi in essa e vivere come vivono tutti gli altri, specie i più poveri. È il capovolgimento totale del sistema europeo in vigore fino a ieri. Qui l'europeo che arrivava: militare, missionario, tecnico o funzionario, si costruiva una casa all'europea e viveva da europeo tra indigeni. Il suo standard di vita non era quello del luogo, ma quello del paese di origine. Il compito era quello di evangelizzare, elevare, aiutare, organizzare, sorreggere; ma sempre all'europea, con cultura, metodi, finalità europee. La fede di questi uomini aveva la sua testimonianza nel dono. E non è piccola cosa!  
Miracoli di amore e di eroismo furono scritti in terre d'Africa e d'Asia: chiese, ospedali, dispensari, scuole, opere sociali furono create per recare sollievo, allontanare la morte, accelerare il processo di evoluzione dei popoli sottosviluppati.

Fu la grande ora missionaria della Chiesa, fu la provvidenziale attività di colonizzazione, giustificata pienamente dai tempi e dalle realtà di allora. 
In ogni caso fu l'inserimento della stirpe dei bianchi in quella degli uomini di colore, fu l'andata dei ricchi verso i poveri, dei cristiani verso i pagani. 
Non sempre tutto camminò liscio, non sempre missionario fu sinonimo di uomo di Dio e funzionario sinonimo di generosità e gratuità.
Troppo lunga sarebbe la storia; e, continuando, finiremmo per fare il processo al passato.
Ciò che c'interessa è il constatare che in pochi anni tutto è cambiato.
Le chiese africane prendono coscienza della loro autenticità e non vogliono più essere copie delle chiese francesi o italiane o olandesi; i popoli di colore non solo non sopportano più il colonialismo; ma, per reazione, chiudono il loro cuore ai bianchi, non han più la confidenza di una volta, e sovente disprezzano od odiano tutto ciò che viene dall'antica razza dominatrice.
Com'è naturale, in questi casi, si passa il limite, si diventa ingiusti; e del passato si finisce di vedere solo il male.
È davvero l'ora in cui è necessario rivedere radicalmente le posizioni, tutte le posizioni.
In questa luce e più ancora dinanzi alle future attività della Chiesa in terra di missione va vista come profetica l'opera di Charles de Foucauld.
Questo uomo di Dio, ignaro di tutti i problemi, spinto solo dalla forza e dalla luce dello Spirito, va in Africa in pieno tempo di colonizzazione. Nell'aria non c'è ancora il minimo sentore di ciò che avverrà su così vasta scala. Preoccupato solo di portare il Vangelo ai Berberi o ai Tuareg, capisce ciò che gli altri non capiscono e lavora come se il processo di decolonizzazione fosse già avvenuto.
Non doni, non ospedali, non dispensari, non scuole, non denaro.
Si presenta solo, indifeso, povero.
Ha capito che la potenza dell'europeo, anche se espressa in ospedali, scuole, non dice quasi più nulla su un piano religioso al povero africano; non è più una testimonianza come una volta.
Ha capito che l'indigeno, anche se molto sottosviluppato, non è più disposto ad accettare dall'alto, come un tempo, un messaggio che gli sembra troppo legato ad un dato popolo e a una data civiltà.
Occorre battere un'altra strada; ed è quella di sempre, perché è scritta nel Vangelo, ma con una purezza e forza nuova: è la strada della piccolezza, del sacrificio, della povertà, del nascondimento, della testimonianza.
È un fatto indiscutibile, e non solo per i paesi poveri: si ha paura della potenza. Una Chiesa potente, ricca, dominatrice, oggi spaventa.
L'occhio dell'uomo, terrorizzato dalle possibilità della tecnica, si posa con gioia su ciò che è piccolo, indifeso, debole. 
Si ha perfino paura di un oratore che gridi troppo forte.
Sta proprio qui il segreto della popolarità acquistata da Charles de Foucauld. Si è presentato tra assassini come erano i Tuareg, indifeso; è entrato nel mondo arabo vestito da arabo, ha vissuto tra coloro che erano i servi degli europei come se fossero suoi padroni, ha costruito i suoi eremitaggi non copiando le architetture romane o gotiche, ma imitando la semplicità e la povertà delle moschee sahariane.
Questo presentarsi povero, questo vestire "come loro", questo accettare la loro lingua, i loro costumi, di colpo ha fatto cadere il muro e ha permesso il dialogo, l'autentico dialogo: quello tra uguali.
Mai dimenticherò una scena che nella sua semplicità esprime plasticamente il pieno di amore di questo nuovo "andare verso coloro che non conoscono ancora il Cristo".
Percorrevo a cammello la pista tra Geriville e El Abiod, ed ero diretto ad una zona desertica, per qualche giornata di solitudine.
Ad un certo punto della pista m'imbatto in un cantiere di lavoro. 
Una cinquantina di indigeni, guidati da un sottufficiale del genio, faticava a sistemare la strada rovinata dalle piogge invernali. Sotto il sole sahariano, non macchine, non tecnica: solo la fatica dell'uomo nel caldo e nella polvere a maneggiare per tutta la giornata la pala e il piccone. Rimonto la fila del manovali disseminati sulla pista, rispondo al loro saluto, offro la mia  "gherba" di 30 litri di acqua alla loro sete. Ad un certo punto, tra le bocche che si avvicinano al collo della "gherba" per bere, vedo schiudersi un sorriso che non dimenticherò più.
Povero, stracciato, sudato, sporco: è frère Paul, un piccolo fratello che ha scelto quel cantiere per vivere il suo calvario e mescolarsi a quella pasta come lievito evangelico.
Nessuno avrebbe scoperto l'europeo sotto quegli abiti e quella barba e quel turbante ingiallito dalla polvere e dal sole.
Io conoscevo bene frère Paul, perché avevo fatto il noviziato assieme.
Ingegnere parigino, lavorava in una di quelle commissioni destinate a preparare la bomba atomica di Reganne, quando sentì la chiamata del Signore.
Lasciò ogni cosa e fu piccolo fratello.
Ora era lì; e nessuno sapeva che era un ingegnere: era un povero come gli altri.
Ricordo sua madre quando venne in occasione dei voti al noviziato.
"Mi aiuti, fratel Carlo, a capire la vocazione di mio figlio. Io l'ho fatto ingegnere, voi l'avete fatto manovale. Ma perché? O almeno vi serviste di mio figlio per quel che vale! No: dev'essere un manovale. Ma dite, alla Chiesa non ne verrebbe più decoro, più efficacia a farlo agire come intellettuale?".
"Signora, rispondevo io, ci sono cose che non si possono capire con l'intelligenza e il senso comune. Solo la fede ci può illuminare.

Perché Gesù volle essere Lui povero? Perché volle nascondere la sua divinità e la sua potenza e vivere tra noi come ultimo?
Perché, signora, la sconfitta della croce, lo scandalo del Calvario, l'ignominia della morte per Lui che era la Vita? No, signora; la Chiesa non ha bisogno di un ingegnere di più, ma ha bisogno di un chicco di grano di più da far morire nei suoi solchi. E più questo chicco è turgido di vita e sapido di cielo e di sole, e più sarà gradito alla terra che lo deve accogliere per la futura messe".

Quante cose non si possono capire su questa terra! Non è tutto un mistero ciò che ci circonda?
Che Paul sacrifichi se stesso, la sua cultura, la sua possibilità per amore di Dio e per amore dei suoi fratelli più abbandonati io lo capisco; ma capisco pure le reazioni di sua madre, e non solo di sua madre.
Quanti direbbero: peccato! Una sì bella intelligenza, finire in un solco della pista sahariana. Avrebbe potuto costruire una rotativa per diffondere la buona stampa... E avrebbero anche ragione. È difficile cogliere il punto giusto del mistero dell'uomo che è una parte del grande mistero di Dio.
C'è chi sogna una Chiesa potente, ricca di mezzi e di possibilità, e c'è chi la vuole povera e debole; c'è chi dà vita e cultura e studio per arricchire di pensiero la filosofia cristiana, e c'è chi rinuncia anche a studiare per amore di Dio e del prossimo.
Mistero di fede! A Paul non interessava "avere influenza" sugli uomini; gli bastava "pagare", "scomparire". Altri cercheranno altre vie e realizzeranno la loro santità in modo differente. Posso dubitare della fede di mia madre che avrebbe desiderato tutta la ricchezza in mano alla Chiesa per il decoro dell'altare, le opere missionarie e la dignità del culto?
Ed io, suo figlio, che ero esattamente all'opposto e sognavo un culto più spoglio, una povertà più sentita, e soprattutto un apostolato fatto con "mezzi poveri", non avevo anch'io le mie ragioni?
È tanto difficile giudicare! Tanto difficile che Gesù ci pregò di non insistere sull'argomento.
C'è però una verità, alla quale attaccarci sempre, disperatamente sempre: l'amore!
È l'amore che giustifica le nostre azioni, a volte così contrastanti. È l'amore la perfezione della legge.
Se è per amore che frère Paul ha scelto di morire su una pista del deserto, da questo è giustificato.
Se è per amore che Don Bosco e il Cottolengo costruirono scuole e ospedali, da questo sono giustificati.
Se è per amore che S. Tommaso passò la sua vita sui libri, da questo è giustificato.
Rimane solo il problema di stabilire la gerarchia di questi amori; e qui è Gesù stesso che ci insegna in modo inequivocabile: "Chi di voi vuol essere il primo, sia l'ultimo e come colui che serve" (Lc 22, 26).
E ancora: "Nessuno ama di più l'amico di colui che dà la vita per esso" (Gv 15, 3) 

- Fratel Carlo Carretto - 
da: "Lettere dal Deserto", editore La Scuola, 1967


Buona giornata a tutti. :-)