1. REALIZZA IL
TUO SOGNO
All’inizio, c’è una domanda molto semplice: «Vuoi una vita qualunque
o vuoi cambiare il mondo?» Ogni mattina guardati allo specchio e chiediti:
«Se
oggi fosse il mio ultimo giorno di vita, farei quello che sto per fare oggi?»
Se la risposta è no per troppi giorni di fila, è ora di cambiare qualcosa.
C’è
una cometa per ciascuno. Basta cercarla. Si può ancora parlare di mete e di
ideali, oggi? Il maestro insegnava che non si può vivere senza un ideale, una
meta, un’utopia. Per spiegare la necessità dell’utopia indicò ad un giovane
intrepido la linea - azzurrina 2012 – Giornate di Spiritualità dell’orizzonte.
«È
là che devi arrivare: quella è la tua meta!» Il giovane partì a grandi falcate.
Raggiunse le prime colline, ma la linea azzurrina si era spostata su una catena
di montagne. Il giovane riprese il cammino, ma la linea azzurrina era dietro le
montagne, al termine di un’ampia pianura. Deluso, tornò dal maestro. «Faccio
dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi. Per quanto cammini, mai lo
raggiungerò». «Sì, è così!» «Allora, a che cosa serve l’utopia?» «Serve a
questo: a camminare».
Quando smette di correre il fiume diventa una palude.
Anche l’uomo.
Don Bosco non ha smesso di camminare.
Oggi lo fa con i nostri
piedi. Scoprire il proprio sogno significa in fondo rispondere alla domanda:
«Allora, che cosa è veramente importante per te?» E' una delle prime cose che
Don Bosco ha fatto. Aveva una convinzione riguardo ai giovani: «Questa porzione
la più delicata e la più preziosa della umana società, su cui si fondano le
speranze di un felice avvenire, non è per se stessa di indole perversa...
perché se accade talvolta che già siano guasti in quella età, lo sono piuttosto
per inconsideratezza, che non per malizia consumata. Questi giovani hanno
veramente bisogno di una mano benefica, che prenda cura di loro, li coltivi, li
guidi...»
Nel 1882 in una conferenza ai Cooperatori a Genova: «Col ritirare,
istruire, educare i giovanetti pericolanti si fa un bene a tutta la società
civile. Se la gioventù è bene educata avremo col tempo una generazione
migliore; se no, fra poco sarà composta di uomini sfrenati ai vizi, al furto,
all’ubbriachezza, al mal fare.
Questi giovanetti nella persona dei loro
superiori si presentano a voi col cappello in mano; e voi con un sussidio
potete provvedere loro il pane, e insegnare a vivere laboriosi e onesti,
procurare loro un avvenire fortunato».
È come dire: solo l’educazione può
cambiare il mondo.
«Invece se fossero abbandonati a se stessi, un giorno forse
si presenterebbero a voi, domandandovi il danaro col coltello alla gola».
A lui
è successo, una sera, mentre camminava verso Castelnuovo. Sta tornando
attraverso un boschetto, quando una voce dura gli intima: «O la borsa o la
vita».
Don Bosco è spaventato. Risponde: «Sono don Bosco, denari non ne ho».
Guarda quell'uomo che è sbucato tra le piante brandendo un falcetto, e con voce
diversa continua: «Cortese, sei tu che vuoi togliermi la vita?»
Ha scoperto in
quel volto coperto dalla barba un giovanotto che gli era diventato amico nelle
prigioni di Torino. Anche il giovanotto lo riconosce, e vorrebbe sprofondare.
«Don Bosco, perdonatemi. Sono un disgraziato».
Gli racconta a pezzi e bocconi
una storia amara e solita. Dimesso dalla prigione, a casa sua non l'hanno più
voluto. «Anche mia madre mi voltò le spalle. Mi disse che ero il disonore della
famiglia». Lavoro, nemmeno parlarne. Appena sapevano che era stato in prigione,
gli chiudevano la porta in faccia. Prima di arrivare ai Becchi, don Bosco l'ha
confessato, e gli ha detto: «Adesso vieni con me».
Lo presenta ai suoi
familiari: «Ho trovato questo bravo amico. Stasera cenerà con noi».
Chi ha un
sogno è sempre rispettoso. Sa che ciascuno racchiude un sogno, sa che i giovani
sono un fascio di sogni che il mondo degli adulti si diverte a calpestare.
Come
dice Yeats:
«Povero io sono e solo i miei sogni posseggo. Cammina in punta di
piedi perché cammini sui miei sogni».
Avere un sogno significa percepire la
vita come missione, come magnifico compito da portare a termine. Chi sente che
il suo sogno viene dall’alto si sente in missione per conto di Dio, uno
strumento nelle sue mani.
Prova la gioia più grande di un essere umano: il mio
sogno e quello di Dio coincidono. Per questo gode il piacere e la semplice
bellezza del fare, e affronta la fatica che ci vuole, senza farsi illusioni.
Non si sente per niente speciale. «Tante volte, don Bosco diceva, e io lo
sentii più volte, che se il Signore avesse trovato uno strumento più
disadattato di lui per le sue opere, l’avrebbe certamente scelto al suo posto.
“È certo, aggiungeva, che si sarebbe trovato meglio servito che da me”» afferma
don Rua.
Chi ha un sogno non butta via niente. Fin da piccolo, don Bosco è una
“spugna”che assorbe e impara da tutti: il latino dal vecchio parroco, i giochi
di prestigio dai giocolieri delle fiere, ripete pronomi e verbi mentre zappa,
impara la musica, a cucire e confezionare giubbotti, pantaloni e panciotti da
Giovanni Roberto, la santità da Comollo, impara a confezionare dolci e liquori:
«A metà anno non solo preparavo caffè e cioccolato, ma conoscevo le regole e i
segreti per fabbricare gelati, rinfreschi, liquori, torte. Il padrone, poiché
il suo locale ne ricavava notevoli vantaggi, mi concesse la pensione gratuita.
Poi mi fece un’offerta concreta perché lasciassi gli studi e mi dedicassi
completamente al suo caffè. Ma io volevo continuare a studiare, ad ogni costo».
Chi ha un sogno grande non lo può tenere per sé. Se ci credi veramente,
raccontalo!
Don Bosco è il più grande narratore di sogni della storia dopo il
buon Giuseppe della Bibbia. Comunica le sue idee con tale forza da convincere
ragazzi e investitori a sostenere la sua visione e accompagnarlo nel viaggio.
Una canzone di Jacques Brel dice:
Vi auguro sogni a non finire la voglia
furiosa di realizzarne qualcuno vi auguro di amare ciò che si deve amare e di
dimenticare ciò che si deve dimenticare vi auguro passioni vi auguro silenzi vi
auguro il canto degli uccelli al risveglio e risate di bambini vi auguro di
resistere all’affondamento, all’indifferenza, alle virtù negative della nostra
epoca. Vi auguro soprattutto di essere voi stessi.
2. AMA LA VITA E SEGUI IL
TUO CUORE
Dov’è nato don Bosco? La sua casa natia non c’è. Per me è nato in un
prato. Il ragazzino dei Becchi faceva le capriole su di un prato. Su quel prato
nacque il primo oratorio. È la sua prima grande intuizione: uno spazio libero,
senza confini tranne il cielo. Uno spazio per la vita. Un cortile, uno spazio
in cui i ragazzi possano giocare, divertirsi, incontrarsi, lasciar esplodere le
energie. Perché i bambini in cortile urlano? È il rumore della vita.
Il gioco
non è passatempo e l’oratorio non è un ritrovo per buontemponi perché il gioco
è il lavoro più serio dei bambini e dei ragazzi.
Occorrono spazi e fonti di
energia per caricare le batterie dell’entusiasmo. Questo aspetto della
pedagogia salesiana è geniale e vitale.
Basta con i "bambini
d'appartamento", oggi i bambini sono tenuti in spazi chiusi. In solitudine
a parlare e giocare con delle macchine. Un grande e indimenticabile salesiano,
Don Luigi Cocco, con semplicità lo esprimeva così: "I ragazzi sono come i
passerotti, in gabbia muoiono".
Ma soprattutto il cortile è un luogo di
profondo piacere. A troppi la parola “piacere” fa paura.
Il primo piacere è
stare insieme. Il piacere di vivere insieme «Una gioia condivisa è doppia». La
parola d’ordine dell’educatore «Io sto bene con voi». Una presenza che è
intensità di vita. E’ possibile?
Racconta don Ceria, che un alto prelato dopo
una visita a Valdocco dichiarò: «Voi avete una gran fortuna in casa vostra, che
nessun altro ha in Torino e che neppure hanno altre comunità religiose. Avete
una camera, nella quale chiunque entri pieno di afflizione, se ne esce
raggiante di gioia».
Don Lemoyne annotò a matita: «E mille di noi han fatto la
prova».
Secondo don Bosco la ricetta della santità è semplice:
«Se vuoi farti
buono, pratica tre sole cose e tutto andrà bene: allegria, studio, pietà».
La
prima società fondata da Don Bosco è stata la Società dell’allegria. Facevamo
bene a mantenere quel nome: sarebbe un brand strepitoso. La triade è cortile,
scuola, chiesa: il sistema preventivo di pietra. E qui entra anche la scuola con
una portata quanto mai rivoluzionaria oggi: si impara solo per la via del
piacere e formare una testa ben fatta è l’impegno decisivo. E poi il piacere di
celebrare (A Messa si va per dovere o per piacere?). Uno spazio per gli altri
nella propria vita. La vita di don Bosco è un inno all’amicizia. Scoppiavano
addirittura dei duelli tra i suoi ragazzi: Un lustrascarpe vedendolo: «Oh don Bosco, esclamò, venga qui da me: voglio lustrarle le scarpe». «Ti ringrazio,
mio caro, ma ora non ho tempo». «Le pulisco in un momento, sa!» «Un'altra
volta; ho premura». «Ma io gliele lustro e lei non mi darà niente. È solamente
per avere il piacere e l'onore di farle questo, servizio». A questo punto un
spazzacamino bruscamente l'interruppe. «Lascia un po' andare la gente per la
sua strada». «Oh bella! parlo con chi voglio». «Ma non vedi che ha premura?»
«Che cosa c'entri tu? io conosco don Bosco, sai?» «Ed io pure lo conosco». «Ma
io sono suo amico». «Ed io pure». «Ma io gli voglio più bene di te». «No; sono
io che gli voglio più bene». «Sono io!» «Sono io!» «Vuoi tacere sì o no?» «No,
no! Io voglio parlare». «Guarda che ti pesto il grugno» «Tu? Fa la prova». «Sei
una bestia». «Lo sei tu!». Ed uno si slanciò sull'altro, e incominciarono una
tempesta, di pugni e calci. Si presero per i capelli, si gettarono per terra,
si rovesciò la cassetta del lustrascarpe, e spazzole e lucido andarono qua e
là.
Don Bosco si mise in mezzo: «Pace, pace, amici miei, non fate così!» A
stento furono divisi, ma si guardavano sempre inviperiti uno contro dell'altro:
«Ti dico e lo sostengo che gli voglio più bene io! Io sono andato a
confessarmi». «Io pure». «A me ha dato una medaglia». «A me un libretto!» «Dica
Lei, Don Bosco, non è vero che vuol più bene a me?» «No, ti dico!….. A me!» «Ma
dica Lei, a chi vuol più bene fra noi due?»
«Ebbene, esclamò Don Bosco: sentite!
Voi mi proponete una questione molto difficile. Vedete voi la mia mano? e loro
mostrava la destra; vedete voi il mio dito pollice e l'indice? A quale dei due
credete voi che io voglia più bene? Lascerei tagliarmi più uno che l'altro?»
«Vuol bene a tutti due!» « Così io voglio bene a voi due; siete come due dita
della mia stessa mano.
Nello stesso modo amo tutti gli altri miei giovani... E
quindi non voglio che vi battiate; venite con me: non facciamo scene. Sono
figure poco belle, queste: venite». E s'incamminò tenendosi vicini i due
contendenti. Intorno a lui camminavano gli altri spazzacamini e lustrascarpe, e
dietro una piccola folla che si era radunata a quel battibuglio. Così si andò
chiacchierando fino alla basilica dei SS. Maurizio e Lazzaro ove si divisero, e
i giovani andarono a sedersi al sole sulla gradinata di quel tempio. Lo
spazzacamino fu poi ricoverato all'Oratorio, e riuscì un giovane buonissimo e
delle più belle speranze. Era della valle d'Aosta. Venne la madre a visitarlo,
sentito che il figlio era stato messo a studiare non le parve conveniente, che
proseguisse. «Uno spazzacamino prete? Esclamava. No, non va!» (MB III, 171-172)
Non aveva paura di dire «Ti voglio bene».
Nell'estate del 1847, don Bosco trovò
un ragazzino che piangeva vicino alla barbieria dove faceva il garzone di
bottega. «Cosa ti è capitato?» «È morta mia mamma, e il padrone mi ha
licenziato. Mio fratello più grande è soldato. E adesso dove vado?»
«Vieni con
me. Io sono un povero prete. Ma anche quando avrò soltanto più un pezzo di pane
lo farò a metà con te». (È la frase che tanti ragazzi si sentirono dire da don
Bosco, e che conservarono nel cuore come un tesoro: don Bosco sarebbe sempre
stato la loro sicurezza).
«Talora accadeva questo fenomeno, che un giovane
udita la parola di Don Bosco, non gli si staccava più dal fianco, assorto quasi
in un’idea luminosa... Altri vegliavano di sera alla sua porta, picchiando
leggermente ogni tanto, finché non venisse loro aperto, perché non volevano
andare a dormire col peccato nell’anima».
Testimonianza di Giuseppe Brosio
grande aiutante di Don Bosco dei primi tempi: «Un giorno due signori veramente
ben vestiti, che avevano l’accento francese, mi fermarono e dopo cordiale discorso,
mi offersero una grossa somma di denaro, parmi fossero da cinquecento a
seicento lire, con promessa che mi avrebbero impiegato in un posto da signore,
se però io avessi abbandonato l’Oratorio e condotto via i compagni. A questa
offerta con quattro parole risposi: “Don Bosco è mio padre, non lo abbandonerò
mai e non lo tradirò per tutto l’oro del mondo”».
Chi ama sarà riamato.
“Un
eminente Rettore di un grande istituto portoghese era venuto a Torino per
chiedere consiglio a Don Bosco” ricorda Don Ricaldone. “Giunto infatti alla sua
presenza, espose al santo educatore i suoi quesiti circa il modo di educare gli
alunni del suo Istituto. Don Bosco lo ascoltò con grande attenzione, senza
interromperlo mai. Al termine del suo dire, il Padre Gesuita sintetizzò in una
sola domanda ciò che desiderava sapere: «In che modo riuscirò a educar bene i
giovani del mio collegio?» E tacque. Don Bosco, al Padre che si aspettava forse
un lungo discorso, rispose quest’unica parola: «Amandoli!»”. Ascoltare è “fare
spazio” agli altri in particolare ai piccoli, ai giovani. Don Bosco si sentiva
mandato ai giovani poveri. Chi sono i veramente poveri? Quelli che nessuno
ascolta. Don Bosco leggeva nel cuore dei ragazzi, ascoltava anche le parole non
dette, ascoltava i sentimenti: «Caro Michele, io avrei bisogno che mi facessi
un piacere». «Dite pure» rispose arditamente. «Avrei bisogno che mi dicessi
perché da alcuni giorni sei così malinconico». «Sì è vero... Ma io sono
disperato, e non so come fare». E scoppiò a piangere. Lo lasciai sfogare. Un
mese prima della morte, all'imbrunire di una giornata passata in un penoso
dormiveglia, Don Bosco fece chiamare Don Rua e Monsignor Cagliero, due dei
figli più cari, e raccogliendo le poche forze che aveva disse per loro e per
tutti i Salesiani: "Vogliatevi tutti bene come fratelli; amatevi,
aiutatevi e sopportatevi a vicenda come fratelli..." Più tardi, con un
filo di voce, aggiunse ancora: "Promettetemi di amarvi con fratelli".
«Quand'è che ti accorgi che la tua famiglia va bene?» chiesero a una bambina.
«Quando vedo la mamma e il papà che si danno i bacetti». Sul letto di morte
disse al segretario: «Quando non potrò più parlare e qualcuno verrà per
chiedere la benedizione, tu alzerai la mia mano, formerai con essa il segno
della croce e pronuncerai la formula. Io metterò l’intenzione». L’ultimo gesto:
Don Rua sollevò il suo braccio e l’ultimo gesto di Don Bosco fu una benedizione
su tutti i suoi figli.
3. IL CIELO NON È LONTANO
Nel sogno di don Bosco Gesù e
Maria lo prendono per mano. Non lascerà mai quella mano. Così lo straordinario
fiorirà nell’ordinario, perché questa è la vera fede. Potremmo dire “Dove c’è
Don Bosco c’è Maria”. Una presenza concreta. Voglio dirvi solo che la Madonna
vi vuole molto, molto bene. E, sapete, essa si trova qui in mezzo a voi! Allora
Don Bonetti, vedendolo commosso, lo interruppe, e prese a dire, unicamente per
distrarlo: - Sì, così, così! Don Bosco vuol dire che la Madonna è vostra madre
e che essa vi guarda e protegge. - No, no, ripigliò il Santo, voglio dire che
la Madonna è proprio qui, in questa casa e che è contenta di voi e che, se
continuate con lo spirito di ora, che è quello desiderato dalla Madonna... Il
buon Padre s'inteneriva più di prima e Don Bonetti a prendere un'altra volta la
parola:- Sì, così, così! Don Bosco vuol dirvi che, se sarete sempre buone, la
Madonna sarà contenta di voi. - Ma no, ma no, si sforzava di spiegare Don
Bosco, cercando di dominare la propria commozione. Voglio dire che la Madonna è
veramente qui, qui in mezzo di voi! La Madonna passeggia in questa casa e la
copre con il suo manto. (Memorie Biografiche XVII, 557). Non diceva quasi mai:
“Farò questo o quello, ma la Madonna farà questo e quest’altro”. La Madonna
vuole una grande chiesa? Se la farà. E il cielo arrivava anche con opportuni
colpi di fulmine. Sorgeva colà presso una casetta, con una misera tettoia ed un
cortile. Domandato di chi fossero, seppe che ne era proprietaria una certa
signora Vaglienti. Egli pertanto andò a trovarla, ed espostole lo scopo di sua
visita, la pregò che volesse affittargli quel locale. La buona signora si
mostrò disposta al contratto, ma non potevasi accordare sull'annuo prezzo della
pigione. Dopo un lungo disputare si correva ormai pericolo di rompere le
trattative, quando un caso singolare venne a togliere ogni difficoltà.
Il cielo
era rannuvolato. In quell'istante si fa sentire un colpo di fulmine così
gagliardo da mettere in grande turbamento la pia signora, la quale voltasi a Don Bosco gli disse: - Iddio mi salvi dal fulmine, e io le concedo la casa per la
somma che lei mi esibisce. «Io la ringrazio, rispose DonBosco, e prego il
Signore che la benedica ora e per sempre». Dopo alcuni momenti cessa il
rumoreggiare del tuono, si estinguono i lampi, e il contratto viene stipulato a
lire 450. In tal guisa anche il fulmine mostravasi propizio a Don Bosco,
facendogli da mediatore benevolo. (Memorie Biografiche III, 268 – 269)
Incantevole, tra i tanti episodi, quello di Montemagno d’ Asti, dove don Bosco
ebbe la sorpresa del predicatore. Invitato dalla nobile casa De Maistre, il
Santo si era recato, con Don Cagliero e Don Rua, a predicare un triduo per la
festa dell'Assunzione di Maria SS. a Montemagno, dove, da tre mesi, un cielo dì
bronzo negava la pioggia alle arse campagne e invano s'erano fatte private e
pubbliche preghiere per ottenerla. La prima sera che salì in pulpito egli fece
questa promessa: «Se voi verrete alle prediche in questi tre giorni, se vi
riconcilierete con Dio per mezzo di una buona confessione, se vi preparerete
tutti in modo che il giorno della festa vi sia proprio una Comunione generale,
io vi prometto, a nome della Madonna, che una pioggia abbondante verrà a
rinfrescare le vostre campagne». Disceso in sagrestia, la gente lo guardava
meravigliata e commossa, e il parroco Don Clivio gli disse: «Ma bravo, ma bene;
ci vuole il suo coraggio!» «Qual coraggio?» «Il coraggio d'annunziare al
pubblico che la pioggia cadrà infallantemente il giorno della festa!» «Ho detto
questo?» «Certamente. Ha detto proprio queste parole: "In nome di Maria
SS. vi prometto che, se tutti farete una buona confessione, avrete la
pioggia!"». «Ma no; avrà frainteso...: io non mi ricordo d'aver detto
questo». «Interroghi uno a uno gli uditori, e vedrà che tutti hanno inteso
quello che ho inteso io». Infatti, era vero; e il popolo ne fu talmente
convinto che s'accinse risolutamente ad aggiustare le partite della propria
coscienza. Non bastavano i confessori ai penitenti. Dalle prime ore del mattino
fino a notte avanzata i confessionali erano assediati, e Don Rua, e più Don
Cagliero, ricordavano ancora dopo tanti anni la stanchezza di que' giorni.
Durante il triduo, il cielo continuò ad essere di fuoco. Don Bosco continuava a
predicare, e nell'andare o nel tornar dalla chiesa i popolani lo interrogavano:
«E la pioggia?» E Don Bosco: «Togliete il peccato».
Il giorno dell'Assunta vi
fu una Comunione così numerosa, quale non s'era vista da tempo; ma anche quel
mattino il cielo era serenissimo. Don Bosco fu a pranzo dal Marchese Fassati,
e, prima che i convitati avessero finito, si levò e si ritirò in camera. Era in
apprensione perché le sue parole avevan fatto troppo rumore. Le campane suonano
i vespri e in chiesa incomincia il canto dei salmi. Appoggiato alla finestra,
Don Bosco pareva interrogasse il cielo, che sembrava inesorabile. Faceva un
caldo soffocante. Che dire dal pulpito, se la Madonna non avesse fatto la
grazia? «Intanto» narrava Luigi Porta, poi salesiano e sacerdote «io andava
alla chiesa col Marchese, e si parlava appunto della pioggia promessa; il sudore
gocciolava dalle nostre fronti, benché dal palazzo alla chiesa non vi fossero
che dieci minuti di strada. Come fummo giunti in sagrestia, sul finir del
vespro ecco giungere Don Bosco. Il Marchese gli disse: «Questa volta, sig. Don
Bosco, fa fiasco. Ha promesso la pioggia, ma tutt'altro che pioggia»! Allora
Don Bosco chiamò il sagrestano, e: «Giovanni, gli disse; andate dietro al
castello del Barone Garofoli, ad osservare come si metta il tempo, e se vi sia
qualche indizio di pioggia» Il sagrestano va, ritorna e riferisce a Don Bosco:
«È limpido come uno specchio; appena una piccola nuvoletta, quasi come l'orma
di una scarpa, verso Biella». « Bene; gli rispose Don Bosco; datemi la stola».
Alcuni che erano in sagrestia gli si fecero intorno e lo interrogarono: «E se
la pioggia non cade?» «È segno che non la meritiamo», rispose Don Bosco.
Finito
il Magnificat, Don Bosco salì lentamente il pulpito, dicendo in cuor suo alla
Madonna: «Non è il mio onore, che in questo momento si trova in pericolo, bensì
il vostro. Che cosa diranno gli schernitori del vostro nome, se vedranno deluse
le speranze di questi cristiani, che hanno fatto del loro meglio per piacere a
voi?» Una moltitudine enorme, che occupa ogni angolo della chiesa, tiene gli
occhi fissi su lui. Detta l'Ave, sembra che la luce del sole si sia leggermente
oscurata. Incomincia l'esordio, e, dopo pochi periodi, s'ode, prolungato, il
rumore del tuono. Un mormorio di gioia corre per la chiesa.
Il Santo si ferma
un istante, ed ecco una pioggia, dirotta e continua, batte sulle vetrate. La
parola che uscì dal cuore di Don Bosco, mentre la pioggia diluviava, fu un inno
di ringraziamento a Maria e di conforto e di lode ai suoi divoti. Piangeva lui
e con lui piangevano gli uditori. Dopo la benedizione, la gente si fermò ad
aspettare sotto l'atrio e in chiesa, perchè la pioggia continuava dirotta. E
nessuno aveva portato l’ombrello! Senza tanti fronzoli, senza mistiche e
cervellotiche evoluzioni, nella semplicità del quotidiano don Bosco viveva in
compagnia di Dio.
Di qui nasce l’ottimismo radicale: Margherita entrò per prima
nella nuova casa: tre stanzette nude e squallide, con due letti, due sedie e
qualche casseruola. Sorrise, e disse al figlio: “Ai Becchi, ogni giorno dovevo
darmi da fare per mettere in ordine, pulire i mobili, lavare le pentole. Ora
potrò riposare molto di più” Ripresero fiato poi si misero tranquilli a
lavorare. Mentre Margherita preparava un po’ di cena, don Bosco appese alla
parete un crocifisso e un quadretto della Madonna, poi preparò i letti per la
notte. E insieme Madre e Figlio si misero a cantare. La canzone diceva: Guai al
mondo - se ci sente forestieri - senza niente... "Primo: niente ti
turbi". Così Don Bosco comincia i "Ricordi confidenziali" ai
direttori. In questo primo "ricordo", Don Bosco propone come esempio
se stesso: la sua è stata una vita sorretta da un incrollabile ottimismo
radicato nella virtù cristiana della speranza. Tutte le testimonianze
concordano su un aspetto tipico della personalità di Don Bosco: irradiava
serenità e sicurezza nei suoi collaboratori e nei ragazzi. Del resto il Sistema
Preventivo può sprigionare tutta la sua efficacia solo in un clima di
fondamentale ottimismo. “Don Bosco avrà in questi giorni qualche grave
fastidio, giacché è più gioviale del solito; ed infatti qualche giorno dopo
venivamo a scoprire che realmente la cosa si era verificata” Quando era
attaccato pesantemente Giornali satirici, es La Rana, “Aiutate questo
serpentaccio sempre avido di carne fresca” Non voleva ritorsioni o vendette
Fermamente diceva: «Eh, là, pazienza! Anche questo passerà!» Anche perché i
fulmini sono capricciosi… In quella notte stessa si sollevò un gran temporale,
e un fulmine scoppiò, con formidabile fragore, sopra l'estremità del corpo di
fabbrica dove era la cameretta di don Bosco, il quale si salvò miracolosamente
con tutti i suoi giovani che riposavano nel dormitorio del piano superiore.
Il
fulmine era penetrato nel camino che scendeva nella camera di don Bosco;
rompeva il muro, gettava a terra uno scaffale di libri, rovesciando il tavolo.
Il letto di ferro veniva sollevato dal suolo e trasportato, in mezzo a luce
abbagliante, verso il lato opposto, e il povero don Bosco gettato violentemente
sul pavimento. Nel dormitorio sovrastante degli artigiani non fu minore il danno
e spavento, ma tutti furono salvi.
Il 19 maggio, in ringraziamento, si cantava
un solenne Te Deum nella chiesetta di San Francesco di Sales. Dopo il pericolo
corso, molti consigliarono a don Bosco dì mettere un parafulmine sulla casa. «
Sì, rispose egli, vi collocheremo la statua della Madonna! ». La statua di
Maria è ancora là e non mi consta che siano caduti altri fulmini a far danni. E
l’eleganza di Dio? Gli manda un angelo in carne, ossa e molto pelo: il Grigio.
Partì, dunque, il 31 gennaio, alla volta di Sampierdarena, Alassio, S. Remo,
Vallecrosia e Ventimiglia. Di ritorno a Vallecrosia, mentre era già notte e le
vie erano piene di pozzanghere, gli apparve ancora una volta il Grigio, che lo
precedette lentamente, scegliendo i punti migliori della via. Egli lo seguì e
giunse felicemente a casa, dove il misterioso difensore scomparve. Fu l'ultima
volta che lo vide, ed eran passati più di trent'anni dalle sue prime comparse.
4. GUARDA OLTRE L’ORIZZONTE
Il camminatore sul filo guarda sempre avanti.
Guardate oltre l’orizzonte. Aveva una capacità di visione quasi spaventosa.
Quando si crede in qualcosa la forza di questa visione può letteralmente
spazzar via qualsiasi obiezione o problema, che molto semplicemente cessano di
esistere. Se la passione è il carburante che garantisce agli innovatori
l’energia per inseguire i loro sogni, la visione fornisce la direzione che
ispira gli evangelisti a unirsi a loro nel corso del viaggio. «Celando tuttavia
le mie pene, mi mostrava con tutti di buon umore e tutti li rallegrava
raccontando mille maraviglie intorno al futuro Oratorio, che per allora
esisteva soltanto nella mente mia e nei decreti del Signore». (MO, 150). I
fratelli Filippi mi licenziavano dal locale a me pigionato. «I suoi ragazzi, mi
dicevano, calpestando ripetutamente il nostro prato faranno perdere fino la
radice dell'erba. Noi siamo contenti di condonarle la pigione scaduta purché
entro a quindici giorni ci dia libero il nostro prato. Maggior dilazione non le
possiamo concedere».
Sparsa la voce di tante difficoltà parecchi amici mi
andavano dicendo di abbandonare l'inutile impresa, così detta da loro. Altri
poi vedendomi sopra pensiero e sempre circondato da ragazzi cominciavano a dire
che io era venuto pazzo.
Un giorno il Teologo Borrelli in presenza del sacerdote Pacchiotti Sebastiano e di altri prese a dirmi così: «Per non esporci a perdere
tutto è meglio salvare qualche cosa. Lasciamo in libertà tutti gli attuali
giovanetti, riteniamone soltanto una ventina dei più piccoli. Mentre
continueremo ad istruire costoro nel Catechismo, Dio ci aprirà la via e
l'opportunità di fare di più».
Loro risposi: «Non occorre aspettare altra
opportunità, il sito è preparato, vi è un cortile spazioso, una casa con molti
fanciulli, porticato, Chiesa, preti, chierici, tutto ai nostri cenni». «Ma dove
sono queste cose?» interruppe il Teologo Borrelli. «Io non so dire dove siano, ma
esistono certamente e sono per noi». Allora il Teologo Borrelli dando in copioso
pianto, povero Don Bosco, esclamò, gli è dato la volta al cervello. Il termine
biblico profeta significa colui che guarda lontano, ovvero colui che sa
intravedere gli scenari futuri, che sa prevedere i cambiamenti e indicare la
strada per un domani migliore. Il profeta guarda lontano in modo alternativo,
con uno stile diverso che sa spronare la comunità. Don Bosco era semplicemente
un profeta. Avere la visione significa possedere le doti più importanti
soprattutto oggi: la fantasia e la creatività! Il professor Umberto Eco ha
scritto «La verità è che è mancato al Pci il suo progetto don Bosco, e cioè
qualcuno o un gruppo con la stessa immaginazione sociologica, lo stesso senso
dei tempi, la stessa inventività organizzativa». Pensate a com’è nata la prima
legatoria salesiana. Don Bosco intanto mentre sperava di avere in tempo non
lontano una tipografia a sua disposizione, nei primi mesi dell'anno apriva,
scherzando, come era solito a fare, in molte sue imprese, un terzo laboratorio nell'Ospizio: Legatoria di libri. Ma fra i giovani che aveva nella casa non ve
n'era alcuno che s'intendesse di questo mestiere: pagare un capo d'arte esterno
non era ancora il tempo.
Tuttavia un giorno, avendo intorno a sé i suoi alunni,
depose sopra un tavolino i fogli stampati dì un libro che aveva per titolo: Gli
Angeli Custodi, e chiamato un giovane gli disse: «Tu farai il legatore!» « Io
legatore? Ma come farò se non so nulla di questo mestiere?» «Vieni qua! Vedi
questi fogli? siediti al tavolino bisogna incominciare dal piegarli».
Don Bosco
pure si assise, e fra lui ed il giovane piegarono tutti quei fogli. Il libro
era formato ma bisognava cucirlo.
Qui venne in suo aiuto mamma Margherita e fra
tre riuscirono a cucirlo. Subito con farina si fece un po' di pasta ed al libro
si attaccò anche la copertina. Quindi si trattò di eguagliare i fogli, ossia
raffilarli. Come fare? Tutti gli altri giovanetti circondavano il tavolino,
come testimoni di quella inaugurazione. Ciascuno dava il suo, parere per
rendere eguali quei quinterni. Chi proponeva il coltello, chi le forbici. In
casa all'uopo non vi era ancora nulla, assolutamente nulla. La necessità rese
Don Bosco industrioso. Va in cucina, prende con sussiego la mezzaluna d'acciaio
che serviva a tagliuzzare le cipolle, gli agli, le erbette, e con questo
strumento si pone a tagliare le carte.
I giovani intanto si rompevano lo
stomaco dal ridere. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, in visita in
Brasile il 19 e il 20 marzo dell’anno scorso per ampliare e ottimizzare le
relazioni politiche e commerciali tra i due paesi, durante il discorso agli
impresari ha ricordato il sogno di Don Bosco sulla città di Brasilia. «Brasilia
è una città giovane, con solo 51 anni, ma che ha avuto inizio da oltre un
secolo; nell’anno 1883 Don Bosco ebbe la visione che un giorno la capitale di
una grande nazione sarebbe stata costruita tra i paralleli 15 e 20, che sarebbe
stata il modello del futuro e che avrebbe garantito opportunità per ogni
cittadino brasiliano».
L’oggetto più commovente delle camerette di don Bosco a
Valdocco è un piccolo mappamondo scuro e piuttosto approssimativo.
5. SII FORTE
SOLIDO E AFFIDABILE
Quello di don Bosco è lo strano caso di un sognatore con i
piedi per terra. «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare (se lo sentite in
piemontese, significa “arare”). Renditi umile, forte, robusto…» Questo il
consiglio di Maria a Giovannino nel sogno dei nove anni. Giovanni lo prenderà
molto sul serio e queste tre qualità diventeranno le dimensioni fondamentali
della sua persona. Un nonno teneva per mano il nipotino e indicava i poderosi
alberi del viale. Raccontava che niente è più bello di un albero. «Guarda,
guarda gli alberi come lavorano!». «Ma che cosa fanno, nonno?» «Tengono la
terra attaccata al cielo! Ed è una cosa molto difficile. Osserva questo tronco
rugoso. È come una grossa corda. Ci sono anche dei nodi. Alle due estremità i
fili della corda si dividono e si allargano per attaccare terra e cielo. Li
chiamiamo rami in alto e radici in basso. Sono la stessa cosa. Le radici si
aprono la strada nel terreno e allo stesso modo i rami si aprono una strada nel
cielo. In entrambi i casi è un duro lavoro!». «Ma, nonno, è più difficile
penetrare nel terreno che nel cielo!». «Eh no, bimbo mio. Se fosse così, i rami
sarebbero bei dritti. Guarda invece come sono contorti e deformati allo sforzo.
Cercano e faticano. Fanno tentativi tormentosi più delle radici». «Ma chi è che
fa fare loro tutta questa faticaccia?». «E’ il vento. Il vento vorrebbe
separare il cielo dalla terra. Ma gli alberi tengono duro. Per ora stanno
vincendo loro». Don Bosco è stato un tronco poderoso ben radicato nel terreno
per tenere il cielo attaccato alla terra. E per questo ha consumato la sua
vita. Da lui allora possiamo imparare il significato della virtù dell’umiltà.
Le radici nella terra sono l’umiltà. La parola richiama il latino humus, terra.
Anche se l’icona più affascinante di don Bosco lo rappresenta in equilibrio su
una corda tesa tra terra e cielo. Si trova subito in sintonia con Maria
Mazzarello: viene dalla terra anche lei. Sanno voltare il fieno, mungere le
mucche e zappare. Si capiscono al volo: poche parole, poche lettere. I
contadini si guardano in faccia e basta. Don Bosco non perse mai di vista la
meta della sua esistenza. Badò sempre all’essenziale. Se hai un sogno grande,
non lasciarti scoraggiare dagli incapaci, impara a dire «no». Il camminatore
sul filo ha bisogno di due qualità essenziali: equilibrio e autocontrollo.
Queste chiese con forza ai suoi ragazzi. Oggi sono fuori moda, ma è quanto di
più moderno si può fare in campo pedagogico. Lui le chiamava temperanza. Una
virtù che praticò in tutta l'estensione della parola (vestire, mangiare,
dormire, abitare e viaggiare) e in maniera eroica. Vestiva, ad esempio, con
abiti puliti ma rattoppati. Il suo abito talare era di panno grossolano, gli
serviva per le quattro stagioni e ne disponeva di uno solo, come testimoniò
Angelo Amadei: «La Signorina Mazzi della Roche, nipote di Mons. Gastaldi, mi
diceva che nel 1858, prima che partisse per Roma, il Venerabile fu a visitare la sua
mamma. La sua veste era pulita ma rattoppata. La Signorina Mazzi gli disse: “
Don Bosco con questa veste andrà a Roma?”. “ Sicuro”, rispose il Venerabile “ è la
veste più bella che abbiamo in casa, e non è mia, me l'ha imprestata Don
Alasonatti”» (PV, 912).
«Nel 1858 {Don Bosco aveva 43 anni), trovandomi io a
Roma in compagnia di un avvocato di Torino, vedemmo Don Bosco per una via.
Lasciai all'istante l'avvocato e andai a salutarlo. Al ritorno, l'avvocato mi
domandò chi era quel sacerdote. Risposi: «Don Bosco!». L'avvocato rimase
sorpreso: «Don Bosco? Quel Don Bosco che raccoglie centinaia di giovanetti? Io
l'ho incontrato per le vie di Torino, e mi chiedevo chi fosse quel semplicione
di un prete, tanto dimesso era il suo vestito e il suo portamento!». Non ha
paura di chiedere. Per andare in seminario fa la prima questua della sua vita,
la prima di una lunga serie. «Restava a provvederlo degli abiti chiericali che
la povera Margherita non avrebbe potuto comprargli. Don Cinzano ne parlò ad
alcuni parrocchiani, e questi accettarono premurosamente di concorrere
all'opera buona. Il signor Sartoris lo provvide della talare, il Cav.
Pescarmona del cappello, Don Cinzano stesso gli diede il proprio mantello,
altri gli comprò il colletto e la berretta, altri le calze, e una buona donna
raccolse i denari necessari per fornirlo, a quanto pare, di un paio di scarpe.
È questo il modo che avrebbe tenuto anche in seguito la Divina Provvidenza per
venire in soccorso al nostro Giovanni; servirsi cioè dell'aiuto di molti
generosi per sostenere il suo fedel Servo e le opere cui egli avrebbe dato mano».
Quante volte il Santo fu udito ripetere: «Io ebbi sempre bisogno di tutti». Non
si vergognò mai di chiedere l’elemosina. Quanto coraggio ci vuole per questo?
Solo chi è umile può essere gentile perché riesce a godere della presenza degli
altri. L’umiltà è la porta dell’amore verso i più piccoli, gli indifesi, i
feriti dalla vita. Gesù spiega concretamente ai suoi il senso dell’umiltà con
la “lavanda dei piedi”. Anche don Bosco: «Egli si dava in casa a più altre
occupazioni. Non potendosi fidare di prendere gente di servizio, con sua madre
faceva ogni lavoro domestico. Mentre Margherita si occupava della cucina,
presiedeva al bucato, adattava e cuciva la biancheria e accomodava gli abiti
logori, egli attendeva a tutte le più minute faccenduole.
Don Bosco in questi
primi anni, facendo vita comune coi giovani, allorché non si muoveva di casa
era pronto ad ogni servigio. Al mattino insisteva perché i giovani si lavassero
le mani e la faccia; ed egli a' pettinare i più piccoli, a tagliare loro i
capelli, a pulirne i vestiti, assettarne i letti scomposti, scopare le stanze e
la chiesuola. Sua madre accendeva il fuoco ed egli andava ad attingere l'acqua,
stacciava la farina di meliga o sceverava la mondiglia dal riso. Talora
sgranava i fagiuoli e sbucciava pomi di terra. Egli ancora preparava sovente la
mensa per i suoi pensionarii e rigovernava le stoviglie ed anche le pentole di
rame che in certi giorni facevasi imprestare da qualche benevolo vicino.
Secondo il bisogno fabbricava o riattava qualche panca perché i giovani
potessero sedersi; e spaccava legna. Per risparmiare spese di sartoria tagliava
e cuciva i calzoni, le mutande, i giubbetti e coll'aiuto della madre in due ore
un vestito era fatto». È la lavanda dei piedi in salsa salesiana.
Il miglior
titolo per una vita di don Bosco credo sia Giovannino Semprinpiedi. Nel
novembre 1845 don Bosco prese in affitto dall'anziano sacerdote Giambattista
Moretta tre stanze, pagando quindici lire mensili. Ma nel marzo 1846 il vecchio
prete, per le solite lamentele degli altri inquilini, non rinnovò l'affitto,
avvisandolo di sloggiare immediatamente. L'Oratorio si trasferì allora
provvisoriamente nel prato attiguo, affittato dai fratelli Filippi. Come
reagisce? «Io mi trovai là a cielo scoperto, in mezzo ad un prato, cinto da
grama siepe, che lasciava libero adito a chiunque volesse entrare.
I giovanetti
erano da tre a quattrocento, i quali trovavano il loro paradiso terrestre in
quell'Oratorio, la cui volta, le cui pareti erano la medesima volta del cielo
[...]. Ne' giorni festivi, di buon mattino, io mi trovava nel prato, dove già
parecchi attendevano [...]. Ad un certo punto della mattinata si dava un suono
di tromba, che radunava tutti i giovanetti; altro suono di tromba indicava il
silenzio, che mi dava campo a parlare e segnare dove andavamo ad ascoltare la
santa messa e fare la comunione. Talvolta, come si disse, andavamo alla Madonna
di Campagna, alla chiesa della Consolata, a Stupinigi...» (MO, 154-155). La
resilienza non è una condizione ma un processo: la si conquista lottando. Non è
difficile considerare tutta la vita di don Bosco una lotta.
Don Bosco non aveva
paura di niente. Monsignor Cagliero ricorda: «Non ricordo di averlo visto un
solo momento, nei 35 anni in cui stetti al suo fianco, scoraggiato, infastidito
o inquieto per i debiti dei quali era sovente carico. Sovente diceva: «La
Provvidenza è grande, e come pensa agli uccelli dell'aria, così penserà ai miei
giovanetti». Al signor Magra, panettiere, doveva 12 mila lire per provvista di
pane nell'anno 1860-61. Magra si rifiutò di fornirgli altro pane. Don Bosco gli
fece dire, come sempre, che non dubitasse: la Divina Provvidenza non aveva mai
fatto banca rotta. Continuasse a provvedere il pane, e il Signore avrebbe
pensato a mandargli il denaro. Magra mandò il pane, ma venne per riscuotere il
suo avere. Don Bosco si trovava in sacrestia, e tardava a uscire aspettando che
il Signore l'aiutasse, mentre il signor Magra passeggiava fuori attendendo. Un
signore entra in sacrestia e da a Don Bosco una piccola elemosina. Don Bosco
allora esce, trova il signor Magra e gli dice: «Ecco, la Provvidenza vi manda
un acconto. Presto vi farà avere il saldo». Così diceva ai provveditori del
ferro, del legname, del cuoio per i laboratori...». Nel 1849, anno difficile
per il Piemonte e per don Bosco, egli si faceva accompagnare, quando usciva, da
Giuseppe Brosio, il "bersagliere", che nelle sue rievocazioni (ASC,
123, Brosio) ricordò che, quando don Bosco percorreva l'attuale corso Regina
Margherita, spesso veniva ingiuriato con insulti o canzonacce indecenti da
parte di giovani sbandati.
L'esuberante Brosio, proprio per i suoi particolari
trascorsi militari, avrebbe volentieri dato a quei giovinastri una buona
lezione "manuale", ma don Bosco lo fermava regolarmente, anzi un
giorno che riuscì ad avvicinarsi a questi "amici" (come li chiamava)
regalò loro alcuni frutti, comperati da una venditrice che aveva il banco nella
zona. Quando la mamma di Don Bosco si lagnava con lui, e con ragione, perché la
siepe e la verdura del suo orto veniva guastata. Don Bosco, con il solito
sorriso sulle labbra, le rispose: Cosa veule feje? a són giov! [Che cosa volete
farci? Sono giovani!]. Due frasi “terribili”: «L’Oratorio di San Francesco di
Sales nacque dalle bastonate, crebbe sotto le bastonate, e in mezzo alle
bastonate continua la sua vita». «Tutte le volte che ci frappongono imbarazzi —
egli affermava — io rispondo sempre coll'apertura di una casa» (MB, XIV, 229).
Il coraggio è soprattutto la virtù del guerriero che osa rischiare di venire
ferito in combattimento. Il coraggio ci rende decisi: bisogna rischiare. I
forti conquistano il Regno di Dio, dice Gesù: il Risorto si fa riconoscere
mostrando le ferite. Un uomo morì e arrivò alle porte del cielo. L'angelo
addetto all'accoglienza gli chiese: «Mostrami le tue ferite». Sorpreso, l’uomo
replicò: «Ferite? Non ne ho». E l'angelo gli disse: «Non hai mai pensato che ci
fosse qualcosa per cui valesse la pena di combattere?». Quante ferite aveva don
Bosco? Il canonico Ballesio testimonia: «Fu attestato dai medici che ebbero ad
assisterlo nelle infermità degli ultimi suoi anni, che le fatiche sopportate,
le violenze fatte a se stesso dal Servo di Dio, dovettero essere tali che ne
rimase addirittura consumata la fortissima sua fibra e costituzione. Fu dai medesimi
dichiarato che il Servo di Dio aveva un corpo cosi affranto e logoro, da
rendere inesplicabile alla scienza come egli potesse vivere e tirare innanzi
nelle sue occupazioni. Al vederlo seduto, tanto faceva la sua figura, l'energia
dell'anima si rispecchiava nella sua faccia, nello sguardo vivo e benigno e
nella parola che sempre coloriva il suo pensiero. Ma al vederlo camminare, per
noi specialmente, memori di altri tempi, era una pena, uno strazio al cuore.
Negli ultimi anni camminava chino e colle braccia stese in alto, che
generalmente erano sostenute dai pietosi suoi figli. E ciò per avere il
necessario respiro.
Ebbene, con tanti acciacchi il Servo di Dio stava su, si
tratteneva coi suoi figliuoli, si informava dai suoi collaboratori dell'andamento
delle cose, e dava consigli e gli ordini del governo e delle molteplici sue
Case sparse nei due mondi ». Al processo, il celebre professor Combal: « Se ne
raccontino pure cose meravigliose di D.Bosco : per me il più grande miracolo si
è che egli viva ancora, mentre è così distrutto». Quando guardate quell’urna:
pensate questo. Ma la ferita più cocente: è quando scrive nel verbale di due
dei suoi che “Sono andati a vivere per conto loro”. A testa alta con tutti.
Anche con la potente Marchesa Barolo. Una volta andò ella stessa a visitare
l'umile tettoia-cappella, inaugurata presso la casa Pinardi; ed ignorando la
celeste missione affidata al Santo, al rimirare quella povera stamberga, le
parve ancor più inesplicabile che si potessero rifiutare le sue generose
offerte per crearsi uno stato così miserabile.
Avvisato della sua presenza, Don
Bosco le andò incontro, e la Marchesa, non appena gli fu vicina, gli disse: «Ed
ora lei che cosa potrà far qui, se non le porgo aiuto? Non ha un soldo, lo so!
E con tutto ciò non vuole arrendersi alle mie proposte? Peggio per Lei! Pensi
prima di decidere: si tratta del suo avvenire!» Un'altra volta recatosi il
Santo presso di lei per parlarle, ella, non appena lo vide comparire sulla
soglia, quasi trionfalmente gli chiese: «Si trova nella miseria, non è vero?»
«Oh no! rispose Don Bosco con affabilità ma con contegno grave e riserbato; non
son venuto a parlarle di danaro; conosco le sue intenzioni e non voglio
disturbarla, tanto più che non ho bisogno di niente... e, se mi permette una
parola che aggiungo senza intenzione di offenderla... non ho bisogno neppure di
lei, signora Marchesa!» «Sì, eh? replicò essa; ecco il superbo!» E il Santo,
con la sua mirabile calma incisiva: «No, non cerco il suo danaro: e so dirle
che, mentre ella mi conosce stretto dalla necessità e non si muove a
soccorrermi,io sono di ben altro animo verso di lei. So dirle, facendo una
supposizione inammissibile, che se la signora Marchesa cadesse nella miseria ed
abbisognasse di me, io mi caverei il mantello dalle spalle e il pane di bocca
per soccorrerla». Il coraggio di proporre esperienze straordinarie, delle
mission impossible ai suoi giovani. La lealtà: è una merce rara, oggi.
Significa fedeltà, onestà, sincerità e affidabilità, è l’ingrediente indispensabile
di ogni amicizia e di ogni relazione umana. Non ha mai abbandonato nessuno. Don
Michele Rua: «Fu ammirabile anche la bontà del venerabile verso il fratello Antonio,
egli ben conosceva quanto lo avesse contrariato nelle sue aspirazioni alla
carriera ecclesiastica, pure lo ebbe sempre amato, e, morto lui, ne ritirò i
figli di lui nell'Oratorio, facendo imparare al più vecchio il mestiere di
falegname, e conservando verso di loro in ogni tempo paterno affetto; il più
giovane ritornò presto alla campagna, ma non cessò di godere degli aiuti dello
zio nei casi di strettezze. Io li conobbi entrambi all'Oratorio» (PV, 597).
26
dicembre. Don Bosco è gravissimo. Viene a trovarlo Carlo Tomatis, allievo dell’
oratorio dei primi tempi. S’ inginocchiò ai piedi del letto, riusciva a dire
solo «Oh Don Bosco Oh Don Bosco!» Quando uscì dalla sua stanza Don Bosco fece
un cenno a Don Rua che si curvò su di lui: «Sai che si trova in difficoltà -
gli mormora - Paga loro il viaggio a mio nome». E se la società è “liquida” ed
infida, come oggi si dice, don Bosco allestisce una zattera: «Quando tutti
furono sulla barca — continua Don Bosco — presi il comando di capitano e dissi
ai giovani: — Maria è la Stella del mare. Essa non abbandona chi in Lei
confida: mettiamoci tutti sotto il suo manto; Ella ci scamperà dai pericoli e
ci guiderà a porto tranquillo».
6. RICONCILIATI CON LA MORTE
Don Bosco aveva
inventato uno strano esercizio per i suoi ragazzi: l’esercizio della buona
morte.
Un esercizio formidabile! Significa avere chiaro il senso del limite e
la fondamentale responsabilità della vita. Abbiamo una meta, un appuntamento
con qualcuno che ci chiederà: che ne hai fatto di tutto quello che ti ho dato?
Sia benedetto chi lo dice ai ragazzi. Quale fu la parola più pronunciata da Don
Bosco? Scrisse Don Alberto Caviglia: «A svolgere le pagine che riportano parole
e discorsi di Don Bosco, si trova che quella del Paradiso fu la parola ch’egli
ripeteva in ogni circostanza come argomento animatore supremo di ogni attività
nel bene e di ogni sopportazione delle avversità».
«Un pezzo di Paradiso
aggiusta tutto!» ripeteva Don Bosco in mezzo alle difficoltà. Anche nelle
moderne scuole per manager si insegna che una visione positiva del futuro si
trasforma in forza di vita. A Marsiglia, in casa di un’insigne benefattrice,
presa una viola del pensiero e rivolto alla signora: «Ecco, disse. Le do un
pensiero, il pensiero dell’eternità».
«Con o senza fiori, non dimenticava mai
di lasciare pensieri somiglianti, chiunque fosse chi si avvicinava» (Don Ceria).
Non è solo la forza di vivere, è un certo modo di vivere, è il piacere di
vivere e vivere nella luce della risurrezione. Possiamo affrontare con successo
la nostra vita quotidiana solo se sappiamo che non è tutto, che la nostra casa
è in cielo, che noi ci innalziamo con il nostro cuore nella vastità e nella
libertà di Dio. La risurrezione spezza i limiti della nostra quotidianità e fa
sì che la luce dell'eternità penetri nella notte nella quale tutto sembra
inutile. Quando, anziano e cadente, attraversava il cortile a passettini di
formica, quelli che lo incrociavano gli rivolgevano il solito saluto distratto:
«Dove andiamo, Don Bosco?» «In Paradiso». Anche humor viene da humus. L’umiltà
permette di accettare le imperfezioni dell’esistenza e regala all’esistenza una
serenità di base. Don Bosco era sempre di buonumore. Il suo ultimo scritto?
Qualcosa di terribilmente carismatico? Una poesia per le sue gambe: Gambe, mie
povre gambe che sie drite, che sie strambe seve sempre l’me confort fin a tant
che sia mort.
7. LA VITA È COME IL GIOCO DEI PUNTINI E IL FINALE È UNA SORPRESA
DELL’ALTRO MONDO
Quell’ultima bellissima intervista (una delle prime, credo,
interviste ad un santo). Il giornalista descrive le fondazioni, i paesi del
mondo raggiunti, i numeri vertiginosi e fa la classica domanda: «Ma come ha
fatto?» Don Bosco risponde (sorridendo): «Un po’ per volta».
C’era una volta un
uomo che allevava pesci. Aveva un grande stagno dove guizzavano pesci di tutte
le specie. Una notte l'uomo venne svegliato da un rumore che proveniva dallo
stagno. Si alzò ma era buio pesto, era mezzo addormentato e non si orientava
bene. Pensò di dirigersi verso il laghetto ma inciampò, si rialzò, cadde in una
fossa, si rialzò di nuovo. Ad un tratto si accorse che stava andando nella direzione
sbagliata, così tornò indietro e si mise di nuovo in marcia verso il rumore
dell'acqua. Non vedeva niente, però, e anche questa volta inciampò, cadde, si
rialzò, cadde in un fosso, si rialzò di nuovo. Piombò a faccia in giù nella
fanghiglia. Si rimise in piedi, tornò indietro. Andò avanti così finché
finalmente arrivò allo stagno. Scoprì che l'acqua stava uscendo da un buco
nell'argine del laghetto e, insieme all'acqua, anche i pesci! Così si mise a
riparare la falla, e solo a opera ultimata tornò a casa e si mise a letto. La
mattina dopo l'uomo, alzandosi, guardò dalla finestra e scorse per terra,
tracciata dai suoi passi, la sagoma perfetta di una cicogna. «Quando il disegno
della mia vita sarà completo, vedrò o altri vedranno una cicogna?» Saremo in
due a vedere il disegno finale della vita: io e Dio. Dio in fondo lo aveva
progettato e se io mi lascio condurre per mano da Lui, alla fine lo vedrò
anch’io. Pensa alla soddisfazione di Dio se fosse proprio quello che aveva in
mente lui!
Tre cose: l'uomo mentre stava correndo su e giù, inciampando,
cadendo, cambiando direzione, non aveva alcuna idea che alla fine la sua fatica
avrebbe prodotto il disegno di una cicogna.
In secondo luogo, nonostante gli
ostacoli che andava incontrando, l’uomo rimase fermo al suo proposito, «tenne
duro fino in fondo».
In terzo luogo, soltanto quando il percorso fu ultimato,
ossia solo il giorno dopo quando l'uomo alzatosi si affacciò alla finestra, gli
fu dato di vedere il risultato del suo lavoro che andava ben oltre la riparazione
dello stagno.
È la spiritualità del Magnificat. Io non vivo come un semplice
numero: Dio ha fatto grandi cose per me. Don Bosco scrive il suo personale
Magnificat, la sera della prima Messa: «La sera di quel giorno tornai alla mia
casa.
Quando fui vicino ai luoghi dove avevo vissuto da ragazzo, e rividi il
posto dove avevo avuto il sogno dei nove anni, non potei frenare la commozione.
Dissi: “Quanto sono meravigliose le strade della Provvidenza! Dio ha veramente
sollevato da terra un povero fanciullo, per collocarlo tra i suoi prediletti”».
Il pianto di don Bosco nelle sue ultime Messe: aveva visto il disegno.
«A suo
tempo tutto comprenderai».
Nella lunga agonia invocava spesso: «Madre! Madre!».
Due volte. Se guardate bene la fotografia di don Bosco morto, sembra veramente
avvolto dalle braccia di Qualcuno. Le due madri sono venute a prenderlo.
Alla
fine vorrei dire solo questo: «Ce l’hai fatta, Giovanni. Hai cambiato il mondo.
E, ciò che più conta, hai cambiato me».