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lunedì 11 marzo 2019

Una leggenda irlandese - John Powell

Ci fu un tempo, dice una leggenda, in cui l'Irlanda era governata da un re che non aveva figli maschi. Così, il sovrano inviò i suoi messi ad affiggere dei bandi sugli alberi di tutte le città del regno, per invitare ogni giovanotto che ne avesse i requisiti a presentarsi a palazzo e avere un colloquio con il re come possibile successore al trono. 
Le caratteristiche richieste erano le seguenti: 1) amare Dio e 2) amare gli altri esseri umani.
Il giovanotto di cui parla la leggenda vide i bandi e riflette fra sé e sé che amava Dio e gli altri esseri umani. Tuttavia, data la sua estrema indigenza, non possedeva degli abiti che lo rendessero presentabile alla vista del re; ne disponeva dei mezzi per acquistare le vettovaglie necessarie per il viaggio sino al castello. Perciò mendicò ed ottenne dei prestiti finché non ebbe denaro a sufficienza per dei vestiti adeguati e per le provviste necessarie, e finalmente potè mettersi in viaggio alla volta del castello. 
Lungo la strada, giunto quasi nei pressi della meta, incontrò un mendicante, il quale stava seduto tutto tremante, e non indossava altro che stracci; il poveretto allungò le braccia per implorare aiuto e con voce debole disse piano: «Ho fame e ho freddo. Mi aiuti?»
Il giovane fu così commosso dallo stato di bisogno del povero mendicante che si privò immediatamente degli abiti, facendo il cambio con gli stracci del mendicante. Senza pensarci un attimo, inoltre, gli diede tutte le sue provviste. Poi, benché titubante, riprese il cammino verso il castello, con indosso gli stracci e senza provviste per il viaggio di ritorno. 
All'arrivo al castello, una persona al seguito del sovrano lo fece entrare e, dopo una lunga attesa, finalmente potè accedere nella sala del trono.
Quando il giovane, chinatesi profondamente davanti al sovrano, sollevò gli occhi, fu colmo di stupore.
«Voi... voi siete il mendicante che ho incontrato lungo la strada».
«Sì», rispose il re. «Quel mendicante ero proprio io».
«Ma non siete un vero mendicante. Siete il re».
«Sì, sono il re».
«Perché avete fatto questo?», chiese, allora, il giovane.
«Perché volevo scoprire se tu ami veramente, se ami Dio e gli altri esseri umani. Sapevo che se mi fossi presentato a te come il re, saresti stato molto colpito dalla mia corona d'oro e dai miei abiti regali.
Avresti fatto qualunque cosa io chiedessi per via del mio aspetto regale; ma in questo modo non avrei mai saputo com'è realmente il tuo cuore. Perciò mi sono presentato a te come un mendicante, senza pretese nei tuoi confronti se non quella dell'amore del tuo cuore.
Ed ho scoperto che tu ami realmente Dio e gli altri esseri umani. 
Tu sarai il mio successore. Tu avrai il mio regno!»

- John Powell, gesuita -
da: Perché ho paura di essere pienamente me stesso, Milano, Gribaudi, 2002, pagg 109-110



Essere generosi vuol dire vincere l'antica ansia di perdere ciò che possediamo. Vuol dire ridisegnare i nostri confini. 
Per la persona generosa i confini sono permeabili. 
Ciò che è tuo - la tua sofferenza, i tuoi problemi - è anche mio: questa è la compassione. 
Ciò che è mio - i miei possessi, le mie abilità e conoscenze, le mie risorse, il mio tempo, la mia energia - è anche tuo. Questa è la generosità.

Con la vittoria sui livelli antichi dell'inconscio e una ridefinizione dei confini, la generosità provoca in noi una trasformazione profonda. 
Inutile negarlo: spesso anche la persona più rilassata e gioviale nell'intimo è aggrappata ai suoi averi con tutte le sue forze. 
Questi muscoli emotivi sono sempre tesi. Ciò che abbiamo, o che crediamo di avere, ce lo teniamo stretto: una persona, una posizione sociale, un oggetto, la nostra sicurezza. E in questo trattenere c'è paura. 
Siamo come quei bambini, descritti da una parabola buddhista, che su una spiaggia hanno costruito i loro castelli di sabbia. Ognuno ha il suo castello. Ognuno ha il suo territorio. 
Tutti si sentono importanti: «È mio!», «È mio!». Magari si azzuffano, fanno la guerra. Poi cala la sera, i bambini ritornano alle loro case. 
Dimenticano i castelli di sabbia e vanno a dormire. 
Intanto l'alta marea cancella tutto. 
I nostri monumenti più preziosi sono castelli di sabbia. 
Vogliamo prenderci veramente così sul serio? 
La generosità molla la presa, è molto più rilassata.

- Piero Ferrucci -
 La forza della gentilezza, Oscar Mondadori 2005



Un chicco di frumento si nascose nel granaio.
Non voleva essere seminato.
Non voleva morire.
Non voleva essere sacrificato.
Voleva salvare la propria vita.
Non gliene importava niente di diventare pane.
Né di essere portato a tavola.
Né di essere benedetto e condiviso.
Non avrebbe mai donato vita.
Non avrebbe mai donato gioia.
Un giorno arrivò il contadino.
Con la polvere del granaio spazzò via anche il chicco di frumento.

- don Bruno Ferrero - 
Bollettino Salesiano, giugno 2016


Buona giornata a tutti. :-)





venerdì 19 maggio 2017

Un giorno sarai uno dei due... - John Powell

Quando ero un giovane seminarista, ricordo di essermi recato in infermeria una sera (sinceramente non ne rammento il motivo). 
Mentre il frate infermiere stava rimboccando le coperte per la notte a due preti costretti a letto, io ero nel corridoio buio e assistetti a tutta la scena. 
Mentre rimboccava le coperte al primo prete, tirandogliele sotto il mento, l'anziano lo rimbrottò adirato: "Togli la tua faccia dalla mia fratello". 
II povero frate andò in silenzio nell'altra stanza dal secondo prete. 
II prete rispose con gratitudine: "Oh, fratello, sei così buono con noi. Stasera, prima di dormire, dirò una preghiera particolare solo per te". 
Lì, nel corridoio buio, fui colpito da un'improvvisa consapevolezza. 
Un giorno io sarei stato uno di quei due vecchi preti. La piena consapevolezza era questa: io stavo già esercitandomi per quel momento. Quando si invecchia, le abitudini prendono il sopravvento. 
I vecchi eccentrici si esercitano tutta la vita a essere eccentrici. 
I vecchi santi si esercitano tutta la vita a essere santi.

La vecchiaia è come un conto in banca.
Ritiriamo alla fine quanto vi abbiamo depositato durante tutta la vita...

- John Powell - 



«Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» (Libro di Giobbe 29,15)

Nel discorso di Giobbe che contiene le parole «io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo», si evidenzia la dimensione di servizio ai bisognosi da parte di quest'uomo giusto, che gode di una certa autorità e ha un posto di riguardo tra gli anziani della città. 
La sua statura morale si manifesta nel servizio al povero che chiede aiuto, come pure nel prendersi cura dell'orfano e della vedova (vv.12-13).
Quanti cristiani anche oggi testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere "occhi per il cieco" e "piedi per lo zoppo"! 
Persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un'assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi. 
Questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, può diventare faticoso e pesante. 
È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare. 
E tuttavia, che grande cammino di santificazione è questo! 
In quei momenti si può contare in modo particolare sulla vicinanza del Signore, e si è anche di speciale sostegno alla missione della Chiesa.

- Papa Francesco -
Messaggio per la 23a Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2015)


Signore, la nostra la chiamano la terza età.
Dopo le tappe della scuola dell’obbligo ed anche più in su; dato che non abbiamo più molte forze, la scuola da noi scelta è la preghiera: personale e comunitaria, offerta per il bene dei fratelli.
Siamo dei rincalzi che ce la mettono tutta perché la prima linea avanzi vittoriosa nel Tuo nome; speriamo, col Tuo aiuto, di giungere preparati all’esame finale.
Il nostro libro di testo è il Vangelo, non solo letto, ma vissuto con Te giorno per giorno sulla croce delle nostre miserie e dei nostri acciacchi.
Noi della “Terza Età”, lasciata la fatica del nostro quotidiano lavoro, nella quiete della casa o altrove, abbiamo a disposizione un gran spazio di tempo: non sciupiamolo nella noia o in futili spassi o in vane chiacchiere o brontolii.
Il modo migliore per vivere proficuamente questo tempo libero è quello di dedicarsi a te, o mio Dio, nella preghiera.

- Ferdinando Baj -
Fonte: Breviario della terza età, Sacerdote Ferdinando Baj, Ed. Salcom, gennaio 1989