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giovedì 25 dicembre 2014

A Gesù bambino - Umberto Saba -

La notte è scesa
e brilla la cometa
che ha segnato il cammino.
Sono davanti a Te, Santo Bambino!
Tu, Re dell’universo,
ci hai insegnato
che tutte le creature sono uguali,
che le distingue solo la bontà,
tesoro immenso,
dato al povero e al ricco.
Gesù, fa’ ch’io sia buono,
che in cuore non abbia che dolcezza.
Fa’ che il tuo dono
s’accresca in me ogni giorno
e intorno lo diffonda,
nel Tuo nome.

- Umberto Saba -



"Il segno di Dio è la semplicità,
il segno di Dio è il bambino,
il segno di Dio è che Egli si fa piccolo per noi.
E' questo il suo modo di regnare.
Egli non viene con potenza e grandiosità esterne.
Egli viene come bambino, inerme e bisognoso del nostro aiuto.
Non vuole sopraffarci con la forza
e ci toglie la paura della sua grandezza.
Egli chiede il nostro amore: perciò si fa bambino.
Dio si è fatto piccolo affinché noi potessimo comprenderlo, 
accoglierlo, amarlo."

- Papa Benedetto XVI - 




In questo cammino verso il Natale ci aiutano alcuni atteggiamenti: 
“la perseveranza nella preghiera, pregare di più; l’operosità nella carità fraterna, avvicinarci un po’ di più a quelli che hanno bisogno; e la gioia nella lode del Signore”. Dunque: “la preghiera, la carità e la lode”, con il cuore aperto “perché il Signore ci incontri”.

Papa Francesco, 2 dicembre 2013



I wish you a happy Christmas!

"Glory to God in the highest, 
and on earth peace among those with whom he is pleased" 

(Luke 2:14)



Ho sempre pensato - e forse è un azzardo - che il mistero dell'Incarnazione sia più grande di quello della Resurrezione.
Perché un Dio che si fa bambino,... e poi ragazzo,... e poi uomo, quando muore non può che risorgere.

da: Il mistero dell'incarnazione - di Edith Stein




Oggi Cristo è nato,
è apparso il Salvatore;
oggi sulla terra cantano gli angeli,
si allietano gli arcangeli;
oggi esultano i giusti, acclamando:
Gloria a Dio nell'alto dei cieli, alleluia.






Cari amici  ed amiche questo è il mio augurio:
vi auguro un Natale pieno di cose che contano,
che possano arrivare fino al vostro cuore 
e abbracciare la vostra anima.
Seguite sempre la stella della speranza e dell'amore!
Un abbraccio a tutti quanti.
- Stefania -















sabato 20 dicembre 2014

Il flauto del pastore -

C'era una volta un vecchio pastore, che amava la notte e conosceva bene il percorso degli astri. Appoggiato al suo bastone, con lo sguardo rivolto verso le stelle, il pastore stava immobile sul campo.
"Egli verrà!" disse.
"Quando verrà?" chiese il suo nipotino.
"Presto!".
Gli altri pastori risero.
"Presto!", lo schernirono. "Lo dici da tanti anni!".
Il vecchio non si curò del loro scherno. Soltanto il dubbio che vide sorgere negli occhi del nipote lo rattristò. Quando fosse morto, chi altri avrebbe riferito la predizione del profeta? Se lui fosse venuto presto! Il suo cuore era pieno di attesa.
"Porterà una corona d'oro?". La domanda del nipote interruppe i suoi pensieri. "Sì!".
"E una spada d'argento?". "Sì!".
"E un mantello purpureo?". "Sì! Sì!".
Il nipotino era contento. Il ragazzo era seduto su un masso e suonava il suo flauto. Il vecchio stava ad ascoltare. Il ragazzo suonava sempre meglio, la sua musica era sempre più pura. Si esercitava al mattino e alla sera, giorno dopo giorno. Voleva essere pronto per quando fosse venuto il re. Nessuno sapeva suonare come lui.
"Suoneresti anche per un re senza corona, senza spada e senza mantello purpureo?", chiese il vecchio.
"No!", disse il nipote.
Un re senza corona, senza spada e senza mantello purpureo, come avrebbe potuto ricompensarlo per la sua musica? Non certo con oro e argento! Un re con corona, con spada e mantello purpureo l'avrebbe fatto ricco e gli altri sarebbero rimasti a bocca aperta, l'avrebbero invidiato.
Il vecchio pastore era triste. Ahimé, perché aveva promesso al nipote ciò a cui egli stesso non credeva? Come sarebbe venuto? Su nuvole dal cielo? Dall'eternità? Sarebbe stato un bambino? Povero o ricco? Di certo senza corona, senza spada e senza mantello purpureo, e tuttavia sarebbe stato più potente di tutti gli altri re. Come poteva farlo capire al suo nipotino?
Una notte in cielo comparvero i segni che il nonno così a lungo aveva cercato con gli occhi. Le stelle splendevano più chiare del solito. Sopra la città di Betlemme c'era una grande stella. E poi apparvero gli angeli e dissero: "Non abbiate paura! Oggi è nato il vostro Salvatore!".
Il ragazzo corse avanti, verso la luce. Sotto il mantello sentiva il flauto sul suo petto. Corse più in fretta che poteva. Arrivò per primo e guardò fisso il bambino, che stava in una greppia ed era avvolto in fasce. Un uomo e una donna lo contemplavano lieti. Gli altri pastori, che l'avevano raggiunto, si misero in ginocchio davanti al bambino. Il nonno lo adorava. Era dunque questo il re che gli aveva promesso?
No, doveva esserci un errore. Non avrebbe mai suonato qui.
Si voltò deluso, pieno di dispetto. Si allontanò nella notte. Non vide né l'immensità del cielo, né gli angeli che fluttuavano sopra la stalla.
Ma poi sentì piangere il bambino. Non voleva sentirlo. Si tappò le orecchie e corse via. Ma quel pianto lo perseguitava, gli toccava il cuore e infine lo costrinse a tornare verso la greppia.
Eccolo là, per la seconda volta.
Vide che Maria, Giuseppe e anche i pastori erano spaventati e cercavano di consolare il bambino piangente. Ma tutto era inutile. Che cosa poteva avere il bimbo?
Non c'era altro da fare. Tirò fuori il suo flauto da sotto il mantello e si mise a suonare. Il bambino si quietò subito. Si spense anche l'ultimo, piccolo singhiozzo che aveva in gola. Guardò il ragazzo e gli sorrise.
Allora egli si rallegrò, e sentì che quel sorriso lo arricchiva più di tutto l'oro e l'argento del mondo.




Dal Magistero di Giovanni Paolo II:

“Il Figlio di Dio, 
della stessa sostanza del Padre, 
Dio da Dio e Luce da Luce, 
ha preso corpo dalla Vergine 
ed ha assunto la nostra natura umana...

Il suo regno nulla ha però di terreno, 
proteso com’è nell’infinità dell’eterno”.



dipinto: Natività del Murillo



Provo sfiducia nei confronti di un immaginario un po’ troppo caloroso, romantico, “zuccherato”.
Natale non è una bella storia, un bel sogno. A Natale, vedo venirmi incontro un neonato che, già, è il mio maestro.
Un bambino che sta per darmi da mangiare come si dà da mangiare ad un neonato. Un bambino che sta per insegnarmi verità elementari già tanto essenziali.

Sta per insegnarmi che da un lato ci sono strategie, calcoli, forza, potenza, gelosia, denaro. E che, all’opposto, ci sono attenzione all’altro, dimenticanza di sé, apertura, bontà, dono. 
A Natale giunge un bambino che ci renderà la vita impossibile, ma senza quest'impossibile, non c’è assolutamente niente .

(Christian Bobin)

dipinto di Arthur Hughes (1832-1915)



"Il Natale è assolutamente inadatto al mondo moderno. 
Presuppone la possibilità che le famiglie siano unite, o si riuniscano, e persino che gli uomini e le donne che si sono scelti si parlino. 
Così, migliaia di spiriti giovani e avventurosi, pronti ad affrontare i fatti della vita umana e a incontrare la vasta varietà di uomini e donne come sono realmente, altrettanto pronti a volare fino ai confini della terra e a tollerare ogni qualità stravagante o accidentale dei cannibali o degli adoratori del demonio, sono crudelmente obbligati ad affrontare un’ora – no: talvolta persino due ore! – in compagnia di uno zio Giorgio o di qualche zia di Cheltenham che non trovano particolarmente simpatici. 
Non si possono, in tempi come i nostri, sopportare tali abominevoli torture. Una fraternità più ampia, una sensibilità più vera, ha già insegnato a ogni donna giovane e ardente – con sufficiente ricchezza e tempo libero a disposizione – a sentirsi elettrizzata al solo pensiero di fare colazione con un malvivente, di pranzare con uno sceicco o cenare con un Apache a Parigi. 
È quindi intollerabile che tale sensibilità possa patire il trauma della comparsa inaspettata della propria madre, se non addirittura quella del proprio figlio. 
Nessuno ha mai neanche ipotizzato che i «Genitori» fossero inclusi in quella bellissima astrazione democratica chiamata «Popolo». 
Né che il concetto di fratellanza potesse estendersi ai propri fratelli."

- Gilbert Keith  Chesterton - 
Da " Il Natale deve andarsene" 



Buona giornata a tutti. :-)







martedì 2 dicembre 2014

Ave Maria - Carlo Carretto -

Una sera tentai il discorso con Maria.
Mi era così facile!
Le volevo così bene!
Maria, dimmi come è andata? Raccontalo a me come l'hai raccontato a Luca l'evangelista.
Tu lo sai, mi disse, perché conosci il Vangelo.
È stato tutto molto bello!
Io vivevo a Nazaret in Galilea e la mia vita era la vita di tutte le ragazze del popolo: lavoro, preghiera, povertà, molta povertà, gioia di vivere e soprattutto speranza nelle sorti di Israele.
Abitavo con Anna, mia madre, in una casetta molto semplice che aveva un cortile davanti ed un gran muro di cinta fatto apposta perché noi donne ci sentissimo in libertà ed intimità.
Lì sostavo sovente per lavorare e pregare. In me l'una e l'altra cosa si mescolavano ed ero piena di pace e di gioia.
Quel giorno ero sola nel piccolo cortile e una gran luce mi avvolgeva.
Pregavo, seduta su uno sgabello. Tenevo gli occhi socchiusi e sentivo una gioia invadermi tutta.
La luce aumentava ed io incominciai a socchiudere le palpebre che avevo chiuso per non restare abbacinata.
Ero contenta di lasciarmi riempire di quella luce. Mi pareva il segno della presenza di Dio che mi avvolgeva come un manto. Ad un tratto quella luce prese l'aspetto di un angelo. Ho sempre pensato agli angeli così come lo vidi in quel momento.
Tu sai com'è la questione della fede. Non sai mai se la visione è dentro o fuori.
È certamente dentro perché se fosse solo fuori potresti dubitare come fosse un'illusione.
Ma dentro l'illusione non c'è, è così, sai che è così: ne è testimone Dio.
Io stavo molto ferma per paura che tutto scomparisse.
E invece l'Angelo parlò. Anche qui: non sai mai se la voce la senti nell'orecchio o più in profondo.
Certamente in profondo perché se fosse solo nell'orecchio potresti illuderti.
La voce la senti là dove lo stesso Dio è il testimone.
E che ti disse?
Mi disse: Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te.
E tu che provasti?
È evidente che ne fui turbata. Era come se fossi visitata da cose troppo grandi per me e per la mia dimensione così piccola.
Tu puoi pensare alle cose di Dio con immenso desiderio ma quando ti toccano non puoi non spaventarti.
Difatti mi disse subito.
«Non temere, Maria» (Luca 1,30).
Mi feci coraggio perché la stessa frase l'avevo sentita alla Sinagoga quando si leggeva la storia di Abramo.
«Non temere, Abramo. Io sono il tuo scudo» (Genesi 15, 1).
Poi l'Angelo mi diede l'annuncio della maternità con poche parole ma così chiare che avevo l'impressione mi stessero nascendo dentro. Non mi era mai capitato di sentire parole come fossero avvenimenti.
Dimmi, Maria, sei stata colta di sorpresa? Non avevi mai pensato prima che tu... proprio tu...
Oh sì! Ci avevo pensato. Noi ragazze ebree non pensavamo ad altro. Sentivamo che i tempi erano quelli e quando pregavamo nella Sinagoga l'aria era satura di attesa del Messia.
Che hai capito quando l'angelo ti disse che eri tu la scelta e che il Messia sarebbe nato da te?
Capii esattamente cosa voleva dirmi, e rimasi soltanto stupita della straordinarietà della cosa. Com'era possibile se io ero vergine?
L'Angelo mi spiegò le cose e mi fu facile accettarle perché mi sentivo immersa in Dio come in quella luce vivissima del mezzogiorno.
Confusamente capii anche che pasticci ce ne sarebbero stati, che non sarei riuscita a spiegarmi con mia madre, specialmente col mio fidanzato Giuseppe, ma non avrei potuto fermarmi tanta era forte la presa di Dio su di me e tanta era la certezza che mi veniva dalle parole dell'Angelo.
«Nulla è impossibile a Dio
nulla è impossibile a Dio
nulla è impossibile a Dio» (Luca 1,37). 
Adagio, adagio la luce diminuì e non vidi più l'Angelo.
Vidi mia madre Anna attraversare il cortile e mi venne voglia di parlarle, ma non ne fui capace perché non trovai le parole adatte.
Capii subito che non c'erano parole con cui potevo spiegare le cose.
Così nei giorni che seguirono, anzi, più andavo avanti e più diventavo silenziosa.
Fu più difficile il discorso con Giuseppe, mio fidanzato.
Tu sai come avvenivano le cose nelle nostre tribù. La sposa veniva promessa molto presto. Era come un patto tra famiglie.
Ma essendo così giovane la futura sposa continuava a vivere in famiglia in attesa della maturità.
Allora con grande festa, di notte, si compiva lo sposalizio e lo sposo accompagnato dai suoi amici veniva con tante luci e canti e gioia a prendere la sua sposa ed a condurla a casa. Da quel momento si era veramente sposati.
Quando l'Angelo mi apparve per annunciarmi la maternità, io ero ancora in casa. Ero stata promessa a Giuseppe ma non ero ancora andata ad abitare con lui.
Bastarono pochi mesi perché tutto divenisse complicato agli occhi degli uomini. Io non potevo nascondere la mia maternità e il mio ventre mi denunciava.
Capii allora cos' era la fede oscura, dolorosa.
Come potevo spiegarmi con mia madre?
Come potevo discutere col mio fidanzato Giuseppe?
Vissi tempi veramente dolorosi e l'unico conforto mi veniva nel ripetere: «Tutto è possibile a Dio, tutto è possibile a Dio».
Toccava a Lui spiegarsi ed io avevo tanta confidenza. Ma ciò non toglieva la mia sofferenza che in certi momenti mi straziava l'anima.
Come potevo trovare le parole per dire che quel bimbo che portavo in seno era il figlio dell'Altissimo?
Intanto non osavo più uscire di casa ed una volta vidi una vicina guardarmi da sopra il muro del cortile con evidente attenzione puritana.
Ci furono dei momenti terribili ed io tremai al pensiero di essere denunziata come adultera.
Ci voleva così poco. Bastava che Giuseppe andasse alla Sinagoga a spiegare la cosa e non gli sarebbero mancati gli zelanti che l'avrebbero seguito con le pietre per lapidarmi. Non era la prima volta che a Nazaret veniva uccisa un'adultera.
Ma è vero: «Dio può tutto». E si spiegò Lui.
Si spiegò con Giuseppe per primo che mi disse di avere avuto un sogno veramente straordinario e che non aveva perduto la confidenza in me e che mi avrebbe sposata lo stesso.
Che gioia quando me lo disse!
Ma che paura avevo provato! Che oscurità!
Sì, il fatto mi aveva spiegato che la fede è di quella natura e che dobbiamo abituarci a vivere nell'oscurità.
Ci fu anche un fatto straordinario che alleviò le mie pene in quei mesi.
Tu sai che l'Angelo mi aveva dato un segno per aiutare la mia debolezza. Mi aveva detto che mia cugina Elisabetta era al sesto mese di una maternità straordinaria perché tutti noi della famiglia sapevamo che era sterile.
Dovevo andare a trovarla in Giudea ad Ain-Karim dove abitava.
Non mi feci pregare a partire.
L'idea venne a mia madre perché era preoccupata che la gente del paese mi vedesse con quel ventre grosso e non voleva dicerie.
Partii di notte, ma così contenta di allontanarmi da Nazaret dove c'erano troppi occhi indiscreti e non potevo raccontare a tutti le mie faccende.
Trovai mia cugina già vicina al parto e così felice, poverina! Aveva aspettato tanto un figlio!
Il Signore si era spiegato anche perché quando giunsi fu come se sapesse
tutto!
tutto!
tutto!
Si mise a cantare per la gioia ed io cantavo con lei.
Sembravamo due pazze, ma pazze di amore.
E c'era un terzo che sembrava impazzito di gioia.
Era il piccolino, il futuro Giovanni che danzava nel ventre di Elisabetta come per fare festa a Gesù che era nel mio.
Furono giorni indimenticabili.
Ma Elisabetta, che se ne intendeva di fede e di fede oscura e che aveva tanto sofferto nella vita, mi disse una cosa che mi fece piacere e che fu come il premio a tutta la mia solitudine di quei mesi.
«Beata te che hai creduto» (Luca 1,44). E me lo ripeteva tutte le volte che mi incontrava e mi toccava il ventre, come per toccare Gesù, il nuovo Mosè che stava per venire al mondo.
Il fuoco con cui avevo cotto il pane si stava spegnendo. La notte era già alta e mi sentii solo.
La presenza di Maria ora era nel rosario che avevo in mano e che mi invitava a pregare.
Sentivo freddo e mi avvolsi nel «bournous» (Mantello arabo di lana di pecora) che avevo con me.
L'oscurità divenne totale ma non avevo nessuna voglia di addormentarmi.
Volevo gustare la meditazione che Maria mi aveva regalata.
Soprattutto volevo entrare con dolcezza e forza nel mistero della fede, la vera, quella dolorosa, oscura, arida.
Oh no! Non è facile credere, è più facile ragionare.
Non è facile accettare il mistero che ti supera sempre e che ti allarga sempre i limiti della tua povertà.
Povera Maria!
Dover credere che quel bimbo che portava in seno era figlio dell'Altissimo. Sì, è stato semplice concepirlo nella carne, estremamente più impegnativo concepirlo nella fede! Quale cammino!
Eppure non ne esiste un altro. Non c'è altra scelta.
Vuoi tu, Maria, spaventata dal credere, tornare indietro, pensare che non è vero, che è inutile tentare, che è una illusione quella di un Dio che si fa uomo, che non c'è Messia di salvezza, che tutto è un caos, che sul mondo domina l'irrazionale, che sarà la morte a vincere sul traguardo e non la vita?
No!
Se credere è difficile, non credere è morte certa.
Se sperare contro ogni speranza è eroico, il non sperare è angoscia mortale.
Se amare ti costa il sangue, non amare è inferno.
Credo, Signore!
Credo perché voglio vivere.
Credo perché voglio salvare qualcuno che affoga: il mio popolo.
Credo perché quella del credere è l'unica risposta degna di te che sei il Trascendente, l'Infinito, il Creatore, la Salvezza, la Vita, la Luce, l'Amore, il Tutto.
Che cosa strana per non dire meravigliosa: appena ho detto con tutte le viscere la parola «credo» ho visto la notte farsi chiara.
Ora chiudo gli occhi perché è proprio lei la notte che mi abbaglia con la sua luce al di là di ogni luce.
Sì, nulla è più chiaro di questa notte oscura, nulla è più visibile dell'invisibile Dio, nulla è più vicino di questo infinitamente lontano, nulla è più piccolo di questo infinito Iddio.
Difatti è riuscito a stare nel tuo piccolo seno di donna, Maria, e tu l'hai potuto scaldare col tuo corpicino bello.
Maria! Sorella mia!
Beata te che hai creduto, ti dico stasera con entusiasmo, come te lo disse tua cugina Elisabetta, in quel vespero caldo ad AinKarim.

- Carlo Carretto -
da: Beata te che hai creduto





Salmo 97
 (Il trionfo del Signore)

Cantate al Signore un canto nuovo, 
perché ha compiuto prodigi.

Gli ha dato vittoria la sua destra 
e il suo braccio santo.
Il Signore ha manifestato la sua salvezza, 
agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia.

Egli si è ricordato del suo amore, 
della sua fedeltà alla casa di Israele.
Tutti i confini della terra hanno veduto 
la salvezza del nostro Dio.

Acclami al Signore tutta la terra, 
gridate, esultate con canti di gioia.

Cantate inni al Signore con l'arpa, 
con l'arpa e con suono melodioso;
con la tromba e al suono del corno 
acclamate davanti al re, il Signore.

Frema il mare e quanto racchiude, 
il mondo e i suoi abitanti.

I fiumi battano le mani, *
esultino insieme le montagne
davanti al Signore che viene, 
che viene a giudicare la terra.

Giudicherà il mondo con giustizia 
e i popoli con rettitudine.

Gloria al Padre e al Figlio 
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, e ora e sempre, 
nei secoli dei secoli. Amen.






Buona giornata a tutti :-)

www.leggoerifletto.it

mercoledì 25 dicembre 2013

25 dicembre 1955 - Giovanni Papini -

Anche se Cristo nascesse

mille e diecimila volte

a Betlemme,

a nulla ti gioverà

se non nasce almeno una volta

nel tuo cuore.

Ma come potrà accadere

questa nascita interiore?

Eppure questo miracolo nuovo

non è impossibile

purché sia desiderato e aspettato.

Il giorno nel quale non sentirai

una punta di amarezza

e di gelosia dinanzi alla gioia

del nemico o dell'amico,

rallegrati perché è segno

che quella nascita è prossima.

Il giorno nel quale non sentirai

una segreta onda di piacere

dinanzi alla sventura e alla caduta altrui,

consolati perché la nascita è vicina.

Il giorno nel quale sentirai il bisogno

di portare un po’di letizia a chi è triste

e l'impulso di alleggerire il dolore o la miseria

anche di una sola creatura,

sii lieto perché l'arrivo di Dio è imminente.

E se un giorno sarai percosso

e perseguitato dalla sventura

e perderai salute e forza,

figli e amici

e dovrai sopportare l'ottusità,

la malignità e la gelidità

dei vicini e dei lontani,

ma nonostante tutto non ti abbandonerai

a lamenti né a bestemmie

e accetterai con animo sereno il tuo destino,

esulta e trionfa perché il portento

che pareva impossibile

è avvenuto

e il Salvatore è già nato nel tuo cuore.

Non sei più solo, non sarai più solo.

Il buio della notte fiammeggerà

come se mille stelle chiomate

giungessero da ogni punto del cielo

a festeggiare l'incontro

della tua breve giornata umana

con la divina eternità.

(Giovanni Papini)


Dio non ci lascia brancolare nel buio: ha assunto un volto umano. Solo questo Dio ci salva dalla paura del mondo e dall’ansia di fronte al vuoto della nostra esistenza.

Papa Benedetto XVI




Il Natale è  la festa in cui Dio si fa così vicino all’uomo da condividere il suo stesso atto di nascere, per rivelargli la sua dignità più profonda: quella di essere figlio di Dio.
E così il sogno dell’umanità cominciando in Paradiso - vorremmo essere come Dio - si realizza in modo inaspettato non per la grandezza dell’uomo che non può farsi Dio, ma per l’umiltà di Dio che scende e così entra in noi nella sua umiltà e ci eleva alla vera grandezza del suo essere.


- Benedetto XVI -


Nel Natale noi incontriamo la tenerezza e l'amore di Dio che si china sui nostri limiti, sulle nostre debolezze, sui nostri peccati e si abbassa fino a noi.
È la festa che canta il dono della vita.

Papa Benedetto XVI
Una vignetta un pò forte per una giornata in cui dovremmo essere tutti quanti più buoni, belli, bravi e sorridenti... così... giusto per non dimenticare chi il Natale non lo festeggia proprio per niente, ed è così povero da non festeggiarlo nemmeno nel cuore.


Buon Natale a tutti gli amici e le amiche :-)

- Stefania -