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martedì 18 giugno 2019

L' amicizia prima di Facebook - Alessandro Baricco


Quel che ricordo dell' amicizia ai tempi in cui non esisteva Facebook e nemmeno la Rete, le mail, gli sms l'ho scritto in Emmaus, nell'amicizia di quei quattro ragazzini diciassettenni che muovono il romanzo.
I libri non sono mai, stupidamente, la verità, ma è vero che noi eravamo più o meno così, come quei quattro. 
Una cosa che ricordo bene, ad esempio, è che pensavamo l' amicizia come il prolungamento di una fede: fosse religiosa, come nel nostro caso, o anche laica, o politica, non importava. Anche il Toro andava bene. Ma era importante quel credere comune, non sarebbe bastata la simpatia né qualsiasi altra prossimità sentimentale. 
A tenerci uniti era la certezza che stavamo combattendo insieme una qualche sotterranea guerra, di cui poi non capivamo neanche molto. In definitiva negli amici cercavamo meno un sollievo alle nostre solitudini che non l'iscrizione a un qualche eroismo collettivo. Ciò dava ai legami un tratto di necessità, o forse di sacralità, che ci faceva impazzire.
Vi trovavamo una fermezza, un'inevitabilità, che non trovavamo altrove. Va da sé che non c'erano amici che non lo fossero per la pelle. Come i quattro di Emmaus, da ragazzi costruivamo le amicizie su una bolla di dolore. Quando non c'era, ce la inventavamo, credo. Ma sempre ci si riconosceva a partire da una ferita, e ci si voleva bene - e quanto - scambiandoci il segreto della nostra tristezza.
Ne sapevano poco le nostre famiglie, e niente il mondo: ma lo spazio di quel penare, che tenevamo segreto, dettava il perimetro di una luogo riservatissimo a cui proprio le amicizie, e solo loro, accedevano. Così essere amici significava condividere un segreto. E scambiare malinconia. 
Non voglio dire che fossimo depressi o pateticamente romantici (magari lo eravamo anche un po', ma non è quello il punto), voglio dire che quando cercavamo il massimo della vicinanza ci riusciva più facile farlo entrando nell'ombra dei nostri pensieri cupi, perché lì trovavamo la perfezione. 
L' allegria era meno interessante. Della felicità non ci accorgevamo.
E poiché non esisteva Facebook, essere amici significava fare delle cose. 
Non parlarne, o raccontarle: farle. Se cerco di ricordare momenti precisi che significassero amicizia, vedo scene in cui sempre stavamo facendo qualcosa. E mai in casa. Esisteva un nesso preciso tra l' alzare il culo per andare a fare cose e il vivere le amicizie. Anche quando ci scrivevamo, era una cosa particolare, accadeva di rado, e allora una lettera era molto più un fatto che un modo di comunicare. Era un gesto. Le telefonate interminabili (ciò che di più vicino riesco a immaginare al chattare odierno) ce le tenevamo per le fidanzate: tra noi sarebbe stato ridicolo. 
Parlavamo molto, naturalmente, ma era sempre roba cucita in un gesto, e tempo legittimato da altro tempo, speso in un qualche lavorio.
Ci sarebbe parso tremendamente vacuo frequentarci via computer. Non avremmo saputo cosa dirci. Quando invece anche solo il "tornare da giocare a pallone" diventava uno spazio perfetto, di camminate memorabili, e parole a lungo covate.
C'entravano il sudore addosso, le scarpe slacciate, e il pallone, sporco da far schifo, tra le mani, e farlo rimbalzare. Una finestrella su uno schermo, quello ci sarebbe apparso come un ripiego inspiegabile. Tutto ciò ci costringe a concludere spesso, usando un termine che è tramontato, che quelle erano amicizie profonde.
Tacitamente, intendiamo dire che quelle di Facebook non lo sono.
Ma la realtà non è così semplice. Se un termine tramonta un perché ci sarà, e l'estinguersi di un profilo certo, per la parola profondità, qualcosa deve insegnarci. Era il nome che davamo a una certa intensità, ma era un nome probabilmente inesatto. Alludeva a coordinate (superficie profondità) che il mondo quasi certamente non ha: oggi appaiono come una semplificazione un po' infantile, e stanno all'esperienza reale come un cartone sta al 3D.
Strumenti poveri, verrebbe da dire. Così ci resta la memoria di una certa intensità, ma pochi nomi certi per nominarla con esattezza. 
Per questo trarre delle conclusioni che non siano da bar sembra difficile. 
Io posso giusto annotare un'osservazione che oltre tutto ha il limite di riferirsi alla mia esperienza personale: in genere la "profondità" che tendo ad attribuire retrospettivamente a quelle amicizie non sembra aver influito sulla loro resistenza al tempo. 
Alcune se ne sono sparite, altre sono rimaste, come se una regola non ci fosse: ha tutta l'aria di essere una faccenda dannatamente casuale.
E se mi trovo ancora appiccicato addosso persone con cui tornavo da giocare a pallone, è vero che tante altre amicizie che erano analogamente "profonde" se ne sono andate con un fare liquido strabiliante, come se non avessero agganci da nessuna parte, e la benché minima forma di necessità. 
È bastato alle volte uno spostamento minimo, un' inezia, e già non c' erano più. Così quelle che sembravano pietre incastonate si sono svelate pietre appoggiate su qualcosa di sdrucciolevole: e la petrosità una categoria che solo nella fantasia ha un nesso necessario con la permanenza. 
Da giovani non potevamo immaginarlo, ma la verità è che si può essere petrosi e provvisori, noi lo eravamo. Rolling Stones, come ci insegnò poi qualcuno che, senza saperlo, aveva già capito tutto.

- Alessandro Barrico -



Ecco.... temo... cosa ne pensate? Già ci siamo?


Gimli: "Chi avrebbe immaginato di dover morire combattendo fianco a fianco con un elfo..."
Legolas: "E al fianco di un amico, invece?"
Gimli: "Si, questo credo di poterlo fare..."


(dal film "Il Signore degli Anelli")



Ogni tanto pensaci 
● Al mondo ci sono almeno due persone che morirebbero per te; 
● Almeno 15 persone ti vogliono bene in una qualche maniera; 
● L'unica ragione per cui qualcuno potrebbe odiarti è proprio perchè vorrebbe essere come te;
● Il tuo sorriso può portare gioia a chiunque, anche a qualcuno a cui non sei caro;
● Ogni notte qualcuno pensa a te prima di addormentarsi;
● Per qualcuno tu significhi tutto;
● Tu sei speciale e unico;
● Qualcuno di cui non conosci neanche l'esistenza ti ama e ti ammira;
● Anche quando fai l'errore più madornale ne deriva qualcosa di bello;
● Quando pensi che ormai tutto il mondo ti ha voltato le spalle, guarda di nuovo;
● Ricordati sempre i complimenti che ti sono stati fatti, dimentica le offese;
● Quando la vita ti offre limoni, recupera il necessario e preparati una limonata;
● I buoni amici sono come le stelle: non li vedi sempre, ma sai che sono al tuo fianco;

● Offri una rosa ed un sorriso ad un amico intanto che vive, piuttosto che inviargli un camion di rose quando ormai se n'è già andato. 




Buona giornata a tutti :-)


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giovedì 21 settembre 2017

Il valore del tempo

Per scoprire il valore di un anno,
chiedi a uno studente che è stato bocciato all'esame finale.
Per scoprire il valore di un mese,
chiedi a una madre che ha messo al mondo un bambino troppo presto.

Per scoprire il valore di una settimana,
chiedi all'editore di una rivista settimanale.

Per scoprire il valore di un'ora,
chiedi agli innamorati che stanno aspettando di vedersi.

Per scoprire il valore di un minuto,
chiedi a qualcuno che ha appena perso il treno, il bus o l'aereo.

Per scoprire il valore di un secondo,
chiedi a qualcuno che è sopravvissuto a un incidente.

Per scoprire il valore di un millesecondo,
chiedi ad un atleta che alle Olimpiadi ha vinto la medaglia d'argento.

Il tempo non aspetta nessuno.
Raccogli ogni momento che ti rimane, perché ha un grande valore.
Condividilo con una persona speciale, e diventerà ancora più importante.




Quante volte diciamo «ci vorrebbe una giornata di 48 ore», perché non riusciamo a fare quello che amiamo veramente. 
In realtà, il mantra «non ho tempo» è la scusa di chi non ha il coraggio di tagliare le cose superflue. 
Io invece l'ho fatto, e con grande soddisfazione. 
Per esempio, mi sono reso conto che leggevo circa trenta libri all'anno, e calcolando una media di 300 pagine a un minuto l'una, sprecavo la bellezza di 9.000 minuti, ossia 150 ore. 
Una volta alla settimana uscivo a mangiare la pizza con moglie e figlio, ma ordinandola a casa risparmio un'ora e mezza buona tra spostamenti e attesa: altri 78 ore annue. 
Il venerdì sera giocavo a calcetto con gli amici, li ho salutati e ho recuperato 3 ore per 52 settimane: 156. 
Idem con il film in lingua originale del martedì. 
Poi c'era il cane da portare fuori, l'ho scambiato per due pesci rossi; mio figlio si arrangia da solo con i compiti e mia mamma la sento per telefono; non cucino più, ho preso il microonde e riempito il freezer. 
Alla fine, gratta oggi gratta domani, ho vinto un montepremi di 730 ore. Adesso sono felice: anche io, come tutti, ho le mie due ore giornaliere da passare su Facebook.

- Claudio Paglieri -
da:  Il Secolo XIX, 6 marzo 2017



Il più bel regalo che possiamo fare alle persone a noi care è il nostro tempo, cioè la nostra vita.
Non è mai tempo perso, quello dedicato alle persone per noi importanti.
Tutti i momenti a loro dedicati diventano ricordi che profumano di vita.
Chi ama veramente, il tempo lo trova sempre. Perché il tempo è una scelta.
La scelta di dare sempre la priorità ai sentimenti, alle emozioni.

Agostino Degas -




sabato 15 luglio 2017

I giovani sono così complicati! - Francois Gervais

I giovani hanno bisogno di genitori e si danno loro giochi virtuali
I giovani vogliono comunicare e si dà loro internet
I giovani desiderano imparare e si dà loro un diploma
I giovani rivendicano maggiore libertà e si dà loro un'automobile
I giovani cercano l'amore e si dà loro un preservativo come protezione
I giovani amano pensare e si dà loro un sapere
I giovani sono in cerca di speranza e viene imposta loro la performance
I giovani desiderano scoprire il senso della loro vita e si dà loro una carriera
I giovani sognano la felicità e si danno loro i piaceri del consumismo
I giovani sono complicati?
E' vero soprattutto quando attraversano quel periodo in cui rivendicano la differenza per aiutarci a non dimenticare mai la nostra gioventù, quel periodo scomodo che noi chiamiamo adolescenza.

- Francois Gervais -
Da: Il piccolo saggio. Parole per maturare



Tu non esisti, io lo so non voglio nemmeno parlare di Te.
Tu non sei che una pericolosa invenzione.
Hanno talmente ucciso e umiliato in nome tuo.
Tu non sei più reale della statua di un re.
Mi hanno insegnato a forza di punizioni
tutto l’«amore» che ha ispirato le tue leggi.
E Tu vorresti oggi che io creda al tuo perdono!

Se Tu esistessi, mi daresti la fede, non la dittatura di una religione.
Pare che Tu sia venuto per i poveri che non hanno un tetto.
Tuttavia di fronte alle porte chiuse della tua Chiesa,
 io tremo terribilmente e il mio cuore sanguina di freddo.
Anche sul marciapiede, la mia presenza scandalizza.
Io non sono forse degno di Te né del tuo calore.
Allora, perché affermare che Tu accogli anzitutto il peccatore?

Se Tu esistessi, accetteresti le mie debolezze
e verresti a saziare la mia fame di tenerezza.
Sono molti che mi parlano del tuo amore,
ma quando tendo loro la mano, cambiano strada.
Hanno paura di amarmi per rinnegarti facilmente?
Io non chiedo loro l’abbondanza del loro granaio.
Ho semplicemente bisogno di un po’ di speranza.
Per tutta la vita, ho detestato il tuo silenzio.
Ed ecco che, questa sera,
mi sorprendo a pregarti come se non sapessi più…
Non sapessi più resisterti.

- Francois Gervais -  
da “Il piccolo saggio. Parole per maturare”


Buona giornata a tutti. :-)







mercoledì 3 luglio 2013

La preghiera dei navigatori di Facebook – Patrizio Righero

In questo angolo del mondo digitale, Signore,
ci sono centinaia di nomi,
appiccicati alle pareti di una casa
che esiste solo sullo schermo e nella mia fantasia.

Li chiamo "amici",
ma molti di loro li conosco poco,
altri solo di vista,
altri ancora sono poco più che volti
(a volte nemmeno quelli!).

Qualcuno non l'ho incontrato,
qualcun altro vive dall'altra parte del mondo;
con qualcuno condivido molto,
con altri poco o nulla.
Alcuni li ho scelti.
Altri hanno scelto me.

E ora sono qui,
sulla mia home
come sorelle e fratelli,
posti sulla mia rotta virtuale.

Te li affido, Signore,
uno per uno.
Ti affido le loro speranze,
le loro paure,
i loro progetti di felicità.

Rendimi, per loro,
immagine - sia pur sbiadita! -
del tuo amore paziente e misericordioso.
Rendimi amico vero,
pronto ad ascoltare,
a condividere, a esserci.

Rendimi apostolo,
capace di annunciare,
anche sul Web
il tuo Vangelo di salvezza.

Ti ringrazio, Signore,
per questo spazio immenso,
per questa vita a colori,
per questi incontri che forse non sono così casuali.

Tuttavia, Signore,
di chiedo di non lasciarmi affogare
in questo mare di finta compagnia:
risveglia in me il desiderio
di uscire là fuori,
di ascoltare voci reali,
di abbracciare persone autentiche
e stringere amicizie vere.
Amen.

(Patrizio Righero)




 
 
 
 
 
 

 

Si... si.. un pò ...forti... ma così vere.... dai sorridiamo.... e buona giornata a tutti :-)


domenica 21 aprile 2013

L' amicizia prima di Facebook - Alessandro Baricco -


Quel che ricordo dell' amicizia ai tempi in cui non esisteva Facebook e nemmeno la Rete, le mail, gli sms l'ho scritto in Emmaus, nell'amicizia di quei quattro ragazzini diciassettenni che muovono il romanzo.
I libri non sono mai, stupidamente, la verità, ma è vero che noi eravamo più o meno così, come quei quattro. 
Una cosa che ricordo bene, ad esempio, è che pensavamo l' amicizia come il prolungamento di una fede: fosse religiosa, come nel nostro caso, o anche laica, o politica, non importava. Anche il Toro andava bene. Ma era importante quel credere comune, non sarebbe bastata la simpatia né qualsiasi altra prossimità sentimentale. 
A tenerci uniti era la certezza che stavamo combattendo insieme una qualche sotterranea guerra, di cui poi non capivamo neanche molto. In definitiva negli amici cercavamo meno un sollievo alle nostre solitudini che non l'iscrizione a un qualche eroismo collettivo. Ciò dava ai legami un tratto di necessità, o forse di sacralità, che ci faceva impazzire.
Vi trovavamo una fermezza, un'inevitabilità, che non trovavamo altrove. Va da sé che non c'erano amici che non lo fossero per la pelle. Come i quattro di Emmaus, da ragazzi costruivamo le amicizie su una bolla di dolore. Quando non c'era, ce la inventavamo, credo. Ma sempre ci si riconosceva a partire da una ferita, e ci si voleva bene - e quanto - scambiandoci il segreto della nostra tristezza.
Ne sapevano poco le nostre famiglie, e niente il mondo: ma lo spazio di quel penare, che tenevamo segreto, dettava il perimetro di una luogo riservatissimo a cui proprio le amicizie, e solo loro, accedevano. Così essere amici significava condividere un segreto. E scambiare malinconia. 
Non voglio dire che fossimo depressi o pateticamente romantici (magari lo eravamo anche un po', ma non è quello il punto), voglio dire che quando cercavamo il massimo della vicinanza ci riusciva più facile farlo entrando nell'ombra dei nostri pensieri cupi, perché lì trovavamo la perfezione. 
L' allegria era meno interessante. Della felicità non ci accorgevamo.
E poiché non esisteva Facebook, essere amici significava fare delle cose. 
Non parlarne, o raccontarle: farle. Se cerco di ricordare momenti precisi che significassero amicizia, vedo scene in cui sempre stavamo facendo qualcosa. E mai in casa. Esisteva un nesso preciso tra l' alzare il culo per andare a fare cose e il vivere le amicizie. Anche quando ci scrivevamo, era una cosa particolare, accadeva di rado, e allora una lettera era molto più un fatto che un modo di comunicare. Era un gesto. Le telefonate interminabili (ciò che di più vicino riesco a immaginare al chattare odierno) ce le tenevamo per le fidanzate: tra noi sarebbe stato ridicolo. 
Parlavamo molto, naturalmente, ma era sempre roba cucita in un gesto, e tempo legittimato da altro tempo, speso in un qualche lavorio.
Ci sarebbe parso tremendamente vacuo frequentarci via computer. Non avremmo saputo cosa dirci. Quando invece anche solo il "tornare da giocare a pallone" diventava uno spazio perfetto, di camminate memorabili, e parole a lungo covate.
C'entravano il sudore addosso, le scarpe slacciate, e il pallone, sporco da far schifo, tra le mani, e farlo rimbalzare. Una finestrella su uno schermo, quello ci sarebbe apparso come un ripiego inspiegabile. Tutto ciò ci costringe a concludere spesso, usando un termine che è tramontato, che quelle erano amicizie profonde.
Tacitamente, intendiamo dire che quelle di Facebook non lo sono.
Ma la realtà non è così semplice. Se un termine tramonta un perché ci sarà, e l'estinguersi di un profilo certo, per la parola profondità, qualcosa deve insegnarci. Era il nome che davamo a una certa intensità, ma era un nome probabilmente inesatto. Alludeva a coordinate (superficie profondità) che il mondo quasi certamente non ha: oggi appaiono come una semplificazione un po' infantile, e stanno all'esperienza reale come un cartone sta al 3D.
Strumenti poveri, verrebbe da dire. Così ci resta la memoria di una certa intensità, ma pochi nomi certi per nominarla con esattezza. 
Per questo trarre delle conclusioni che non siano da bar sembra difficile. 
Io posso giusto annotare un'osservazione che oltre tutto ha il limite di riferirsi alla mia esperienza personale: in genere la "profondità" che tendo ad attribuire retrospettivamente a quelle amicizie non sembra aver influito sulla loro resistenza al tempo. 
Alcune se ne sono sparite, altre sono rimaste, come se una regola non ci fosse: ha tutta l'aria di essere una faccenda dannatamente casuale.
E se mi trovo ancora appiccicato addosso persone con cui tornavo da giocare a pallone, è vero che tante altre amicizie che erano analogamente "profonde" se ne sono andate con un fare liquido strabiliante, come se non avessero agganci da nessuna parte, e la benché minima forma di necessità. 
È bastato alle volte uno spostamento minimo, un' inezia, e già non c' erano più. Così quelle che sembravano pietre incastonate si sono svelate pietre appoggiate su qualcosa di sdrucciolevole: e la petrosità una categoria che solo nella fantasia ha un nesso necessario con la permanenza. 
Da giovani non potevamo immaginarlo, ma la verità è che si può essere petrosi e provvisori, noi lo eravamo. Rolling Stones, come ci insegnò poi qualcuno che, senza saperlo, aveva già capito tutto.

(Alessandro Barrico)



Ecco.... temo... cosa ne pensate? Già ci siamo?


Il più grande bisogno del mondo è il bisogno di uomini: di uomini che non si possono né comprare né vendere;
di uomini che sono fedeli e onesti fino all'intimo della loro anima;
di uomini che non hanno paura di chiamare il male col suo vero nome;
di uomini la cui coscienza è fedele al dovere come l'ago magnetico lo è al polo;
di uomini che staranno per la giustizia anche se dovessero crollare i cieli.

- Ellen Gould White -



C'è chi deve scoprirsi le gambe per farsi notare perché se si scoprisse il cervello non avrebbe niente da mostrare.

- A. Allblack - 




Buona giornata a tutti :-)