venerdì 1 febbraio 2019

Soffriamo di Carlos Drummond de Andrade e Lottare con la sofferenza di Padre Michel Quoist

Definitivo, come tutto ciò che è semplice.
Il nostro dolore non deriva dalle cose vissute, ma dalle cose che sogniamo e che non si realizzano.
Perché soffriamo tanto per amore?
Sarebbe meglio che la gente non soffrisse, e ringraziasse anche solo per aver conosciuto una persona tanto buona, che generò in noi un sentimento intenso che ci ha accompagnato per un tempo ragionevole, un tempo felice.
Perché soffriamo?
Per tutti i baci cancellati, per l’eternità.
Soffriamo, non perché il nostro lavoro è stressante e paga poco, ma per tutte le ore libere che non abbiamo avuto per andare al cinema, per conversare con un amico, per nuotare, per innamorarci.
Perché automaticamente dimentichiamo quello che abbiamo goduto e cominciamo a soffrire per i nostri progetti irrealizzati, per tutte le città che avremmo potuto conoscere a fianco del nostro amore, per tutti i figli che avremmo avuto piacere ad avere vicino, per tutti gli show, i libri e i silenzi che avremmo gradito condividere.
Soffriamo, non perché nostra madre è impaziente con noi, ma per tutti i momenti in cui le avremmo potuto confidarle nostre più profonde angosce e fosse interessata a comprenderci.
Soffriamo, non perché la nostra squadra ha perso, ma per l’euforia soffocata.
Soffriamo non perché invecchiamo, ma perché il futuro è da noi confiscato, impedendo così che ci accadano mille avventure, tutte quelle con le quali sogniamo e mai tentiamo di sperimentare.
Come alleviare il dolore di ciò che non fu vissuto?
La risposta è semplice come un verso:

Avere meno illusioni e vivere di più!!!

Ogni giorno che vivo, mi convinco sempre più che lo spreco della vita è nell’amore che non diamo, nelle forze che non usiamo, nella prudenza egoista che non rischia mai, e che, schivando la sofferenza, fa perdere anche la felicità. Il dolore è inevitabile.
La sofferenza è un accessorio extra.

- Carlos Drummond de Andrade -


L'amore è passione, ossessione, qualcuno senza cui non vivi. Io ti dico: "Buttati a capofitto! Trovati qualcuno da amare alla follia e che ti ami alla stessa maniera!" 
Come trovarlo? Be', dimentica il cervello e ascolta il cuore. 
Io non sento il tuo cuore. Perché la verità, tesoro, è che non ha senso vivere se manca questo. 
Fare il viaggio e non innamorarsi profondamente, be', equivale a non vivere. Ma devi tentare perché se non hai tentato non hai mai vissuto.

dal film: "Vi presento Joe Black"



La redenzione non è soltanto lotta e vittoria sul peccato, lo è pure sulla sofferenza e morte che Cristo ha saputo affrontare, prendere su di sé e "dinamizzare", riversandovi il suo amore infinito. Tutto ciò che abbiamo detto sul riconoscere i propri errori e sul farne dono al Padre in Cristo salvatore, non sarebbe valido se non partecipassimo anche noi a quest’altro combattimento, che è poi il secondo aspetto dell’atto unico della nostra salvezza.

Ma prima di accogliere la sofferenza e di offrirla, il cristiano deve lottare contro di essa. È un dovere assoluto.

Altrimenti il cristiano sarebbe quel "rassegnato" che abbiamo risolutamente condannato perché è diametralmente opposto alla dignità radicale dell’uomo voluta da Dio.

Non ripeteremo mai abbastanza che la sofferenza è un male, e che bisogna fare di tutto per ridurre il suo dominio. È questo un aspetto dell’impegno dell’uomo nel creato: il corpo a corpo doloroso e tragico della creatura cosciente con il mondo e l’universo progressivamente conquistati e dominati; lotta individuale e collettiva, dall’azione diretta sulla materia bruta e sulla vita fino all’azione sul mondo e sull’umanità già trasformati.

È il lavoro umano, la tecnica, la scienza, tutte le scienze.

È l’impegno nell’organizzazione politica, economica, sociale dell’umanità.

È la presenza attiva in questo immenso "cantiere di costruzione del mondo" in cui tutti si ritrovano, in cui quelli che soffrono e muoiono sono i soldati caduti in una guerra giusta, e in cui i progressi si acquistano a prezzo d’insuccessi parziali, di ferite e di sofferenze, che consentono però la marcia in avanti di tutta l’umanità.

La sofferenza in sé è un male.

Non posso ammettere che per tentar di spiegarla, di "trovare delle scuse a Dio", si cerchi di convincersi che è un bene. Credo che sia un’imperfezione e tale rimarrà sempre. 
Nel "cielo nuovo e terra nuova", non ci saranno più sofferenza né morte. Dio "pianterà la sua tenda tra gli uomini, essi saranno il suo popolo, e Dio sarà per loro il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dei loro occhi, e non ci sarà più né morte, né lutto, né grido di dolore, perché la condizione di prima sarà superata" (Ap 21,34).

Io non credo che Dio "mandi la sofferenza" all’uomo, "per punirlo, o "per il suo bene". 
Non riesco ad ammettere un Dio-Amore che tortura l’uomo per farlo diventare migliore. La punizione del suo peccato, è l’uomo stesso che se la assegna. Sconvolgendo il creato l’uomo infligge a se stesso e ai suoi fratelli delle pene molto pesanti. Dio non ha bisogno di aggiungerne altre.

Quando un fanciullo nella strada sfugge alla mano di suo papà, corre, cade e si fa male, il padre molto spesso lo raggiunge e lo sculaccia. 
Questo sovrappiù di sofferenza è inutile per il bambino; il suo capitombolo gli basta, è la sua punizione. Il padre si è adirato, ha perso le staffe. È un’imperfezione. 
Dio non perde le staffe verso il figlio prodigo, non lo picchia. Al contrario, invece di abbatterlo, lo aiuta a portare la sua sofferenza.

Io non riesco a capire quei cristiani prostrati che nelle loro sofferenze "benedicono la volontà di Dio". 
Non abbiamo bisogno di rassegnati ma di uomini in piedi che lottano contro la sofferenza e quando questa non vuole cedere – essa che è un male e che un male rimane – la utilizzano, grazie a Gesù Cristo e con lui, per cavarne un bene. 
Così gli scarti irrecuperabili, gettati nel fuoco diventano colore e luce.

La sofferenza è un male. Una sconfitta. È un segno che l’uomo non è ancora riuscito ad impadronirsi dell’universo ed a svilupparlo per metterlo al servizio di tutti. 
È anche il segno che l’umanità non è ancora comunità nell’amore finalmente trionfante.

Agli uomini che così spesso vengono a parlarmi delle loro sofferenze non devo in un primo tempo, col pretesto della fede, parlare di offerta. Devo prima di tutto far loro sentire il richiamo alla lotta che risuona nel cuore di ogni dolore. Poi, posso invitarli ad unirsi a Gesù Cristo per soffrire ed offrire con lui. 
Non è la sofferenza di Gesù Cristo che ha salvato il mondo, ma l’amore col quale ha portato ed offerto questa sofferenza, come non è il legno morto che illumina e riscalda, ma il fuoco che consuma il legno. 
Solo l’amore genera la vita.

- Padre Michel Quoist - 

Fonte: da L’Ancora 11/2002

Buona giornata a tutti. :-)



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