Il Natale è il mistero della tenerezza, della
tenerezza di Dio a me. Tenerezza che non è compiacimento nel sentimento che
proviamo di Dio o di Cristo, perché il compiacimento nel sentimento che provo è
ancora quello che ho detto in principio, vale a dire il compiacimento di quello
che facciamo noi.
Tenerezza non è compiacimento nel sentimento
che proviamo, ma l’abbandonarsi, il sentirsi presi dall’amore che ci ha presi,
da Colui che ci ha presi, il sentirsi presi da questa Presenza, il sentirsi
presi da ciò che ci è accaduto, la presenza di ciò che è accaduto.
È come quando il bambino sgrana gli occhi ed
è tutto pieno di ciò che vede e non ha spazio da dare al sentimento che prova,
o alla coscienza di un sentimento che prova; di fronte a ciò che vede, è tutto
pieno di ciò che vede.
«Se diligit homo tantum propter Deum», l’uomo
ama se stesso solo per questo che ha davanti, in Cristo, in questo che ha
davanti, in questo avvenimento.
Ma ciò su cui voglio che fermiate
l’attenzione è proprio la parola “tenerezza”, perché questa immedesimazione,
questo immedesimarsi di Dio, del Verbo, del Mistero con la nostra carne, questo
immedesimarsi di questo Verbo incarnato, di questa carne divina, di questo Uomo
con noi, con me, è tenerezza un milione di volte più grande, più acuta, più
penetrante dell’abbraccio di un uomo alla sua donna, di un fratello al
fratello.
Queste cose non si comprendono ragionando, ma
guardando le parole che indicano sinteticamente l’esperienza cui si vuole
accennare; ed è necessario, allora, dire più di una parola. Bisogna guardare
questa parola - tenerezza - all’interno della coscienza di questa identità tra
me e Te, di Te con me, meglio, all’interno della coscienza di questo
avvenimento che si è insediato in me, di questo «Tu che sei me».
appunti da una conversazione di Luigi Giussani a un ritiro dei Memores Domini. Pianazze, 6
gennaio 1974
La verginità è la perfezione della vocazione
che ha costituito la venuta di Cristo nella vita dell’uomo.
Perciò leggendo questi brani, rileggendo o
riguardando questi brani del vangelo, dobbiamo soffermarci (chiedendo allo
Spirito la grazia di saperlo fare) in una esperienza di immedesimazione con la
realtà di Maria, dei pastori, dei Magi: “presi”, la loro identità è in ciò che
sta accadendo, è in ciò che è accaduto, meglio.
La loro identità è in ciò che è
accaduto.
È il disegno di cui parla la lettera agli Efesini: «Questo Mistero, non manifestato agli uomini delle precedenti generazioni, è stato al presente rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che tutti siamo chiamati a formare lo stesso corpo»
È il disegno di cui parla la lettera agli Efesini: «Questo Mistero, non manifestato agli uomini delle precedenti generazioni, è stato al presente rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che tutti siamo chiamati a formare lo stesso corpo»
La parola “predilezione”, nel suo senso
etimologico, significa essere amati prima che ce ne accorgiamo, essere amati
prima della nostra risposta, quell’essere amati che pone un dato di fatto
irreversibile, quell’essere amati che definisce il nostro valore nel mondo.
Essere amati, cioè essere dentro il Suo
disegno, essere Suo disegno.
Come è diverso dall’esperienza naturale a cui
troppe volte forse noi ci arrestiamo, mentre essa è soltanto come la profezia,
la premessa, l’introduzione, quella che dispone l’animo a capire la densità e
la profondità con cui il Signore si è dato a me, fino a diventare ciò che mi
costituisce!
Come è diverso il rapporto di ciò che è
accaduto con Maria, coi pastori, coi Magi, dal nesso che l’esperienza naturale
ci fa sentire verso il Mistero che ci crea!
appunti da una conversazione di Luigi Giussani a un ritiro dei Memores Domini. Pianazze, 6 gennaio 1974
Seguo le stelle e inciampo nel pianto di un Dio neonato.
Mi guida l’odore della vita che irrora la notte.
Mi precede il grido della donna che feconda la polvere
scura.
Seguo le stelle per portare tesori da nulla alla carne
bambina
che guarisce il male del mondo.
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