In un
piccolo paese viveva una volta un sarto che non aveva nè moglie, nè figli.
Lavorava dal mattino alla sera, cuciva camicie, pantaloni, caffettani. Era
anche il muezzin del paese.
All'alba, quando tutti dormivano, saliva in cima al minareto della moschea e
svegliava la gente chiamandola alla preghiera e così faceva a mezzogiorno, nel
pomeriggio e al tramonto.
Tutti volevano bene e stimavano quest'uomo laborioso
e pio. Ogni volta che saliva sul minareto il sarto rivolgeva il suo pensiero a
Dio e gli manifestava il desiderio di avere un giorno una moglie e una casa
dove vivere felice e sereno.
Si dice che un giorno, dopo aver fatto risuonare i sette melodiosi versi del
richiamo alla preghiera, venne catturato da un grosso uccello rapace che,
tenendolo ben stretto tra gli artigli, dopo aver attraversato il mare, lo
depose nelle vicinanze di una città sconosciuta. Il sarto vi entrò e si
meravigliò della pace e della tranquillità che vi regnavano. Non si sentiva
litigare, né mercanteggiare, la gente sorrideva, i loro abiti erano bellissimi
e puliti, i tessuti con cui erano confezionati erano preziosi. Ancor più
aumentò la sua meraviglia quando avvicinandosi ad un negozio vide che la gente acquistava
senza pagare, pronunciando soltanto questa parola: "Preghiere alla
bellezza". Questa formula veniva ripetuta una o più volte secondo il
valore della merce.
Finalmente arrivò davanti alla bottega di un sarto e dopo averlo osservato a
lungo lavorare ed essersi reso conto che anche questi aveva il viso radioso, si
fece coraggio, entrò, lo salutò e gli disse: "Anch'io sono un sarto come
te e mi piacerebbe fermarmi a vivere in questa città".
Il collega
sorridendo rispose:" Certo che ti puoi fermare, ne saremo felici,
lavoreremo insieme e ogni settimana riceverai cinquanta preghiere alla
bellezza.
Il sarto iniziò subito a lavorare e in poco tempo venne a conoscere tutte le
usanze di questo strano paese, dove a nessuno mancava mai nulla e dove ogni
lavoro e ogni commercio venivano ricompensati con le parole: "Preghiere
alla bellezza".
Vi era un altro uso curioso. Se un giovane voleva sposarsi, doveva andare il
giovedì sulla spiaggia. Lì passeggiavano tutte le ragazze da marito portando
sulla testa una brocca di acqua fresca. Se una ragazza piaceva, la si fermava,
le si chiedeva un sorso d'acqua e la si ringraziava dicendo: "Preghiere
alla bellezza!" e se anche a lei fosse piaciuto il giovane, si sarebbero
sicuramente sposati. Naturalmente il sarto non vedeva l'ora di andare il
giovedì sulla spiaggia e così fece. Vide una ragazza che gli piaceva molto,
chiese un sorso d'acqua, la ringraziò con le parole: "Preghiere alla
bellezza" e si sposarono.
Ogni giorno, dopo il lavoro, il sarto andava al mercato a far la spesa,
comprava il necessario per vivere e il tempo scorreva nella tranquillità e
nella serenità senza che i due sposi avessero bisogno di nulla.
Un giorno,
durante il suo abituale giro al mercato, il sarto vide un grosso pesce dalla
carne bianca e appetitosa e decise di comprarlo in cambio di "Preghiere
alla bellezza" pensando che la moglie sarebbe stata contenta.
Quando tornò
a casa e la moglie vide il grosso pesce, si spaventò e gli disse: "Che
cosa hai fatto? siamo solo in due e tu hai comprato un pesce che potrebbe
nutrire dieci persone, adesso non potrai più vivere in questa città".
Il sarto rattristato, uscì di casa ed ecco sopraggiungere l'uccello rapace che
lo afferrò e lo riportò nella sua città natale lasciandolo in cima al minareto
proprio dove lo aveva afferrato la prima volta.
Il sarto richiamò i credenti alla preghiera, lui stesso scese e si unì agli
altri per pregare, ritornò nel suo negozio e riprese a lavorare.
Ripensava
sempre con molta tristezza alla città felice e si augurava di rivedere l'uccello
rapace. Ma esso non tornò mai più.
da una leggenda araba
Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore.
Quando non c'è più rimedio è inutile addolorarsi, perché si vede ormai il peggio che prima era attaccato alla speranza.
Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore.
Quando non c'è più rimedio è inutile addolorarsi, perché si vede ormai il peggio che prima era attaccato alla speranza.
Piangere sopra un male passato è il
mezzo più sicuro per attirarsi nuovi mali. Quando la fortuna toglie ciò che non
può essere conservato, bisogna avere pazienza: essa muta in burla la sua
offesa.
Il derubato che sorride, ruba qualcosa
al ladro, ma chi piange per un dolore vano, ruba qualcosa a se stesso.
- William Shakespeare -
da Il mercante di Venezia
da Il mercante di Venezia