Carissimi,
non scrivo per consolarvi. Anche perché so
bene quanto fastidio vi diano le declamazioni di coloro che, sentendosi sempre
in dovere di spendere qualche buona parola con voi, ricorrono ai prontuari dei
più indisponenti fraseggi.
Non è di compatimento che avete bisogno.
Prima di tutto, perché il compatimento è una spartizione fittizia del dolore.
Poi, perché vi toglie la fierezza di rimaner soli sulla croce. E infine, perché
rischia di fermarsi alla soglia delle parole.
Al paraplegico che sta inchiodato
su una sedia a rotelle, che sollievo può dare il sermone di circostanza fatto
da chi magari, subito dopo, deve correre in palestra per una partita di basket?
All’handicappato che ti interpella sui
grandi perché della vita, e vuoi rendersi conto delle ragioni misteriose che
stanno all’origine della sua sfortuna, che conforto possono recare i luoghi
comuni tratti dai repertori della compassione?
A chi è ridotto all’impotenza da una
malattia irreversibile o da un improvviso declino della salute o da un fatale
incidente sulla strada, e ti pone la scomoda domanda del «che ci sto a fare più
sulla terra», quale aiuto possono dare le tue maldestre citazioni bibliche?
Davanti a chi soffre come voi,
l’atteggiamento più giusto sembrerebbe quello del silenzio.
Però, anche il silenzio può essere
frainteso o come segno di imbarazzo, o come tentativo di rimozione del
problema.
E allora, tanto vale parlarne. Semmai, con
pudore. Chiedendovi scusa per ogni parola di troppo. Come, per esempio, una parola
di troppo potrà sembrare il segreto che vi confido sulla mia consuetudine con
questa preghiera che recito ogni mattina:
“Padre mio, io mi abbandono a te. Fa’ di me
ciò che ti piace. Qualsiasi cosa tu faccia di me, io ti ringrazio. Sono pronto
a tutto. Accetto tutto. Purché la tua volontà sia fatta in me e in tutte le tue
creature. Non desidero altro, mio Dio. Rimetto la mia anima nelle tue mani. Te
la dono, mio Dio, con tutto l’amore del mio cuore, perché ti amo. Ed è per me
una necessità di amore donarmi e rimettermi nelle tue mani. Senza misura, con
infinita fiducia. Perché tu mi sei padre”.
E’ una preghiera difficile, lo ammetto.
Forse è stata difficile anche per Charles de Foucauld che l’ha composta. Questo
brillante ufficiale di cavalleria, amante della vita eppure spinto a fare un
cammino di conversione nelle aridità del deserto, non poteva mai immaginare che
un giorno sarebbe caduto assassinato da un beduino mentre era assorto in
adorazione davanti al Santissimo Sacramento. Ebbene, ciò che l’ha reso celebre
non è stato il suo martirio, quanto quella preghiera di abbandono.
È una preghiera difficile, lo ammetto.
Forse è difficile pure per voi, piagati nei
corpo, che tremate a pronunciarla anche dopo che la prova vi è già caduta
addosso. Tutto sommato, potrebbe essere una preghiera di comodo, sapendo che a
ribellarvi non è che cambiereste la vostra situazione, anzi, accettandovi,
potreste cambiare addirittura in preziosissimi assegni circolari le stigmate
del vostro fallimento umano.
Ma quando si soffre, è difficile fare di
necessità virtù, se non viene una forza dall’alto. Al massimo, ci si può
rassegnare. Stoicamente. Col sarcasmo sulle labbra, che spesso è peggio della
bestemmia.
Ed eccomi allora chiamato dal mio dovere di
vescovo ad additarvi con fermezza lo scandalo della Croce. Dire che col vostro
dolore contribuite alla salvezza del mondo, può sembrarvi letteratura
consolatoria. Ricorrere alle frasi fatte degli occhi che vedono bene solo
attraverso le lacrime, può essere inteso, se non proprio come un insulto
gratuito, almeno come un ritrovato sterile della saggezza umana. Accennarvi
che, in fondo, ognuno si porta dentro il suo carico di dolori e che, tutto
sommato, non siete poi così soli come sembra, potrebbe accrescere il vostro
sdegno. Aggiungere che un giorno sarete schiodati pure voi dalla croce, può
apparire uno scampolo di quell’eloquenza mistificatoria che non convince
nessuno.
Ma dirvi che sulla croce un giorno ci è
salito un uomo innocente, e che sul retro della croce c’è un posto vuoto dove
un altro innocente è chiamato a far compagnia ai rantoli di Cristo, appartiene
al messaggio inquietante, eppur dolcissimo, che un ministro della Parola non
può nè accorciare nè mettere tra parentesi.
Quel posto è tuo, Ignazio, paralizzato per
sempre; e di nessun altro. E tuo, Ruggero, che ti trascini a tentoni per la
casa e mugoli parole indistinte. Chiamalo, il tuo Signore: è un nome breve. Non
può non sentirti: è inchiodato appena dietro dite. Quel posto è tuo, Giuseppe,
che ti portano da una clinica all’altra per un male incurabile e hai solo
trent’anni: non fare lo sbaglio di rinunciare a quel posto. E tuo, Nadia,
splendida bambina: non cederlo a nessuno.
Forse un giorno quel posto sarà mio. O lo è
già da adesso, ed è solo l’esemplarità del vostro martirio più grande che me ne
rende agevole il tormento. Non fosse altro che per questo, vorrei dirvi:
grazie!
Ma grazie soprattutto perché, se è vero che
dobbiamo adorare e benedire Gesù Cristo che con la sua santa croce ha redento
il mondo, è altrettanto vero che, in cooperativa con lui, voi ci avete comprato
le gioie che fanno fremere il mondo: le sue canzoni, le sue attese di libertà,
le sue esplosioni di luce, i suoi tripudi di vita, le sue ansie di festa senza
tramonti, le sue speranze di cieli nuovi e terre nuove.
Sapete che vi dico?
Il mattino di Pasqua, nella corsa verso il
sepolcro, voi sarete più veloci di tutti, e ci precederete come Giovanni. E
forse vi fermerete sulla soglia, per farci vedere «le bende per terra e il
sudano piegato in disparte».
E l’ultima carità che ci aspettiamo da voi.
Un abbraccio.
- Don Tonino
Bello -
Da: “Pietre di scarto”, ed. La Meridiana
1993
"L'amore di Dio si rivela attraverso segni che dapprima non comprendiamo, ma che in seguito rivelano la grandezza del suo disegno".
"L'amore di Dio si rivela attraverso segni che dapprima non comprendiamo, ma che in seguito rivelano la grandezza del suo disegno".
- Don Tonino Bello -
La vita senza Dio non funziona, perché manca la luce,
perché manca il senso di cosa significa essere uomo.
I comandamenti non sono un
ostacolo alla libertà e alla bella vita, ma indicatori per trovare una vita
piena.
La disciplina allarga la vita e la fatica dà profondità alla vita e
contribuisce a creare un mondo migliore»
Papa Benedetto XVI, 18 marzo 2007
Santa Maria,
Vergine della notte,
noi t'imploriamo di starci vicino
quando incombe il dolore,
irrompe la prova,
sibila il vento della disperazione,
e sovrastano sulla nostra esistenza
il cielo nero degli affanni,
o il freddo delle delusioni
o l'ala severa della morte.
Liberaci dai brividi delle tenebre.
Nell'ora del nostro calvario,
Tu, che hai sperimentato l'eclissi del sole,
stendi il tuo manto su di noi,
sicché, fasciati dal tuo respiro,
ci sia più sopportabile
la lunga attesa della libertà.
Alleggerisci con carezze di Madre
la sofferenza dei malati.
Riempi di presenze amiche e discrete
il tempo amaro di chi è solo.
Spegni i focolai di nostalgia
nel cuore dei naviganti,
e offri loro la spalla,
perché vi poggino il capo.
Preserva da ogni male i nostri cari
che faticano in terre lontane e conforta,
col baleno struggente degli occhi,
chi ha perso la fiducia nella vita.
Ripeti ancora oggi
la canzone del Magnificat,
e annuncia straripamenti di giustizia
a tutti gli oppressi della terra.
Non ci lasciare soli nella notte
a salmodiare le nostre paure.
Anzi, se nei momenti dell'oscurità
ti metterai vicino a noi
e ci sussurrerai che anche Tu,
Vergine dell'Avvento,
stai aspettando la luce,
le sorgenti del pianto
si disseccheranno sul nostro volto.
E sveglieremo insieme l'aurora.
noi t'imploriamo di starci vicino
quando incombe il dolore,
irrompe la prova,
sibila il vento della disperazione,
e sovrastano sulla nostra esistenza
il cielo nero degli affanni,
o il freddo delle delusioni
o l'ala severa della morte.
Liberaci dai brividi delle tenebre.
Nell'ora del nostro calvario,
Tu, che hai sperimentato l'eclissi del sole,
stendi il tuo manto su di noi,
sicché, fasciati dal tuo respiro,
ci sia più sopportabile
la lunga attesa della libertà.
Alleggerisci con carezze di Madre
la sofferenza dei malati.
Riempi di presenze amiche e discrete
il tempo amaro di chi è solo.
Spegni i focolai di nostalgia
nel cuore dei naviganti,
e offri loro la spalla,
perché vi poggino il capo.
Preserva da ogni male i nostri cari
che faticano in terre lontane e conforta,
col baleno struggente degli occhi,
chi ha perso la fiducia nella vita.
Ripeti ancora oggi
la canzone del Magnificat,
e annuncia straripamenti di giustizia
a tutti gli oppressi della terra.
Non ci lasciare soli nella notte
a salmodiare le nostre paure.
Anzi, se nei momenti dell'oscurità
ti metterai vicino a noi
e ci sussurrerai che anche Tu,
Vergine dell'Avvento,
stai aspettando la luce,
le sorgenti del pianto
si disseccheranno sul nostro volto.
E sveglieremo insieme l'aurora.
Amen
- don Tonino Bello -
Buona giornata a tutti. :-)