"La contemplazione è l'espressione più
alta della vita intellettuale e spirituale dell'uomo. È quella vita stessa,
pienamente cosciente, pienamente attiva, pienamente consapevole di essere vita.
[...]
La vita contemplativa implica due gradi di
consapevolezza: primo, consapevolezza della domanda; secondo, consapevolezza
della risposta. Benché questi due gradi siano distinti e immensamente diversi
tra loro, pure sono coscienza di un'identica realtà. La domanda è, essa stessa,
la risposta.
E noi siamo ambedue le cose. Ma non possiamo
saperlo finché non ci siamo portati al grado superiore; ci ridestiamo non per
trovare una riposta nettamente diversa dalla domanda, ma per renderci conto che
la domanda è risposta a se stessa. E tutto ciò si riassume in un'unica
consapevolezza: non un'affermazione, ma un'esperienza: «Io sono».
[...] La contemplazione [...] è una
conoscenza pura, verginale, povera di concetti, più povera ancora di
ragionamenti.
[...] Nulla è più ripugnante di una
definizione pseudo-scientifica dell'esperienza contemplativa, [...] chi cerca
di dare una simile definizione è tentato di procedere psicologicamente [...].
Voler descrivere «reazioni» e «sensazioni» equivale a situare la contemplazione
là dove essa non può trovarsi, ossia al livello superficiale della coscienza [...].
Ma questa osservazione e questa coscienza fanno precisamente parte di
quell'«io» esteriore che «muore» e che viene gettato in disparte come un abito
sudicio, al risveglio genuino della vita contemplativa.
La contemplazione non è, non può essere,
un'attività di questo «io» esteriore. Vi è opposizione irriducibile tra l'«io»
profondo, trascendente, che si ridesta solo nella contemplazione, e l'«io»
superficiale, esteriore, che noi identifichiamo abitualmente con la prima
persona singolare. [...]
L'«io» che opera nel mondo, che pensa a se stesso, che
osserva le proprie reazioni, che parla di se stesso, non è il «vero io» [...].
La contemplazione è precisamente la consapevolezza che questo «io» è in effetti
il «non-io»; è il risveglio dell'«io» sconosciuto, che non può essere oggetto
di osservazione e di riflessione ed è incapace di commentare se stesso.
Quell'«io» sconosciuto non può nemmeno dire «io» con la sicurezza e
l'impertinenza dell'altro, perché per natura è nascosto, senza nome, non
identificato in quella società dove gli uomini parlano di se stessi e degli
altri. [...]
Nulla è più contrario alla contemplazione del cogito
ergo sum di Cartesio. «Penso, quindi sono». Questa è la dichiarazione di
un essere alienato, esiliato dalle sue profondità spirituali, costretto a
cercar conforto nella prova della sua esistenza (!) basata
sull'osservazione che egli «pensa». [...] Egli giunge al suo essere come se
fosse una realtà oggettiva, ossia si sforza di diventare consapevole di se
stesso come lo sarebbe di qualcosa al di fuori di se stesso. E dimostra che la
tal «cosa» esiste. E si convince: «Io sono quindi qualche cosa». [...]
La contemplazione, al contrario, è la
comprensione sperimentale della realtà come soggettiva, non tanto
«mia» (che significherebbe «appartenente all'io esteriore») ma «di me stesso»
nel mistero esistenziale. [...]
Per il contemplativo non vi è nessun cogito («io
penso») e nessun ergo («quindi»), ma soltanto ilsum («io sono») [...].
La contemplazione non è né rapimento, né
estasi, né l'udire improvvise parole inesprimibili, né vedere luci arcane.
Non
è il calore emotivo né la dolcezza che accompagnano l'esaltazione religiosa.
Non è l'entusiasmo, né la sensazione di essere «afferrati» da qualche forza
primordiale e trasportati impetuosamente verso la liberazione tramite una
frenesia mistica. Tutte queste cose [...] non sono opera del nostro «io
profondo»; sono solamente frutto di emozioni, del subcosciente somatico; sono
un insorgere delle forze dionisiache del subcosciente. [...]
La contemplazione [...] è uno spaventoso
infrangere e bruciare di idoli, una purificazione del santuario, affinché
nessuna immagine scolpita occupi il posto che Dio ha ordinato fosse lasciato
vuoto: il centro, l'altare esistenziale che semplicemente «è»"
- Padre Thomas Merton -
Da: Nuovi semi di contemplazione. (pp. 13-25)
Quando preghi, devi stare in silenzio.
Non preghi per ottenere la realizzazione dei tuoi desideri terreni, ma preghi:
“sia fatta la Tua volontà”. Non è bene pensare di usare Dio come un garzone.
Devi stare in silenzio. Lascia che la preghiera ti parli.
- Tito Colliander -
Onnipotente e misericordioso Dio,
Padre di tutti gli uomini,
creatore e dominatore dell’universo,
Signore della storia,
i cui disegni sono imperscrutabili,
la cui gloria è senza macchia,
la cui compassione per gli errori degli uomini è inesauribile,
nella tua volontà è la nostra pace!
Ascolta nella tua misericordia
questa preghiera che sale a te
dal tumulto e dalla disperazione
di un mondo in cui tu sei dimenticato,
in cui il tuo Nome non è invocato,
le tue leggi sono derise
e la tua presenza è ignorata.
Non ti conosciamo, e così non abbiamo pace.
Concedici prudenza in proporzione al nostro potere,
saggezza in proporzione alla nostra scienza,
umanità in proporzione alla nostra ricchezza e potenza.
E benedici la nostra volontà
di aiutare ogni razza e popolo a camminare,
in amicizia con noi,
lungo la strada della giustizia,
della libertà e della pace perenne.
Ma concedici soprattutto di capire
che le nostre vie
non sono necessariamente le tue vie,
che non possiamo penetrare pienamente
il mistero dei tuoi disegni,
e che la stessa tempesta di potere
che ora infuria in questa terra
rivela la tua segreta volontà
e la tua inscrutabile decisione.
Concedici di vedere il tuo volto
alla luce di questa tempesta cosmica,
o Dio di santità, misericordioso con gli uomini.
Concedici di trovare la pace
dove davvero la si può trovare:
nella tua volontà, o Dio, è la nostra pace!
- Padre Thomas Merton -
George Segal (1924-2000)
"Abraham and Isaac,"
on the Princeton University campus