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sabato 18 giugno 2016

Il paese dei ladri - Italo Calvino

“C’era un paese dove erano tutti ladri. La notte ogni abitante usciva, coi grimaldelli e la lanterna cieca, e andava a scassinare la casa di un vicino. Rincasava all’alba, carico, e trovata la casa svaligiata.
E così tutti vivevano in concordia e senza danno, poiché l’uno rubava all’altro, e questo a un altro ancora e così via, finché non si rubava a un ultimo che rubava al primo. Il commercio in quel paese si praticava solo sotto forma d’imbroglio e da parte di chi vendeva e da parte di chi comprava. Il governo era un’associazione a delinquere ai danni dei sudditi, e i sudditi dal canto loro badavano solo a frodare il governo. Così la vita proseguiva senza inciampi, e non c’erano né ricchi né poveri. Ora, non si sa come, accadde che nel paese di venisse a trovare un uomo onesto. La notte, invece di uscirsene col sacco e la lanterna, stava in casa a fumare e a leggere romanzi. Venivano i ladri, vedevano la luce accesa e non salivano.
Questo fatto durò per un poco: poi bisognò fargli comprendere che se lui voleva vivere senza far niente, non era una buona ragione per non lasciar fare agli altri. Ogni notte che lui passava in casa, era una famiglia che non mangiava l’indomani. Di fronte a queste ragioni l’uomo onesto non poteva opporsi. Prese anche lui a uscire la sera per tornare all’alba, ma a rubare non ci andava. Onesto era, non c’era nulla da fare. Andava fino al ponte e stava a veder passare l’acqua sotto. Tornava a casa, e la trovava svaligiata.
In meno di una settimana l’uomo onesto si trovò senza un soldo, senza di che mangiare, con la casa vuota. Ma fin qui poco male, perché era colpa sua; il guaio era che da questo suo modo di fare ne nasceva tutto un cambiamento. Perché lui si faceva rubare tutto e intanto non rubava a nessuno; così c’era sempre qualcuno che rincasando all’alba trovava la casa intatta: la casa che avrebbe dovuto svaligiare lui. Fatto sta che dopo un poco quelli che non venivano derubati si trovarono ad essere più ricchi degli altri e a non voler più rubare. E, d’altronde, quelli che venivano per rubare in casa dell’uomo onesto la trovarono sempre vuota; così diventavano poveri. Intanto, quelli diventati ricchi presero l’abitudine anche loro di andare la notte sul punte, a veder l’acqua che passava sotto. 
Questo aumentò lo scompiglio, perché ci furono molti altri che diventarono ricchi e molti altri che diventarono poveri.
Ora, i ricchi videro che ad andare la notte sul ponte, dopo un po’ sarebbero diventati poveri. E pensarono: – Paghiamo dei poveri che vadano a rubare per conto nostro -. Si fecero i contratti, furono stabiliti i salari, le percentuali: naturalmente sempre ladri erano, e cercavano di ingannarsi gli uni con gli altri. Ma, come succede, i ricchi diventavano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. 
C’erano dei ricchi così ricchi da non avere più bisogno di rubare per continuare a esser ricchi. Però se smettevano di rubare diventavano poveri perché i poveri li derubavano. Allora pagarono i più poveri dei poveri per difendere la roba loro dagli altri poveri, e così istituirono la polizia, e costruirono le carceri.
In tal modo, già pochi anni dopo l’avvenimento dell’uomo onesto, non si parlava più di rubare o di esser derubati ma solo di ricchi e poveri; eppure erano sempre tutti ladri. Di onesti c’è stato solo quel tale, ed era morto subito, di fame”.

- Italo Calvino -


C'è un modo colpevole di abitare la città: accettare le condizioni della bestia feroce dandogli in pasto i nostri figli. 
C'è un modo colpevole di abitare la solitudine: credersi tranquillo perché la bestia feroce è resa inoffensiva da una spina nella zampa. 
L'eroe della storia è colui che nella città punta la lancia nella gola del drago, e nella solitudine tiene con sé il leone nel pieno delle sue forze, accettandolo come custode e genio domestico, ma senza nascondersi la sua natura di belva.

- Italo Calvino - 
 
da: Il Castello dei Destini Incrociati, Einaudi



Di impressionante attualità...

"L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. 
Due modi ci sono per non soffrirne. 
Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. 
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

(da Italo Calvino 'Le città invisibili', 1972)


Domani in Italia si svolgeranno i ballottaggi per l’elezioni dei sindaci. 
Molti mi scrivono sulla situazione italiana, sul voto, un mio parere, etc. Ovviamente non me la sento di dare un parere politico poichè le situazioni sono diverse da città a città. 
Mi sento di consigliarvi di non votare il/un partito, ma di votare l’uomo/la donna, la persona che  propone argomenti concreti, ad esempio la sicurezza nel vivere quotidiano, la riduzione delle tasse comunali (a proposito avete già ricevuti l'IMU, la Tasi? Io sì!). Togliere un po' di burocrazia, allentare l'aggressività delle multe alle auto. Evitate marpioni e professionisti della politica legati a doppio filo con i centri di potere. 
Mi sembra importante anche votare qualcuno/a che proponga oltre al rispetto dei diritti anche il rispetto dei doveri, il rispetto delle nostre tradizioni, il rispetto della nostra cultura,  il rispetto delle nostre leggi, il  rispetto della nostra Costituzione.
Andate a votare e non dimenticate che, visto come vanno le cose, ogni volta, potrebbe essere anche l'ultima. 

Noi italiani abbiamo una sola arma: una matita e una scheda elettorale.
Sono gli uomini e le donne che vanno a votare che cambiano i destini di un Paese. 
Un abbraccio,
Stefania


venerdì 5 febbraio 2016

Cosa la Chiesa può sopportare e cosa non può sopportare - don Primo Mazzolari

Chi capisce come dev'essere presente la Chiesa in questa svolta della storia capisce anche ciò che la sua carità può sopportare e ciò che non può sopportare proprio in nome della stessa carità. Ripeto: in nome della carità, poiché la rivoluzione cristiana, l'unica che può essere giustificata anche davanti alla storia, più che da diritti conculcati o offesi nasce da doveri suggeriti e imposti al nostro cuore dalla carità che ci lega al nostro prossimo. Chi più ama è potenzialmente l'unico e vero rivoluzionario.

La Chiesa sopporta:

- il male che le fanno i suoi nemici, che, per quanto si allontanino e la rinneghino, portano sempre l'incancellabile volto di figli, e di figli tanto più cari quanto più cresce il loro perdimento;
- di essere spogliata di ogni bene materiale e di ogni privilegio concessole più o meno disinteressatamente dagli uomini;
- di vedere le sue basiliche e le sue chiese distrutte, chiusi i suoi conventi e le sue scuole, poiché è già "l'ora che né in Gerusalemme né su questo monte i veri adoratori adorano il Padre in spirito e in verità";
- le persecuzioni aperte e subdole, le calunnie e le blandizie, i vituperi e i panegirici menzogneri;
- gli erranti e in un certo senso perfino l'errore quando esso non può venire colpito senza offesa mortale all'anima dell'errante;
- di essere misconosciuta nella sua carità, colmata di obbrobrio per colpe non sue;
- il disonore che le viene dalla vita indegna dei suoi figlioli stessi, i loro rinnegamenti e i loro tradimenti;
- d'essere baciata da un Giuda, rinnegata da un Pietro.

La Chiesa non può sopportare:

- che vengano negate o diminuite o falsate le verità che essa ha il dovere di custodire e che costituiscono il patrimonio dell'umanità redenta;
- che sia cancellato dalla storia e dal cuore il senso della giustizia che è il patrimonio di tutti, ma in modo particolare dei poveri;
- la libertà e la dignità della persona e della coscienza, che sono il nostro divino respiro. Mentre sopporta senza aprir bocca di essere spogliata e tiranneggiata in qualsiasi modo, non può sopportare che vengano spogliati, conculcati, manomessi i diritti dei poveri e dei deboli, individui, città, nazioni e popoli, cristiani e non cristiani. E nella sua difesa materna e invitta è tanto più grande quanto più la sua tutela si estende alla plebe infedele, egualmente santa. Alcuni gesti di munifica protezione di Pio XII, in favore di ebrei perseguitati, hanno commosso e sollevato l'ammirazione del mondo;
-  il potente che abusa della propria forza per opprimere i deboli;
- il sapiente che abusa della propria intelligenza per circuire e trarre in inganno l'ignorante;
- il ricco che abusa delle proprie ricchezze per angariare e affamare il popolo.

Vi sono quindi dei limiti nella sopportazione della Chiesa, e questi limiti vengono non dai raffreddamenti ma dai colmi della sua carità. Ciò che è abominevole per il Signore lo è pure per la sua Chiesa; la quale, senza parteggiare, non può trattare alla stessa stregua la vittima e il carnefice, l'oppressore e l'oppresso.
Chi fermerebbe la mano del malvagio, chi solleverebbe il cuore abbandonato dell'oppresso se un'egual voce raccogliesse il grido dell'uno e il gemito dell'altro?
Sarebbe un delitto il pensare, per il fatto che la Chiesa predica la pazienza ed esalta l'infinito valore del dolore, specialmente del dolore innocente, ch'essa accettasse le tristezze dei prepotenti come un mezzo provvidenziale per moltiplicare i meriti sovrannaturali dei buoni. Purtroppo il nostro linguaggio ascetico, sprovveduto di ampiezza e d'audacia mistica, può indurre un profano in apprezzamenti non solo sproporzionati ma contrari al buon senso.
La sofferenza ben sopportata mi redime e redime, ma non fa diventar buona l'ingiustizia di chi ha pesato su di me. E una bontà conseguente, che non ha nulla da spartire con la causa ingiusta che ha generato la mia sofferenza. Soffrendo bene l'ingiustizia, creo una corrente di bontà: ma non per questo gli uomini sono dispensati dal fermare con tutte le forze la sorgente di male che continua a generare l'errore.
Perché c'è uno che espia in modo edificante, io non sono scusato di lasciar fare e di lasciar passare. Il soffrire non è un bene in sé e se il Signore ci aiuta a cavare il bene dal male non vuole che noi chiamiamo bene il male, il quale va tolto di mezzo nei limiti della nostra responsabilità e della nostra carità. Il perdono stesso delle offese va all'uomo, non all'azione di lui, la quale rimane giudicata anche dopo il perdono, anzi giudicata veramente e irrevocabilmente solo dopo il perdono.

- Don Primo Mazzolari - 

Risposta ad un aviatore, 1941, ora in "La chiesa, il fascismo, la guerra", Vallecchi, Firenze 1966





Quando l’ossessione economica ha afferrato un uomo, non c’è più nulla di sacro, neanche la famiglia, neanche la religione.

- don Primo  Mazzolari -


































Buona giornata a tutti. :-)







venerdì 6 marzo 2015

da "Don Camillo" di Giovannino Guareschi

Don Camillo spalancò le braccia [rivolto al crocifisso]: 
“Signore, cos’è questo vento di pazzia? Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?”.
“Don Camillo, perché tanto pessimismo? Al­lora il mio sacrificio sarebbe stato inutile? La mia missione fra gli uomini sarebbe dunque fallita perché la malvagità degli uomini è più forte della bontà di Dio?”.
“No, Signore. Io intendevo soltanto dire che oggi la gente crede soltanto in ciò che vede e tocca. 
Ma esistono cose essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pu­dore, speranza. E fede. 
Cose senza le quali non si può vivere. 
Questa è l’autodistruzione di cui par­lavo. 
L’uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. 
L’unica vera ricchezza che in migliaia di secoli aveva accumulato. 
Un giorno non lontano si troverà come il bruto delle caverne. 
Le caverne saranno alti grattacieli pieni di macchine meravigliose, ma lo spirito dell’uomo sarà quello del bruto delle caverne […] Signore, se è questo ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?”.
Il Cristo sorrise: “Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. 
Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. 
Bisogna salvare il seme: la fede. 
Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede e mantenerla in­tatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più, ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. 
Ogni giorno di più uomi­ni di molte parole e di nessuna fede distruggono il patrimonio spirituale e la fede degli altri. 
Uomini di ogni razza, di ogni estrazione, d’ogni cultura”.



Tratto da Giovannino Guareschi, "Don Camillo e don Chichì", in Tutto Don Camillo. Mondo piccolo, II, BUR, Milano, 2008, pp. 3114-3115



«…“O Signore, com’è pesante a portarsi questa croce!”
“Lo dici a Me che l’ho portata lungo un cammino più ostico?”
“Signore, siete Voi, è la vostra voce. Siete Voi che mi parlate!”
“Non ho mai smesso di parlarti, ma tu non mi sentivi perché avevi le orecchie chiuse dall’orgoglio e dalla violenza.”
“Grazie, Signore. Io ora odo la Vostra voce e tutto è più bello quassù!”.»

da "Il ritorno di don Camillo"

Giovannino Guareschi



"E' la paura" rispose il Cristo. "Essi hanno paura di te."
"Di me ?"
"Di te, don Camillo. E ti odiano. Vivevano caldi e tranquilli dentro il bozzolo della loro viltà. Sapevano la verità, ma nessuno poteva obbligarli a sapere, perchè nessuno aveva detto pubblicamente questa verità. Tu hai agito e parlato in modo tale che essi ora debbono saperla la verità. E perciò ti odiano e hanno paura di te. Tu vedi i fratelli che quali pecore, obbediscono agli ordini del tiranno e gridi:
Svegliatevi dal vostro letargo, guardate le genti libere; confrontate la vostra vita con quella delle genti libere !
Ed essi non ti saranno riconoscenti, ma ti odieranno e, se potranno, ti uccideranno, perchè tu li costringi ad accorgersi di quello che essi già sapevano ma, per amore del quieto vivere, fingevano di non sapere. 
Essi hanno occhi ma non vogliono vedere. Essi hanno orecchie ma non vogliono sentire. Sono vili ma non vogliono che nessuno dica loro che sono vili. Tu hai reso pubblica una ingiustizia e hai messo la gente in questo grave dilemma: se taci tu accetti il soppruso, se non l'accetti devi parlare. 
Era tanto più comodo poterlo ignorare il sopruso. Ti stupisce tutto questo ?"

da: "Don Camillo"

Giovanni Guareschi



Buona giornata a tutti :-)