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sabato 10 settembre 2022

I tre semi - Antica leggenda giudeo-cristiana

E l'uomo dopo il peccato si ritrovò nudo sulla terra e si guardò intorno.
La sua mente cominciava solo allora a percorrere le mille volute di un primitivo cervello e faticava a comprendere il misterioso disegno di cui si sentiva parte.
Adamo ed Eva avevano conosciuto la parte oscura di se stessi e questo portò loro grande dolore e sofferenza.
In Dio l'uomo aveva conosciuto il placido splendore di ciò che basta a se stesso, mentre ora, immerso nel conflitto, non poteva fare altro che incamminarsi verso la ricerca di quanto aveva perduto.
Nella desolazione della sua anima l'uomo cercò allora il Padre per chiedergli l'aiuto di Misericordia e Speranza, comprendendo che senza di esse non avrebbe avuto alcun senso penare sulla terra.
A Dio non fu possibile distogliere lo sguardo da questa fragile creatura, unica fra tutte consapevole del suo stato, e inviò i due potenti angeli affinché la affiancassero nella sua impresa, ma fece ancora di più instillando nella mente dell'uomo l'attesa di colui che sarebbe stato chiamato "Figlio di Dio".
«Sarà allora che tu e la tua discendenza avrete l'olio della misericordia!» e con queste parole nel cuore Adamo andò incontro al suo destino. 
Dopo la promessa divina, Adamo ed Eva si misero in cammino fino a raggiungere la valle di Ebron, dove nacquero i primi figli, Caino e Abele, il male e il bene. Ancora una volta ci furono divisione e conflitto che portarono con sé odio, gelosia, rancore e vendetta insieme con amore, pazienza, pietà e perdono.
Caino era un uomo astioso e ribelle: questi erano gli elementi che la vita gli aveva dato affinché lui ne traesse insegnamento per migliorare. Invece così non avvenne e, in un impeto d'ira, Caino uccise il dolce e paziente Abele. Questo era scritto e da allora pensieri, emozioni e gesti non cessarono di intrecciarsi sulla terra in un ballo di vita e di morte.
L'ingeneroso fratello scoprì l'angoscia dei sensi di colpa, fuggendo da casa chissà per quali terre lontane e gli infelici genitori si chiesero a loro volta se tutto quel disastro non fosse da attribuirsi a loro stessi e a quel peccato da cui ogni cosa conosciuta ebbe origine.
Passarono duecento anni, perché allora il tempo aveva ritmi ben diversi dai nostri, e a Eva nacque un altro figlio che fu; chiamato Set. Egli crebbe sano e giudizioso, ricompensando genitori per il grande dolore subito a causa della terribile perdita dei primi due figli.
Una sera Adamo, che aveva allora più di novecento anni, s fermò a contemplare il tramonto e cominciò a pensare a quanto era stata lunga e dura la sua vita. Era stanco e solo Dio poteva accogliere i suoi sospiri e la sua preghiera. Così chiamò il figlio e gli disse: «Figlio mio, sono molto vecchio. Ho compiuto ciò che mi è stato chiesto. Ora vorrei che tu andassi là dove l'angelo Cherubino custodisce, il sacro albero della radice della vita: vuoi farlo per me?».
Set era un figlio premuroso e ubbidiente; rispose quindi al padre che sarebbe andato ovunque lui avesse voluto, purché gli insegnasse la strada da percorrere e gli suggerisse ciò che avrebbe dovuto dire all'angelo.
«Per prima cosa non dovrai scoraggiarti» rispose il vecchio. «La strada sarà lunga e difficile, ma la riconoscerai perché non hai altro che da seguire a ritroso i passi compiuti da me e tua madre quando Dio ci allontanò da lui; e tanto fu il dolore nel percorrere quel sentiero, che mai più erba vi crebbe». Poi, dopo un attimo di esitazione, Adamo proseguì: «Tu dirai all'angelo Cherubino che il tuo vecchio padre non si è sottratto a nessuno dei compiti che gli sono stati assegnati, ma che ora è vecchio e troppo stanco per continuare a vivere; poi, molto rispettosamente, gli ricorderai la promessa dell'olio di misericordia e lui capirà».
Set partì all'alba del giorno seguente e camminò talmente a lungo da consumare più di un paio di sandali, finché giunse proprio davanti all'immensa porta del Paradiso. Cominciò allora a bussare, prima sommessamente, poi sempre più insistentemente. Pregò a lungo di aprirgli e pianse al limite della disperazione, non ottenendo alcuna risposta.
Quando ormai stava perdendo ogni speranza, ecco che la porta cominciò ad aprirsi, ma solo un poco, quel tanto che bastò per far filtrare un fascio di luce che era anche musica e profumo. Era una luce mai vista sulla terra e lui sapeva che non vi sarebbero state parole per descriverla.
Set, tutto intimorito, sbirciò dalla fessura, ma subito gli si parò davanti una creatura di tale bellezza da lasciarlo letteralmente senza fiato, tanto che stentò persino a pronunciare il proprio nome e ciò per cui si era recato fin là.
Solo allora l'angelo gli aprì la porta e delicatamente lo sospinse all'interno di quel mondo misterioso di cui nessuno poteva dire nulla. Neppure lui, che pur vi stava posando i piedi, era del tutto sicuro che quella che stava vivendo fosse realtà.
«Guarda pure tutto ciò che vuoi» gli disse l'angelo dolcemente «perché questo è il Paradiso e ti appartiene».
Set non capì quelle parole: gli sembrava di vivere un sogno. Era come essere immerso in una miriade di piccoli granelli colorati che andavano ora componendosi e ora staccandosi, prendendo, di volta in volta, tutte le forme che lui potesse immaginare.
La musica non solo si poteva ascoltare, ma anche vedere, e il suo aspetto era quello di morbidissime onde che andavano danzando a seconda che i suoni fossero ora più bassi, ora più alti. Dove la musica aveva origine, si trovava una fontana da cui uscivano quattro rivoli d'acqua cristallina. L'angelo si accorse di come Set guardasse incantato e gli sussurrò all'orecchio: «Vedi, quelle sono le sorgenti dei quattro fiumi da cui ogni altro prende vita. Uno si chiama Nilo, l'altro Gange, l'altro ancora Tigri e l'ultimo Eufrate».
A mano a mano che il ragazzo si inoltrava nel giardino, sempre più incontrava meraviglie mai viste. Ciò che era stato era perfetto e ciò che ancora doveva essere era altrettanto perfetto. Questo Set non lo poteva comprendere, ciononostante lo intuiva chiaramente: lì ogni possibilità pareva portata a compimento.
Fu allora che giunsero ai piedi di un albero i cui rami si incurvavano sotto il peso di grossi frutti maturi. Set ne rimase particolarmente colpito e si rammentò del racconto dei suoi genitori. Un brivido di paura gli percorse la schiena al ricordo che certamente quella era anche la casa del serpente, ma l'angelo fu pronto a rincuorarlo.
«Non temere e guarda attentamente, non vedi nulla di particolare?»
Il ragazzo alzò lo sguardo e solo in quel momento si accorse di un giovane uomo che, seduto sul ramo più robusto, lo stava osservando e gli sorrideva senza parlare. 
Set rivolse uno sguardo interrogativo all'angelo: chi era quell'uomo e perché stava là dove a nessuno era concesso stare?
«Vedi, quello è il Figlio di Dio, il simbolo dell'amore del Padre. Quando sulla terra verrà il tempo stabilito, sarà lui a portare la più grande possibilità di comprensione che mai l'uomo abbia avuto. Lui porterà l'olio di misericordia che Dio promise a tuo padre e, affinché tutto si compia come deve, tu tornerai alla tua casa portando con te questi tre semi che ora ti consegno.»
Set aprì il palmo della mano e l'angelo vi lasciò cadere tre semi; poi delicatamente richiuse la mano del ragazzo su quel piccolo e delicato tesoro.
«Devi andare ora: il volere divino non ti permette di fermarti in questo luogo un solo attimo in più.»
L'angelo fu dolce ma fermo e Set, già pieno di nostalgia per quella meraviglia provata e subito lasciata, si trovò come per incanto sulla porta del Paradiso.
«Ascoltami, ragazzo» gli disse ancora l'angelo: «quando giungerai a casa, racconta ogni cosa a tuo padre. Sappi che fra tre giorni lui riceverà la consolazione della morte e tu lo seppellirai posando sotto la sua lingua i tre semi che ti ho consegnato. Ricorderai?».
«Come potrei dimenticare!» rispose Set e riprese pensieroso la via di casa.
Ripercorrendo il cammino, il giovane figlio di Adamo non riuscì a liberarsi da uno sciame di pensieri che ad ogni passo gli ronzavano intorno, e questo ronzio a poco a poco cominciò ad annebbiare nella sua mente il ricordo del Paradiso.
Giunto a casa, raccontò a suo padre ogni cosa, così come riuscì a rammentarla; e Adamo, nell'udire che sarebbe morto di lì a tre giorni, non poté trattenere una grande risata: dopo tanto patire gli veniva concesso il riposo e inoltre Dio gli rinnovava la sua promessa di misericordia. 

Trascorsi tre giorni, le parole dell'angelo si avverarono. Adamo morì e Set, seppellendolo, pose sotto la lingua del padre i semi ricevuti. In breve tempo da quel cumulo di terra nacque nuova vita sotto forma di tre esili pianticelle: un ulivo, un cedro e un cipresso.
Le stagioni ripresero il loro trascorrere, la storia dell'uomo scrisse molte e molte pagine da quel giorno e la natura, depositaria di infiniti segreti, preservò intatte le tre pianticelle che avevano messo radici nella bocca del vecchio Adamo. 
Finché venne il tempo in cui Dio comandò a un uomo di nome Mosè di mettersi alla guida del popolo ebraico e di condurlo in salvo, organizzando quella che pareva una fuga impossibile dal paese d'Egitto. 
Con il coraggio e l'audacia che Dio conferisce a chi ubbidisce ai suoi ordini, Mosè guidò gli ebrei al di là del Mar Rosso e, proprio nella valle di Ebron, i fuggiaschi piantarono le loro tende.
Mosè fu uno degli uomini che seppero ascoltare. Ciò che lui udiva giungeva da un'altra dimensione ed era così tenue che solo un'anima veramente predisposta poteva coglierlo.
Fu così che i suoi passi vennero un giorno guidati verso i tre alberelli cresciuti nel deserto. Mosè li tagliò e li avvolse con grande cura dentro un telo di lino bianco.
Dagli esili tronchi recisi uscì un profumo incantevole ed egli comprese come quel legno possedesse nelle sue fibre frammenti particolari della forza divina, tanto che egli se ne serviva per guarire con il loro tocco chiunque cadesse preda di gravi malattie o vittima di animali velenosi.
A volte li usò per scongiurare gravi crisi di siccità, sfiorando con le fronde leggere la dura roccia del deserto da cui all'istante scaturiva un abbondante fiotto d'acqua purissima.
Malgrado i numerosi prodigi mostrati al popolo ebraico, Mosè, che sempre si era reso disponibile a ogni cenno divino, non ebbe mai la consolazione di rendere il suo popolo veramente grato a Dio e, con questo dolore nel cuore, egli finì la sua vita avventurosa.
Prima di morire prese però i tre alberelli e andò a piantarli nuovamente nella valle di Ebron, ai piedi del monte Tabor, là dove lui stesso li aveva tagliati.
Passarono mille anni prima che un altro uomo fosse guidato dalla volontà divina fino ai piedi di quel monte. Il suo nome era David ed era un grande re.

Re David regnava sul popolo degli ebrei dalla città di Gerusalemme, quindi proprio lì portò i tre arbusti. 
Il contatto con quei tronchi gli procurò un'emozione indescrivibile, come se lo scorrere della loro linfa fosse dovuta a una forza misteriosa. La sua intuizione fu presto confermata da una serie di miracoli che da quel giorno si succedettero in città.
I ciechi vedevano, gli storpi camminavano, i sordi udivano e ognuno di essi esclamava con profetica enfasi: «Signore, ti ringraziamo per averci donata oggi la salvezza della santa croce!».
Stupefatto dalla potenza racchiusa nei tre esili arbusti, il re li volle custodire nella torre che si trovava a fianco della reggia. Li fece proteggere da fidatissime guardie e ogni anno li cingeva con un cerchio d'argento, finché, serrati in quell'abbraccio, dai tre esili tronchi se ne formò uno soltanto, molto più consistente e robusto. 

Passarono trent'anni nel corso dei quali il re David cominciò a progettare la costruzione di un grande tempio dedicato a Dio che sarebbe sorto nella città di Gerusalemme e avrebbe rappresentato il cuore stesso del suo popolo.
Ma non era prevista per lui la realizzazione di questo sogno; altri lo avrebbero portato a compimento.
Toccò in sorte al figlio di David, Salomone, proseguire, alla morte del padre, la costruzione del tempio, che occupò per lunghi anni uno stuolo di carpentieri, muratori, fabbri e falegnami.
Quando però si trattò di recuperare dalla torre il legno che re David vi teneva custodito, per finalmente collocarlo nel tempio, sorsero non pochi problemi. Gli operai non riuscirono in alcun modo, malgrado numerosi tentativi, a rizzarlo là dove era previsto e allora Salomone, per non ritardare ulteriormente la fine della costruzione, diede ordine di porlo orizzontalmente sul pavimento.
Ben presto il tempio divenne il fulcro della vita cittadina e, durante le festività, anche punto di raccolta per l'intera regione.
Proprio durante una di queste giornate in cui la folla si accalcava tutt'intorno, una donna, stanca e accaldata, si mise distrattamente a sedere sul legno nato, tanti e tanti anni prima, dalla bocca di Adamo.
Nell'istante stesso in cui la povera donna lo toccò le sue vesti presero a bruciare come se si fosse seduta su lingue di fuoco e, c'è da crederlo, la poverina cominciò a gridare. Pareva che pronunciasse parole sconclusionate, agitandosi come un'indemoniata.
«Ecco che Dio ci manifesta la potenza della santa croce!» continuava a gridare la donna. Tutti pensarono che fosse impazzita e, sbraitando, la condussero fin fuori le mura dove, presi da una follia selvaggia, la lapidarono.
Poi, ancora in preda a una sorta di furore collettivo, tornarono al tempio, presero il legno e lo scagliarono nell'acqua di una grande vasca chiamata di Siloe, dove venivano lavate le pelli degli animali sacrificati e gli infermi sciacquavano le loro ferite.
Ma Dio si rattristò nel vedere il legno immerso in quell'acqua e mandò un suo angelo che, con le grandi ali, ne increspava la superficie rendendola pura come acqua sorgiva.
Ogni volta che l'angelo giungeva, un brivido percorreva l'aria e chi si trovava immerso nell'acqua vedeva le piaghe che lo affliggevano guarire miracolosamente, così come le altre infermità.
Ben presto la voce che raccontava di questi ripetuti prodigi circolò per tutta Gerusalemme e nessuno sapeva cosa pensare. Il legno fu tolto allora dalla vasca e posto attraverso un piccolo corso d'acqua che scorreva lì vicino.
Salomone fu re di grande saggezza e molti si rivolgevano a lui per discutere sulle più svariate questioni. Un giorno giunse dall'oriente anche la potente regina di Saba. I suoi corrieri le avevano riportato dalla città di Gerusalemme una strana storia che raccontava di tre alberelli, ritrovati nel deserto dal grande re David e riuniti in un unico tronco che si diceva fosse miracoloso.
La regina, che era donna di grande conoscenza, studiosa di arti magiche e di astronomia, aveva consultato antiche pergamene e scrutato i cieli scoprendo molte cose misteriose, sconosciute ad altri.
Sebbene la sua visita in terra di Giudea fosse ufficialmente giustificata da importanti colloqui con re Salomone, la sua ansia di vedere il legno miracoloso si era fatta via via così impellente da toglierle il sonno. Per nulla al mondo avrebbe lasciato quindi Gerusalemme senza recarsi alla vasca di Siloe, là dove il tronco poggiava tranquillo sulle due sponde di un piccolo corso d'acqua.
Come la regina vide l'improvvisato ponticello, subito capì cosa rappresentava e si inginocchiò con grande rispetto, appoggiando la fronte al ruvido legno.
La sua mente, capace di profonde visioni, percepì in quell'attimo la terra tremare, il sole e la luna incupirsi e il grande tempio di Gerusalemme crollare nella polvere. «Oh Salomone» pensò desolata, «come hai potuto nella tua grande saggezza trascurare un segno così importante?». Poi, presa da un'indicibile angoscia, ella si rialzò in fretta e lasciò quel luogo, ben sapendo che ogni cosa che doveva accadere sarebbe accaduta.
Molti altri anni passarono sotto gli occhi indifferenti del tempo che tutto ingloba nella sua infinita spirale, fino ai giorni in cui Dio volle mantenere la promessa fatta ad Adamo e in terra giunse un uomo che portava con sé l'olio di misericordia.
Il re di Giudea era allora Erode e non aveva più in sé la grandezza del passato. Il suo popolo non era libero ma sotto la dominazione dell'impero romano e intorno al tempio di Gerusalemme molti segni si erano visti che preannunciavano l'arrivo di eventi speciali.
Erano i giorni della Pasqua e la città viveva in uno stato di euforia e confusione. Un avvenimento in particolare eccitava gli animi perché si doveva procedere alla crocifissione di due ladroni e di un sovversivo che tutti chiamavano il Nazareno, essendo la sua famiglia originaria di quel piccolo paese.
Tutta Gerusalemme si interrogava però sulla sorte di quest'uomo, perché non si capiva di cosa fosse realmente accusato e se fosse inviso alle autorità romane o ai religiosi del luogo.
La gente si domandava se davvero bisognava sottoporlo a quel crudele supplizio o se quella condanna non nascondesse qualcosa di più oscuro e misterioso.
Molti lo amavano. Di lui si diceva fosse un profeta e persino che Dio stesso lo avesse mandato. In città si parlava dei suoi miracoli ma, malgrado tutto questo, non mancavano i detrattori o quelli che sempre amano il gesto cruento, non importa verso chi, come se con quel gesto potessero sfogare un rancore che per destinatario altri non ha se non la vita stessa.
In tutto quel caotico intreccio di sentimenti ed emozioni qualcuno si accorse che comunque mancava una croce e, visto che ormai era stato deciso che i condannati sarebbero stati tre e le croci pronte erano solo due, non si poteva più attendere, quello era il momento.
«Prendete il legno di re David, quello che fa da ponticello sulle acque di Siloe!» gridò a un tratto un uomo e fu come se a quella voce fosse legato un unico filo che muoveva all'unisono cento marionette.
Molti si affollarono intorno al legno, accalcandosi gli uni sugli altri per poterlo sollevare; poi, caricato sulle spalle dei più forti, lo portarono in gran fretta dal maestro falegname che avrebbe dovuto tagliarne una parte e fissarla orizzontalmente.
Quando il falegname toccò il tronco, si fermò perplesso: c'era qualcosa di 
particolare nelle sue fibre... una vibrazione... un profumo... non sapeva neppure lui che dire, sapeva solo che non avrebbe eseguito quel lavoro, quel legno nascondeva un incantesimo di cui lui aveva paura.
In città vi erano altri artigiani del legno e fra loro molti necessitavano di lavoro e soldi. Non fu quindi difficile trovarne un altro disposto a eseguire quel compito.
Poi tutti si recarono alle prigioni per consegnare il loro trofeo. «Abbiamo la croce, abbiamo la croce!» esclamavano, ormai preda di un'esaltazione che non sarebbe cessata finché il desiderio di sangue, che ormai offuscava la loro anima, non fosse stato placato. Sarebbe forse bastato poco perché tutto ciò che successe in seguito prendesse un'altra strada, ma, come abbiamo visto, c'è un sottilissimo filo conduttore che traccia il cammino di ogni avvenimento, dalla sua nascita alla sua conclusione.
L'olio di misericordia era stato promesso in un tempo lontanissimo e giungeva agli uomini proprio sotto forma del suo opposto, la mancanza di ogni misericordia.
Il disegno è così misterioso da lasciare sconcertata la mente!

Antica leggenda giudeo-cristiana

da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 


Buona giornata a tutti :-)

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venerdì 15 luglio 2022

L'angelo e il bambino - Leggenda scandinava

Ogni volta che un bambino viene chiamato dal Signore, un angelo scende dal cielo per condurlo in Paradiso. Ma prima di volare fin lassù, l'angelo concede al piccolo di visitare, per l'ultima volta, i luoghi più incantevoli della terra per raccogliere i fiori più belli e portarli fino in cielo.

Anche quella sera, nella fresca brezza vespertina, un angelo portava fra le braccia un bambino. Volavano leggeri sulla terra in fiore e si fermarono in un parco lussureggiante. Raccolsero viole, margherite, nontiscordardimé e ciclamini, e anche piccoli boccioli di rosa in un roseto appena reciso.

Il bambino batté le mani dalla contentezza, pensando che ormai sarebbero saliti verso il cielo. Ma non era ancora il momento. Volarono in su e in giù per molte strade e molti viottoli bui. Ormai era scesa la notte. La città dormiva. In un vicolo sporco e maleodorante l'angelo si fermò e indicò al piccolo di rovistare in un mucchio di immondizie.

«Lì troverai il fiore più bello!» esclamò l'angelo raggiante.

Il bambino, incredulo, si avvicinò a quella montagna di rifiuti. Tra vecchi cenci, cibi avanzati e altri resti, c'erano anche i cocci di un vaso di terracotta. Accanto ad esso, vide un giglio dei campi rinsecchito, ancora attaccato alla sua radice. Il bim­betto rimase alquanto deluso: «Vuoi portare al buon Dio questo fiore appassito?».

L'angelo si chinò, raccolse la pianticella e con voce tremula di commozione narrò la storia di quel giglio: «In quel vicolo laggiù, in una misera stanzetta, viveva un ragazzo malato. La malattia aveva tolto ogni forza alle sue povere gambe e non poteva quasi più alzarsi dal letto. Non poteva uscire, né saltare, né correre con gli altri bambini. Costretto a letto notte e giorno, quando si sentiva un po' meglio, faceva qualche passo per la stanza con le stampelle. Durante la bella stagione lo portavano davanti alla porta di casa per respirare un po' d'aria fresca. E il ragazzo era veramente felice: per lui era come assaporare una fetta del vasto mondo!».

«Il fiore era suo?» domandò il fanciullo, vinto da quella curiosità che non abbandona mai l'anima dei bambini.

«Un giorno» continuò l'angelo «una vecchia fioraia regalò al pallido ragazzo seduto sull'uscio di casa un paio di gigli. Uno di essi aveva ancora la radice. Il fiore venne messo in un vaso di coccio e diventò la prima compagnia del piccolo malato. Giorno e notte la pianticella stava vicino al suo letto, affinché egli potesse vederla crescere e prosperare. Grande fu la sua gioia quando, dopo un po' di tempo, apparve un bocciolo, che in breve si aperse in tutto il suo radioso splendore. La pianticella sembrava voler ringraziare il ragazzo per le cure e l'amore che le prodigava, e ad ogni primavera rifioriva più bella. La vita di quel fiore riempiva le molte ore che il ragazzo doveva trascorrere immobile, e di notte rallegrava i suoi sogni. Il dolore era meno intenso da quando poteva godere di quella preziosa compagnia. Perché il dolore è più acuto, quando chi soffre resta dimenticato e solo. Quando fu prossimo alla morte, il suo ultimo sguardo fu per quel giglio che lo aveva reso felice».

Il piccolo ascoltò la storia palpitando di tenerezza, ma non riusciva a spiegarsi come mai l'angelo la conoscesse in tutti i particolari.

«Come potrei non riconoscere il mio fiore?» rispose l'angelo. «È la mia storia quella che ti ho raccontato. Quando vivevo sulla terra, ero il ragazzo malato che teneva la pianticella accanto al letto».

Il bambino prese quel giglio appassito e lo mise nel mazzo insieme agli altri fiori. Quando furono in Paradiso, deposero ai piedi del Signore ciò che avevano raccolto e, tra le dita di Dio, quel giglio bagnato dalle lacrime della sofferenza rifiorì in tutta la sua bellezza.

- Leggenda scandinava -

da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 

Guercino - Angelo Custode (1641) - Museo del Palazzo Malatestiano di Fiano (Italy)

Buona giornata a tutti :-)











mercoledì 27 aprile 2022

Il muro - Don Angelo Maria Zanzottera

 In un deserto aspro e roccioso vivevano due eremiti.

Avevano due grotte che si spalancavano vicine, una di fonte all’altra.
Dopo anni di preghiere e di feroci mortificazioni, uno dei due eremiti era convinto di essere arrivato alla perfezione.
L’altro era un uomo altrettanto pio, ma anche buono e intelligente.
Si fermava a conversare con i rari pellegrini, confortava e ospitava coloro che si erano persi e coloro che fuggivano.
“Tutto tempo sottratto alla meditazione e alla preghiera” pensava il primo eremita, che disapprovava le frequenti, anche se minuscole, mancanze dell’altro.
Per fargli capire in modo visibile quanto ancora fosse lontano dalla santità, decise di posare una pietra all’imboccatura della propria grotta ogni volta che l’altro commetteva una colpa.
Dopo qualche mese davanti alla grotta c’era un muro di pietre grigio e soffocante.
E lui era murato dentro.
Talvolta intorno al cuore costruiamo dei muri, con le piccole pietre quotidiane dei risentimenti, le ripicche, i silenzi, le questioni irrisolte, e imbronciature.
Il nostro compito più importante è impedire che si formino muri intorno al nostro cuore.
E soprattutto cercare di non diventare “una pietra in più nei muri degli altri”.
 
(Don Angelo Maria Zanzottera)


Il Muro Occidentale, in ebraico HaKotel HaMa'aravi, è un muro di contenimento risalente all’epoca del Secondo Tempio di Gerusalemme, costruito da Erode il Grande e distrutto dai romani nel 70 d.C. È anche indicato come "Muro del Pianto". Secondo la leggenda l’imperatore Tito lasciò in piedi una parte del muro come monito ai giudei che si erano ribellati a Roma. Gli ebrei invece lo fanno risalire ad una promessa fatta da Dio, che avrebbe lasciato in piedi alcune parti del sacro tempio, come segno del suo immutato legame con il popolo eletto. Da duemila anni gli Ebrei vi pregano e lo considerano il luogo più sacro della Terra. Anche la tradizione di infilare piccoli fogli di carta (fituch) con preghiere nelle fessure del muro è antica di centinaia di anni.


Anche per i musulmani il luogo è importante: essi credono che Maometto abbia compiuto un viaggio spirituale a Gerusalemme con un cavallo alato, al-Buraq, che poi avrebbe legato a quel muro, il cui nome arabo è appunto "muro di al-Buraq". Nel 687 sul monte del Tempio vennero costruite la cupola della Roccia e la moschea al-Aqsa.

Nel corso della prima guerra arabo-israeliana (1948), l'area attorno al Muro fu conquistata dall'esercito giordano e agli Ebrei venne negato l'accesso al Muro. Nel corso della guerra dei sei giorni (1967) Israele lo riconquistò.

 

Papa Giovanni Paolo II si recò a Gerusalemme nel marzo del 2000 e pregò a lungo al Muro del Pianto, infilando tra le antiche pietre la sua "fituch", in cui chiedeva perdono per le sofferenze arrecate al popolo ebraico.

"Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e i suoi discendenti per portare il tuo Nome fra i popoli. Siamo profondamente rattristati per il comportamento di coloro che nel corso della storia hanno provocato sofferenze a questi tuoi figli e chiedendo il Tuo perdono vogliamo impegnarci in una fratellanza sincera con il popolo dell'Alleanza".


Dio di tutti i tempi,
nella mia visita a Gerusalemme, la “Città della Pace”,
casa spirituale di ebrei, cristiani e musulmani
porto di fronte a te le gioie, le speranze e le aspirazioni,
le prove, le sofferenze e i disagi di tutti i tuoi popoli dovunque nel mondo.
Dio di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe,
ascolta il grido degli afflitti, dei timorosi, dei diseredati;
manda la pace sulla Terra Santa, sul Medio Oriente,
su tutta la famiglia umana;
smuovi i cuori di tutti coloro che invocano il tuo nome,
affinché camminino umilmente nel sentiero di giustizia e compassione.
“Il Signore è buono con coloro che lo attendono,
con gli animi che lo cercano” (Lamentazioni 3:25)



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lunedì 14 marzo 2022

L'egoismo non porta lontano - Leggenda popolare spagnola

Un giorno una vecchia signora morì e subito gli angeli addetti al caso si misero all'opera. Uno di loro seguì il funerale e prese nota che ben poca gente la stava accompagnando all'ultima dimora terrena e, ascoltando i discorsi bisbigliati da quello sparuto gruppo, annotò che nessuno aveva giudizi particolarmente favorevoli su di lei. Un altro prese il contenitore dei ricordi e cercò alacremente le impronte lasciate dai gesti amorevoli e quelle lasciate dai gesti sgarbati: ne risultò una sconfortante preponderanza di questi ultimi.

Il terzo infine si intrufolò nella mappa della vita di chi l'aveva conosciuta per misurare se, agendo con generosità o egoismo, avesse avuto un'influenza su di loro e il panorama, anche questa volta, non fu certamente incoraggiante.

Infine i tre angeli si riunirono per un rapido consulto e l'unica cosa che trovarono a favore della vecchia signora fu una pagnotta, regalata un giorno a un mendicante.

Presero quindi la pagnotta come prova a favore, confidando sul fatto che anche un solo gesto concreto di generosità può essere molto importante. Avrebbero comunque portato ogni cosa davanti al giudice preposto a quella sentenza, perché spettava a lui l'ultima parola.

Si recarono quindi dalla defunta che, ancora spaesata dalla nuova situazione, stava aspettando qualcuno che andasse a prenderla.

«Beh, e adesso cosa facciamo?» chiese la donna indispettita dall'attesa.

«Ci aspetta il tribunale per il giudizio sulla tua vita terrena» risposero gli angeli.

La vecchia signora cominciò a ripercorrere velocemente gli anni trascorsi, facendo emergere l'inquietante dubbio che forse molte occasioni per comprendere erano andate sprecate, ma ormai il tempo era scaduto e ciò che era stato non poteva più essere cambiato.

Giunti al tribunale, gli angeli guidarono la donna in una delle innumerevoli stanze, dove un vecchio signore dal volto bonario stava seduto dietro un'immensa scrivania piena di mappe della vita, di scatole di ricordi, di cartelle nelle quali erano racchiusi a bizzeffe ogni sorta di pensieri ed emozioni. Senza contare i cartoni delle giustificazioni che parevano scoppiare tanto erano stati stipati.

Gli angeli consegnarono il risultato delle loro ricerche e il giudice esaminò ogni cosa con grande attenzione, poi si alzò e uscì dalla stanza.

La donna certo non sapeva che nella stanza accanto si trovava l'immenso libro in cui si poteva consultare il tempo passato e quello futuro, giacché in quelle pagine tutto era presente.

Rientrato, il vecchio giudice si fece portare la pagnotta regalata al mendicante e gliela consegnò. Come per magia, non appena l'ebbe presa, la donna cominciò a salire verso l'alto.

Siccome era passato troppo poco tempo dalla morte del corpo, i pensieri non avevano ancora abbandonato l'anima della vecchia e così cominciarono immediatamente a renderla tronfia e compiaciuta del gesto fatto verso quel povero che, in verità, lei non ricordava neanche più.

Mai avrebbe immaginato che una pagnotta, data con noncuranza, l'avrebbe salvata e portata verso l'alto come trainata da un filo invisibile.

A un tratto, dietro di lei, comparve un uomo emaciato e malvestito che si attaccò alla sua veste e fu sollevato con lei, poi un'altra persona si aggrappò a sua volta al povero e poi un'altra e un'altra ancora, fino a formare una lunga fila in salita verso il Paradiso.

L'anima della vecchia signora, tutta intenta a rallegrarsi con se stessa, in un primo momento non si accorse nemmeno di quel codazzo che si portava appresso. Poi, d'un tratto, ricordandosi della terra e della sua vita, ebbe un attimo di smarrimento, si voltò e vide tutte quelle persone che salivano in Paradiso approfittando di lei.

Ne fu assai contrariata e, agitando il lembo della veste con una mano, gridò irritata: «Andate via, la pagnotta appartiene solo a me!».

Nel fare quel gesto il pane le sfuggì di mano, ricadendo velocemente in basso e portando con sé la donna con tutto il suo seguito.

In quello stesso attimo il vecchio giudice scosse tristemente il capo, pensando alle preziose occasioni offerte dall'amore divino e non comprese.

Aprendo il suo voluminoso libro, in fianco al nome della donna, scrisse con cura un'annotazione: «Il male che avvolge la terra è la pretesa che anche una sola piccolissima cosa possa appartenere all'uomo».

Leggenda popolare spagnola


«Se non desistiamo, a suo tempo mieteremo»
La Quaresima ci ricorda ogni anno che «il bene, come anche l’amore, la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono una volta per sempre; vanno conquistati ogni giorno» (ibid., 11). Chiediamo dunque a Dio la paziente costanza dell’agricoltore (cfr Gc 5,7) per non desistere nel fare il bene, un passo alla volta. Chi cade, tenda la mano al Padre che sempre ci rialza. Chi si è smarrito, ingannato dalle seduzioni del maligno, non tardi a tornare a Lui che «largamente perdona» (Is 55,7). In questo tempo di conversione, trovando sostegno nella grazia di Dio e nella comunione della Chiesa, non stanchiamoci di seminare il bene. Il digiuno prepara il terreno, la preghiera irriga, la carità feconda. Abbiamo la certezza nella fede che «se non desistiamo, a suo tempo mieteremo» e che, con il dono della perseveranza, otterremo i beni promessi (cfr Eb 10,36) per la salvezza nostra e altrui (cfr 1 Tm 4,16). Praticando l’amore fraterno verso tutti siamo uniti a Cristo, che ha dato la sua vita per noi (cfr 2 Cor 5,14-15) e pregustiamo la gioia del Regno dei cieli, quando Dio sarà «tutto in tutti» (1 Cor 15,28).
La Vergine Maria, dal cui grembo è germogliato il Salvatore e che custodiva tutte le cose «meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19) ci ottenga il dono della pazienza e ci sia vicina con la sua materna presenza, affinché questo tempo di conversione porti frutti di salvezza eterna.
FRANCESCO
Roma, San Giovanni in Laterano, 11 novembre 2021, Memoria di San
Martino Vescovo

Buona giornata a tutti :-)







mercoledì 23 febbraio 2022

Il funerale della volpe - Gianni Rodari

Una volta le galline trovarono la volpe in mezzo al sentiero. Aveva gli occhi chiusi, la coda non si muoveva. - È morta, è morta - gridarono le galline. - Facciamole il funerale. Difatti suonarono le campane a morto, si vestirono di nero e il gallo andò a scavare la fossa in fondo al prato. Fu un bellissimo funerale e i pulcini portavano i fiori. Quando arrivarono vicino alla buca la volpe saltò fuori dalla cassa e mangiò tutte le galline.

La notizia volò di pollaio in pollaio. Ne parlò perfino la radio, ma la volpe non se ne preoccupò. Lasciò passare un po’ di tempo, cambiò paese, si sdraiò in mezzo al sentiero e chiuse gli occhi.

Vennero le galline di quel paese e subito gridarono anche loro: - È morta, è morta! Facciamole il funerale. Suonarono le campane, si vestirono di nero e il gallo andò a scavare la fossa in mezzo al granoturco. Fu un bellissimo funerale e i pulcini cantavano che si sentivano in Francia. Quando furono vicini alla buca, la volpe saltò fuori dalla cassa e mangiò tutto il corteo.

La notizia volò di pollaio in pollaio e fece versare molte lacrime. Ne parlò anche la televisione, ma la volpe non si prese paura per nulla. Essa sapeva che le galline hanno poca memoria e campò tutta la vita facendo la morta.

E chi farà come quelle galline vuol dire che non ha capito la storia.

- Gianni Rodari - 
da “Il libro degli errori” 1964

Ho letto una bella "leggenda" dei Cherokee ...
Un padre porta il figlio nella foresta, gli mette una benda sugli occhi e lo lascia lì da solo. Il giovane deve rimanere seduto su un tronco tutta la notte, senza togliere la benda finché i raggi del sole non lo avvertono che è mattino. Non può e non deve chiedere auto a nessuno. Se sopravvive alla notte, senza andare a pezzi, sarà un uomo. Non può raccontare della sua esperienza ai suoi amici, o a nessun altro, perché ogni giovane deve diventare uomo da solo. Il ragazzo è chiaramente terrorizzato, sente tanti rumori strani attorno a lui. Ci sono senz'altro bestie feroci che lo circondano. Forse anche degli uomini pericolosi che gli faranno del male. Il vento soffia forte tutta la notte e scuote il tronco sul quale è seduto, ma lui va avanti coraggiosamente, senza togliere la benda dagli occhi. In fondo, è l'unico modo per diventare uomo! Finalmente, dopo una notte terrificante, esce il sole e si toglie la benda dagli occhi. Ed è così che si accorge che SUO PADRE è seduto sul tronco di fianco a lui. È stato di guardia tutta la notte proteggendo SUO FIGLIO da qualsiasi pericolo. Il PADRE era lì, anche se il FIGLIO non lo sapeva. Anche nella notte più terrificante, nel buio più profondo, nella solitudine più completa, anche quando non ce ne rendiamo conto, non siamo mai soli.
- Leggenda Cherokee -


Dio è sempre al tuo fianco, anche se non lo vedi… Non dimenticarlo…

Buona giornata a tutti :-)

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martedì 13 luglio 2021

Chi sei?

Nemo era morto da pochi attimi, proprio il tempo di un sospiro, quando un angelo si presentò al suo capezzale. L'uomo stava ancora riflettendo sul fatto che attraversare la porta tra il prima e il dopo non era poi così terribile come lui aveva temuto.

Nella stanza fremeva un gran trambusto. Il medico stava armeggiando con intrugli benefici che avrebbero dovuto, a parer suo, salvargli la vita; ma Nemo stava bene così, già rivolto verso un mondo che percepiva dolce e accogliente.

L'angelo gli rivolse un cordiale sorriso e, noncurante di chi stava lì attorno, prese una sedia accomodandosi di fianco al suo letto. Chissà come mai l'uomo non si era neppure chiesto chi fosse quel pallido personaggio comparso all'improvviso: forse la presenza della morte porta con sé una più profonda consapevolezza, chissà...

«Cosa fai, non vedi che sono morto?» chiese l'uomo.

«Se proprio lo vuoi sapere, ti posso assicurare che in questo momento non sei né di qua né di là e io me ne intendo di queste cose» rispose l'angelo.

«Sei venuto a prendermi?» chiese allora Nemo.

«Non lo so. A dire il vero, si deve ancora prendere una decisione definitiva su di te. Il mio compito è farti una domanda, poi si vedrà» disse l'angelo, accomodandosi ancor meglio.

L'uomo si sentì un po' infastidito. Gli sembrava di aver passato tutta la vita a sostenere esami e ora ecco di nuovo una prova a cui far fronte.

«Senti, io non sono mai stato un gran che, insomma intendo uno colto: non vorrei...» si schermì timidamente Nemo.

«Non preoccuparti: qualsiasi decisione sarà presa per il tuo bene. Rispondi pure in tutta tranquillità ma, soprattutto, cerca la risposta nel tuo cuore, non nella tua mente. Comprendi?». E l'angelo diede una strizzatina d'occhio all'uomo che, in effetti, non aveva capito niente.

«Allora sentiamo» proseguì l'angelo. «La domanda è la più semplice che si possa fare. Chi sei?».

Nemo cominciò velocemente a pensare se in quel quesito potesse nascondersi un trabocchetto, ma anche se ci fosse stato lui non lo vedeva. Non volendo fare brutta figura, proprio in un momento così importante, cercò il modo migliore per definirsi.

«Beh, prima di tutto sono un uomo!» forse l'aveva azzeccata alla prima battuta, pensò rincuorato.

«Ti pare io ti abbia chiesto a che specie appartieni?»

«Io sono Nemo Qualunque.»

«Ti ho chiesto chi sei, non come ti chiami» ribadì calmo l'angelo.

«Sono un impiegato delle poste.»

«Ma io ti ho chiesto chi sei, non cosa fai.»

«Sono un uomo sposato, ho due figli e amo la mia famiglia». Ottima referenza, pensò Nemo.

«Non ho chiesto il tuo stato civile o i sentimenti che hai per la tua famiglia, ma più semplicemente chi sei.»

«Sono un uomo religioso, credo in Dio e mi comporto bene con il prossimo.»

«Non ho chiesto di che religione sei, in cosa credi o i tuoi rapporti sociali.»

Il povero Nemo non sapeva più che dire. Ma che razza di domanda era mai quella, chi sei... Lui sapeva solo come poteva definirsi nella società umana; e in che altro modo poteva farlo?

Si era mai posto quella domanda durante la sua vita? No, perché era talmente evidente davanti agli occhi di tutti chi era lui! Forse c'era qualcosa di più profondo ed essenziale che mai gli era capitato di percepire... diamine, non aveva mai avuto tempo per certi sofismi, lui che si era trovato a fronteggiare i mille problemi della vita quotidiana! Eppure, solo ora lo rammentava, qualche momento c'era stato in cui una sottile insoddisfazione si era impossessata di lui, insinuando il vago presentimento che dietro ogni manifestazione della realtà si celasse qualcosa di più profondo e sfuggente.

«Bene» disse l'angelo alzandosi e lasciando al suo posto un tenue alone di luce «ti lascio con questo compito: ogni qualvolta userai il pronome Io chiediti di chi stai veramente parlando». Quindi sfiorò Nemo con una carezza, mentre il suo cuore riprendeva a battere tranquillo e regolare.

«Ce l'abbiamo fatta» esclamò il medico soddisfatto: «l'abbiamo salvato!».

La forma dell'angelo stava svanendo quasi completamente ma, se qualcuno avesse potuto vederlo, si sarebbe accorto della strizzatina d'occhio rivolta all'uomo steso sul letto.

Nemo Qualunque non aveva superato l'esame, ma quando guarì decise di scoprire chi era e niente fu più come prima.

Leggenda del XVII secolo

da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A. 


Azrael è il 4° arcangelo, figura canonica solo nell’Islam e che qui svolge la funzione di Angelo della Morte

L’angelo della morte

“È colui che quieta i movimenti e separa le anime dai corpi. […] Al A’mash riporta che Khaythama ha detto: “L’Angelo della morte si recò da Salomone e prese a fissare uno dei suoi compagni. Quando l’angelo se ne fu andato, l’uomo domandò: “Profeta di Dio, chi era quello?”. Salomone rispose: “Era l’Angelo della Morte!”. L’uomo disse: “Ho visto che mi osservava come se mi volesse. Vorrei che mi liberassi da lui, ordinando al vento di trasportarmi nelle regioni più lontane dell’India”. Allora Salomone diede l’ordine e questo eseguì.

Quando l’Angelo della Morte tornò da Salomone, questi gli disse: “Ho visto che osservavi uno dei miei compagni”. Ribatté l’angelo: “Sono rimasto meravigliato da quell’uomo, perché ho dato l’ordine di afferrare la sua anima nelle regioni più remote dell’India, poco fa, mentre invece l’avevo visto con te!”.

“Le meraviglie del creato e le stranezze degli esseri” di Zakariyya ibn Muhammad al Qazwini

 


Buona giornata a tutti :-)




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