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venerdì 11 gennaio 2019

Amo a te - Luce Irigaray

L'aria, ciò che ci avvicina e che ci separa.
Ciò che ci unisce e dispone tra noi uno spazio per noi.
Ciò in cui ci amiamo, ma che appartiene anche alla terra.
Ciò che talvolta condividiamo attraverso alcune parole ispirate.
Ma se gli alberi non possono sentirle, queste parole non sono forse un rischio di morte?
L'aria, questo luogo in cui abitare, in cui coltivare fiori e angeli.
In cui aspettarsi, nella vita, fuori o dentro, in cui respirare e contemplare ciò che ci unisce e ci divide, ciò che ci collega all'universo e rende possibile la nostra solitudine come i nostri scambi.
Materia universale del vivente.
La più necessaria, la più spirituale.
Da cui siamo nati, e che talvolta generiamo.
Elemento della nostra incarnazione e della nostra immortalità.
Del nostro passaggio dal più vicino al più lontano, della nostra propria identità e della nostra intesa.
L'aria, futuro e ritorno nei quali diveniamo senza poterci mai fermare, o così poco.
L'aria, ciò che ci dà forme dal di dentro e dal di fuori, e ciò in cui posso darti forme, se le parole che ti rivolgo ti sono realmente destinate e sono ancora l'opera della mia carne.
L'amore rimane divenendo, attira mantenendo la distanza, permette il rispetto e la contemplazione.
E' come un sole che illumina in noi e tra noi.
Appare talvolta in un gesto, un sorriso, una voce, una parola, segni di una presenza che si avvicina allontanandosi.
Indubbiamente ci siamo accostati, forse ci siamo incontrati.
Il tuo ritiro manifesta la mia esistenza, e anche il mio raccoglimento ti è dedicato.
Possa la loro intenzione essere riconosciuta da noi come un cammino che porta indirettamente a noi.

- Luce Irigaray -
da: "Amo a te. Verso una felicità nella storia", ed: Bollati Boringhieri, Torino 1993, pp. 154 e 156



 «Amare a te, e, in questo a, disporre di un luogo di pensiero, di pensare a te, a me, a noi, a ciò che ci riunisce e ci allontana, all’intervallo che ci permette di divenire, alla distanza necessaria per l’incontro.
A te: pausa per passare dall’affetto allo spirituale, dall’interiorità all’esterio­rità.
Ti vedo, ti sento, ti percepisco, ti ascolto, ti guardo, sono commossa da te, sor­presa da te, vado a respirare fuori, rifletto con la terra, l’acqua, gli astri, penso a te, ti penso, penso a noi: a due, a tutti, a tutte, comincio ad amare, amare a te, ritorno verso di te, cerco di parlare, di dire a te: un sentimento, un volere, un’intenzione, per adesso, per domani, per molto tempo.
Ti chiedo un luogo e del tempo per oggi, per un futuro vicino, per la vita: la mia, la tua, quella di molti.
L’ a te passa attraverso il respiro che cerca di farsi parole. Senza appropriazio­ne, senza possesso né perdita di identità, nel rispetto di una distanza. A te, altro, uomo. Tra noi questo a intenzione senza oggetto, culla dell’essere».

Dalla prefazione di Maria Grazia Calandrone a: Luce Irigaray, Amo a te (Bollati Boringheri, 1993)



 «Amar a ti, y, en este a, disponer de un lugar de pensamiento, de pensar ‘a’ tí, ‘a’ mí, ‘a’ nosotros, ‘a’ lo que nos une y nos aleja, ‘al’ intervalo que nos facilita devenir, ‘a’ la distancia necesaria para el encuentro.
A ti: pausa para pasar de lo afectivo a lo espiritual, de la interioridad a lo exterior.
Te veo, te siento, te percibo, te escucho, te miro, me enternezco por ti, me sorprendo por ti, voy a respirar fuera, reflexiono con la tierra, el agua, las estrellas, pienso en ti, te pienso, pienso en nosotros: en los dos, en todos, en todas, empiezo a amar, amar a ti, regreso hacia ti, intento hablar, decirte: un sentimiento, un deseo, una intención, para hoy, para mañana, para mucho tiempo.
Te pido un lugar y un tiempo por hoy, por un futuro cercano, por la vida: la mía, la tuya, la de muchos.
El a ti pasa a través del aliento que intenta volverse palabras. Sin apropria­ción, sin posesión, ni pérdida de identidad, en el respeto de una distancia. A ti, al otro, hombre. Entre nosotros esta a es intención sin objeto, cuna del ser».

- Luce Irigaray -
da: "Amo a ti - bosquejo de una felicidad en la historia" [traducción del francés, Víctor Goldstein], 1ª ed. Barcelona, Icaria 1994


Buona giornata a tutti. :-)




domenica 3 giugno 2018

Come ascoltarti? - Luce Irigaray

Cominciamo di qui: come ascoltarti? 
Non si tratta di ascoltare un messaggio in funzione di un contenuto già codificato dalla società e dalla lingua. 
Certo, ciò è sempre utile. Se mi indichi l’ora del tuo arrivo o della tua chiamata, è utile che io capisca per essere presente a questo appuntamento. 
Se mi indichi l’ora del tuo arrivo o della tua chiamata, è utile che io capisca per essere presente a questo appuntamento. 
Se mi dici il luogo del nostro incontro, è necessario che io ti senta per recarmici ... Ma questa comunicazione è insufficiente per tessere alleanze e storie tra due soggetti. E neppure vi riuscirà l’espressione dell’affetto soggettivo. 
Infatti posso consolare il tuo dolore, ma esso non è necessariamente il frutto della tua intenzione, e non necessariamente mi aiuta nel mio divenire ... Dunque ti ascolto non è aspettare o sentire da te un’informazione o l’espressione semplice di un sentimento ... 
Ti ascolto è ascoltare la tua parola come unica, irriducibile, in particolare irriducibile alla mia parola, come nuova, ancora sconosciuta. 
È sentirla come la manifestazione di un’intenzione, di un divenire umano, spirituale ... ti ascolto come un altro trascendente a me che richiede il passaggio a una nuova dimensione. 
Ti ascolto: percepisco ciò che dici, vi sono attenta(o), cerco di sentirvi la tua intenzione. 
Questo non significa “ti capisco, ti conosco, quindi non ho bisogno di ascoltarti e posso persino prescriverti un divenire”. 
No, ti ascolto come colui e ciò che non conosco ancora, a partire da una libertà e una disponibilità che riservo per questo avvenimento. 
Ti ascolto; favorisco l’emergere di un non-avvenuto, di un divenire, di una crescita, talvolta di una nascita. “Ti ascolto” lascia spazio per il non-ancora-codificato, per il silenzio, preserva un luogo di esistenza, di iniziativa, di libera intenzionalità, di sostegno al tuo divenire.
Ti ascolto non a partire da ciò che so, che sento, che sono già, e neppure in funzione di ciò che sono già il mondo e la lingua, dunque in modo, in un certo senso, formale. 
Ti ascolto piuttosto come la rivelazione di una verità non ancora manifestata, la tua, e quella del mondo rivelato attraverso di te e da te. 
Ti do del silenzio, in cui il futuro di te – e forse di me, ma con te e non come te e senza di te – può emergere e fondarsi ... questo silenzio è spazio-tempo che ti è offerto senza riti né verità stabilite, a priori. 
È costituzione di un’apertura a te, all’altro che non è e non sarà mio. 
Questo silenzio è possibile grazie al fatto che né io né tu sono un tutto, che siamo entrambi limitati, segnati dal negativo, differenti senza gerarchia. Questo silenzio è il primo gesto dell’amo a te ... 
Questo silenzio è condizione di un possibile rispetto di me e dell’altro nei loro limiti. Esso suppone inoltre che il mondo già esistente, anche nella sua forma filosofica o religiosa, non sia considerato compiuto, già manifestato o già rivelato. 
Perché io possa tacere e ascoltare, ascoltarti, senza presupposti, senza imperativi segretamente all’opera – rivolti a te o a me – è necessario che il mondo non sia già concluso, che sia ancora aperto, che il futuro non sia determinato dal passato. 
Tutte queste condizioni sono indispensabili perché io ascolti realmente ... Ascoltarti richiede dunque che io mi renda disponibile, che sia ancora e sempre capace di silenzio. questo gesto, fino a un certo punto, mi libera. 
Ma soprattutto dà a te un luogo silenzioso in cui manifestarti, ti mette a disposizione uno spazio-tempo ancora vergine per il tuo apparire e le sue espressioni. 
Ti offre la possibilità di esistere, di esprimere la tua intenzione, la tua intenzionalità, senza gridare e persino senza chiedere, senza sovrastare, senza annullare, senza uccidere.

- Luce Irigaray -
da: "Amo a te: verso una felicità nella storia", Bollati Boringhieri, Torino 1993, pp; 118-122)



Buona giornata a tutti. :-)