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giovedì 2 novembre 2023

Bagaglio del ritorno - Wislawa Szymborska

 Un settore di piccole tombe al cimitero.
Noi, i longevi, lo oltrepassiamo furtivi,
come i ricchi oltrepassano i quartieri dei poveri.
Qui giacciono Zosia, Jacek e Dominik,
prematuramente sottratti al sole, alla luna,
al mutare delle stagioni, alle nubi.
Non molto hanno messo nel bagaglio del ritorno.
Frammenti di viste
in numero non troppo plurale.
Una manciata d’aria con una farfalla in volo.
Un sorso di amaro sapere sul gusto della medicina.
Piccole disobbedienze,
una delle quali mortale.
L’allegro inseguimento d’una palla per strada.
Pattinare felici sul ghiaccio sottile.
Quello laggiù e quella accanto, e quelli di lato:
prima che riuscissero a crescere fino alla maniglia,
a guastare un orologio,
a fracassare il loro primo vetro.
Malgosia, di anni quattro,
due dei quali distesa a guardare il soffitto.
Rafalek: gli mancava un mese ai cinque anni,
e a Basia le feste di Natale
con la nebbiolina del fiato nel gelo.
Che dire poi di un giorno di vita,
di un minuto, di un secondo:
buio, s’accende una lampadina, di nuovo buio?

Kosmos Makros Chronos Paradoxos
Nell'infinità dell'universo, il tempo è un paradosso

- Wislawa Szymborska - 


Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: un bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. 
O un giardino piantato col nostro sudore. 
Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l'albero o il fiore che abbiamo piantato, noi saremo là. 
Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos'altro che porti poi la nostra impronta. 
La differenza tra l'uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere sta nel tocco, diceva. 
Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, su quel prato; ma il vero giardiniere vi resterà per tutta una vita.

- Ray Bradbury -
da: Fahrenheit 451, 1953




E' così desolante lasciare incompleto un lavoro che in realtà non sarà mai completato; è così de­solante abbandonare i compagni che si logorano accanto a noi.
E' normale che uno si ostini a tener duro, spossandosi.
Eccomi dunque, o Signore, per un certo tempo o per sempre, non so, fuori combattimento.
Sia fatta la tua volontà!
So che siamo sempre dei servi inutili; tu puoi suscitare coloro che proseguiranno e faranno molto me­glio, mentre l'essenziale è amarti e continuare ad amare intensamente i propri fratelli, quando pa­re impossibile poter essere utili per loro.
L'arre­sto dell'azione non comporta l'arresto del deside­rio, e il desiderio espresso in preghiera non è inefficace.
Tu sai realizzare le cose anche con le preghiere di coloro che non possono far altro che pregare.
Affido a te il mio desiderio, affinché i miei compagni non si scoraggino, affinché nuovi compagni si aggiungano al loro sforzo, affinché questi facciano molto meglio di quanto avevano pensato quando ero uno di loro.
Se a te piace che la mia partenza sia seguita da decadenza, da sbandamento, da soppressione, ho fiducia che tutto questo sarà in vista di un gran bene, affin­ché ne venga qualcosa di meglio.
Tu solo sai ciò che è meglio, e io mi affido a te, o Signore.

- Padre Louis Joseph Lebret -
Fonte: Breviario della Terza età, don FerdinandoBay, Ed. Salcom, gennaio 1989


Buona giornata a tutti. :-)




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venerdì 25 ottobre 2019

O Dio, mandaci dei matti!! - Louis Joseph Lebret

"L'appartenenza non è un insieme casuale di persone, non è un consenso a un'apparente aggregazione, l'appartenenza è avere gli altri dentro di sé."

Non ci crederete, ma a mandarmi questa citazione desunta da una canzone di Giorgio Gaber (appunto "La canzone dell'appartenenza") sono le suore Clarisse dal loro convento di clausura di Rimini. Spero mi perdoneranno se le evoco esplicitamente, ma lo faccio anche per demolire il mito che dietro le grate incombano solo silenzio e rinuncia, negazione e rigore.

Una volta, di passaggio per una conferenza in quella città, sono stato accolto da loro con festosità e con mille attenzioni: la separatezza della clausura è in realtà un orizzonte ben più popolato di presenze e di voci di quanto lo siano le nostre case rumorose. E le parole di Gaber sono proprio la spiegazione profonda di un'esperienza, spesso ignota a chi vive in una folla, muovendosi in spazi immensi e in mezzo a tante cose.
Infatti per avere una presenza autentica, per vivere in pienezza le relazioni, per scoprire vicende vere non è sufficiente e neppure necessario aggregarsi e incontrarsi: quanti giovani sono soli, pur vivendo in un branco, quante solitudini nelle città sono a folla, quanti contatti si fermano alla pelle, quanti rapporti si trascinano stancamente e senza ardore.
Ecco, allora, la vera appartenenza che altro non è se non la genuina declinazione del vero amore: «Avere gli altri dentro di sé», come carne della tua carne, pensiero dei tuoi pensieri, parte della tua stessa vita.
Le suore di clausura spesso, senza che noi lo sappiamo, ci portano con loro, strappandoci dalla nostra superficialità, custodendoci dai rischi del male, offrendoci a Dio, anche se noi siamo distratti e protesi verso gli idoli.

- Cardinale Gianfranco Ravasi -
Fonte: "Mattutino, Avvenire 4 gennaio 2007


Bisogna inondare la terra con un diluvio di stampa cristiana e mariana, in ogni lingua, in ogni luogo, per affogare nei gorghi della verità ogni manifestazione di errore che ha trovato nella stampa la più potente alleata; fasciare il mondo di carta scritta con parole di vita per ridare al mondo la gioia di vivere. 

- San Massimiliano Maria Kolbe -


A noi mancano matti, o Signore,
ma di quelli che sappiano amare
con opere e non con parole,
di quelli che siano totalmente a disposizione del prossimo.

A noi mancano matti, o Signore,
mancano temerari, appassionati,
persone capaci di saltare
nel vuoto insicuro, sconosciuto
e ogni giorno più profondo della povertà;
di quelli che non utilizzano il prossimo per i loro fini.

Ci mancano questi matti, o mio Dio!
Matti nel presente,
innamorati di una vita semplice,
liberatori del povero,
amanti della pace,
liberi da compromessi,
decisi a non tradire mai,
disprezzando le proprie comodità
o la propria vita,
totalmente decisi per l'abnegazione,
capaci di accettare tutti i tipi di incarichi,
di andare in qualsiasi luogo per ubbidienza,
e nel medesimo tempo liberi, obbedienti,
spontanei e tenaci,
allegri, dolci e forti.

Dacci questo tipo di matti,
o mio Signore!!!


- Louis Joseph Lebret - 


Louis-Joseph Lebret nacque a Minihic, nei pressi di Saint-Malo, in Bretagna, il 26 giugno 1897. Prese parte alla Prima Guerra Mondiale come ufficiale di marina. Nel 1923, sentendo la chiamata alla vita religiosa, lasciò la marina e entrò nell’Ordine domenicano. Negli anni successivi all’ordinazione, si sensibilizzò alla situazione dei piccoli pescatori bretoni, colpiti dalla crisi economica di quegli anni, aiutandoli a fronteggiarla e fornendo loro gli strumenti per un’analisi critica della realtà socio-economica, in vista di un’alternativa che vedesse finalmente l’economia al servizio dell’uomo. Sviluppando questa visione, creò nel 1941 l’istituto Economia e Umanesimo. A partire dal 1947, riconosciuto internazionalmente per la serietà dei suoi studi, venne ripetutamente invitato in diversi paesi del Sud del mondo per offrire il suo contributo ad uno sviluppo globale, armonizzato e autopropulsivo. Negli anni '60 il papa Paolo VI lo chiamò a Roma come perito al Concilio Vaticano II e lo volle come sue maggior collaboratore nella redazione della sua enciclica sullo sviluppo dei popoli, la Populorum Progressio. Padre Lebret morì a Parigi il 20 luglio 1966.

Buona giornata a tutti. :-)



venerdì 4 maggio 2018

Schiavi o liberi?

Schiavi quando pensiamo di fare da soli, quando contiamo solo sulle nostre forze.
Schiavi quando le nostre competenze, la nostra cosiddetta esperienza, sono la nostra sicurezza.
Schiavi quando crediamo che la nostra ragione debba essere affermata e non confrontata.
Schiavi quando le nostre azioni si basano sul nostro poter fare e spesso sulle incapacità degli altri.
Schiavi quando nemmeno ce ne rendiamo conto di esserlo.
Schiavi proprio quando ci sentiamo liberi di affermare che non siamo schiavi di nessuno.
Schiavi quando guardiamo male l'obbedienza, l'umiltà dei servi, la sofferenza che toglie dignità.
Schiavi quando ci ripugna l'agnello immolato, lo scandalo e la stoltezza della croce.
Il nostro Mar Rosso, il nostro passaggio è il giardino del Getsemani.
L'abbandono nell'amore del Padre, il primato della volontà di Dio, l'accettazione del calice, essere fatti partecipi della stessa cena, ci dona libertà.
Liberi di sentirci amati.
Liberi di saperci accolti per quello che siamo e non per quello che ci piacerebbe essere senza riuscirci.
Liberi di aderire al Signore sciogliendo ogni vincolo che non ci permette di seguirlo.
Liberi perfino di sbagliare e di sentirci amati anche per questo.
Liberi di rendere grazie.
Liberi di partecipare al progetto di Dio.
Liberi di affrontare la sofferenza senza sapere prima come fare. 
Liberi di vivere una fede che è un dono e non conquista.
Liberi di abbandonarci conoscendo l'ampiezza delle braccia che ci accoglieranno. 
Liberi di gioire davanti ad un sepolcro che è rimasto vuoto per sempre. 
Liberi di annunciare a tutti che ci possiamo fidare di lui.

Gesù risorto è la verità che ci rende liberi, colui che nella sua vita di figlio
ha inserito anche noi perché possiamo sentirci nuovamente liberi e amati dal Padre.





Confessiamo solo i piccoli peccati per persuadere noi stessi che non ne abbiamo commessi di grandi.

François De La Rochefoucauld -



Signore,
tienimi lontano dal peccato.

Spesso ne rasento il limite,
in quella zona in cui ci si chiede se veramente s'è dato il consenso.

So benissimo che non bisogna essere scrupolosi,
ed è già qualcosa impegnarsi sul serio
con un atto che sia autenticamente atto d'uomo.


So che la fatica viene tenuta in conto e che ci sono momenti
in cui uno non ne può più.

So che l'arco non può essere sempre teso,
e ognuno deve crearsi un angolo di fantasia;
ma so anche che le piccole concessioni s'allargano sempre di più,
la dedizione assoluta viene meno, la generosità si contrae,
la carne si fa debole e il diavolo s'aggira d'attorno a noi.


So che la virtù che sembrava solidissima
può svanire e che non bisogna mai cessare di stare in guardia.

- Padre Louis Joseph Lebret -


Buona giornata a tutti. :-)



venerdì 3 febbraio 2017

Bagaglio del ritorno - Wislawa Szymborska -

Un settore di piccole tombe al cimitero.
Noi, i longevi, lo oltrepassiamo furtivi,
come i ricchi oltrepassano i quartieri dei poveri.
Qui giacciono Zosia, Jacek e Dominik,
prematuramente sottratti al sole, alla luna,
al mutare delle stagioni, alle nubi.
Non molto hanno messo nel bagaglio del ritorno.
Frammenti di viste
in numero non troppo plurale.
Una manciata d’aria con una farfalla in volo.
Un sorso di amaro sapere sul gusto della medicina.
Piccole disobbedienze,
una delle quali mortale.
L’allegro inseguimento d’una palla per strada.
Pattinare felici sul ghiaccio sottile.
Quello laggiù e quella accanto, e quelli di lato:
prima che riuscissero a crescere fino alla maniglia,
a guastare un orologio,
a fracassare il loro primo vetro.
Malgosia, di anni quattro,
due dei quali distesa a guardare il soffitto.
Rafalek: gli mancava un mese ai cinque anni,
e a Basia le feste di Natale
con la nebbiolina del fiato nel gelo.
Che dire poi di un giorno di vita,
di un minuto, di un secondo:
buio, s’accende una lampadina, di nuovo buio?

Kosmos Makros Chronos Paradoxos
Nell'infinità dell'universo, il tempo è un paradosso


- Wislawa Szymborska - 


Ognuno deve lasciarsi qualche cosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: un bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. 
O un giardino piantato col nostro sudore. 
Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo, e quando la gente guarderà l'albero o il fiore che abbiamo piantato, noi saremo là. 
Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualche cosa da ciò che era prima in qualcos'altro che porti poi la nostra impronta. 
La differenza tra l'uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere sta nel tocco, diceva. 
Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, su quel prato; ma il vero giardiniere vi resterà per tutta una vita.

- Ray Bradbury -
da: Fahrenheit 451, 1953




E' così desolante lasciare incompleto un lavoro che in realtà non sarà mai completato; è così de­solante abbandonare i compagni che si logorano accanto a noi.
E' normale che uno si ostini a tener duro, spossandosi.
Eccomi dunque, o Signore, per un certo tempo o per sempre, non so, fuori combattimento.
Sia fatta la tua volontà!
So che siamo sempre dei servi inutili; tu puoi suscitare coloro che proseguiranno e faranno molto me­glio, mentre l'essenziale è amarti e continuare ad amare intensamente i propri fratelli, quando pa­re impossibile poter essere utili per loro.
L'arre­sto dell'azione non comporta l'arresto del deside­rio, e il desiderio espresso in preghiera non è inefficace.
Tu sai realizzare le cose anche con le preghiere di coloro che non possono far altro che pregare.
Affido a te il mio desiderio, affinché i miei compagni non si scoraggino, affinché nuovi compagni si aggiungano al loro sforzo, affinché questi facciano molto meglio di quanto avevano pensato quando ero uno di loro.
Se a te piace che la mia partenza sia seguita da decadenza, da sbandamento, da soppressione, ho fiducia che tutto questo sarà in vista di un gran bene, affin­ché ne venga qualcosa di meglio.
Tu solo sai ciò che è meglio, e io mi affido a te, o Signore.


- Padre Louis Joseph Lebret -
Fonte: Breviario della Terza età, don FerdinandoBay, Ed. Salcom, gennaio 1989


Buona giornata a tutti. :-)




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sabato 26 novembre 2011

L'anziano e le dimissioni – Padre Louis Joseph Lebret -

E' così desolante lasciare incompleto un lavoro che in realtà non sarà mai completato;
è così de­solante abbandonare i compagni che si logorano accanto a noi.
E' normale che uno si ostini a tener duro, spossandosi.
Eccomi dunque, o Signore, per un certo tempo o per sempre, non so, fuori combattimento.
Sia fatta la tua volontà!
So che siamo sempre dei servi inutili; tu puoi suscitare coloro che proseguiranno e faranno molto me­glio, mentre l'essenziale è amarti e continuare ad amare intensamente i propri fratelli, quando pa­re impossibile poter essere utili per loro.
L'arre­sto dell'azione non comporta l'arresto del deside­rio, e il desiderio espresso in preghiera non è inefficace.
Tu sai realizzare le cose anche con le preghiere di coloro che non possono far altro che pregare.
Affido a te il mio desiderio, affinché i miei compagni non si scoraggino, affinché nuovi compagni si aggiungano al loro sforzo, affinché questi facciano molto meglio di quanto avevano pensato quando ero uno di loro.
Se a te piace che la mia partenza sia seguita da decadenza, da sbandamento, da soppressione, ho fiducia che tutto questo sarà in vista di un gran bene, affin­ché ne venga qualcosa di meglio.
Tu solo sai ciò che è meglio, e io mi affido a te, o Signore.


(Padre Louis Joseph Lebret)
Fonte: Breviario della Terza età, don FerdinandoBay, Ed. Salcom, gennaio 1989









Buona giornata a tutti. :-)

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sabato 13 agosto 2011

Signore, tienimi lontano dal peccato - Padre Louis Joseph Lebret -

Signore,
tienimi lontano dal peccato.


Spesso ne rasento il limite,
in quella zona in cui ci si chiede se veramente s'è dato il consenso.

So benissimo che non bisogna essere scrupolosi,
ed è già qualcosa impegnarsi sul serio
con un atto che sia autenticamente atto d'uomo.


So che la fatica viene tenuta in conto e che ci sono momenti
in cui uno non ne può più.

So che l'arco non può essere sempre teso,
e ognuno deve crearsi un angolo di fantasia;
ma so anche che le piccole concessioni s'allargano sempre di più,
la dedizione assoluta viene meno, la generosità si contrae,
la carne si fa debole e il diavolo s'aggira d'attorno a noi.


So che la virtù che sembrava solidissima
può svanire e che non bisogna mai cessare di stare in guardia.

(Padre Louis Joseph Lebret)


Louis-Joseph Lebret nacque a Minihic, nei pressi di Saint-Malo, in Bretagna, il 26 giugno 1897. Prese parte alla Prima Guerra Mondiale come ufficiale di marina. Nel 1923, sentendo la chiamata alla vita religiosa, lasciò la marina e entrò nell’Ordine domenicano. Negli anni successivi all’ordinazione, si sensibilizzò alla situazione dei piccoli pescatori bretoni, colpiti dalla crisi economica di quegli anni, aiutandoli a fronteggiarla e fornendo loro gli strumenti per un’analisi critica della realtà socio-economica, in vista di un’alternativa che vedesse finalmente l’economia al servizio dell’uomo. Sviluppando questa visione, creò nel 1941 l’istituto Economia e Umanesimo. A partire dal 1947, riconosciuto internazionalmente per la serietà dei suoi studi, venne ripetutamente invitato in diversi paesi del Sud del mondo per offrire il suo contributo ad uno sviluppo globale, armonizzato e autopropulsivo. Negli anni '60 papa Paolo VI lo chiamò a Roma come perito al Concilio Vaticano II e lo volle come sue maggior collaboratore nella redazione dell'enciclica sullo sviluppo dei popoli, la "Populorum Progressio". Padre Lebret morì a Parigi il 20 luglio 1966.



Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 20 luglio 2011

Eccomi fuori combattimento - Louis Joseph Lebret -

Signore, questa volta non ne posso più.

Da mesi mi sono intestardito
a compiere tutto il mio dovere professionale,
ad accontentare diligentemente
tutti coloro che mi chiedevano
piccoli e grandi favori.

Mi ci sono ostinato.

E' così desolante
lasciare incompleto un lavoro
che in realtà non sarà mai completato.

È normale che uno si ostini
a tener duro, spossandosi.

Eccomi dunque, Signore,
per un certo tempo o per sempre,
non so, fuori combattimento.

Sia fatta la tua volontà.

So che siamo sempre dei servi inutili,
l'essenziale è amarti
e continuare ad amare
intensamente i propri fratelli
quando pare impossibile
poter essere utili per loro.

Tu solo sai ciò che è meglio
e io mi affido a te,
Signore.


(Padre Louis Joseph Lebret)


Louis-Joseph Lebret ( 1897-1966) padre domenicano

martedì 15 marzo 2011

O Dio, mandaci dei matti!! - Louis Joseph Lebret -

A noi mancano matti, o Signore,
ma di quelli che sappiano amare
con opere e non con parole,
di quelli che siano totalmente a disposizione del prossimo.

A noi mancano matti, o Signore,
mancano temerari, appassionati,
persone capaci di saltare
nel vuoto insicuro, sconosciuto
e ogni giorno più profondo della povertà;
di quelli che non utilizzano il prossimo per i loro fini.

Ci mancano questi matti, o mio Dio!
Matti nel presente,
innamorati di una vita semplice,
liberatori del povero,
amanti della pace,
liberi da compromessi,
decisi a non tradire mai,
disprezzando le proprie comodità
o la propria vita,
totalmente decisi per l'abnegazione,
capaci di accettare tutti i tipi di incarichi,
di andare in qualsiasi luogo per ubbidienza,
e nel medesimo tempo liberi, obbedienti,
spontanei e tenaci,
allegri, dolci e forti.

Dacci questo tipo di matti,
o mio Signore!!!


(Louis Joseph Lebret)

Louis-Joseph Lebret nacque a Minihic, nei pressi di Saint-Malo, in Bretagna, il 26 giugno 1897. Prese parte alla Prima Guerra Mondiale come ufficiale di marina. Nel 1923, sentendo la chiamata alla vita religiosa, lasciò la marina e entrò nell’Ordine domenicano. Negli anni successivi all’ordinazione, si sensibilizzò alla situazione dei piccoli pescatori bretoni, colpiti dalla crisi economica di quegli anni, aiutandoli a fronteggiarla e fornendo loro gli strumenti per un’analisi critica della realtà socio-economica, in vista di un’alternativa che vedesse finalmente l’economia al servizio dell’uomo. Sviluppando questa visione, creò nel 1941 l’istituto Economia e Umanesimo. A partire dal 1947, riconosciuto internazionalmente per la serietà dei suoi studi, venne ripetutamente invitato in diversi paesi del Sud del mondo per offrire il suo contributo ad uno sviluppo globale, armonizzato e autopropulsivo. Negli anni 60 il papa Paolo VI lo chiamò a Roma come perito al Concilio Vaticano II e lo volle come sue maggior collaboratore nella redazione della sua enciclica sullo sviluppo dei popoli, la Populorum Progressio. Padre Lebret morì a Parigi il 20 luglio 1966.

Buona giornata a tutti. :-)