Visualizzazione post con etichetta Ezio Risatti sdb. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Ezio Risatti sdb. Mostra tutti i post

mercoledì 1 gennaio 2020

Anno nuovo, vita nuova? - Ezio Risatti, sdb

"Anno nuovo, vita nuova. Da quest'anno smetto di fare cosa vogliono gli altri e faccio di testa mia!".
È l'impegno che ogni trecentosessantacinque giorni - trecentosessantasei negli anni bisestili - un gran numero di uomini e di donne prendono con se stessi man mano che si avvicina lo scoccare della mezzanotte. 
Una promessa che merita di essere mantenuta, ma ad alcune condizioni…
Un esercito di "maestri".
Anche se molti pensano di essere liberi e indipendenti, la realtà dimostra che - dal momento della nascita a quello della morte - si è sottoposti a messaggi che, in modo più o meno subdolo, tendono a orientare la volontà, le aspirazioni e i desideri. 
"Maestri" di vita che - talora consigliando e indirizzando, talaltra ammiccando o minacciando - inducono le persone a fare ciò essi reputano essere il loro bene.
Cominciano, quando si è ancora in fasce, i genitori e i famigliari impegnati a evitare che il neonato caschi dal passeggino e si faccia male e ad insegnargli a distinguere - man mano che acquista consapevolezza di sé e del mondo che lo circonda - ciò che gli fa bene da ciò che è nocivo. 
Continuano, negli anni della scuola e della giovinezza, i professori e gli amici, che - tra una lezione, una pizza e una partita di calcetto - propongono la propria visione della vita e del mondo. 
Si aggiunge, lungo tutto il corso della vita, l'influenza dei mezzi e delle tecniche di comunicazione sociale: radio, cinema, televisione, Internet e social network propongono instancabilmente - a ritmi sempre più frenetici - suggerimenti, strategie di comportamento, interventi di specialisti, "consigli per gli acquisti" più o meno invadenti per divulgare mode e modi di vivere e di pensare.
Si tratta, non di rado, di messaggi in conflitto tra loro. 
Come quando, per esempio, si assiste - nel corso del medesimo intervallo pubblicitario - a uno spot che invita a non rinunciare mai alla bontà di un dolce imbottito di creme e di zuccheri seguito da un altro che esalta l'importanza di una vita sana e senza grassi ed esorta a pranzare a base di barrette dietetiche. 
A dar retta a tutti c'è il rischio concreto di diventare pazzi…
Scavare nel profondo per essere più veri
Di fronte a questa cascata inesauribile di stimoli e di suggestioni è quanto mai fondamentale imparare a ragionare con la propria testa, a lavorare su se stessi per comprendere sempre più a fondo il proprio essere e la propria vocazione profonda. 
Non si tratta, naturalmente, di trasformarsi in "schegge impazzite" tese ad assecondare i capricci superficiali del momento ma di diventare progressivamente uomini e donne capaci di scavare dentro se stessi per depurare i desideri profondi da sensazioni, emozioni e stati d'animo passeggeri e, non di rado, fuorvianti. 
"Conosci te stesso" era scritto sulla facciata del tempio di Apollo, a Delfi, e non si stancavano di raccomandare Socrate e le scuole filosofiche dell'antica Grecia ai propri discepoli. E il loro ammonimento è ancora attuale. 
Conoscere se stessi è un lavoro, un cammino faticoso ma essenziale per essere sempre più in grado di valutare consapevolmente se e in quale misura accogliere o rifiutare la miriade di stimoli e di condizionamenti più o meno invadenti e subdoli che provengono quotidianamente dall'esterno.
Il sintomo che rivela che si sta "scavando" davvero dentro se stessi e si sta crescendo nella consapevolezza di sé è l'aumento della stima nei propri confronti, la soddisfazione - che si rinnova e si amplifica di volta in volta - per aver saputo dire dei sì e dei no coerenti con il proprio percorso di vita. Imparare a guidare sempre più responsabilmente la propria esistenza e a non diventare pedine nelle mani di chi ha tutto l'interesse a trasformare le persone in "burattini" è, senza dubbio, non solo la sfida di quest'anno, ma di tutti gli anni futuri.

- Ezio Risatti, sdb -



Ecco, Signore, un anno nuovo 

Ecco, Signore, un anno nuovo. Non sappiamo come sarà e possiamo solo sperare e farci auguri inutili che tuttavia carichiamo di buoni auspici.
"Buon anno! Buon anno!" ci diciamo; e l'esclamazione rimbalza e si diffonde come quando diciamo "buon giorno!" o "buona notte!" e il più delle volte si tratta quasi di un intercalare, privo di consistenza, privo di umana solidarietà: una vuota abitudine, a livello di pura cortesia. 
Potrebbe esprimere affetto, salire dall'umana simpatia fino a giungere alla cristiana carità; e invece non esprime più nulla: è una pura emissione di voce, una mera espressione di buone maniere prive ormai di sentimenti veri. 
Ci scivola, scialba, sulla lingua, impegnando soltanto i muscoli vocali, spesso neanche la mimica facciale, spesso neanche un sorriso accompagna la voce: "buon giorno" e basta, senza nulla dietro.
Forse, Signore, l'abbiamo detto troppe volte; e quel giorno non è più un giorno con l'alba e il tramonto, il sole che sorge e monta, alto, nel cielo e poi declina, nella sera; e l'augurarlo buono non è più un auspicio di gioia: è una specie di pedaggio obbligato, imposto dalla nostra civiltà, quando incrociamo un conoscente. Forse, Signore, l'abbiamo detto troppe volte e quel giorno non è più un giorno e la bontà non è più una bontà. 
L'uso continuo ce l'ha consumato nella bocca e nel cuore perché, di solito, noi non sappiamo reggere alla reiterazione senza perdere la verità e la partecipazione degli inizi. Ed invece dovremmo; e ricordarci che, ogni volta, è come se fosse la prima: anzi è in effetti la prima che, in quel momento, diciamo o facciamo o siamo; e dopo sarà un'altra, differente, anche se le somiglia, ma la stessa non è.
Esiste perfino un vecchio assioma, che ripetono i nostri moralisti, il quale afferma: "ab assuetis non fit passio", non ci commoviamo più, ai gesti consueti e ripetuti. 
Che triste filosofia, Signore! 
Se fosse vera distruggerebbe il matrimonio, l'amicizia: tutto distruggerebbe; e il nostro mondo farebbe naufragio in un mare piatto, senza onde, senza nessuna increspatura di stupore, di emozione, di passione, senza entusiasmo, senza nulla. 
Non ci credo, Signore, a quell'assioma che ho studiato a scuola; anche se so che grava su di noi, come una perenne minaccia; e che il tempo può rinnovare ma, più spesso, consuma. E il combattere questo incombente appiattimento è l'impegno primario della nostra vitalità e novità e perdurante fervore. E so anche che non ci può riuscire senza il tuo aiuto, perché tu non se il Dio delle cose vecchie e ripetute senza partecipazione: tu sei il Dio vivente delle cose viventi e risorgenti dalla tomba del tempo che le uccide; ma poi lo stesso tempo ce le rimette in mano, nuove. Questo, Signore, sei, e non il Dio della passione spenta: quella passione che la nostra omiletica ha sovente umiliato riducendola ai "bassi istinti" (e quali sono, poi gli istinti bassi se non quelli abbassati da noi?). 
La passione è l'emozione e l'entusiasmo che dovremmo versare su ogni cosa; e tu, Signore, tu sei il Dio della passione accesa, che non si spegne mai, come non si spegne la fede, la speranza, la carità. (Ed è ben vero che san Paolo dice che la speranza cessa nella vita futura, davanti a te, raggiunto. Ma tu, Signore, anche raggiunto, resti irraggiungibile, sempre al di là d'ogni possibile presa, e sempre oggetto di ogni ulteriore speranza.)
Tu, Signore, sei il Dio della passione sempre accesa, della speranza inestinguibile e della novità che non invecchia: sei il Signore che ci difende all'usura del già detto e ci ridà la gioia di ciò che è nuovamente da dirsi, da farsi, da viversi. Ed il "buon giorno" ritorna ad essere un "buon giorno", ricco di cielo e di sole; e il "buona notte" ricco di stelle e di luna; ed entrambi ricchi di simpatia e di amore.
Così, Signore, sia per il nostro "buon anno!" che, in questi giorni, diciamo tanto spesso. Fa che sia un anno pieno di stagioni, di erbe primaverili, e di affocate stoppie estive, e di frutti pendenti dell'autunno, e di silenzio candido e innevato, di fuochi accesi, di tavole imbandite come quelle che accoglievano te, quando pranzavi con gli amici.
Riempi, Signore, i nostri auguri; di questa densità esistenziale; e dacci la passione dell'amicizia e la capacità di auspici veri.

"Buon anno, amici, buon anno!" Più di trecento giorni pieni di sole, di luna, di nuvole, di neve; più di trecento giorni, pieni di solidarietà e di gioia; e, se verrà il dolore, che sia vissuto con amore.
"Buon anno, amici, buona vita!"

- Adriana Zarri -
(1919-2010)



Buon inizio d'anno!!

Il Dio di ogni consolazione
disponga nella sua pace i vostri giorni,
e vi conceda i doni della sua grazia.

Stefania


martedì 24 dicembre 2019

Un'educazione davvero speciale - Ezio Risatti sdb

La famiglia di Nazareth rappresenta, per i cristiani, una realtà e un modello cui ispirarsi per dar vita a legami d'affetto, d'amore e di comprensione capaci di rafforzarsi e rinnovarsi di giorno in giorno.
Forse non tutti sanno che la domenica che separa il Natale dall'Epifania la Chiesa è solita festeggiare la famiglia che per ogni cristiano rappresenta il modello cui ispirarsi: quella di Nazareth, formata da Gesù, Maria e Giuseppe. Un nucleo famigliare in cui ciascun componente si dimostra all'altezza del proprio ruolo e in cui i legami d'affetto, d'amore e di comprensione sembrano rafforzarsi e rinnovarsi di giorno in giorno. 
Una famiglia senza dubbio speciale, investita di una missione unica e irripetibile per il destino dell'umanità, che pare mettere in pratica una serie di comportamenti virtuosi alla portata di tutte le famiglie ma non di rado sottovalutati.
La forza silenziosa dell'esempio
Persone semplici e concrete, Maria e Giuseppe sembrano consapevoli del fatto che la forza silenziosa dell'esempio sia infinitamente più potente e persuasiva della sovrabbondanza, non di rado vuota e ridondante, delle parole. 
È per questo che - secondo quanto riferisce la tradizione - per trasmettere al piccolo Gesù valori importanti quali svolgere con impegno il proprio dovere o dedicare tempo ed energie a chi ne ha bisogno non si dilungano in "prediche" ma li vivono concretamente ogni giorno. 
E non cominciano a farlo dal giorno in cui Gesù vede la luce nella grotta di Betlemme ma assai prima, come dimostrano la perizia e la cura che hanno reso Giuseppe uno dei falegnami o dei carpentieri più richiesti e apprezzati dai suoi concittadini (il termine greco "tektòn", usato da Matteo nel versetto cinquantacinque del tredicesimo capitolo del suo Vangelo, designa entrambe le professioni). 
O la decisione di Maria di allontanarsi dalla casa dei genitori per mettersi in viaggio e raggiungere la cugina Elisabetta, in dolce attesa, per aiutarla a svolgere le faccende domestiche, come testimonia il primo capitolo del Vangelo di Luca.
L'educazione alla concretezza ha senza dubbio "radici" divine, ed è quella che - come narra Matteo nel settimo capitolo del suo Vangelo - spinge Gesù a ripetere, con sfumature diverse, nel corso della sua predicazione: "Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli".
Declinare il linguaggio dell'amorevolezza
Un altro elemento che sembra emergere sfogliando le pagine dei Vangeli di Matteo e di Luca - i soli a raccontare, per sommi capi, l'infanzia e l'adolescenza di Gesù - è che nella famiglia di Nazareth non si urla, non si insulta e non si alzano le mani.
Come pedagoghi di razza, Maria e Giuseppe crescono Gesù servendosi di tre "ingredienti" irrinunciabili: la dolcezza, l'amorevolezza e l'autorevolezza. 
Per aiutare Gesù ad ambientarsi e a orientarsi nella realtà che lo circonda Maria e Giuseppe sono propositivi, non usano minacce o parole offensive e men che mai ricorrono a scatti d'ira o a gesti violenti. 
Sono consapevoli che la dolcezza, accompagnata dalla fermezza, è lo strumento più potente per educare e indicare in modo semplice e intuitivo la strada giusta da percorrere.
Dolcezza, amorevolezza e autorevolezza rappresentano - infatti - una costante di Gesù nell'approccio con gli uomini e con le donne che incrocia sul proprio cammino, come dimostra l'incontro con l'adultera narrato nell'ottavo capitolo del Vangelo di Giovanni. 
Rimasto solo con lei, dopo che gli scribi e i farisei si sono allontanati perché nessuno si è sentito di condannarla scagliando contro di lei la prima pietra, le dice: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più". 
Una frase che trabocca di dolcezza e di amorevolezza nel rifiuto di condannare ma che esorta, con autorevolezza, a inaugurare un modo di vivere nuovo e il più possibile lontano dal peccato.

- Ezio Risatti sdb -


Dio non è lontano da noi, sconosciuto, enigmatico, forse pericoloso. 
Dio è vicino a noi,  così vicino che si fa bambino, e noi possiamo dare del “tu” a questo Dio. 

- papa Benedetto XVI -

Questo Natale
    apra il nostro cuore e il nostro spirito
    al canto degli angeli di Betlemme:
    “Gloria a Dio nel più alto dei cieli”.
Questo Natale
    ci ricordi la nostra vocazione
    di testimoni e messaggeri di Gesù,
    Principe della pace.
Questo Natale
    ci impegni a render grazie a Dio
    per i suoi doni meravigliosi
    e a condividere ciò che
    noi riceviamo dalle sue mani.
Questo Natale
    ci insegni a perdonare senza stancarci
    e a vedere nei nostri nemici
    dei fratelli amati da Dio.
Questo Natale,
    ci faccia rassomigliare a Gesù,
    vincitore di ogni tentazione,
    forte dinanzi allo spirito del male.
Questo Natale
    ci renda raggianti di gioia,
    perché accogliamo fra noi
    il Figlio prediletto del Padre.

Nella notte di Betlemme si è levato un inno di gioia e di pace. Tu che ci ami così come siamo, guarda i nostri cuori e convertili alla comunione perché piccole o grandi cose non ostacolino la nostra ricerca di bene.


Oggi su noi tutti splende la luce:
è nato per noi il Signore,
Dio onnipotente è il suo nome,
principe della pace.
Il suo regno non avrà mai fine.
La gioia è dentro i nostri cuori
e illumina i nostri volti:
nel tuo volto, bambino Gesù,
vediamo il sorriso ed il volto di Dio
che viene a portarci la gioia e la pace.
L’amore è dentro i nostri cuori
e ci rende generosi:
nelle tue mani, bambino Gesù,
vediamo Dio che si protende verso di noi
e ci abbraccia con infinito amore.
La pace è dentro i nostri cuori
e ci rende pieni di gioia di vivere:
nella tua culla, bambino Gesù,
vediamo Dio che vuole abitare tra noi
per far crescere la pace nel mondo.



Carissimi amici ed amiche che mi seguite da così tanto tempo
un felice e soprattutto sereno Natale a tutti voi e alle vostre famiglie :-)