"Anno nuovo, vita
nuova. Da quest'anno smetto di fare cosa vogliono gli altri e faccio di testa
mia!".
È l'impegno che ogni
trecentosessantacinque giorni - trecentosessantasei negli anni bisestili - un
gran numero di uomini e di donne prendono con se stessi man mano che si
avvicina lo scoccare della mezzanotte.
Una promessa che merita di essere
mantenuta, ma ad alcune condizioni…
Un esercito di
"maestri".
Anche se molti pensano di
essere liberi e indipendenti, la realtà dimostra che - dal momento della nascita
a quello della morte - si è sottoposti a messaggi che, in modo più o meno
subdolo, tendono a orientare la volontà, le aspirazioni e i desideri.
"Maestri" di vita che - talora consigliando e indirizzando, talaltra
ammiccando o minacciando - inducono le persone a fare ciò essi reputano essere
il loro bene.
Cominciano, quando si è ancora in fasce, i genitori e i famigliari impegnati a evitare che il neonato caschi dal passeggino e si faccia male e ad insegnargli a distinguere - man mano che acquista consapevolezza di sé e del mondo che lo circonda - ciò che gli fa bene da ciò che è nocivo.
Cominciano, quando si è ancora in fasce, i genitori e i famigliari impegnati a evitare che il neonato caschi dal passeggino e si faccia male e ad insegnargli a distinguere - man mano che acquista consapevolezza di sé e del mondo che lo circonda - ciò che gli fa bene da ciò che è nocivo.
Continuano, negli anni
della scuola e della giovinezza, i professori e gli amici, che - tra una
lezione, una pizza e una partita di calcetto - propongono la propria visione
della vita e del mondo.
Si aggiunge, lungo tutto il corso della vita,
l'influenza dei mezzi e delle tecniche di comunicazione sociale: radio, cinema,
televisione, Internet e social network propongono instancabilmente - a ritmi
sempre più frenetici - suggerimenti, strategie di comportamento, interventi di
specialisti, "consigli per gli acquisti" più o meno invadenti per
divulgare mode e modi di vivere e di pensare.
Si tratta, non di rado, di messaggi in conflitto tra loro.
Si tratta, non di rado, di messaggi in conflitto tra loro.
Come quando, per
esempio, si assiste - nel corso del medesimo intervallo pubblicitario - a uno
spot che invita a non rinunciare mai alla bontà di un dolce imbottito di creme
e di zuccheri seguito da un altro che esalta l'importanza di una vita sana e
senza grassi ed esorta a pranzare a base di barrette dietetiche.
A dar retta a
tutti c'è il rischio concreto di diventare pazzi…
Scavare nel profondo per
essere più veri
Di fronte a questa cascata
inesauribile di stimoli e di suggestioni è quanto mai fondamentale imparare a
ragionare con la propria testa, a lavorare su se stessi per comprendere sempre
più a fondo il proprio essere e la propria vocazione profonda.
Non si tratta,
naturalmente, di trasformarsi in "schegge impazzite" tese ad
assecondare i capricci superficiali del momento ma di diventare
progressivamente uomini e donne capaci di scavare dentro se stessi per depurare
i desideri profondi da sensazioni, emozioni e stati d'animo passeggeri e, non
di rado, fuorvianti.
"Conosci te stesso" era scritto sulla facciata del tempio di Apollo, a Delfi, e non si stancavano di raccomandare Socrate e le scuole filosofiche dell'antica Grecia ai propri discepoli. E il loro ammonimento è ancora attuale.
"Conosci te stesso" era scritto sulla facciata del tempio di Apollo, a Delfi, e non si stancavano di raccomandare Socrate e le scuole filosofiche dell'antica Grecia ai propri discepoli. E il loro ammonimento è ancora attuale.
Conoscere se stessi è un lavoro, un cammino faticoso ma essenziale per essere
sempre più in grado di valutare consapevolmente se e in quale misura accogliere
o rifiutare la miriade di stimoli e di condizionamenti più o meno invadenti e
subdoli che provengono quotidianamente dall'esterno.
Il sintomo che rivela che si sta "scavando" davvero dentro se stessi e si sta crescendo nella consapevolezza di sé è l'aumento della stima nei propri confronti, la soddisfazione - che si rinnova e si amplifica di volta in volta - per aver saputo dire dei sì e dei no coerenti con il proprio percorso di vita. Imparare a guidare sempre più responsabilmente la propria esistenza e a non diventare pedine nelle mani di chi ha tutto l'interesse a trasformare le persone in "burattini" è, senza dubbio, non solo la sfida di quest'anno, ma di tutti gli anni futuri.
Il sintomo che rivela che si sta "scavando" davvero dentro se stessi e si sta crescendo nella consapevolezza di sé è l'aumento della stima nei propri confronti, la soddisfazione - che si rinnova e si amplifica di volta in volta - per aver saputo dire dei sì e dei no coerenti con il proprio percorso di vita. Imparare a guidare sempre più responsabilmente la propria esistenza e a non diventare pedine nelle mani di chi ha tutto l'interesse a trasformare le persone in "burattini" è, senza dubbio, non solo la sfida di quest'anno, ma di tutti gli anni futuri.
- Ezio Risatti, sdb -
Ecco, Signore, un anno nuovo
Ecco, Signore, un anno nuovo. Non
sappiamo come sarà e possiamo solo sperare e farci auguri inutili che tuttavia
carichiamo di buoni auspici.
"Buon anno! Buon anno!" ci
diciamo; e l'esclamazione rimbalza e si diffonde come quando diciamo "buon
giorno!" o "buona notte!" e il più delle volte si tratta quasi
di un intercalare, privo di consistenza, privo di umana solidarietà: una vuota
abitudine, a livello di pura cortesia.
Potrebbe esprimere affetto, salire
dall'umana simpatia fino a giungere alla cristiana carità; e invece non esprime
più nulla: è una pura emissione di voce, una mera espressione di buone maniere
prive ormai di sentimenti veri.
Ci scivola, scialba, sulla lingua, impegnando
soltanto i muscoli vocali, spesso neanche la mimica facciale, spesso neanche un
sorriso accompagna la voce: "buon giorno" e basta, senza nulla
dietro.
Forse, Signore, l'abbiamo detto troppe volte; e quel giorno non è più un giorno con l'alba e il tramonto, il sole che sorge e monta, alto, nel cielo e poi declina, nella sera; e l'augurarlo buono non è più un auspicio di gioia: è una specie di pedaggio obbligato, imposto dalla nostra civiltà, quando incrociamo un conoscente. Forse, Signore, l'abbiamo detto troppe volte e quel giorno non è più un giorno e la bontà non è più una bontà.
Forse, Signore, l'abbiamo detto troppe volte; e quel giorno non è più un giorno con l'alba e il tramonto, il sole che sorge e monta, alto, nel cielo e poi declina, nella sera; e l'augurarlo buono non è più un auspicio di gioia: è una specie di pedaggio obbligato, imposto dalla nostra civiltà, quando incrociamo un conoscente. Forse, Signore, l'abbiamo detto troppe volte e quel giorno non è più un giorno e la bontà non è più una bontà.
L'uso continuo ce l'ha consumato
nella bocca e nel cuore perché, di solito, noi non sappiamo reggere alla
reiterazione senza perdere la verità e la partecipazione degli inizi. Ed invece
dovremmo; e ricordarci che, ogni volta, è come se fosse la prima: anzi è in
effetti la prima che, in quel momento, diciamo o facciamo o siamo; e dopo sarà
un'altra, differente, anche se le somiglia, ma la stessa non è.
Esiste perfino un vecchio assioma, che ripetono i nostri moralisti, il quale afferma: "ab assuetis non fit passio", non ci commoviamo più, ai gesti consueti e ripetuti.
Esiste perfino un vecchio assioma, che ripetono i nostri moralisti, il quale afferma: "ab assuetis non fit passio", non ci commoviamo più, ai gesti consueti e ripetuti.
Che triste filosofia, Signore!
Se fosse vera
distruggerebbe il matrimonio, l'amicizia: tutto distruggerebbe; e il nostro
mondo farebbe naufragio in un mare piatto, senza onde, senza nessuna
increspatura di stupore, di emozione, di passione, senza entusiasmo, senza nulla.
Non ci credo, Signore, a quell'assioma che ho studiato a scuola; anche se so
che grava su di noi, come una perenne minaccia; e che il tempo può rinnovare
ma, più spesso, consuma. E il combattere questo incombente appiattimento è
l'impegno primario della nostra vitalità e novità e perdurante fervore. E so
anche che non ci può riuscire senza il tuo aiuto, perché tu non se il Dio delle
cose vecchie e ripetute senza partecipazione: tu sei il Dio vivente delle cose
viventi e risorgenti dalla tomba del tempo che le uccide; ma poi lo stesso
tempo ce le rimette in mano, nuove. Questo, Signore, sei, e non il Dio della
passione spenta: quella passione che la nostra omiletica ha sovente umiliato
riducendola ai "bassi istinti" (e quali sono, poi gli istinti bassi
se non quelli abbassati da noi?).
La passione è l'emozione e l'entusiasmo che
dovremmo versare su ogni cosa; e tu, Signore, tu sei il Dio della passione
accesa, che non si spegne mai, come non si spegne la fede, la speranza, la
carità. (Ed è ben vero che san Paolo dice che la speranza cessa nella vita
futura, davanti a te, raggiunto. Ma tu, Signore, anche raggiunto, resti
irraggiungibile, sempre al di là d'ogni possibile presa, e sempre oggetto di
ogni ulteriore speranza.)
Tu, Signore, sei il Dio della passione sempre accesa, della speranza inestinguibile e della novità che non invecchia: sei il Signore che ci difende all'usura del già detto e ci ridà la gioia di ciò che è nuovamente da dirsi, da farsi, da viversi. Ed il "buon giorno" ritorna ad essere un "buon giorno", ricco di cielo e di sole; e il "buona notte" ricco di stelle e di luna; ed entrambi ricchi di simpatia e di amore.
Così, Signore, sia per il nostro "buon anno!" che, in questi giorni, diciamo tanto spesso. Fa che sia un anno pieno di stagioni, di erbe primaverili, e di affocate stoppie estive, e di frutti pendenti dell'autunno, e di silenzio candido e innevato, di fuochi accesi, di tavole imbandite come quelle che accoglievano te, quando pranzavi con gli amici.
Riempi, Signore, i nostri auguri; di questa densità esistenziale; e dacci la passione dell'amicizia e la capacità di auspici veri.
Tu, Signore, sei il Dio della passione sempre accesa, della speranza inestinguibile e della novità che non invecchia: sei il Signore che ci difende all'usura del già detto e ci ridà la gioia di ciò che è nuovamente da dirsi, da farsi, da viversi. Ed il "buon giorno" ritorna ad essere un "buon giorno", ricco di cielo e di sole; e il "buona notte" ricco di stelle e di luna; ed entrambi ricchi di simpatia e di amore.
Così, Signore, sia per il nostro "buon anno!" che, in questi giorni, diciamo tanto spesso. Fa che sia un anno pieno di stagioni, di erbe primaverili, e di affocate stoppie estive, e di frutti pendenti dell'autunno, e di silenzio candido e innevato, di fuochi accesi, di tavole imbandite come quelle che accoglievano te, quando pranzavi con gli amici.
Riempi, Signore, i nostri auguri; di questa densità esistenziale; e dacci la passione dell'amicizia e la capacità di auspici veri.
"Buon anno, amici, buon anno!" Più di trecento giorni pieni di sole, di luna, di nuvole, di neve; più di trecento giorni, pieni di solidarietà e di gioia; e, se verrà il dolore, che sia vissuto con amore.
"Buon anno, amici, buona vita!"
- Adriana Zarri -
(1919-2010)
Buon inizio d'anno!!
Il Dio di ogni consolazione
disponga nella sua pace i vostri giorni,
e vi conceda i doni della sua grazia.
disponga nella sua pace i vostri giorni,
e vi conceda i doni della sua grazia.
Stefania