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domenica 11 giugno 2023

2 giugno 2002 Corpus Domini - card. Carlo Maria Martini

Penso al 2 giugno del 2002, quando il Cardinale Martini in occasione della processione del Corpus Domini ha ricordato i suoi 23 anni trascorsi tra noi, ( il giorno del suo ingresso fece lo stesso percorso della processione eucaristica )
Milano, 2 giugno 2002

In questa processione abbiamo ripetuto lo stesso percorso del 10 febbraio 1980, quando, procedendo a piedi dal Castello verso il Duomo, davo inizio al mio ministero episcopale a Milano.
È perciò per me motivo di grande commozione l'avere ripercorso 22 anni dopo lo stesso itinerario. Durante il tragitto, mentre portavo tra le mie mani il Signore presente nell'Eucaristia, pensavo a tutti quelli che allora c'erano e oggi non ci sono più. Pensavo a tutti quelli che allora erano bambini e adolescenti e ora sono adulti, a quelli che allora erano adulti ed ora sono anziani, come lo sono io.
Anche per me infatti sono passati tanti anni, sono maturate tante esperienze, si sono succeduti tanti incontri, sono avvenute tante vicende. Ma su tutte e in tutte leggo ora la presenza amabile e il chiarore mite dell'Eucaristia.
Per questo siamo di nuovo qui in tanti a ringraziare il Signore e a ringraziarlo proprio perché lui non è cambiato. Lui è il Signore di ieri, di oggi e di sempre. La sua presenza nell'Eucaristia e nella Parola ci stimola oggi come allora, anzi con la forza ancora più grande che viene dalla memoria delle tantissime grazie ricevute.
Pure la pagina evangelica che è stata proclamata più volte in questa processione è la stessa di quella domenica 10 febbraio 1980, ripresa poi dal Papa nel documento sul terzo millennio (NMI) e da me nella ultima lettera pastorale "Sulla tua Parola". Allora come oggi ascoltavamo le parole di Pietro: Gesù sulla tua parola getterò le reti. Allora sentivo che, fidandomi della parola del Signore, le reti si sarebbero riempite, e mi pareva di poter pronunciare le parole ardite di Pietro, presenti nell'altra pagina evangelica letta durante la processione: Signore, se sei tu, comanda che venga a te camminando sulle acque!
E' davvero un camminare sulle acque il portare la responsabilità di arcivescovo di Milano, cioè qualcosa di umanamente troppo arduo, che si può attuare solo fidandosi del Signore, della sua grazia, espressa anche nella bontà e pazienza di tutti voi, nella dedizione di tutti i miei preti e dei miei più stretti collaboratori, nell'accoglienza e nella collaborazione di tutte le forze vive della città. Il Signore mi ha fatto sentire ogni giorno di più la mia fragilità e insieme la sua bontà, e della sua bontà voi siete stati strumento.
Ricordo l'altra pagina che veniva proclamata qui in Duomo all'inizio del mio ministero, dal libro del profeta Isaia: Ohimè che uomo dalle labbra impure io sono! Ma il Signore stesso mi prometteva di purificarmi con carboni ardenti, perché potessi proclamare la sua Parola.
Possiamo dunque dire che tutti questi anni sono stati ritmati e scanditi dalla parola di Dio e che la Parola ci ha portato al mistero dell'Eucaristia.
L'Eucaristia al centro della città
L'Eucaristia infatti è al centro della comunità e le comunità cristiane la attuano nella santa messa, che sta al centro della comunità e al centro della città.
Al centro di una città, la quale, come ha detto il Papa in un discorso del 13 maggio scorso ai sindaci di varie metropoli, " è molto più di un territorio, di un'aria economica produttiva, di una realtà politica. È soprattutto una comunità di persone, in particolare di famiglie con i loro figli. È un'esperienza umana viva, radicata storicamente e distinta culturalmente".
"La componente etica di una città - aggiunge il Papa - dovrebbe essere soprattutto basata sul concetto di solidarietà. In una città si affrontano una tale massa di problemi economici, sociali e culturali che non si possono risolvere senza la creazione di un nuovo stile di solidarietà umana. Per questo istituzioni e organizzazioni sociali a diverso livello… devono partecipare alla promozione di un movimento generale di solidarietà tra tutti i settori della popolazione, prestando un'attenzione speciale ai deboli e agli emarginati. Non è solo una questione di convenienza. È una necessità dell'ordine morale al quale tutti vanno educati". Tutti noi siamo chiamati a impegnarci per questa questione di coscienza, responsabili civili, religiosi e militari della città e cittadini.
"Lo scopo della solidarietà - dice ancora il Papa - dev'essere il progresso di un mondo più umano per tutti, un mondo al quale un individuo possa partecipare in modo positivo e fecondo e in cui il benessere di alcuni non sia più un ostacolo allo sviluppo degli altri, ma un aiuto".
L'Eucaristia al centro della città, che abbiamo proclamato con la nostra processione, è custode e promotrice di solidarietà. Come mi esprimevo alcuni anni fa in una lettera alla città dal titolo "Alzati, va' a Ninive la grande città! ", riferendomi anche a una riflessione di don Giuseppe Dossetti, l'Eucaristia che noi celebriamo è il sale, il lievito, la luce e l'anima della città. La Chiesa che si realizza nell'Eucaristia è come "una manifestazione anticipata della polis salvata. Polis tutta sui generis, che non governa e non ha potere, che non muove verso gli altri per quello che hanno di appetibile, ma unicamente per quello che sono in mysterio (cioè davanti al mistero di Dio, anche se poveri, incoscienti, in tutto inappetibili): cioè non incontra l'uomo dall'esterno e in superficie, ma lo incontra nel suo sé più intimo, più invisibile... creando e divulgando dovunque un'atmosfera di rispetto, di comprensione, di fiducia, di valorizzazione degli esclusi, di amore oblativo, indipendente da ogni condizione esterna mutevole".
Nell'ultimo capitolo del libro dell'Apocalisse è scritto che "in mezzo alla piazza della città…si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese: le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni " (Apocalisse 22,2). E' questo l'albero di cui ci nutriamo continuamente, l'albero dell'Eucaristia, albero che non verrà mai meno, pure nel cambio dei vescovi, perché l'Eucaristia è sempre la stessa, chiunque la celebri e da essa la città trarrà sempre il suo frutto ristoratore.
Affidiamo a Maria, che la Chiesa d'oriente chiama "albero dal bel frutto di cui si nutrono i fedeli", questa visione fiduciosa della città con al centro l'Eucaristia. E ciascuno di noi si senta spinto da tale visione a contribuire al bene della città con scioltezza e disinteresse. Il bene della città è troppo grande, troppo prezioso perché lo possiamo trascurare o in qualche modo dimenticare. L'Eucaristia celebrata in questo Duomo, centro spirituale della città, sarà sempre un segno di speranza e un pegno di futuro sereno e operoso.

- Card. Carlo Maria Martini - 


"Anima di Cristo, santificami.
Corpo di Cristo, salvami.
Sangue di Cristo, inebriami.
Acqua del costato di Cristo, lavami.
Passione di Cristo, confortami.
O buon Gesù, esaudiscimi.
Dentro le tue ferite nascondimi.
Non permettere che io
mi separi da te.
Dal nemico maligno difendimi.
Nell'ora della mia morte chiamami.
Comandami di venire a te,
perché con i tuoi Santi io ti lodi.
nei secoli dei secoli. Amen."



Buona giornata a tutti :-)







giovedì 6 aprile 2023

Farò la Pasqua da te, Omelia della Messa "In Coena Domini" - Cardinale Carlo Maria Martini

Siamo riuniti in questo Duomo per rivivere ancora una volta con Gesù la sua "ora", l'ora di passare da questo mondo al Padre, per rivivere l'ultima sera trascorsa da Gesù con i suoi, per riascoltare la parola riportata dal testo evangelico e che Gesù ripete a ciascuno di noi in questo momento: "Farò la Pasqua da te", ti voglio a cena con me. 
Ci siamo riuniti per contemplare ancora una volta quel gesto inaudito della lavanda dei piedi, gesto che io stesso ho compiuto per esprimere ai nostri fratelli senza tetto e senza fissa dimora l'amore di Gesù per loro, la tenerezza infinita di Dio, l'affetto della Chiesa, l'attenzione della società.

La liturgia ambrosiana del Giovedì santo richiama diversi eventi della passione di Gesù dall'ultima Cena al rinnegamento di Pietro. Ma in questo Anno santo ci lasciamo muovere dal suggerimento del santo Padre. Egli, nella Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì santo, che ha voluto firmare dal Cenacolo, scrive: "A duemila anni dalla nascita di Cristo, in questo Anno giubilare, dobbiamo in modo particolare ricordare e meditare la verità di quella che potremmo chiamare la sua nascita eucaristica. Il Cenacolo è appunto il luogo di questa nascita: qui è cominciata per il mondo una presenza nuova di Cristo, una presenza che si produce ininterrottamente, dovunque è celebrata l'Eucaristia e un sacerdote presta a Cristo la sua voce, ripetendo le parole sante dell'istituzione... Ne vogliamo oggi prendere coscienza con il cuore colmo di stupore e di gratitudine, e con tali sentimenti entrare nel Triduo pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo" (13).

Siamo dunque invitati dalle parole del Papa ad approfondire la coscienza di questo dono immenso che è il cuore della vita ecclesiale ed è il cuore del mondo; l'Eucaristia è come il punto da cui tutto si irradia e a cui tutto conduce.

L'ORA DI GESÙ

Vorrei partire dal gesto della lavanda dei piedi, raccontato solo da Giovanni, l'evangelista che parla più ampiamente dell'ultima sera trascorsa da Gesù con i suoi. Egli ci fa comprendere come finalmente sia giunta l'ora tanto attesa da Gesù, ora ardentemente desiderata, accuratamente preparata, spesso annunciata: l'ora di mostrarci il suo amore infinito consegnandosi a chi lo tradisce, l'ora del dono supremo della sua libertà.

L'evangelista infatti sottolinea che "il Padre gli ha dato tutto nelle mani" a indicare che Gesù è pienamente libero di scegliere per amore quello che accadrà, di confermare la scelta fatta dopo il Battesimo nel Giordano: la scelta di rinunciare a un messianismo di potere e di preferire la via della croce. In quella notte in cui si compie tale scelta, Gesù avverte il bisogno di aprirsi, di confidarsi con i suoi, di parlare loro a lungo del Padre, dello Spirito santo, di affidare loro i segreti del suo Cuore.

Ma ecco che prima di iniziare i discorsi di addio, di lasciarci le parole più profonde che siano state pronunciate nella storia dell'umanità, pone in atto il misterioso gesto: si mette in ginocchio e lava i piedi ai suoi. Un gesto che tiene addirittura il posto, nel vangelo di Giovanni, dell'istituzione dell'Eucaristia, perché sta a significare ciò che avviene nell'Eucaristia e ciò che avverrà sul Calvario. Nella lavanda dei piedi ai discepoli, noi contempliamo la manifestazione dell'Amore Trinitario in Gesù che si umilia, si mette a disposizione dell'uomo, di tutti gli uomini, rivelandoci cosi che Dio è "umile" e manifesta la sua onnipotenza e la sua suprema libertà anche nell'apparente debolezza. In Gesù che lava i piedi è simboleggiato il mistero dell'Incarnazione, dell'Eucaristia, della Croce; e ci chiede di imitarlo, ci insegna che attraverso un umile servizio di amore ai fratelli noi possiamo trasformare il mondo e offrirlo al Padre in unione con la sua offerta.

Questo servizio noi l'abbiamo vissuto in maniera particolare poco fa, pensando ai nostri fratelli senza tetto e senza fissa dimora. E' un grave problema che riguarda la società civile, la nostra città, l'area metropolitana, la regione. Le autorità civili, la Chiesa e il volontariato cercano di fare quanto possono, ma il problema rimane grave. Per questo visiterò, subito dopo la Messa, e porterò l'augurio di Pasqua ad alcune istituzioni in cui volontariato e città si sforzano di dare qualche risposta ai bisogni primari di tanti nostri fratelli e sorelle, per invitare ciascuno a un impegno sempre più deciso a favore di questa dolorosa emergenza.

L'EUCARISTIA

Il brano di Matteo e il testo di san Paolo ci riferiscono l'istituzione dell'Eucaristia. Il racconto è molto semplice, quasi scarno, ma il contenuto è straordinario.

Nel corso dell'ultima Cena Gesù prende il pane, rende grazie a Dio, lo spezza e dice: "Questo è il mio corpo". Dopo aver cenato prende anche il calice e dice: "Questo è il mio sangue dell'alleanza". Nelle sue mani il pane e il vino diventano lui stesso. Quando dunque mette un pezzetto di quel pane nelle mani di Pietro, di Giovanni, di Andrea, di Giuda, è come se dicesse: "Sono io, non temere, mi metto nelle tue mani, mi fido di te e mi affido a te, perché tu faccia una cosa sola con me".

E' un mistero incredibile, inaudito, che non finiremo mai di adorare e di contemplare: nell'Eucaristia, tu, Signore Gesù, ti consegni a noi totalmente, indipendentemente dai sentimenti con cui ti accogliamo. Come nel giorno della tua nascita a Betlemme ti sei rimesso completamente nelle mani di Maria, come nel Venerdì santo ti rimetterai nelle mani del Padre tuo, così nell'Ultima Cena, questa sera e ogni volta che riceviamo la comunione eucaristica, tu, Gesù ti abbandoni nelle nostre mani, nelle mie mani.

Per questo il Papa, nella Tertio millennio adveniente scrive: "Il Duemila sarà un anno intensamente eucaristico: nel sacramento dell'Eucaristia il Salvatore, incarnatosi nel seno di Maria venti secoli fa, continua a offrirsi all'umanità come sorgente di vita divina" (55).

È davvero illimitato il desiderio del tuo cuore, o Signore, di entrare in comunione con noi!

LA BELLEZZA CHE SALVA

E anche se nelle ore dolorose e buie della passione, Gesù sembrerà in balìa degli eventi, in realtà egli regna sugli eventi e regnerà dalla croce. L'Eucaristia, nella quale annunciamo la morte del Signore e proclamiamo la sua risurrezione nell'attesa del suo ritorno, è il luogo in cui la Trinità continua a rivelarsi al mondo come Amore che salva, come Bellezza che salva.

Chiediamo dunque alla Madonna di prepararci ad accogliere Gesù nella comunione eucaristica come lo ha accolto lei, ad accoglierlo offrendogli tutta la nostra vita, tutta la nostra umanità affinché l'Eucaristia ci pervada e ci trasformi in oblazione gradita al Padre.

Chiediamo a Gesù, per intercessione di Maria, di sperimentare che l'Eucaristia è anche un mistero di comunione ecclesiale, di comunione con tutti coloro che condividono lo stesso pane e lo stesso calice. "O Gesù, tu che al termine dell'Ultima Cena, hai rivolto al Padre tuo la grande preghiera per l'unità di tutti i membri del tuo Corpo, aiutaci a comprendere che questa unità nasce dall'Eucaristia e ad essa si alimenta".

Mi piace concludere con alcune parole del Papa nella Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì santo, là dove dice ai sacerdoti: "Facciamo riscoprire il tesoro dell'Eucaristia alle nostre comunità specialmente nella celebrazione della solenne assemblea domenicale. Cresca, grazie al vostro lavoro apostolico, l'amore a Cristo presente nell'Eucaristia. È un impegno che assume una rilevanza particolare in questo Anno giubilare". Il Papa annuncia poi, in questo contesto, il Congresso Eucaristico internazionale che si terrà a Roma nel prossimo mese di giugno. Congresso che "evidenzierà l'intimo rapporto tra il mistero dell'incarnazione del Verbo e l'Eucaristia, sacramento della reale presenza di Cristo" (15).

"O Maria, Madre dell'Eucaristia, rendici partecipi della tua lode e del tuo canto di grazie per il tesoro stupendo dell'Eucaristia". 

Duomo di Milano, 20 aprile 2000


In ginocchio con fare umile lavasti i piedi dei tuoi apostoli.
Anche quelli di Giuda baciasti con lo stesso amore che mostrasti per Pietro e per tutti quei figli spirituali che sarebbero scappati dopo poche ore lasciandoti solo.
In ginocchio, senza vergogna, con la semplicità di un amore che sa solo donare.
Cenasti con loro, ceni con noi, 
e ancora oggi sappiamo scappare ma non inginocchiarci.
Sappiamo amare chi ci dona ma allontaniamo chi non ricambia.
Solo, in quel giardino.
Solo davanti alla prova.
Solo davanti alla gratuita violenza.
Solo senza un lamento, senza rabbia, 
con dolcezza infinita donasti a chi ti aveva rinnegato 
il mandato di pastore di questo gregge.
Solo sulla croce, un vento leggero, la Trinità é compiuta.


Buon Giovedì del triduo Pasquale.


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giovedì 16 febbraio 2023

da: Sulla tua Parola, lettera pastorale 2001 – Card. Carlo Maria Martini

Chiedere perdono è difficile e nel farlo pubblicamente si rischia di cadere nella retorica. 
Come Vescovo ho sentito una istintiva preferenza per la centralità della pastorale diocesana e parrocchiale.
E tuttavia vi sono momenti nei quali non posso non riconoscermi nel senso di fatica e di frustrazione di Pietro che dice: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla” (Lc 5,5) ed esclama: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore!” (Lc 5,8).
Mi pare di avere compreso che il Signore ci mette in posizioni di responsabilità anche perché sperimentiamo ripetutamente che, per quanto riguarda noi, siamo immensamente fragili, poveri e inadeguati. 
Si giunge ad esclamare con sorpresa: non pensavo di essere così debole! 
Si ha davvero l’impressione che il Signore ci spogli, ci purifichi, ci strizzi e ci sbatta come un panno da lavare affinché ci rendiamo conto che “da noi stessi siamo incapaci di pensare qualcosa come proveniente da noi” e che “la nostra capacità viene da Dio” (cfr. 2 Cor 3,5). 
Pesano su di noi non solo le mancanze e i peccati personali ma anche le omissioni di fronte alle molte cose che urgono e soprattutto quell’assillo quotidiano (cfr. 2 Cor 11,28s), quella responsabilità per il cammino della Chiesa che ci fa interrogare con ansia: ma ciò che stiamo facendo, ciò che sto proponendo è davvero secondo il Vangelo? 
Non stiamo per caso tradendo il mandato di Gesù?
Non corriamo il pericolo di trascurare ciò che è essenziale? 
Non ci lasciamo forse ingannare dalla routine, dalla pigrizia, da un vano timore, dall’amore dei nostri comodi, dallo spirito mondano? 
Queste e simili interrogazioni lacerano il cuore e se non fosse per la fiducia nel Dio misericordioso ne saremmo come schiacciati. 
In questo quadro di riconoscimento delle nostre fragilità vorrei sottolinearne in particolare alcune. 
Vorrei confessare a Dio e a voi, il senso di inadeguatezza relativo ai rapporti di comunione (così mirabilmente espressi nella NMI, nn.43-45).
Fermo restando tutto quanto ho appena detto al Signore nella confessio laudis, devo ammettere che spesso non ho coltivato le vicinanze, non ho saputo creare e intrattenere con molti quei rapporti di affetto semplice e cordiale pur tanto desiderati.

Riconosco che da una parte il mio stile, la mia educazione e il mio temperamento unito al peso del ruolo, dall’altra le dimensioni oggettive della diocesi non mi hanno consentito di fare di più, e me ne dolgo. 

Spesso sono stato giocato dalla fretta, dalla stanchezza, dalle urgenze che premevano, dai miei limiti personali. 

É proprio questo, però, che mi fa cogliere ancor più l’eccesso della bontà divina a fronte della mia povertà e pochezza. 

L’affetto di cui sono stato circondato non solo da tanti singoli, in particolare dai miei più stretti collaboratori, ma anche dalla gente, dalle tante parrocchie e comunità che ho visitato, mi commuove, mi arricchisce, mi sostiene. 

In altre parole, l’impatto con la Chiesa di Milano e anche con la società civile mi ha dato immensamente più di quanto io non abbia saputo dare o avrei potuto immaginare. 

Chiedo perdono comunque a quanti non si fossero sentiti amati come avrebbero desiderato o atteso: ai vescovi e vicari episcopali, ai collaboratori di curia, ai presbiteri e diaconi, tutti compagni preziosi e infaticabili del mio quotidiano servizio; ai consacrati e alle consacrate che hanno sostenuto con la preghiera e con tante opere di carità e di evangelizzazione la missione della Chiesa milanese; ai laici, che a volte mi avrebbero voluto più dalla loro, nonostante i tanti miei pronunciamenti a favore della corresponsabilità e dell’impegno comune.

Chiedo perdono ai gruppi, alle associazioni e ai movimenti che si fossero sentiti poco valorizzati o sostenuti da me. 

Ho sempre goduto di fronte a testimonianze autentiche di vangelo vissuto, dovunque si trovassero, ma ho avuto anche difficoltà nel comprendere alcune logiche che mi sembravano particolaristiche e autoreferenziali. 

Ho sognato che parrocchie e movimenti potessero unire le energie, riconoscendo ciascuno i propri doni e uscendo dai particolarismi, ma il cammino appare ancora lungo.

L’onestà dell’intenzione non basta certo a soddisfare chi ritenesse di essere stato poco curato o amato: per questo chiedo perdono, e affido alla misericordia di Dio la maturazione dei semi di bene lanciati nel dialogo che mi pare di avere sempre cercato. 

Verso la città e il territorio ammetto di avere spesso faticato a comprendere i complessi meccanismi politico-sociali in atto. 
Milano è stata in questi decenni il laboratorio e la patria di fenomeni di costume e di prassi politica che hanno segnato l’intera nazione. 
Pur avendo desiderato di essere presente e di declinare la Parola in relazione ai fenomeni emergenti, positivi e negativi, denunciando pure la corruzione e le logiche egoistiche talora soggiacenti ai comportamenti collettivi o di gruppi, mi domando se non si poteva fare di più. 
Non basta dire che questo è compito soprattutto dei laici cristiani impegnati nel sociale: ognuno di noi ha la propria parte di responsabilità e io non intendo sottrarmi alla mia. 
Avrei dovuto farmi più carico - anche come intercessore presso Dio - dei peccati più diffusi e degradanti: la corruzione, la droga, la prostituzione, la criminalità organizzata, i peccati contro la vita, le deviazioni sessuali, l’edonismo come stile di vita, le chiusure nel particolarismo... 
Non a mia giustificazione, bensì a testimonianza della convinzione profonda che mi ha guidato, riconosco di aver sempre creduto più nella forza irradiante e contagiosa del bene che nella deplorazione del male: chiedo in ogni caso perdono per quanto si poteva compiere e non è stato compiuto. 
La mia richiesta di perdono si associa a quella che esprimo a nome della mia Chiesa. 
Non è un espediente per dividere a metà le responsabilità; è piuttosto l’espressione della coscienza del mio indissolubile legame col popolo affidatomi da Dio. 
Come ho lodato e benedetto il Signore per i doni che mi ha consentito di discernere in esso, così in comunione con tutti vivo la mia confessio vitae, affidandomi al giudizio di Colui che è la Verità e ci accoglie nella sua misericordia senza limiti: “Il mio giudice è il Signore! Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio” (1 Cor 4,4-5).  

(Carlo Maria Card. Martini)
Fonte:  Sulla tua Parola. Lettera pastorale, 2001


10 febbraio 1980 - Ingresso a Milano del Cardinale Carlo Maria Martini


Buona giornata a tutti :-)


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domenica 22 gennaio 2023

Il silenzio - Cardinale Carlo Maria Martini

 “Se in principio c'era la Parola e dalla Parola di Dio, venuta tra noi, è cominciata ad avverarsi la nostra redenzione, è chiaro che, da parte nostra, all'inizio della storia personale di salvezza ci deve essere il silenzio: il silenzio che ascolta, che accoglie, che si lascia animare. 
Certo, alla Parola che si manifesta dovranno poi corrispondere le nostre parole di gratitudine, di adorazione, di supplica; ma prima c'è il silenzio”. 

- Cardinale Carlo Maria Martini -
(Dimensione contemplativa della vita, 1980, n°10)


Dal silenzio di ascolto Gesù, uditore obbediente per eccellenza della Parola, ha indicato la via da percorrere verso la pienezza : “Nell'Eucaristia si rende presente e operante nella Chiesa il Cristo del mistero pasquale. 
E' il Figlio in ascolto obbediente alla parola del Padre. E' il Figlio che nell'atto di spendere la propria vita per amore, trova nella drammatica e dolcissima preghiera rivolta al suo "Abba" (cfr. Mc 14, 36; Lc 23, 46) il coraggio, la misura, la norma del proprio comportamento verso gli uomini.” (Ibidem n°15)



"Signore, donami la forza di tacere per umiltà, di tacere per prudenza, di tacere per fedeltà, di tacere per amore."

- Wilhelm Muhs - 


Gli occhi sul mare 

E ora che il tempo
si è fatto breve
e il cuore si consuma
a trattenere la tua immagine
che sembra svanire lontano,
punto rincorso
all’orizzonte estremo,
ora che gli occhi
sono sul mare
come di chi saluta
pur se la vela è scomparsa,
come le pupille dei discepoli
perdute, sul monte,
in un cielo orfano
del volto,
ora so che anche per l’addio
di un pastore di chiese
può ferire e urgere
agli occhi la commozione
e dilatarsi
fino allo spasimare
delle vene dei polsi.
Sei scritto
come sigillo sul cuore
e sul braccio.
Hai amato queste strade
hai pianto
su questa città.
Ci lasci
-ed è testamento-
la lampada della Parola
e il pane del volto.

- don Angelo Casati - 
al mio vescovo
Carlo Maria Martini

(Luglio 2002)


Vivi il giorno d'oggi 
Dio te lo dà è tuo, vivilo in lui. 
Il giorno di domani è di Dio, non ti appartiene. 
Non portare sul domani la preoccupazione di oggi. 
Il domani è di Dio: affidaglielo. 
Il momento presente è una fragile passerella: 
se lo carichi dei rimpianti di ieri, 
dell'inquietudine di domani, 
la passerella cede e tu perdi piede. 
Il passato? Dio lo perdona. 
L'avvenire? Dio lo dona. 
Vivi il giorno d'oggi in comunione con lui.




Buona giornata a tutti. :-)
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venerdì 4 novembre 2022

La preghiera di san Carlo - Carlo Maria Martini

È noto a tutti che san Carlo Borromeo è stato un uomo di grande preghiera. Carlo Bascapè, il suo biografo più famoso, che fu anche testimone oculare della sua vita, scrisse in Vita e opere di Carlo, Arcivescovo di Milano e cardinale di S. Parassede (1592): «Fu molto assiduo nella preghiera e nella contemplazione delle cose celesti. Quando meditava, soleva concentrarsi con la mente e il cuore e, se ne aveva il tempo, tanto s’immergeva nel profondo delle verità spirituali che, pur così incredibilmente occupato, si mostrava del tutto astratto da ogni cosa». Presso i contemporanei il raccoglimento di quest’uomo lasciò dunque una profonda impressione.

E il Bascapè continua: «Poiché di giorno era occupato dagli affari, pregava durante la notte; e quando erano in corso questioni di particolare importanza, trascorreva in orazione notti intere. Per questo esercizio di pietà si era preparato un luogo vicino alla sua camera, e non così isolato che qualcuno dei famigliari non sentisse spesso i gemiti delle sue preghiere».

Questo luogo isolato, un piccolo oratorio, esiste ancora nel Palazzo arcivescovile di Milano, e non lo si può visitare senza provare una grande emozione, pensando alle lunghe preghiere diurne e notturne di San Carlo in quel luogo.

Altri uomini e donne famosi dell’epoca di San Carlo furono di grande orazione, e ci hanno lasciato memorie autobiografiche della loro vita interiore, talora di livello altissimo. Basta pensare, per esempio, alla autobiografia di santa Teresa d’Avila.

Il Libro della sua vita terminato nel 1565 – lo stesso anno in cui san Carlo entrava in Milano – è il racconto ancora oggi vivissimo, scritto in prima persona in uno stile davvero inimitabile, delle grazie di orazione di santa Teresa. La prima edizione a stampa di questo libro è del 1588, quattro anni dopo la morte di san Carlo, tuttavia nel Cinquecento era pienamente affermato l’uso di scrivere un proprio diario spirituale autobiografico, nella linea già iniziata dal grande sant’Agostino con le Confessioni.

Insieme all’illustre esempio di santa Teresa se ne potrebbero citare altri.

Ne ricordo uno che non poteva non essere in qualche modo noto anche al Borromeo. È la breve autobiografia di sant’Ignazio di Loyola, detta anche Il racconto del pellegrino. Sant’Ignazio lo scrisse o, meglio, dettò al proprio segretario tra il 1553 e il 1555. Vi è compreso un breve racconto della sua vita, dall’episodio famoso di Pamplona (1521) all’anno del suo arrivo a Roma (1538). La prima edizione a stampa di quest’opera anche stavolta è di molto posteriore, ma fin dalle origini ne circolavano numerose copie manoscritte, e san Carlo – che fin dal primo soggiorno a Roma fu molto intimo dei Gesuiti – certamente potè conoscere questo scritto.

Un altro diario, un vero e proprio giornale spirituale, tenuto da Ignazio di Loyola tra il 2 febbraio 1544 e il 27 febbraio 1545, è conservato in due quadernetti, dove il Santo annotava ogni giorno l’argomento delle proprie meditazioni, le grazie ricevute nella meditazione o nella messa, le emozioni interiori, le difficoltà dell’orazione, le lacrime, e qua e là anche episodi della vita quotidiana (come una volta che qualcuno correndo per le scale lo aveva disturbato). È un diario interessantissimo, uno specchio giorno per giorno di questo Santo di poco anteriore al Borromeo. E, anzi, questi due quadernetti probabilmente rappresentano quanto resta di un diario molto più ampio, durato lunghi anni.

- Carlo Maria Martini -


Anche allora, dunque, c’era l’uso di tenere un diario spirituale. E io mi sono chiesto spesso in questi anni: possibile che non esista un diario spirituale di san Carlo Borromeo, dove egli annotò giorno dopo giorno le sue meditazioni, le sue preghiere, l’oggetto dei suoi desideri, ciò che nell’intimo lo commuoveva? Possibile che non esista una specie di itinerario spirituale, scritto di suo pugno o almeno dettato a qualche contemporaneo?

A prima vista sembrerebbe impossibile che tra l’immensa quantità di manoscritti risalenti a san Carlo Borromeo, o direttamente, e cioè autografi, oppure dettati o scritti da segretari, o copie di cose da lui firmate – quantità ancora oggi inesplorata (si parla di circa 60.000 lettere soltanto per la corrispondenza) –, non sia ancora emerso qualche frammento di diario spirituale o di note di orazioni.

Non è escluso che tra i fondi esistenti , magari proprio in questi anni, salti fuori qualcosa. Però la lettura delle prime pagine della citata biografia del Bascapè, suo intimo collaboratore, non lascia molte speranze al proposito, perché vi leggiamo: «Da quando infatti mi sono posto alla scuola di Carlo, come di un ottimo padre, osservando con animo quasi presago ciò che egli faceva di giorno in giorno, ho diligentemente conservato quanto, presto o tardi, mi sarebbe stato utile per un incarico di tal genere, dovuto alla mia dimestichezza con lui». Per nostra fortuna, dunque, il biografo contemporaneo aveva già raccolto note giorno per giorno. Il Bascapè afferma poi di aver consultato, per stendere la biografia, più di 30.000 lettere. E aggiunge: «Se accanto a questi documenti esterni, potessimo conoscere ciò che, volendo nascondere la propria virtù, probabilmente Carlo non rese noto ad alcuno, avremmo senza dubbio un materiale più abbondante perché le anime pie lodino la divina bontà».

Queste frasi si leggono nelle prime pagine della Vita di Carlo e provano con certezza che l’autore della biografia non conosceva alcun diario spirituale o appunti di orazione di San Carlo Borromeo, e anche che egli riteneva verosimile che il Santo non avesse appositamente voluto lasciare niente di simile.

Si fa avanti allora un’altra domanda: dobbiamo dunque rassegnarci a una ignoranza assoluta su questo punto? Dobbiamo rassegnarci a ritenere che le lunghissime ore di preghiera di san Carlo, le lunghe adorazioni al Crocifisso, le notti passate a venerare la memoria della Passione nella chiesa del Santo Sepolcro a Milano, le giornate dei suoi esercizi spirituali a Varallo e altrove siano e rimangano un segreto che conosceremo solo nella vita eterna?

Dopo lunghe riflessioni io penso che esista una via mediante la quale ci è giunto qualcosa di tale segreto, e che san Carlo ci inviti a ripercorrere questa via proprio nel suo quarto centenario. Vorrei perciò invitarvi a percorrere con me almeno un tratto di questo cammino, per cercare se è possibile una metodologia che ci serva a ricostruire alcuni frammenti di una autobiografia spirituale di Carlo Borromeo.


Il segreto di san Carlo

Vi propongo un itinerario, la cui prima tappa prende in considerazione la scuola di orazione, di preghiera e di meditazione, a cui san Carlo si è assoggettato a partire dal 1563 – quando venne ordinato sacerdote, il 17 luglio, nella chiesa di san Pietro in Montorio a Roma. Celebrò la sua prima messa il 15 agosto di quell’anno. Già da tre anni era arcivescovo di Milano, o meglio suo amministratore apostolico, senza essere né diacono né prete. Difatti, a Milano, si diede la notizia il 15 agosto 1563 dicendo: «Il nostro arcivescovo ha detto la prima messa», e fu una grande gioia per il popolo.

San Carlo decise di passare il periodo tra il 17 luglio e il 15 agosto in esercizi spirituali. Già prima aveva avuto forti desideri di conversione, ma si può datare ad allora l’inizio della sua scuola di preghiera, di quella profonda disciplina interiore che lo rese capace di pregare intensamente e a lungo.

Fece dunque un intero mese di esercizi per prepararsi alla prima messa; lo fece sotto la direzione di un gesuita, il padre Ribera, seguendo il libretto degli Esercizi di sant’Ignazio, che era ormai pubblico dal 1548, quando un Breve di Paolo III ne aveva raccomandato l’utilità per il popolo cristiano. Possiamo quindi pensare che in quel mese di preghiera egli abbia avuto possibilità di assimilare il metodo e i contenuti di questo modo di pregare.

Come si sa, anche in seguito Carlo Borromeo rimase fedelissimo a questa pratica e a questo metodo. I biografi riferiscono che soleva fare gli esercizi spirituali due volte l’anno, per parecchi giorni di seguito. Gli ultimi esercizi della sua vita, per esempio, li fece al Sacro Monte di Varallo (e per questo il papa ha compreso Varallo nelle tappe del suo pellegrinaggio). Li cominciò il 15 ottobre, e – a quanto risulta – li aveva preventivati di quindici giorni. Due esercizi spirituali all’anno, per molti giorni di seguito.

Conosciamo alcuni luoghi dei suoi esercizi spirituali, come qualche eremo camaldolese, il Sacro Monte di Varallo, a Milano san Barnaba (andava volentieri dai preti fondati da sant’Antonio Maria Zaccaria) e altri luoghi ancora, ad esempio il noviziato dei Gesuiti di Arona, un’altra casa di religiosi. In queste case si ritirava volentieri per i due esercizi annuali, ma qualche volta invece, li faceva in barca, perché gli piaceva molto viaggiare così e, in quella calma, poteva anche fare gli esercizi. Oppure alternava barca e lettiga, proprio per poter pregare con tranquillità.

Conosciamo anche i nomi di alcuni dei suoi direttori, che dopo padre Rivera furono ordinariamente dei Padri Gesuiti. Tra le lettere conservate, alcune sono appunto dirette ai Padri provinciali della Compagnia per chiedere che l’uno o l’altro venisse a dirigere i suoi esercizi spirituali. Fra i più famosi il padre Venturini e il padre Adorno, di nobile famiglia genovese, che gli fu molto vicino e lo assistette anche negli ultimi esercizi di Varallo fino alla morte. Nella minuta di una lettera al Padre provinciale dei Gesuiti di Venezia, ad esempio, scrive: «Avrei qualche inclinazione di portare con me il padre Antonio di Nuvolara nel viaggio che sto per fare a Roma, in barca ovvero in lettiga per valermi dell’opera sua in alcuni esercizi spirituali».

Citiamo ancora qualche fonte dell’epoca. Il Lancitius, uno scrittore spirituale dell’inizio del secolo XVII, raccogliendo le tradizioni dei Gesuiti del suo tempo afferma: «Faciebat Sanctus Carolus exercitia spiritualia Societatis Jesu quolibet anno» (faceva gli esercizi spirituali nel modo usato nella Compagnia di Gesù ogni anno). «Per questo mezzo cresceva sempre di più nel fervore dello spirito e si perfezionava molto nelle sante virtù. E poi li fece due volte all’anno, e in questa abitudine persistette fino alla morte».

Aggiungo una curiosità. I Gesuiti per statuto facevano gli esercizi spirituali due volte nel noviziato e poi nei grandi momenti dei voti. La pratica annuale di essi derivò ai Gesuiti dall’abitudine di san Carlo di farli due volte l’anno, perché il suo esempio si impresse nell’animo di coloro che, avendoglieli insegnati per la prima volta, si sentirono poi spronati a farli essi stessi. Questo ci mostra quanto egli conoscesse e vivesse, nella sua preghiera personale questo mondo di preghiera.

E non soltanto li faceva personalmente, ma li raccomandava agli altri. Nel quarto Concilio provinciale di Milano e di tutta la Lombardia – che come provincia ecclesiastica era allora in parte più ampia di quella attuale – egli impose a tutto il clero gli esercizi di un mese, sia a chi, in età avanzata, non li aveva ancora fatti sia a coloro che dovevano ricevere suddiaconato, diaconato, sacerdozio. E insisté perché si facesse un mese intero di esercizi prima delle grandi tappe della ordinazione, e poi ancora una volta nella vita.

Una minuta di lettera al cardinale Paleotti, del settembre 1582, ci dice qual era la prassi, che in realtà, come succede, era un po’ meno rigida della teoria. Vi si legge: «Quanto agli esercizi spirituali che fanno gli ordinandi ai Sacri Ordini, il tempo determinato dal Visitatore Apostolico e dal Concilio nostro provinciale IV era di un mese circa, mentre la pratica è di quindici giorni circa, ad arbitrio del padre spirituale e confessore che guida quelli che fanno questi Esercizi. Intorno poi al modo, si cerca di imitare i Padri Gesuiti e pigliar lume dalle Regole loro, i quali hanno anco una certa forma dal padre Ignazio stampata in quel libretto che dev’esser notissimo a Vostra Signoria Illustrissima».

Ma c’è ancora di più. Non soltanto era prescritto che tutti i preti facessero per un mese, e poi di fatto almeno per quindici giorni, parecchie volte in vita questi esercizi, ma nel V Concilio provinciale del 1579 gli esaminatori del clero dovevano interrogare ogni ecclesiastico, tra le altre cose, anche sulla sua maniera di meditare: se avesse pratica costante della preghiera, quali meditazioni facesse, quale fosse il suo modo nella preghiera, quale il suo frutto, quale l’utilità che egli ne conseguiva, quali le parti della sua preghiera, quali le regole della preparazione, ecc. San Carlo voleva che l’esaminando fosse in grado di descrivere la sua preghiera, ne avesse dunque una pratica approfondita.

Carlo Maria Martini, La preghiera di san Carlo


Buona giornata a tutti :-)






mercoledì 31 agosto 2022

Card. Carlo Maria Martini - in ricordo del giorno della sua dipartita verso il Cielo...

31 agosto 2012
L’abbraccio dal cielo a Milano e al mondo.
Un ricordo che si rinnova ogni anno, 
per esprimere gratitudine infinita. 



" Ciascuno di noi conosce il male per l'esperienza personale della propria fragilità e della propria debolezza; per l'esperienza familiare delle cose che non vanno, che non ci piacciono nell'ambito della famiglia o degli amici, della chiesa o della società.

Ma Gesù piange proprio sul ' peccato del mondo ', non sui singoli crimini, sugli errori delle persone, bensì su un peccato collettivo, sulle radici profonde del male.

I crimini singoli sono tutti quelli che degradano l'umanità ( omicidi, crudeltà, stupri, infedeltà... ) che, racchiusi nel cuore trafitto di Cristo, sono il primo gradino.

E poi ci sono i crimini collettivi, dove gruppi, categorie, classi storiche diventano dinamismo di peccato e straziano l'umanità: odi etnici, razziali, politici ( le grandi dittature coi loro misfatti ), sociali e di classe ( le rivoluzioni con tutte le loro carneficine ), le forme di pregiudizio organizzato e le stesse organizzazioni a delinquere, cioè le molteplici strutture, aperte o subdole, di peccato.

Ecco il male che Gesù vede contemplando la città e, in essa, tutte le nostre città.

I crimini razionalizzati, che Gesù contempla, sono i più terribili, sono crimini collettivi assurti a dottrina: quelle ideologie, quelle filosofie, quella degradazione delle religioni, i filoni culturali di ogni tipo, che chiamano bene il male e lo giustificano.

Da qui nascono le catastrofi che rovesciano le società e sconvolgono periodicamente il corso della storia. Possono assumere anche l'aspetto di una catastrofe lenta, quasi una peste che a poco a poco distrugge l'interno di una società. Pensiamo alle filosofie e alle ragioni che portano al nichilismo, al relativismo morale, alle ideologie razziste, nazionaliste, dittatoriali: non sono soltanto strutture organizzate di peccato, ma strutture di pensiero che producono peccato, che producono male. Da qui anche le persecuzioni sistematiche contro la fede, l'uccisione sistematica della speranza nei cuori della gente, l'uccisione dell'amore.

In particolare mi sembra che Gesù sia colpito dalle aberrazioni religiose, quando cioè la religione scambia il bene con il male e il male con il bene, così che un sistema religioso finisce con il diventare complice di un sistema di male e di peccato.

Gesù è schiacciato da tale groviglio, la sua passione è proprio il suo essere schiacciato dal groviglio di mali religiosi e mali politici razionalizzati, variamente coalizzati. "

Card. Carlo Maria Martini 

"Verso Gerusalemme"

in ricordo del giorno della sua dipartita verso il Cielo...



"Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto."

Card. Carlo Maria Martini 

Buona giornata a tutti :-)



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