Dio irrompe nella storia con la delicatezza
di un piccolo embrione d’uomo che bussa al cuore di una giovane donna dl
Nazareth. Una verità della fede che non mortifica la ragione ma che la aiuta a
riconoscere la dignità dl ogni concepito. Forse non siamo abituati a pensarci.
Ma il grande mistero dell’Incarnazione di Dio getta una luce sfolgorante sulla
stupefacente realtà della vita umana prima della nascita.
Non occorrono
straordinarie competenze teologiche per accorgersi che la strada scelta da Dio
per farsi uomo passa concretamente, realmente attraverso ogni fase della nostra
vita. Gesù è stato un tenero bambino nella mangiatoia della stalla di Betlemme;
un ragazzo abile e sveglio nel tener testa ai dottori del tempio; un giovane
vigoroso nella bottega di Giuseppe; è stato, in una parola, l’uomo perfetto.
Egli ha attraversato ogni età della vita non come un fantasma, o come un
simulacro di umanità, ma come vero Dio fatto vero uomo in tutto, fuorché nel
peccato.
Poiché tutto ciò è realmente accaduto, allora
non rimane che riconoscere che Gesù di Nazereth è stato anche, per nove mesi
della sua vita, un uomo concepito. Lo è stato attraversando tutte quelle fasi
dello sviluppo embrionale, necessarie alla crescita organica di ognuno di noi,
e che continueranno a essere la strada obbligata per ogni uomo che si affaccia
alla vita.
Una mortificazione per la ragione?
Se contempliamo Gesù concepito ci accorgiamo
che egli, prima ancora di iniziare la sua vita pubblica e la sua
predicazione, di compiere miracoli e di consolare le folle, di morire in croce
e risorgere; prima di tutte queste cose egli già ci parla silenziosamente. E ci
comunica la straordinaria dignità che ogni concepito d’uomo porta impressa su
di sé.
Quasi un sigillo regale che l’uomo contiene nella sua stessa natura, non
a partire dalla nascita, ma dal momento stesso in cui è chiamato
misteriosamente alla vita, nell’intimità del grembo materno. Qualcuno potrebbe
ravvisare in questo discorso un che di offensivo per la ragione, potrebbe
addirittura pensare che la dignità del concepito sia un dogma delta fede
cattolica, una verità rivelata comprensibile soltanto agli occhi del credente.
Nulla di più lontano dalla realtà.
L’embrione merita di essere trattato con
rispetto innanzitutto perché è un uomo, e come tale partecipa delta sua dignità
e dei suoi diritti naturali. La ragione umana non ha bisogno, in questo
riconoscimento, di alcuna “stampella” soprannaturale. Ma è anche vero che la
profonda comprensione della grandiosità di ogni singolo essere umano, della sua
antropologia e del suo destino eterno non può che avvenire in Gesù Cristo.
Ecco
perché la contemplazione di Gesù Concepito ci rivela con sorprendente efficacia
chi abbiamo davanti quando ci troviamo di fronte a un embrione umano, seppure
alle primissime fasi del suo sviluppo.
Nella prospettiva della fede,
quell’embrione è Gesù stesso.
L’Annunciazione, Dio si fa uomo.
Del resto, le parole dell’Angelo Gabriele non
lasciano dubbio alcuno sulla consistente concretezza di quell’avvenimento,
realizzato attraverso il fiat della Madonna: “Ecco, concepirai un figlio, lo
darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Luca 1, 30-31).
Maria è la donna del sì.
Del sì alla vita che si compie in lei nella pienezza più assoluta. “Non
temere”, le dice l’ angelo, che evidentemente ha letto sul volto bellissimo
della Vergine la paura, lo smarrimento di fronte all’annuncio più sconvolgente
che orecchie umane abbiano mai ascoltato.
Ma Maria non giunge impreparata
all’appuntamento con l’angelo. Nella sua storia tutto sembra ruotare intorno
all’istante prodigioso del concepimento.
Maria è senza macchia, perché Dio l’ha
preservata dal peccato originate, e
l' ha resa immacolata non dalla nascita, ma
sin dal suo concepimento.
“Io sono l’Immacolata Concezione”, dirà alla piccola
Bernadette Soubirous apparendo nella grotta di Lourdes.
E Maria dice il suo sì
proprio al concepimento verginale del Figlio di Dio. Ed è un sì che non viene
pronunciato di fronte a un Dio che irrompe nella storia degli uomini in maniera
trionfale, con un frastuono di trombe e di eserciti cui nessuno potrebbe
resistere; ma al contrario con la delicatezza, la debolezza, diremmo, di un
piccolo embrione d’uomo che bussa al cuore di una giovane donna di Nazareth.
- Mario Palmaro -
Maria di Nazareth: Maria madre
silenziosa del Verbo
Chiacchiere o preghiere?
Uno degli aspetti più insopportabili delle
inflazionate e variopinte devozioni mariane, di gran moda oggi, è l'eccessiva
verbosità difficile da distinguere dalla mielosa, e pestifera, adulazione.
Il
chiacchiericcio su Maria, i panegirici privi di qualsiasi sotto sfondo
teologico, il magismo hanno finito per trasformare la madre di Gesù più in una
donna da sceneggiata che nella Vergine Madre.
Il fideismo mariano si è
trasformato in un enorme supermercato dell'ovvietà sentimentaloide dove ognuno
può trovare quanto serve a sedare le proprie inquietudini o a sublimare i
propri nevrotici sensi di colpa. Mi ha sempre colpito un bel pensiero elaborato
nel IV secolo dal vescovo di Milano sant'Ambrogio: "Maria è il tempio di
Dio, non Dio nel tempio". Appunto perché tempio, e quindi silenzioso luogo
di incontro e non vociante occasione di scambio, Gabriele la contatta nella più
assoluta discrezione e nel più rigoroso riserbo.
Silenzio fecondo
Le grandi proposte di vita si fanno
nell'intimità dell'incontro. Tutto nella riservatezza e non sotto le telecamere
della curiosità o davanti ai microfoni del gossip. Il Verbo da annunciare fino
agli estremi confini del mondo, viene concepito nella silenziosa penombra di
Nazaret. La gestazione divina avviene in una madre umana che non propaga ai
quattro venti le parole ricevute, ma le "contempla e custodisce nel suo
cuore" (Lc 2,19).
Eppure la giovane Myriam ne avrebbe cose da dire e da
spiegare. Ma dove trovare le parole capaci di convincere che suo Figlio è
frutto solo della sua più radicale e disinteressata disponibilità di fronte a
un Dio che non è assolutamente banale nelle sue proposte a cui accondiscendere?
Quali discorsi possono spiegare che in un "fiat" è condensato il
dramma, umanamente incomprensibile, di una nuova creatura concepita in un modo
così inconcepibile ed esposto al cicaleggio, al dileggio, al sospetto ed alla
maldicenza? Essere riempiti del Verbo, significa essere colpiti dalla spada
dello Spirito Santo, come ci ricorda san Paolo nella lettera agli Efesini (6,17).
E la Parola-Spada è "efficace e più tagliente di ogni spada a doppio
taglio, essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito,
fino alle giunture e alle midolla e sa discernere i pensieri e i sentimenti del
cuore" (Eb 4,12).
Il silenzio è il setaccio attraverso cui le parole si
trasformano in Parola. L'atteggiamento di Maria ci ammonisce che fare della
Parola un qualcosa da esibire, da rappresentare, da declamare, da proclamare
con tonalità dubbie ed equivoche, non è pregare, ma profanare.
Nel silenzio germina una nuova vita
Man mano che nel suo grembo il Verbo assume
fattezze umane, la premurosa custodia e la paziente meditazione della Parola,
fa maturare ed affina la coscienza della Madre indurendola al filo d'ascia
della solitudine.
La coscienza si trasforma in un melting pot in cui le vane
parole umane si liberano di ogni banale formalismo e si trasformano in
preghiera; i sentimentalismi esistenziali vengono armonizzati fino a diventare
puro istinto materno; le relazioni fatue si saldano e cementano facendo
sbocciare una famiglia.
Deve essere stato esaltante ed ineffabile il momento in
cui la giovane ragazza di Nazareth ha avuto il lampo di certezza che la goccia
di vita venuta dal cielo si stava trasformando in vita vera, in persona che
segnalava la sua presenza.
In quei momenti Maria non aveva una corona di stelle
sul capo o la luna sotto i piedi, ma un bimbo nel suo grembo ed una gioia
esplosiva nel suo cuore che vaporizzava ogni paura e dubbio. Tra madre e figlio
si instaura un dialogo senza parole ma con emozioni e significati profondi.
Lo
sbocciare di una nuova vita colora l'esistenza di nuovi valori e sfumature che
danno senso a fatica, dolore, preoccupazione e solitudine che tutti i grandi
valori hanno a traino.
Diventare madre comporta il rimettersi in gioco
assumendo un nuovo ruolo e nuove responsabilità al grande tavolo della vita. Il
cuore di una madre si rafforza alimentandosi alla dispensa dell'amore,
dell'attenzione, della premura e della dedizione tanto da diventare il segno
più credibile del fatto che chi muove la storia non è la selezione naturale, ma
il roccioso amore di ogni madre. Si tratta di una realtà così vera e radicata
che neanche la "liquidità" della fede moderna riesce a negare.
La
vera devozione mariana dovrebbe condurci a vivere personalmente queste realtà
senza tentennamenti o fughe nello sterile devozionalismo.
- Bernardina do Nascimento -