Tutto ciò che sto per narrarvi accadde tanto tempo fa, in
un paese di cui nessuno ricorda il nome.
Era un paese prospero e allegro, sdraiato su una dolce
collina coltivata con cura e perizia. I suoi abitanti, contadini dall'animo
semplice e gentile, erano sempre pronti al sorriso e generosi fra di loro e con
i forestieri.
La vita trascorreva senza grandi scosse, con quel tanto
di dolce e di amaro che abitualmente l'attraversa quando la si sa guardare con
occhio benevolo.
Finché, improvvisamente, qualcosa di insolito e malvagio
percorse le strade di quel luogo e incominciò a colpire ora questa, ora quella
famiglia.
Ogni giorno di festa per la nascita di un bimbo si trasformava in un
giorno di dolore perché, senza che nessuno potesse darne una spiegazione, il
neonato moriva dopo poche ore dalla nascita.
Neppure il vecchio prete, che tante ne aveva viste e
passate, riusciva a comprendere da dove quel terribile morbo provenisse e
perché si accanisse tanto contro quelle piccole e innocenti creature.
Dopo aver
consultato gli antichi libri, racchiusi nella cripta della chiesa, il brav'uomo
cominciò a pensare che forse un folletto malvagio, inviato dalle oscure dimore
degli spiriti negativi, si aggirava nel paese, spinto dall'invidia per quel
placido angolo di serenità.
Ben presto gli abitanti divennero preda di un'angoscia
mai prima d'allora conosciuta, non sapendo spiegarsi come mai la vita si
accanisse proprio contro di loro. Essi pregavano con fervore il buon Dio che
ogni cosa conosce, perché li aiutasse a uscire da quell'incubo in cui parevano
sprofondare sempre di più.
Potete immaginare a questo punto in quale stato d'animo
essi si trovarono quando Prospero, il panettiere, annunciò all'intera comunità,
riunita per la messa, la prossima nascita di un figlio.
«Ma sei proprio matto!» esclamarono in coro. «Non ti
basta quello che già è successo? Non capisci che qualche maleficio si è
abbattuto sul nostro paese?».
Prospero, attanagliato dalla paura, non sapeva che dire.
Ormai non poteva far altro che attendere, rassegnato a sopportare la sua parte
di dolore.
Intanto il vecchio prete non aveva smesso per un solo
giorno di sfogliare le enigmatiche pagine di quegli antichi testi che le umide
pietre della cripta avevano custodito gelosamente così a lungo. Come poteva Dio
non aver previsto tutto ciò che stava accadendo e non aver messo a loro
disposizione un suggerimento che potesse aiutarli?
Il sant'uomo leggeva e rileggeva, studiava e rifletteva,
percependo in cuor suo che dietro tutta quest'affannosa ricerca doveva
nascondersi qualcosa di molto più semplice, come solo Dio sa essere semplice.
Nel frattempo i mesi erano trascorsi veloci e il piccolo
figlio del panettiere era nato in una assolata quanto fredda mattina di
febbraio.
Nella casa, che avrebbe dovuto accoglierlo con gioia,
regnava invece un cupo dolore e la giovane mamma scrutava preoccupata il
visetto paffuto aspettandosi di vederne volar via la vita, come già tante altre
volte era accaduto nel villaggio.
Mentre tutti se ne stavano lì tristi e piangenti, ecco
spalancarsi la porta ed entrare il vecchio prete.
«Che splendido bambino, miei cari!» esclamò, abbracciando
la stanza con un largo sorriso.
Poi si rivolse alla donna china sul lettino del neonato:
«Non piangere, cara, asciuga piuttosto i tuoi occhi e fai quanto ora ti dico!».
Fra la meraviglia generale l'uomo fece sollevare il
bimbo, ordinando alla madre di tenerlo in grembo fino a quando lui non avesse
deciso altrimenti.
La donna pareva incerta, ma la forza che il vecchio
emanava era così concreta che sembrava impossibile contrastarla.
Prese il
piccolo e lo tenne sulle ginocchia finché il bimbo fece un leggero starnuto.
«Dominus tecum, figlio mio!» esclamò subito il vecchio
solennemente.
Nel medesimo istante s'intese una voce sgradevole e irritata
provenire dalla cappa del camino.
«Vecchiaccio! Mille volte maledetto! Chi ti ha insegnato
tutto ciò?» e, nel dire questo, un folletto ghignante e storpio attraversò di
corsa la stanza, uscendo con un balzo dalla porta e scomparendo in un
battibaleno dalla vista degli increduli spettatori.
Sotto la forma di una tremolante ombra scura, il male se
ne scappò via, vinto dalla forza di due sole parole che però non ammettevano
dubbio alcuno.
È inutile che vi diciamo che quel bimbo, come tutti
quelli che nacquero da allora in poi, crebbe sano e vispo così come il paese
ritrovò tutta la serenità e l'allegria di un tempo.
Se però in questi giorni vi capitasse di passare per caso
di là, certamente lo riconoscerete, perché gli abitanti, in segno di buon
augurio, vi saluteranno dicendovi: «Dominus tecum, figlio mio, il Signore sia
con te!».
- Leggenda popolare spagnola -da: "Leggende Cristiane. Storie
straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura
di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A.
.... No. Non chiamatela sfiga. Vero, il
virus è sbarcato in Italia prima di altrove perché così doveva andare, ma i
tagli alla nostra sanità pubblica hanno padri e padroni nascosti nelle pieghe
della storia recente del nostro Paese.
Mascherine, tamponi, reagenti, difesa
del personale sanitario impegnato nella prima linea del fronte: il nulla
colorato di rosso. Come la croce che più volte abbiamo visto sfrecciare sulle
ambulanze che raccoglievano i feriti di una guerra mai dichiarata. Se non dai
bollettini della Protezione civile.
Chiamatela
inefficienza, inettitudine, cupidigia, ignoranza.
Chiamatela come volete. Ma
non chiamatela sfiga.
Quella non basta per spiegare le ragioni del male che
affligge l'Italia da decenni.
Non basta per spiegare il dolore che per sempre
rimarrà impresso nella nostra memoria.
- Dario Pellizzari -
A Bergamo, nella serata di mercoledì 18 marzo, sono arrivati i mezzi
dell’esercito per trasportare le bare di alcune delle persone morte di COVID-19 dal
cimitero monumentale ai forni crematori di altre città. Bergamo, la provincia
con il maggior numero di contagi da coronavirus in tutta Italia, non riusciva
più a gestire la situazione e le attese per le cremazioni – pratica scelta dalla
maggioranza delle famiglie delle persone morte – avevano ormai superato la
settimana. A Bergamo c’è un solo forno crematorio che sta lavorando a pieno
regime, 24 ore al giorno, ma può cremare al massimo 25 defunti al giorno. Anche
la camera mortuaria del cimitero non aveva più spazio disponibile, e nei giorni
scorsi era stato necessario mettere le bare nella chiesa di Ognissanti, sempre
all’interno del cimitero. (da Il-Post)
Buona giornata a tutti. :-)
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