Il Maligno stava scrutando con attenzione gli uomini
sulla terra, attento come sempre alla possibilità di accaparrarsi qualche nuova
anima.
Guarda di qua e guarda di là, fu attratto da una gran profusione di persone che stavano uscendo da una chiesa. Aguzzò ulteriormente lo sguardo tendendo le orecchie come due antenne e, in un baleno, fu come se lui stesso si trovasse in mezzo a quella gente.
- Leggenda medievale -
Guarda di qua e guarda di là, fu attratto da una gran profusione di persone che stavano uscendo da una chiesa. Aguzzò ulteriormente lo sguardo tendendo le orecchie come due antenne e, in un baleno, fu come se lui stesso si trovasse in mezzo a quella gente.
Sentì quindi tutti gli elogi con cui chi aveva assistito
alla funzione domenicale apostrofava il vescovo della città che, a quanto
pareva, aveva appena tenuto uno dei suoi famosi sermoni.
Potete immaginarvi la curiosità di Satana. Chi era questo
famoso predicatore sfuggito alle sue sgrinfie?
Si trattava di san Donato, vescovo di Arezzo, le cui
argomentazioni, forgiate con voce possente, erano riuscite a sconfiggere i più
grandi avversari della Chiesa.
Seduto nel suo antro fumoso, Satana cominciò a rimuginare
sul da farsi, ma prima di prendere qualsiasi decisione volle sfogliare la
grande enciclopedia in cui ogni anima veniva citata dettagliatamente.
Ecco cosa trovò alla voce "Anima di san
Donato".
L'anima di questo soggetto possiede grande forza, la sua
struttura è legata a un corpo altrettanto forte e robusto. Cresciuto in ambiente
contadino, ne ha ereditato i saldi principi legati al rispetto della natura e
dell'essere umano che da essa trae vigore.
Di temperamento focoso, Donato ama cimentarsi in
qualsiasi tipo di disputa e non disdegna neppure qualche baruffa.
Questa anima non appartiene al tipo ascetico,
considerando la sua permanenza sulla terra una palestra di prova per rinforzare
se stessa e lo spirito che la guida.
L'uomo che ospita quest'anima apprezza i piaceri della
compagnia, della buona tavola e del buon bere.
«Caspita!» pensò il diavolo. «Questo qui me lo lavoro io
a dovere! Se il fiuto non m'inganna, il terreno è fertile per piantare le mie
radici». E così si mise a considerare quale dei suoi aiutanti poteva impegnare
in quell'opera.
Gli venne in mente un diavoletto decisamente maligno e
furbo che, uscito a pieni voti dal corso di "tentatore", aveva già
dato buona prova delle sue capacità.
Il Maligno fece così chiamare Saturnino, questo era il nome
del diavoletto, e gli affidò il delicato incarico di circuire l'anima di Donato
e di farne una sua conquista.
A Saturnino non parve vero di tenersi un po' in forma con
le tentazioni che da qualche tempo non esercitava più, avendo avuto solo
incarichi amministrativi.
Per prima cosa seguì Donato per diversi giorni, tenendosi
però lontano da lui, anche a causa di quell'odore di zolfo che sempre gli
rimaneva appiccicato addosso quando usciva dall'Inferno.
Poi, fattosi un'idea più precisa sul sant'uomo, preparò
un dettagliato piano di attacco.
La prima mossa coinvolse l'ignara perpetua che da tanti
anni provvedeva alla cura della canonica.
Teresa, ormai di mezza età, era rimasta vedova ancora
giovane e aveva potuto allevare i tre figli grazie alla generosità del suo
vescovo; così le era sembrato più che giusto rendersi utile occupandosi di lui
come una affezionata sorella.
Donna di grande giudizio, aveva accudito Donato con la stessa
dedizione con cui aveva cresciuto i suoi figli, né mai il suo sguardo si era
posato su di lui con occhio diverso da quello di una madre.
Lo rispettava profondamente e lo ammirava per la forza
con cui affrontava ogni problema della sua diocesi, occupandosi anche dei più
piccoli dettagli.
Eccellente cuoca, Teresa indulgeva verso le golosità del
suo benefattore e la tavola di Donato era rinomata per i manicaretti che la
brava donna riusciva a preparare anche con poca spesa, senza contare che
chiunque si trovasse nell'indigenza poteva sempre fare affidamento su quel
generoso desco.
Saturnino pensò quindi di mettere in pratica una delle
più antiche tentazioni: quella della sensualità femminile. Non diceva anche la
Bibbia che la donna è la prima fonte di peccato?
Fu così che l'ignara Teresa finì preda di quel
furbacchione.
Figurarsi la sorpresa di Donato quando una sera vide la
sua brava perpetua presentarsi con il solito bicchiere di latte, ma...
Le vesti erano inequivocabilmente provocanti e, diciamolo
fra noi, anche ridotte all'essenziale. I capelli, solitamente raccolti in una
crocchia, facevano bella mostra, morbidamente sciolti sulle spalle; e quella
voce suadente...
"Perbacco! Cos'è accaduto?" pensò sconcertato
l'uomo.
Ma se Saturnino era furbo, il vescovo non era da meno.
Senza lasciarsi trarre in inganno, Donato si alzò in piedi e, dall'alto della
sua imponente mole, gridò con quanto fiato avesse in gola: «Fuori da lì,
manigoldo!».
E, così dicendo, prese la scodella del latte, lo
benedisse e si mise ad aspergere la donna e tutto quanto si trovasse lì
intorno.
A contatto con il liquido benedetto Saturnino non poté
resistere dal bruciore, gli sembrava di essere ustionato da olio bollente. Per
tutti i diavoli, ma quello era peggio dell'Inferno!
Con un balzo uscì dalla donna, andando a nascondersi nel
primo anfratto buio che trovò sulla sua strada. Bella figura aveva fatto! E
ora, che avrebbe raccontato al suo signore?
Intanto, nella canonica, Teresa, tornata in sé, stava
valutando la situazione con grande imbarazzo, non riuscendo a capire come mai
si trovasse lì in quelle condizioni.
«Portami un'altra tazza di latte, per favore, e non
preoccuparti» le disse gentilmente il vescovo: «non è successo niente, abbiamo
solo ricevuto una visita inattesa, ma adesso è tutto sistemato».
Passò un po' di tempo e il nostro diavoletto si riprese
alla grande dallo smacco e dallo spavento di quella sera.
Gironzolando intorno a Donato, in attesa di un momento
favorevole per intervenire, gli si presentò ben presto l'occasione di
introdursi nei suoi sogni. Quale momento migliore per trovare quell'uomo
indifeso e vulnerabile?
Approfittando di un pisolino che il vescovo si era
concesso dopo il pasto di mezzogiorno, si avvicinò cauto bisbigliandogli
all'orecchio: «Ascolta la voce di un amico... Io posso darti potere e gloria...
Abbandona la strada del bene ed entra a far parte dei servitori del mio
signore: lui ti colmerà di tutto ciò che un uomo possa desiderare!».
Donato stava godendosi il sonnellino pomeridiano ma,
messo in allerta dalla prima visita di quell'abitante degli inferi, non
abbandonava mai completamente le sue difese.
Così, nella parte vigile della sua mente, suonò
immediatamente un campanello
d'allarme: "Attento, si sente odore di zolfo!".
Il sant'uomo finse allora di russare rumorosamente, ma in
realtà si stava preparando ad attaccare contando sulla sorpresa.
Infatti Saturnino si era messo tranquillo di fianco
all'uomo addormentato e continuava imperterrito a sciorinare promesse e
lusinghe.
D'un balzo Donato si alzò e, prendendo il diavoletto per
gli zoccoli, cominciò a sbatacchiarlo di qua e di là come un tappetino; poi,
con uno scatto veloce, inusuale per un uomo della sua mole, lo afferrò per la
gola stringendo così forte che a Saturnino non rimase che chiedere indulgenza.
«Abbi pietà, buon vescovo» tossicchiava il miserello: «se
mi lascerai andare, non ti importunerò mai più, parola di diavolo!».
Sbuffando come un mantice, Donato si accontentò di
immergere il malcapitato nell'acquasantiera della sacrestia, dove lo lasciò in
ammollo più morto che vivo.
Quando finalmente riuscì ad aggrapparsi ai bordi
dell'ampio bacile, Saturnino trovò a malapena la forza per sgattaiolare fuori e
raggiungere una buia grotta fuori città, direttamente collegata con le gallerie
infernali e lì, finalmente, poté riprendere fiato e farsi curare dagli gnomi
dell'oscurità.
Rimessosi in forze, il nostro diavolo pensò che forse
sarebbe stato meglio lasciar perdere quella missione e starsene per un po'
lontano da quei luoghi.
A lui che importava di Donato e della sua virtù? Se la
tenesse... in fondo Saturnino era sempre stato un assertore del libero
arbitrio.
Ma non così la pensava Satana, che subito lo mandò a
chiamare, minacciandolo di tremendi castighi se non gli avesse portato al più
presto l'anima di quel cocciuto seguace della bontà e, pronunciando quella
parola, storse la bocca in un terribile ghigno di disprezzo.
Tutto mogio, il nostro diavolo si rimise in cammino, ma
l'antica baldanza era completamente svanita.
Magro da far pena, spelacchiato e in preda a frequenti
tremori, Saturnino si aggirava per le strade di Arezzo indeciso sul da farsi.
Tanto per tenersi in allenamento, si nascondeva negli
antri più scuri o agli angoli dei vicoli per balzar fuori all'improvviso e
spaventare gli occasionali passanti, ma i più lo guardavano con disgusto,
scambiandolo per un cane randagio, oltretutto un po' rognosetto.
Il suo orgoglio era profondamente ferito, doveva ad ogni
costo raccogliere quello che rimaneva dell'antico vigore e affrontare
nuovamente il vescovo. S'intrufolò nella sua casa e, approfittando della
momentanea assenza di Teresa dalla cucina, cominciò con lo sbafarsi la
rimanenza della cena; poi, rimuginando su quale tipo di tentazione mettere in
atto, finì con l'intrufolarsi dentro un abito di Donato.
Era il mese di gennaio e quell'anno il freddo non
scherzava; così Saturnino, abbondantemente rifocillato, finì con
l'addormentarsi sodo e al calduccio.
Ma quando si risvegliò si trovò avvinghiato dalla stretta
terrificante di quella che avrebbe dovuto essere la sua preda.
«Diavolaccio malefico» stava gridando Donato, «ti farò
passare io la voglia di importunare i vescovi!».
Quindi lo portò sul campanile legandolo strettamente al
batacchio della campana grande, così che ogni volta questa suonava il diavolo
veniva scosso, urtato, tirato e frastornato come un cencio battuto sulla
pietra.
I topi che
abitavano la torre campanaria si chiesero ben presto che ci facesse lì quel
coso e cominciarono a rosicchiare la corda che lo teneva legato, finché,
finalmente, lo liberarono dall'incomoda situazione facendolo cadere con un tonfo
sul pavimento.
Per la prima volta Saturnino cominciava seriamente a dubitare
sulla sua natura diabolica, eppure non voleva ancora darsi per vinto. Alla
prima occasione scese cautamente nelle stanze di Donato e si nascose nella sua
tabacchiera; così, quando questi ne sollevò il coperchio, balzò fuori con un
urlo da far accapponare la pelle. Ma non era così facile intimorire un santo, e
tanto meno quello.
«Sei dunque tornato, spiritello malvagio» gli disse,
osservandone con soddisfazione l'aspetto malconcio. «Ora ti sistemo una volta
per tutte, così potrai riferire al tuo padrone che con me non c'è niente da
fare!».
Detto questo, Donato prese il diavolo per un orecchio e
lo ficcò dentro il ripostiglio dove erano conservate tutte le preghiere che il
vescovo aveva rivolto al buon Dio.
Questo fu il colmo! Saturnino strabuzzò gli occhi, si
contorse in preda a spasimi atroci mentre le sue fibre erano sottoposte a
inimmaginabili sconvolgimenti. Infine, al colmo della disperazione, svenne e
tutto sprofondò in un grande silenzio.
A cominciare dal quel giorno il nostro diavoletto non osò
più tormentare il santo né tanto meno tornare dal suo padrone, il maligno
Signore delle Tenebre.
Si aggirava per la casa e per il giardino cercando di
passare inosservato, sgattaiolava lungo i muri accontentandosi di qualche
avanzo della cucina e di poter nascondersi in quel luogo che cominciava quasi a
piacergli.
Intanto il tempo passava e Donato perdeva sempre più le
sue forze avvicinandosi ormai alla vecchiaia.
Quando infine si ammalò, da quell'uomo robusto che era si
ridusse in un letto preso da estrema debolezza.
Saturnino considerò allora che forse poteva essere giunto
il tempo della sua rivincita e, avvicinandosi stancamente al capezzale del suo
temuto antagonista, gli sussurrò con quel po' di voce che anche a lui era
rimasta: «Dammi finalmente retta, io posso ridarti salute e giovinezza se tu ti
affiderai al mio signore! Basta un tuo cenno, anzi il solo tuo desiderio, e
potrai tornare quello di un tempo: giovane, forte e protetto dal più potente
dei principi».
II santo
guardò quel malconcio demonio spelacchiato e smunto, ormai sfinito dopo tante
inutili lotte, e provò per lui una grande pietà.
«Ascolta, se il tuo padrone può fare tutto ciò che dici,
per quale motivo non ne approfitti tu stesso?».
Saturnino non sapeva che rispondere, ma quelle parole lo
fecero riflettere.
«Posso forse proporre io un patto a te» proseguì Donato
con un filo di voce. «Non posso certo trasformarti così sui due piedi in un
angelo, ma posso sottrarti al potere del tuo sgradevole padrone».
E visto che il diavoletto sembrava contento di quella
proposta, Donato si rivolse al buon Dio affinché si prendesse cura Lui di
quella creatura.
In quello stesso istante, la sgraziata ombra scura che si
trovava accanto al santo si trasformò per incanto in un grazioso e variopinto
uccellino dal canto melodioso.
Per tutti i giorni in cui Donato giacque ammalato il
piccolo animale non lasciò più la stanza, cercando di dare conforto al
moribondo con il trillo del suo canto.
Passò poco tempo e il santo lasciò questa terra per
raggiungere il Paradiso dove, statene pur certi, fece in modo che fosse
chiamato anche un certo uccellino.
da: "Leggende Cristiane. Storie straordinarie di santi, martiri, eremiti e pellegrini", a cura di Roberta Bellinzaghi, © 2004 - Edizioni Piemme S.p.A.
Buona giornata a tutti. :-)
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