2. Éleos: la parola greca esprime compassione come dedizione emotiva a colui che è in una situazione di bisogno.
Éleos non è mai soltanto una disposizione d'animo, ma anche sempre atto compassionevole, una reazione di soccorso allo stato di bisogno di un'altra persona. Nel suo vangelo, Matteo cita due volte la frase del profeta Osea: «Misericordia (éleos) io voglio e non sacrifici» (Mt 9,13 e 12,7).
Con questa frase Gesù si difende dai farisei che emarginano i peccatori e per cui il precetto del sabato è più importante della fame delle persone. Nelle sue invettive rimprovera ai farisei: «Pagate la decima sulla menta, sull'aneto e sul cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà» (Mt 23,23).
I discepoli di Gesù non devono nascondersi dietro le leggi e le prescrizioni: il loro comportamento deve essere contrassegnato da una dedizione misericordiosa per gli altri. Se sono misericordiosi, troveranno a loro volta misericordia: così il Maestro ha promesso loro nelle beatitudini (Mt 5,7).
Il cristiano deve imitare Gesù nella sua dedizione misericordiosa verso i peccatori e gli emarginati. Ma, nella sua pena, può a sua volta rivolgersi a Gesù e confidare nella sua misericordia.
Il cieco Bartimeo grida due volte: «Gesù, abbi pietà (eléésón) di me!» (Mc 10,47s.). In Matteo questa esclamazione ricorre anche nel caso della donna la cui figlia è malata (Mt 15,22) e del padre il cui figlio è epilettico e cade spesso nel fuoco onell'acqua (Mt 17,15).
Come padri o come madri spesso ci sentiamo impotenti quando i nostri figli crescono in maniera diversa da come ci saremmo aspettati oppure si ammalano. Allora dobbiamo invocare la pietà di Gesù.
La chiesa ci ha raccomandato vivamente questa invocazione: in ogni celebrazione eucaristica cantiamo il Kyrie eléison, `Signore, pietà!'.
E la preghiera di Gesù che la chiesa ortodossa ci consiglia come via di meditazione associa a ogni respiro questa invocazione: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me». Quando Gesù si rivolge pietosamente verso di noi, veniamo guariti e risanati, facciamo l'esperienza della pace interiore.
E allora diveniamo misericordiosi anche nei confronti di noi stessi, invece di infuriare contro di noi. In particolare per Matteo Gesù è il Redentore misericordioso, che va incontro alle persone con misericordia e agisce su di loro misericordiosamente, perdonando loro i peccati e risanandone le ferite, rendendo loro possibile un nuovo inizio di vita piena.
Quando Gesù ci incita alla misericordia, noi, come suoi discepoli, dobbiamo anche portare il suo spirito in questo mondo.
Éleos non è mai soltanto una disposizione d'animo, ma anche sempre atto compassionevole, una reazione di soccorso allo stato di bisogno di un'altra persona. Nel suo vangelo, Matteo cita due volte la frase del profeta Osea: «Misericordia (éleos) io voglio e non sacrifici» (Mt 9,13 e 12,7).
Con questa frase Gesù si difende dai farisei che emarginano i peccatori e per cui il precetto del sabato è più importante della fame delle persone. Nelle sue invettive rimprovera ai farisei: «Pagate la decima sulla menta, sull'aneto e sul cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà» (Mt 23,23).
I discepoli di Gesù non devono nascondersi dietro le leggi e le prescrizioni: il loro comportamento deve essere contrassegnato da una dedizione misericordiosa per gli altri. Se sono misericordiosi, troveranno a loro volta misericordia: così il Maestro ha promesso loro nelle beatitudini (Mt 5,7).
Il cristiano deve imitare Gesù nella sua dedizione misericordiosa verso i peccatori e gli emarginati. Ma, nella sua pena, può a sua volta rivolgersi a Gesù e confidare nella sua misericordia.
Il cieco Bartimeo grida due volte: «Gesù, abbi pietà (eléésón) di me!» (Mc 10,47s.). In Matteo questa esclamazione ricorre anche nel caso della donna la cui figlia è malata (Mt 15,22) e del padre il cui figlio è epilettico e cade spesso nel fuoco onell'acqua (Mt 17,15).
Come padri o come madri spesso ci sentiamo impotenti quando i nostri figli crescono in maniera diversa da come ci saremmo aspettati oppure si ammalano. Allora dobbiamo invocare la pietà di Gesù.
La chiesa ci ha raccomandato vivamente questa invocazione: in ogni celebrazione eucaristica cantiamo il Kyrie eléison, `Signore, pietà!'.
E la preghiera di Gesù che la chiesa ortodossa ci consiglia come via di meditazione associa a ogni respiro questa invocazione: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me». Quando Gesù si rivolge pietosamente verso di noi, veniamo guariti e risanati, facciamo l'esperienza della pace interiore.
E allora diveniamo misericordiosi anche nei confronti di noi stessi, invece di infuriare contro di noi. In particolare per Matteo Gesù è il Redentore misericordioso, che va incontro alle persone con misericordia e agisce su di loro misericordiosamente, perdonando loro i peccati e risanandone le ferite, rendendo loro possibile un nuovo inizio di vita piena.
Quando Gesù ci incita alla misericordia, noi, come suoi discepoli, dobbiamo anche portare il suo spirito in questo mondo.
3. Oiktírmon, cioè 'compassionevole, che condivide i sentimenti di qualcuno'. Con questa parola greca si esprime soprattutto l'atteggiamento misericordioso. Esso corrisponde a ciò che nel buddhismo è definito compassione.
L'essere umano ha un senso per l'altro: ne condivide i sentimenti, soffre con lui, si sente solidale con lui. Luca ha visto tale atteggiamento come quello adeguato al cristiano, come quello maggiormente conforme alla natura di Dio: «Siate misericordiosi (lett., compassionevoli), come il Padre vostro è misericordioso (lett., compassionevole)» (Lc 6,36).
In ciò si esprime la natura dell'essere umano, portato a condividere i sentimenti del prossimo, a mostrarsi misericordioso verso il prossimo.
E allo stesso tempo con queste parole Luca vorrebbe dirci: se condividiamo misericordiosamente i sentimenti degli altri, facendo come Dio, allora partecipiamo di Dio, comprendiamo chi è Dio, lo Spirito di Dio si è impossessato di noi.
La parola tedesca barmherzig è una traduzione del latino misericordia e significa: avere un cuore per i miseri, o avere un cuore per quanto c'è di povero e orfano, di misero e debole, in me e negli altri. La misericordia mira soprattutto al cuore.
C'è un bel detto del IV secolo, di Abba Pambone: «Se hai cuore, puoi salvarti» [7]. L'essere umano ottiene salvezza e perfezione, partecipa dell'amore redentore di Gesù Cristo soltanto se ha un cuore per gli altri e se a sua volta dimora nel proprio cuore e non fa tutto soltanto con la ragione o la volontà. Non basta però dimorare nel cuore. Dobbiamo agire - e il Vangelo di Luca torna sempre a dimostrarcelo - anche a partire dal cuore. Per Luca ciò significa soprattutto condividere la nostra vita, i nostri beni e il nostro amore con gli altri.
Nella tradizione si sono sviluppate sette opere di misericordia corporale e sette di misericordia spirituale.
Ci sono i sette doni dello Spirito santo e i sette sacramenti. Le sette opere di misericordia sono, per così dire, un sacramento dell'agire.
Attraverso il nostro operato misericordioso questo mondo anela a essere trasformato. L'opera di Gesù vuole proseguire benefica in questo mondo tramite il nostro agire.
Nella descrizione delle opere di misericordia corporale per me è importante sempre vedere già anche l'aspetto spirituale. Persino le condizioni di bisogno fisico - come la fame, la sete e la nudità - hanno sempre già anche una dimensione spirituale. Desidero quindi vedere sempre entrambi gli aspetti: l'agire concreto, come quello che ha presente Gesù in Mt 25, e il significato spirituale di ogni nostro operare concreto. Le sette opere di misericordia spirituale sono nate dall'interpretazione spirituale di quelle di misericordia corporale e traspongono le parole di Gesù nella varietà delle nostre relazioni reciproche.
L'essere umano ha un senso per l'altro: ne condivide i sentimenti, soffre con lui, si sente solidale con lui. Luca ha visto tale atteggiamento come quello adeguato al cristiano, come quello maggiormente conforme alla natura di Dio: «Siate misericordiosi (lett., compassionevoli), come il Padre vostro è misericordioso (lett., compassionevole)» (Lc 6,36).
In ciò si esprime la natura dell'essere umano, portato a condividere i sentimenti del prossimo, a mostrarsi misericordioso verso il prossimo.
E allo stesso tempo con queste parole Luca vorrebbe dirci: se condividiamo misericordiosamente i sentimenti degli altri, facendo come Dio, allora partecipiamo di Dio, comprendiamo chi è Dio, lo Spirito di Dio si è impossessato di noi.
La parola tedesca barmherzig è una traduzione del latino misericordia e significa: avere un cuore per i miseri, o avere un cuore per quanto c'è di povero e orfano, di misero e debole, in me e negli altri. La misericordia mira soprattutto al cuore.
C'è un bel detto del IV secolo, di Abba Pambone: «Se hai cuore, puoi salvarti» [7]. L'essere umano ottiene salvezza e perfezione, partecipa dell'amore redentore di Gesù Cristo soltanto se ha un cuore per gli altri e se a sua volta dimora nel proprio cuore e non fa tutto soltanto con la ragione o la volontà. Non basta però dimorare nel cuore. Dobbiamo agire - e il Vangelo di Luca torna sempre a dimostrarcelo - anche a partire dal cuore. Per Luca ciò significa soprattutto condividere la nostra vita, i nostri beni e il nostro amore con gli altri.
Nella tradizione si sono sviluppate sette opere di misericordia corporale e sette di misericordia spirituale.
Ci sono i sette doni dello Spirito santo e i sette sacramenti. Le sette opere di misericordia sono, per così dire, un sacramento dell'agire.
Attraverso il nostro operato misericordioso questo mondo anela a essere trasformato. L'opera di Gesù vuole proseguire benefica in questo mondo tramite il nostro agire.
Nella descrizione delle opere di misericordia corporale per me è importante sempre vedere già anche l'aspetto spirituale. Persino le condizioni di bisogno fisico - come la fame, la sete e la nudità - hanno sempre già anche una dimensione spirituale. Desidero quindi vedere sempre entrambi gli aspetti: l'agire concreto, come quello che ha presente Gesù in Mt 25, e il significato spirituale di ogni nostro operare concreto. Le sette opere di misericordia spirituale sono nate dall'interpretazione spirituale di quelle di misericordia corporale e traspongono le parole di Gesù nella varietà delle nostre relazioni reciproche.
Perché il mondo sia trasformato
La tradizione cristiana ama il numero quattordici. Sono quattordici le stazioni della Via crucis. E sono quattordici i santi ausiliatori (quel gruppo cioè di santi alla cui intercessione il popolo cristiano si rivolgeva per particolari necessità).
Il quattordici è un numero che dice guarigione.
A Babilonia esistevano quattordici divinità guaritrici.
E per sant'Agostino il numero quattordici rimanda alla morte e alla risurrezione di Gesù, che hanno trasformato e guarito la nostra esistenza. Gesù infatti è morto il quattordici di Nisan [8].
Le quattordici opere di misericordia sono espressione della dimensione salvifica della nostra fede. Attraverso queste opere l'amore salvifico e redentore di Gesù Cristo deve riversarsi in questo mondo attraverso di noi.
La redenzione è avvenuta una volta per tutte in Gesù Cristo. Ma gli autori del Nuovo Testamento sono convinti che la redenzione per mezzo di Gesù Cristo si riversa in questo mondo e vi si riattualizza mediante l'operato dei discepoli di Gesù.
In particolare l'evangelista Matteo scrive il suo vangelo per la comunità ecclesiale, affinché in essa si faccia visibile e tangibile la salvezza di Gesù Cristo per tutti gli uomini.
I discepoli di Gesù devono essere il sale della terra e la luce del mondo, di modo che, per mezzo di loro, la luce di Gesù illumini gli esseri umani.
Quando Gesù fece la sua comparsa in Galilea, per Matteo si avverò la promessa del profeta Isaia: «Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta» (Mt 4,16). La luce che è rifulsa in Gesù deve continuare a splendere in questo mondo per mezzo dei suoi discepoli. Gesù dice ai discepoli:
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa.
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli (Mt 5,14-16).
Le quattordici opere di misericordia devono far risplendere in questo mondo la luce di Gesù Cristo, affinché gli esseri umani rendano gloria a Dio.
I cristiani, quindi, non vogliono affermare se stessi con le opere, né davanti a Dio, né davanti agli uomini, ma vogliono adempiere il compito affidato loro da Gesù e portare la sua luce nel mondo.
Nel caso delle quattordici opere di misericordia non si tratta del fatto che possiamo ottenere la salvezza mediante le opere.
La tradizione cristiana è sempre stata consapevole che la salvezza viene da Gesù Cristo e che siamo giustificati dalla fede. Con Matteo e Giacomo, però, la chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che la fede senza le opere non è una vera fede. La fede deve esprimersi anche in un comportamento nuovo. Anche l'apostolo Giacomo, che insiste tanto sulle opere buone, sa che «ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall'alto e discendono dal Padre, creatore della luce» (Gc 1,17).
Allo stesso tempo, però, esorta i cristiani:
Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi; perché, se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio: appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla (Gc 1,22-25).
Otteniamo la salvezza per mezzo della fede e non per mezzo delle opere.
Ma soltanto se la nostra fede si esprime anche nelle opere di misericordia saremo beati. Essere beati non significa ottenere la salvezza, ma essere felici, essere in armonia con se stessi. Non dobbiamo vedere le opere di misericordia in un'ottica moraleggiante.
Mi sta particolarmente a cuore non trasmettere alle lettrici e ai lettori un senso di colpa se non compiono tutte le opere di misericordia. Si tratta piuttosto di indicare una via su come possono esprimere la propria fede e una via lungo la quale trovare la felicità, una via che in fondo fa bene a loro, sulla quale trovano la pace interiore. Giacomo dice qui makdrios, cioè dice 'beato, felice'. È la felicità che in Grecia era riservata agli dèi.
Le opere di misericordia, nell'ottica di Giacomo, sono una via alla felicità. Non operano qualcosa di buono soltanto in coloro a cui io mostro misericordia, ma donano anche a me la soddisfazione interiore.
Posso rendermi conto pieno di riconoscenza che attraverso di me una persona ritrova più coraggio di vivere, che il suo percorso torna a condurla nella speranza, nella fiducia, nell'amore e alla felicità.
La misericordia è un tema portante nel Vangelo di Matteo.
Gesù è il Redentore misericordioso, che agisce misericordiosamente su di noi. Gesù ci insegna come possiamo comportarci misericordiosamente verso noi stessi e come possiamo dimostrare misericordia ad altri.
Nel suo Discorso sul giudizio finale ci dimostra che veniamo misurati da Dio in base al fatto che abbiamo dato da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, che abbiamo accolto i forestieri, vestito gli ignudi, visitato i malati e fatto visita ai prigionieri.
Oggi abbiamo difficoltà ad accettare l'immagine del giudizio: in passato ha intimorito molte persone. Ma, con le sue parole, Gesù non vuole diffondere paura, bensì esortare alla decisione, all'apertura e alla solidarietà con le persone. Con l'immagine del giudizio vuole rinviarci a Dio, affinché viviamo in maniera giusta e retta.
Le opere di misericordia ci rinviano a Dio e alle persone in cui incontriamo Cristo stesso. Gesù vuole aprirci gli occhi, affinché viviamo qui e ora in modo che il suo Spirito di misericordia ci pervada. Allora ci comportiamo in maniera misericordiosa con noi e con gli altri e, proprio in questo modo, facciamo – come si è espresso Giacomo – l'esperienza di essere felici nel nostro operare giusto: sperimentiamo la felicità rendendo felici altri, comportandoci con bontà verso noi stessi, facendo del bene al prossimo, scoprendo sempre di più il mistero di Gesù Cristo, dimostrando misericordia ai suoi fratelli e sorelle e incontrando in loro Cristo stesso, che è per noi la fonte di ogni salvezza e misericordia.
- Anselm Grün -
Il quattordici è un numero che dice guarigione.
A Babilonia esistevano quattordici divinità guaritrici.
E per sant'Agostino il numero quattordici rimanda alla morte e alla risurrezione di Gesù, che hanno trasformato e guarito la nostra esistenza. Gesù infatti è morto il quattordici di Nisan [8].
Le quattordici opere di misericordia sono espressione della dimensione salvifica della nostra fede. Attraverso queste opere l'amore salvifico e redentore di Gesù Cristo deve riversarsi in questo mondo attraverso di noi.
La redenzione è avvenuta una volta per tutte in Gesù Cristo. Ma gli autori del Nuovo Testamento sono convinti che la redenzione per mezzo di Gesù Cristo si riversa in questo mondo e vi si riattualizza mediante l'operato dei discepoli di Gesù.
In particolare l'evangelista Matteo scrive il suo vangelo per la comunità ecclesiale, affinché in essa si faccia visibile e tangibile la salvezza di Gesù Cristo per tutti gli uomini.
I discepoli di Gesù devono essere il sale della terra e la luce del mondo, di modo che, per mezzo di loro, la luce di Gesù illumini gli esseri umani.
Quando Gesù fece la sua comparsa in Galilea, per Matteo si avverò la promessa del profeta Isaia: «Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta» (Mt 4,16). La luce che è rifulsa in Gesù deve continuare a splendere in questo mondo per mezzo dei suoi discepoli. Gesù dice ai discepoli:
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa.
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli (Mt 5,14-16).
Le quattordici opere di misericordia devono far risplendere in questo mondo la luce di Gesù Cristo, affinché gli esseri umani rendano gloria a Dio.
I cristiani, quindi, non vogliono affermare se stessi con le opere, né davanti a Dio, né davanti agli uomini, ma vogliono adempiere il compito affidato loro da Gesù e portare la sua luce nel mondo.
Nel caso delle quattordici opere di misericordia non si tratta del fatto che possiamo ottenere la salvezza mediante le opere.
La tradizione cristiana è sempre stata consapevole che la salvezza viene da Gesù Cristo e che siamo giustificati dalla fede. Con Matteo e Giacomo, però, la chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che la fede senza le opere non è una vera fede. La fede deve esprimersi anche in un comportamento nuovo. Anche l'apostolo Giacomo, che insiste tanto sulle opere buone, sa che «ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall'alto e discendono dal Padre, creatore della luce» (Gc 1,17).
Allo stesso tempo, però, esorta i cristiani:
Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi; perché, se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica, costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio: appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla (Gc 1,22-25).
Otteniamo la salvezza per mezzo della fede e non per mezzo delle opere.
Ma soltanto se la nostra fede si esprime anche nelle opere di misericordia saremo beati. Essere beati non significa ottenere la salvezza, ma essere felici, essere in armonia con se stessi. Non dobbiamo vedere le opere di misericordia in un'ottica moraleggiante.
Mi sta particolarmente a cuore non trasmettere alle lettrici e ai lettori un senso di colpa se non compiono tutte le opere di misericordia. Si tratta piuttosto di indicare una via su come possono esprimere la propria fede e una via lungo la quale trovare la felicità, una via che in fondo fa bene a loro, sulla quale trovano la pace interiore. Giacomo dice qui makdrios, cioè dice 'beato, felice'. È la felicità che in Grecia era riservata agli dèi.
Le opere di misericordia, nell'ottica di Giacomo, sono una via alla felicità. Non operano qualcosa di buono soltanto in coloro a cui io mostro misericordia, ma donano anche a me la soddisfazione interiore.
Posso rendermi conto pieno di riconoscenza che attraverso di me una persona ritrova più coraggio di vivere, che il suo percorso torna a condurla nella speranza, nella fiducia, nell'amore e alla felicità.
La misericordia è un tema portante nel Vangelo di Matteo.
Gesù è il Redentore misericordioso, che agisce misericordiosamente su di noi. Gesù ci insegna come possiamo comportarci misericordiosamente verso noi stessi e come possiamo dimostrare misericordia ad altri.
Nel suo Discorso sul giudizio finale ci dimostra che veniamo misurati da Dio in base al fatto che abbiamo dato da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, che abbiamo accolto i forestieri, vestito gli ignudi, visitato i malati e fatto visita ai prigionieri.
Oggi abbiamo difficoltà ad accettare l'immagine del giudizio: in passato ha intimorito molte persone. Ma, con le sue parole, Gesù non vuole diffondere paura, bensì esortare alla decisione, all'apertura e alla solidarietà con le persone. Con l'immagine del giudizio vuole rinviarci a Dio, affinché viviamo in maniera giusta e retta.
Le opere di misericordia ci rinviano a Dio e alle persone in cui incontriamo Cristo stesso. Gesù vuole aprirci gli occhi, affinché viviamo qui e ora in modo che il suo Spirito di misericordia ci pervada. Allora ci comportiamo in maniera misericordiosa con noi e con gli altri e, proprio in questo modo, facciamo – come si è espresso Giacomo – l'esperienza di essere felici nel nostro operare giusto: sperimentiamo la felicità rendendo felici altri, comportandoci con bontà verso noi stessi, facendo del bene al prossimo, scoprendo sempre di più il mistero di Gesù Cristo, dimostrando misericordia ai suoi fratelli e sorelle e incontrando in loro Cristo stesso, che è per noi la fonte di ogni salvezza e misericordia.
- Anselm Grün -
da: "Perchè il mondo sia trasformato - Le sette
opere di misericordia", Ed.Queriniana, 2009
La richiesta di Gesù di dar da mangiare agli affamati è un pungolo anche per la politica: non dà pace ai politici, affinché si impegnino per un'equa distribuzione dei beni.
- Anselm Grün -
Per Gesù la sete è sempre anche un'immagine dell'anelito
più profondo dell'essere umano. [...]
L'acqua che Gesù ci dà da bere è il suo
Spirito.
Vuole diventare dentro di noi una sorgente che zampilla in noi, che ci
preserva dall'inaridire interiormente.
- Anselm Grün -
Buona giornata a tutti. :-)
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