Resterò fedele alla divisione classica tra le sette opere
di misericordia corporale e le sette di misericordia spirituale.
Vorrei però cercare di descriverle in modo che noi oggi ci sentiamo chiamati in causa.
Vorrei però cercare di descriverle in modo che noi oggi ci sentiamo chiamati in causa.
Nell'apprestarmi a questo compito vedo due difficoltà: l'una è il pericolo di
fare della morale. Non intendo presentarmi come il sapientone che fa la predica
agli altri perché finalmente compiano queste opere e donino in abbondanza per
gli affamati.
L'altra difficoltà sta nella dimensione politica dell'assistenza.
Le opere cristiane della misericordia sono soltanto una goccia nel mare?
Non dobbiamo piuttosto cambiare il mondo a livello politico, affinché non ci siano più né poveri, né ignudi, né senzatetto?
Il messaggio di Gesù vorrebbe aprirci gli occhi su come far agire in tutto il mondo lo spirito della misericordia e non quello dello sfruttamento, lo spirito del rispetto e non quello del disprezzo.
Non basta però accollare le opere di misericordia ai soli politici: in quel caso, infatti, avremmo il pretesto di non apportare il nostro contributo a un mondo più umano.
Per quanto sia importante la visione politica ed economica, non possiamo aspettare a compiere le opere di misericordia finché regnino in tutto il mondo giustizia, pace e benessere. Pur con tutto l'impegno politico, nell'ambiente a noi più prossimo c'è sempre spazio sufficiente per realizzare le opere di misericordia corporale e spirituale.
Con ciò non voglio instillare nei lettori e nelle lettrici un senso di colpa perché fanno troppo poco.
Desidero soltanto, come fa Gesù nel suo Discorso sul giudizio finale, che apriamo gli occhi per essere pronti, là dove Dio ci tocca, a dimostrare misericordia al fratello o alla sorella, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga sul piano corporale o su quello spirituale.
Dal Discorso di Gesù sul giudizio emerge che egli non fa la morale: egli promette invece una ricca ricompensa a coloro che adempiono queste opere di misericordia. Il paradosso, però, è che queste persone compiono tali opere non perché ricevono una ricompensa, ma perché si lasciano toccare dai bisognosi. Lasciandomi commuovere dal fratello o dalla sorella e lasciandomi ispirare a un'opera di misericordia, sperimento una ricompensa interiore.
Sento che donando la mia vita si arricchisce, sento che diventa più sana se mi dedico ai malati, sento che copro la mia nudità se vesto gli ignudi.
Le nostre azioni hanno sempre anche un effetto su noi stessi: le opere di misericordia fanno bene anche a noi. In esse dimostriamo misericordia anche verso noi stessi. Ma non le compiamo per fare qualcosa di buono a noi.
Le compiamo perché lasciamo che il nostro cuore sia toccato dai poveri, dagli affamati, dai senzatetto, dai malati e dai prigionieri.
Il paradosso è che, dimenticando noi stessi perché ci apriamo a un'altra persona, anche noi facciamo l'esperienza della realizzazione della nostra esistenza, sperimentiamo una gratitudine interiore per il fatto che una persona dalle spalle curve riparte da noi rialzando la testa e che un ignudo riscopre la dignità regale di cui è rivestito.
L'altra difficoltà sta nella dimensione politica dell'assistenza.
Le opere cristiane della misericordia sono soltanto una goccia nel mare?
Non dobbiamo piuttosto cambiare il mondo a livello politico, affinché non ci siano più né poveri, né ignudi, né senzatetto?
Il messaggio di Gesù vorrebbe aprirci gli occhi su come far agire in tutto il mondo lo spirito della misericordia e non quello dello sfruttamento, lo spirito del rispetto e non quello del disprezzo.
Non basta però accollare le opere di misericordia ai soli politici: in quel caso, infatti, avremmo il pretesto di non apportare il nostro contributo a un mondo più umano.
Per quanto sia importante la visione politica ed economica, non possiamo aspettare a compiere le opere di misericordia finché regnino in tutto il mondo giustizia, pace e benessere. Pur con tutto l'impegno politico, nell'ambiente a noi più prossimo c'è sempre spazio sufficiente per realizzare le opere di misericordia corporale e spirituale.
Con ciò non voglio instillare nei lettori e nelle lettrici un senso di colpa perché fanno troppo poco.
Desidero soltanto, come fa Gesù nel suo Discorso sul giudizio finale, che apriamo gli occhi per essere pronti, là dove Dio ci tocca, a dimostrare misericordia al fratello o alla sorella, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga sul piano corporale o su quello spirituale.
Dal Discorso di Gesù sul giudizio emerge che egli non fa la morale: egli promette invece una ricca ricompensa a coloro che adempiono queste opere di misericordia. Il paradosso, però, è che queste persone compiono tali opere non perché ricevono una ricompensa, ma perché si lasciano toccare dai bisognosi. Lasciandomi commuovere dal fratello o dalla sorella e lasciandomi ispirare a un'opera di misericordia, sperimento una ricompensa interiore.
Sento che donando la mia vita si arricchisce, sento che diventa più sana se mi dedico ai malati, sento che copro la mia nudità se vesto gli ignudi.
Le nostre azioni hanno sempre anche un effetto su noi stessi: le opere di misericordia fanno bene anche a noi. In esse dimostriamo misericordia anche verso noi stessi. Ma non le compiamo per fare qualcosa di buono a noi.
Le compiamo perché lasciamo che il nostro cuore sia toccato dai poveri, dagli affamati, dai senzatetto, dai malati e dai prigionieri.
Il paradosso è che, dimenticando noi stessi perché ci apriamo a un'altra persona, anche noi facciamo l'esperienza della realizzazione della nostra esistenza, sperimentiamo una gratitudine interiore per il fatto che una persona dalle spalle curve riparte da noi rialzando la testa e che un ignudo riscopre la dignità regale di cui è rivestito.
2. La misericordia come atteggiamento di fondo
L'atteggiamento di fondo delle quattordici opere è la
misericordia.
Desidero perciò scrivere alcuni pensieri a proposito di tale atteggiamento.
La Bibbia conosce diversi concetti e diverse immagini per la misericordia. All'Antico Testamento sono noti soprattutto due termini per 'misericordia': hesedh, cioè `bontà', e rahamim, 'pietà'.
È soprattutto Dio a essere misericordioso.
La misericordia di Dio, però, esige anche dagli esseri umani che dimostrino misericordia vicendevole. La misericordia, in questo contesto, non è mai soltanto una disposizione dell'animo, interiore, ma è anche sempre un agire, una prassi. La parola ebraica hesedh significa 'gentilezza e bontà'.
Dio si dimostra misericordioso nei confronti dell'essere umano quando lo tratta in maniera gentile, benevola e pietosa, quando gli perdona le sue colpe. L'altra parola, rahamim, è collegata al termine rehem: 'grembo materno, viscere materne'.
Come una madre si dedica al bambino che tiene in grembo, così Dio si rivolge a noi uomini in modo materno. Dio, come una madre, tratta con tenerezza l'essere umano che, per così dire, tiene in grembo. Qui la misericordia è l'affetto, ovvero il chinarsi di uno che sta in alto nella scala gerarchica verso il più piccolo.
Dio non giudica, ma ritiene l'essere umano in grado di svilupparsi sempre di più, così come fa un bambino, fino a diventare la persona che deve essere secondo quanto immaginato da Dio stesso.
Questo atteggiamento viene descritto così soprattutto a proposito di Dio nei confronti dell'uomo e quasi mai a proposito degli esseri umani nelle relazioni tra di loro.
La pietà dell'essere umano nei confronti di un suo simile è espressa di preferenza con il termine hanan, che compare anche in alcuni nomi di persona, come Anna o Giovanni. La misericordia dell'uomo si dimostra nelle sue premure verso i poveri e i miseri, ma anche nei confronti del bestiame. Davide si dimostra misericordioso nei confronti di Saul non sfruttando il proprio potere, ma risparmiandolo.
Alcuni ritengono che l'Antico Testamento descriva Dio soprattutto come giudice. In tal modo, però, si interpreta l'Antico Testamento in maniera parziale. Anche nell'Antico Testamento Dio è già sempre il misericordioso: la misericordia è la sua natura. Gesù ha collocato questo messaggio della misericordia di Dio al centro della sua predicazione.
E, a sua volta, ha agito in maniera misericordiosa nei confronti degli uomini. Proprio Matteo, che descrive Gesù sullo sfondo della teologia ebraica, lo ha descritto come il Redentore misericordioso. Comunque tutti i vangeli riferiscono dell'operato misericordioso di Gesù.
Il greco del Nuovo Testamento usa tre parole diverse per esprimere questo 'essere misericordioso':
Desidero perciò scrivere alcuni pensieri a proposito di tale atteggiamento.
La Bibbia conosce diversi concetti e diverse immagini per la misericordia. All'Antico Testamento sono noti soprattutto due termini per 'misericordia': hesedh, cioè `bontà', e rahamim, 'pietà'.
È soprattutto Dio a essere misericordioso.
La misericordia di Dio, però, esige anche dagli esseri umani che dimostrino misericordia vicendevole. La misericordia, in questo contesto, non è mai soltanto una disposizione dell'animo, interiore, ma è anche sempre un agire, una prassi. La parola ebraica hesedh significa 'gentilezza e bontà'.
Dio si dimostra misericordioso nei confronti dell'essere umano quando lo tratta in maniera gentile, benevola e pietosa, quando gli perdona le sue colpe. L'altra parola, rahamim, è collegata al termine rehem: 'grembo materno, viscere materne'.
Come una madre si dedica al bambino che tiene in grembo, così Dio si rivolge a noi uomini in modo materno. Dio, come una madre, tratta con tenerezza l'essere umano che, per così dire, tiene in grembo. Qui la misericordia è l'affetto, ovvero il chinarsi di uno che sta in alto nella scala gerarchica verso il più piccolo.
Dio non giudica, ma ritiene l'essere umano in grado di svilupparsi sempre di più, così come fa un bambino, fino a diventare la persona che deve essere secondo quanto immaginato da Dio stesso.
Questo atteggiamento viene descritto così soprattutto a proposito di Dio nei confronti dell'uomo e quasi mai a proposito degli esseri umani nelle relazioni tra di loro.
La pietà dell'essere umano nei confronti di un suo simile è espressa di preferenza con il termine hanan, che compare anche in alcuni nomi di persona, come Anna o Giovanni. La misericordia dell'uomo si dimostra nelle sue premure verso i poveri e i miseri, ma anche nei confronti del bestiame. Davide si dimostra misericordioso nei confronti di Saul non sfruttando il proprio potere, ma risparmiandolo.
Alcuni ritengono che l'Antico Testamento descriva Dio soprattutto come giudice. In tal modo, però, si interpreta l'Antico Testamento in maniera parziale. Anche nell'Antico Testamento Dio è già sempre il misericordioso: la misericordia è la sua natura. Gesù ha collocato questo messaggio della misericordia di Dio al centro della sua predicazione.
E, a sua volta, ha agito in maniera misericordiosa nei confronti degli uomini. Proprio Matteo, che descrive Gesù sullo sfondo della teologia ebraica, lo ha descritto come il Redentore misericordioso. Comunque tutti i vangeli riferiscono dell'operato misericordioso di Gesù.
Il greco del Nuovo Testamento usa tre parole diverse per esprimere questo 'essere misericordioso':
1. Splanchnìzomai, ossia 'essere
toccato nelle viscere'.
Questo termine viene utilizzato soprattutto a proposito di Dio e di Gesù.
Per i greci le viscere sono il luogo dei sentimenti vulnerabili. Il Dio misericordioso lascia entrare gli esseri umani in se stesso, nel proprio cuore, nelle proprie viscere. Nella sua umanità vulnerabile Gesù si apre agli uomini: si lascia ferire per guarirne le ferite.
Nei vangeli questo termine è noto soltanto ai sinottici.
La parola, però, è utilizzata tre volte nelle parabole di Gesù. Colui a cui Dio ha perdonato ogni peccato dev'essere a sua volta misericordioso nei confronti dell'altro servo, invece di esigere spietatamente da lui il suo debito (Mt 18,27).
Il samaritano si dimostra misericordioso nei confronti dell'uomo incappato nei briganti: si apre a colui che giace mezzo morto sul ciglio della strada e ha compassione di lui (Lc 10,33).
Lo lascia entrare in sé, mentre il sacerdote e il levita si chiudono e passano oltre. E Dio come padre misericordioso ha compassione del figlio prodigo (Lc 15,20).
Nei racconti di miracoli, invece, la parola è usata nove volte.
Gesù ha compassione del lebbroso: apre il suo cuore a colui che si sente rifiutato ed emarginato da tutti (Mc 1,41).
In Matteo questa parola compare tre volte, non nei confronti di singoli individui, bensì nei confronti della folla che ha fame, è ferita, anela alla salvezza e non ha orientamento. «Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36).
Poiché Gesù si fa commuovere dal dolore e dallo smarrimento e dalla loro stanchezza, guarisce i malati, annuncia il proprio messaggio, dà loro da mangiare (Mt 14,14 e 15,32) e invia loro i suoi discepoli.
Il Discorso missionario, in Matteo, segue direttamente l'osservazione secondo cui Gesù prova compassione per le folle. Secondo me ciò significa che Gesù ci rende messaggeri della sua misericordia.
Siamo inviati alle persone che sono stanche ed esauste, che sono ferite e confuse. Come Gesù, dobbiamo volgerci misericordiosamente agli altri, condividerne i sentimenti, aprire a loro il nostro cuore e compiere nei loro confronti ciò che ha fatto Gesù.
(continua)
Questo termine viene utilizzato soprattutto a proposito di Dio e di Gesù.
Per i greci le viscere sono il luogo dei sentimenti vulnerabili. Il Dio misericordioso lascia entrare gli esseri umani in se stesso, nel proprio cuore, nelle proprie viscere. Nella sua umanità vulnerabile Gesù si apre agli uomini: si lascia ferire per guarirne le ferite.
Nei vangeli questo termine è noto soltanto ai sinottici.
La parola, però, è utilizzata tre volte nelle parabole di Gesù. Colui a cui Dio ha perdonato ogni peccato dev'essere a sua volta misericordioso nei confronti dell'altro servo, invece di esigere spietatamente da lui il suo debito (Mt 18,27).
Il samaritano si dimostra misericordioso nei confronti dell'uomo incappato nei briganti: si apre a colui che giace mezzo morto sul ciglio della strada e ha compassione di lui (Lc 10,33).
Lo lascia entrare in sé, mentre il sacerdote e il levita si chiudono e passano oltre. E Dio come padre misericordioso ha compassione del figlio prodigo (Lc 15,20).
Nei racconti di miracoli, invece, la parola è usata nove volte.
Gesù ha compassione del lebbroso: apre il suo cuore a colui che si sente rifiutato ed emarginato da tutti (Mc 1,41).
In Matteo questa parola compare tre volte, non nei confronti di singoli individui, bensì nei confronti della folla che ha fame, è ferita, anela alla salvezza e non ha orientamento. «Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36).
Poiché Gesù si fa commuovere dal dolore e dallo smarrimento e dalla loro stanchezza, guarisce i malati, annuncia il proprio messaggio, dà loro da mangiare (Mt 14,14 e 15,32) e invia loro i suoi discepoli.
Il Discorso missionario, in Matteo, segue direttamente l'osservazione secondo cui Gesù prova compassione per le folle. Secondo me ciò significa che Gesù ci rende messaggeri della sua misericordia.
Siamo inviati alle persone che sono stanche ed esauste, che sono ferite e confuse. Come Gesù, dobbiamo volgerci misericordiosamente agli altri, condividerne i sentimenti, aprire a loro il nostro cuore e compiere nei loro confronti ciò che ha fatto Gesù.
(continua)
- Anselm Grün -
da: "Perchè il mondo sia trasformato-Le sette opere di misericordia", Ed. Queriniana, 2009
Buona giornata a tutti. :-)
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