La sera del
più gran dono d’amore è però anche la sera del tradimento.
Non riusciremmo a
cogliere tutto lo spessore del Giovedì Santo, se ci dimenticassimo quest’ombra
inspiegabile e tragica che incombe sull’ultima cena del Signore.
L’evangelista
Giovanni ce lo ricorda senza attenuazioni, dicendo che «mentre cenavano», «già
il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di
tradirlo» (Gv 13,2). Anche san Paolo nel suo racconto annota con cura che il
grande regalo dell’Eucaristia è stato fatto da Gesù proprio «nella notte in cui
venne tradito» (1 Cor 11,23).
Qui c’è per noi un richiamo serio e forte: questa è una storia d’amore, ma non è un romanzo rosa, rugiadoso e dolcificato.
Qui c’è per noi un richiamo serio e forte: questa è una storia d’amore, ma non è un romanzo rosa, rugiadoso e dolcificato.
È una vicenda drammatica, che ci
costringe a rievocare, insieme con la generosità del Signore, la tremenda
possibilità dell’uomo di rifiutarsi al suo Creatore.
Originariamente
la parola «tradire» vuol dire consegnare.
Gesù si è lasciato consegnare ai suoi nemici, e ha voluto così patire – tra tutte le sofferenze – anche quella amara e pungente dell’ingratitudine e dell’infedeltà, inspiegabile risposta dell’uomo alla sua iniziativa d’amore. Dobbiamo sempre temere di noi stessi, e, se pur ci pare di voler bene al Signore, non dobbiamo mai tralasciare di pregare con trepidazione perché ci sia concessa sino alla fine dei nostri giorni la grazia della perseveranza e di un cuore riconoscente.
Gesù si è lasciato consegnare ai suoi nemici, e ha voluto così patire – tra tutte le sofferenze – anche quella amara e pungente dell’ingratitudine e dell’infedeltà, inspiegabile risposta dell’uomo alla sua iniziativa d’amore. Dobbiamo sempre temere di noi stessi, e, se pur ci pare di voler bene al Signore, non dobbiamo mai tralasciare di pregare con trepidazione perché ci sia concessa sino alla fine dei nostri giorni la grazia della perseveranza e di un cuore riconoscente.
Ma nello
stesso momento in cui veniva consegnato ai suoi nemici, Gesù si consegnava
anche ai suoi amici, si consegnava anche a noi, perché ogni giusta diffidenza
verso noi stessi si rasserenasse nella certa persuasione dell’invincibile sua
volontà di tenerci saldamente nel suo possesso e nella sua comunione.
Nonostante la nostra debolezza, nonostante la nostra pericolosissima volubilità,
noi siamo e restiamo di Cristo, come Cristo è di Dio: così ci dice il cibo
eucaristico di cui ci nutriamo.
Anche se
grande e sempre ritornante è la nostra propensione a smarrirci, l’Eucaristia ci
assicura che le pecore del gregge del Signore – in virtù di questo alimento di
salvezza, della assidua presenza del loro Pastore, del sacrificio redentivo che
è perennemente efficace – «non andranno mai perdute» e «nessuno le rapirà»
dalla sua mano (cf. Gv 10,28)
- Cardinale
Giacomo Biffi -
(Giovedì Santo 1988)
Lavanda dei
piedi e Sacramenti (da Benedetto XVI)
- Scritto da
Redazione de Gliscritti: 1
Quando il
Signore dice a Pietro che senza la lavanda dei piedi egli non avrebbe potuto
aver alcuna parte con Lui, Pietro subito chiede con impeto che gli siano lavati
anche il capo e le mani.
A ciò segue la parola misteriosa di Gesù: “Chi ha
fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi” (Gv 13, 10).
Allora sembra
chiaro che il bagno che ci purifica definitivamente e non deve essere
ripetuto è il Battesimo – l’essere immersi nella morte e risurrezione
di Cristo, un fatto che cambia la nostra vita profondamente, dandoci come una
nuova identità che rimane...
Ma anche nella
permanenza di questa nuova identità, per la comunione conviviale con Gesù abbiamo
bisogno della “lavanda dei piedi”… della lavanda dei peccati di ogni giorno, e
per questo abbiamo bisogno della confessione dei peccati... Dobbiamo
riconoscere che anche nella nostra nuova identità di battezzati
pecchiamo. Abbiamo bisogno della confessione come essa ha preso
forma nel Sacramento della riconciliazione. In esso il Signore lava a
noi sempre di nuovo i piedi sporchi e noi possiamo sederci a tavola con Lui…
Ma così assume
un nuovo significato anche la parola, con cui il Signore allarga il sacramentum
facendone l’exemplum, un dono, un servizio per il fratello: “Se dunque io, il
Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi
gli uni gli altri” (Gv 13, 14).
Dobbiamo lavarci i piedi gli uni gli altri
nel quotidiano servizio vicendevole dell’amore.
Ma dobbiamo
lavarci i piedi anche nel senso che sempre di nuovo perdoniamo gli uni agli
altri.
Il debito che il Signore ci ha condonato è sempre infinitamente più
grande di tutti i debiti che altri possono avere nei nostri confronti (cfr
Mt 18, 21-35).
A questo ci esorta il Giovedì Santo: non lasciare che il rancore
verso l’altro diventi nel profondo un avvelenamento dell’anima.
Ci esorta a
purificare continuamente la nostra memoria, perdonandoci a vicenda di cuore,
lavando i piedi gli uni degli altri, per poterci così recare insieme al convito
di Dio.
dall’omelia di Benedetto XVI nella Basilica di San Giovanni in Laterano del Giovedì Santo, 20 marzo 2008
Signore Gesù,
come nell’Ultima Cena con i “tuoi”.
Ora sei in mezzo a noi come colui che serve.
Tu, l’Altissimo, ci onori del tuo servizio.
Umile ai nostri piedi,
ce li lavi, ce li baci, ce li profumi di crisma,
ce li calzi di mansuetudine e di pace,
per farci camminare dietro di te
fino alla Casa del Padre.
Sappiamo che la strada del ritorno
passa per l’orto degli Ulivi,
sale sul monte della Croce,
scende nella grotta del Sepolcro,
sbocca nel Giardino rifiorito.
Signore Gesù,
pur essendo stolti e lenti di cuore,
desideriamo saperti imitare
e, nel tuo nome, di servirci a vicenda,
per rendere visibile nei nostri gesti
la tua immensa carità divina
ed essere un giorno introdotti
alla cena della Pasqua eterna
dove tu stesso, come ci hai promesso,
ancora passerai a servirci,
saziandoci di gioia
con la luce radiosa del tuo Volto.
Amen.
- Madre Anna Maria Cànopi -
Fonte:
Il respiro dell'Anima di Anna Maria Cànopi
Buona giornata a tutti. :-)
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