Il
guaio di avere un figlio è che poi uno ce l’ha davvero.
E un figlio non è un
bambolotto, né un piccolo robot e neppure un cagnolino. Quando un bambino
diventa esasperante, non si può premere un bottone per farlo smettere.
La
salmodia dei genitori che si sentono “divorati” dai figli riempie bar e uffici:
«Mia figlia, che ha due anni, mi segue dappertutto, e non fa che
chiedere», «Non fa altro che ribellarsi tutto il giorno, siamo sempre in
conflitto. Quando non ne posso più, lo chiudo in camera sua. E’ una lotta
continua, estenuante», «Piange per un niente. Ho i nervi a pezzi», «Per
qualunque cosa entra in conflitto, dice no a tutto, è violento, piange,
picchia, si rotola per terra, mai una volta che le cose si svolgano in modo
tranquillo», «Sono tre anni che non riesco a dormire una notte intera!», « Mia
figlia mi sta tra i piedi tutto il giorno: non mi molla un attimo, mi sta
appiccicata. Mi succhia il sangue da quando è nata».
Molti genitori hanno
davvero la sensazione che i figli li mangino, che si nutrano del loro tempo,
delle loro attenzioni, dei loro soldi, della loro vita. Permettere che questa
sensazione si faccia strada nei rapporti quotidiani può rendere la vita pesante
e creare un effetto “tunnel” velenoso. I genitori si sentono usati e non
riescono più a godere il tempo trascorso con i figli, diventa così difficile
anche regalare loro gesti d’amore e di tenerezza.
Possono
essere utili alcune semplici riflessioni.
La
prima cosa da fare è liberarsi dagli stereotipi che condizionano e mortificano:
- Quello della donna pimpante, in piena forma, che si divide tra figli,
marito, lavoro, sempre calma e disponibile, tutto amore per i suoi cari.
- Quello dell’uomo dinamico, che si divide tra moglie, figli, lavoro e si
destreggia allegramente tra cellulare, carrozzina, giocattoli.
- Quello della famiglia «Mulino Bianco» dove è tutto perfetto, a
colazione il sole brilla e tutti sono belli, gentili e allegri.
Si
tratta di prendere seriamente la realtà: nessuno ha mai detto che sia facile
essere genitori, non per questo deve essere considerato un lavoro forzato: non
si è genitori per dovere.
C’è una certa normalità nel sentirsi di tanto in tanto nervosi, consumati da coloro che vivono con noi. Imparare a convivere significa necessariamente mettere in conto di imparare a gestire le proprie aggressività. Non esiste amore vero senza trattamento adeguato dell’ aggressività in cui possano essere superati il conflitto, lo scontro, la critica e questo sia nei rapporti genitori-figli, sia nei rapporti di coppia o di amicizia.
I
genitori hanno però il diritto di sbuffare, quanto più potranno esprimere e
soprattutto condividere le proprie esasperazioni, tanto meno terranno tutto
nascosto dentro di sé e lo faranno pesare sui figli.
- È importantissimo però ricordare e raccontare, tutte le volte che si
può, i momenti felici e le intense emozioni vissuti con i figli.
Il potere del ricordo è trasformante.
- Amare non significa dare tutto e permettere tutto.
- Essere un bravo genitore non vuol dire accettare qualunque cosa.
- Significa non temere di dire “no”.
- Significa farsi rispettare e non lasciarsi divorare sempre.
- Significa dare senza perdersi.
- Anche i figli devono essere accompagnati a poco a poco ad accettare il
principio di realtà e la realtà esteriore.
Bisogna
far uscire i figli dall'illusione dell'onnipotenza: è questa una delle
missioni dei genitori.
I
limiti posti nel modo giusto strutturano e non traumatizzano. Un fiume senza
sponde si trasforma in una palude. Anche una famiglia.
Il genitore che vuole essere sempre e solo buono, a costo di crollare, trasmette un messaggio ambiguo. Ciò che il bambino registra non è di avere un genitore buono, bensì fragile, cosa nient’affatto rassicurante.
I
genitori devono essere felici della propria vita di uomo o di donna per non
chiedere ai figli ciò che non possono dare, tenersi alla giusta distanza da
loro, non essere né troppo lontani, né troppo assenti, né troppo intrusivi.
Allevare un figlio non vuol dire cercare di conquistarlo.
Significa aiutarlo a non farsi sottomettere dall'onnipotenza delle sue pulsioni, a imparare a rinunciare o a rimandare la soddisfazione dei suoi desideri.
È
importantissima una buona gestione del tempo.
La vita familiare richiede un minimo di organizzazione o cola a picco nello stress.
È vitale evitare lo zapping frenetico da un'attività all'altra.
I genitori
sappiano prendersi il tempo di respirare, di creare una camera di
decompressione per riprendere fiato quando non se ne può più.
È salutare accorgersene e cercare allora di far calare la pressione prima di rientrare in contatto con i figli: fermarsi un minuto a gustarsi un caffè, telefonare, leggere qualche pagina, non correre, camminare lentamente mentre si va all'asilo, ascoltare musica, ecc.
Sapendo
che talvolta bisognerà sacrificare le faccende domestiche e le commissioni per
fare il genitore: per ascoltare, per dare e per amare i propri figli come anche
per giocare, ridere, fare i “matti”.
È importante trasformare i momenti obbligati in momenti di condivisione, facendo dei piccoli incarichi domestici occasioni di scambio e di educazione concreta alla responsabilità: in famiglia tutti devono dare una mano.
È
necessario anche aiutare il bambino ad acquisire la capacità di stare da
solo per periodi progressivamente più lunghi via via che cresce, sviluppando in
lui il gusto della lettura, della passione per qualche attività. Bisogna anche
aiutarlo a inserirsi nell’oratorio, in una squadra sportiva, ecc. in modo che
il ritrovarsi insieme
come famiglia sia sempre un momento di intenso e vero piacere.
Buona giornata a tutti. |
lunedì 18 settembre 2017
Quando i figli ci “divorano” - don Bruno Ferrero
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