Visualizzazione post con etichetta Fausti Silvano. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Fausti Silvano. Mostra tutti i post

martedì 26 maggio 2020

Al cuore della Parola, cardinale Carlo Maria Martini - Silvano Fausti

L’alfabeto di oggi 
I primi cristiani sono dei giudei in mezzo a una cultura diversa. 
Con Paolo, libero di farsi «tutto a tutti» (leggi la Lettera ai Galati, l’inno più bello alla libertà), il cristianesimo si apre ai pagani. Così, in pochi secoli di persecuzioni subìte (non fatte!), guadagna all’amore del Padre il mondo pagano. 
La cultura postmoderna è diversa dalla nostra più di quanto lo fosse il paganesimo. 
Noi cristiani stiamo scomparendo perché ne ignoriamo l’alfabeto; purtroppo ci sforziamo di insegnarle il nostro invece di imparare il suo. 
Non vediamo la bellezza di ciò che Dio va compiendo sotto i nostri occhi: oggi è possibile il compimento della libertà dell’uomo, frutto maturo della tradizione ebraico-cristiana. E la osteggiamo ostinatamente!
I Padri della Chiesa, come Paolo, hanno tradotto il messaggio evangelico nelle nuove culture. Così fecero anche i cristiani caldei del Medio Oriente, i copti d’Etiopia, quelli di san Tommaso in India. E lo stesso, secoli dopo, faranno i gesuiti Roberto De Nobili, ancora in India, e Matteo Ricci in Cina. 
Chi ama e conosce la tradizione, non è mai «tradizionalista». Fa piuttosto come i Padri che stanno a fondamento della tradizione: espongono le cose antiche in parole nuove, perché tutti capiscano. 
I tradizionalisti, al contrario, spiegano le cose nuove in parole desuete, perché nessuno capisca. 

Sapere è potere! 
È grande la responsabilità della conoscenza: può aprire o chiudere la porta della verità a chi ancora non la sa (cfr Mt 23,13).
Radice d’inculturazione è la fede in Dio e non nelle proprie idee su Dio. 
È stoltezza credere alle proprie idee: sono da capire, non da credere! 
È sapienza capirle e modificarle, in dialogo con la realtà e con le prospettive altrui. In questo padre Carlo Maria Martini è stato maestro, ascoltato da persone non credenti e criticato dai credenti nelle proprie idee. 
Non a caso Isaia, citato da Paolo, dice: «Il bel nome di Dio è bestemmiato per causa vostra» (Rm 2,24). 

L’ateismo è frutto della falsa immagine di Dio che presentiamo con parole e fatti.

Dio non è un pacchetto di idee in formato tascabile, da consegnare mediante catechismi. 
Dio non si chiude in formule, ma si narra attraverso ciò che ha fatto e fa in noi e fuori di noi. 
Dio è un mistero, costantemente all’opera per realizzare il suo progetto di «raccapezzare» ogni cosa in Cristo ed essere tutto in tutti. 

Padre Carlo Maria aveva l’umiltà di ascoltare ogni voce, sapendo che Dio parla, oltre che nella Parola, in ogni realtà e nel cuore di ogni uomo. 
Fu grande maestro perché rimase sempre «discepolo», desideroso di imparare da tutti. 
Da qui il suo rispetto per ogni diversità, impronta del Dio sempre diverso. Questo è l’humus del discernimento, che fa vedere Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio, anche il mondo post-moderno.


Educare alla responsabilità 
Frutto di questa fede è lo stile del suo servizio alla diocesi di Milano. 
Il «pastore bello», dice Gesù nel «recinto» del tempio, non fa come i ladri e i briganti. Costoro tengono le pecore al chiuso, per essere munte, tosate e infine date al «sacro macello». 
Gesù invece le «scaccia fuori» da ogni recinto (Gv 10,16), per farne non «un solo ovile», bensì un solo gregge libero. 
E lui, l’Agnello, che espone, dispone e depone le vita per le sue pecore, è il «pastore bello» che le porta a pascoli di vita. 
Il ministero pastorale di padre Carlo Maria non era un comandare, con norme e divieti, ma un educare a conoscenza, libertà e responsabilità. 
Per questo alla «pastorale dei grandi eventi» preferiva la formazione quotidiana, fondata sulla Parola e mirata alla pratica.
La «pastorale dei grandi eventi» è antica. 

È sorta su iniziativa di Pietro dopo la prima giornata messianica. Ma Gesù, alla sua proposta - «Tutti ti cercano» - risponde: «Andiamocene altrove» (Mc 1,35ss). 
Questa pastorale, oggi in auge, è simile al censimento che fece Davide per contare di quanti «militanti» poteva disporre. Erano 800mila nel nord e 500mila nel sud. Tutti conoscono il risultato di tale azione (leggi 2Sam 24,1ss). Non a caso il declino del cristianesimo inizia con l’abbandono dell’umile formazione di base (penso al lavoro dell’Azione cattolica!) per una spettacolarizzazione di cristianità che mostra i muscoli.
La «Chiesa-evento» partorisce vento, come dice Isaia: «Abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo partorire: era solo vento; non abbiamo partorito salvezza al paese, non sono nati abitanti nel mondo» (Is 26,18). 

Mentre una pastorale fondata su Parola, discernimento e testimonianza farà rinascere la Chiesa: «Di nuovo vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri» (Is 26,19).
Lo stile di Martini è significativo per la Chiesa universale. 

Superando la tendenza a condannare il mondo, padre Carlo Maria è stato per noi ciò che Paolo è stato nella prima Chiesa. 
Vicino a un Pietro, ci vuole sempre un Paolo: la profezia impedisce che la Chiesa punti sull’autoconservazione, annullando il disegno in vista del quale Dio l’ha creata. 
Il profeta non pensa a cosa serve all’istituzione, ma a cosa serve l’istituzione. Paolo sa rimproverare a viso aperto Pietro, quando non cammina secondo la verità del Vangelo (Gal 2,11-14).
Nei momenti critici si reagisce con la paura o con il coraggio. 

Nel primo caso si distrugge la Chiesa dal di dentro, nel secondo la si apre al mondo al quale è inviata. 
Il mondo non è nemico - contendente della nostra mondanità -, ma luogo di figli di Dio, che attendono testimonianza di amore fraterno. 
Solo così tutti riconosceranno il Signore, venuto per salvare, non per giudicare, ciò che era perduto. 
Bisogna guardare il mondo con l’occhio di Dio, che tanto lo ha amato da dare per lui il Figlio.


Una chiesa dimissionaria?
Martini soffriva per la poca fede e il poco coraggio di una Chiesa «dimissionaria» dalla propria missione. Deve «aggiornarsi» per non dare contro-testimonianza. Bisogna che riconosca, ad esempio, i diritti dell’uomo, da rispettare anche al suo interno, sia per gli uomini sia, soprattutto, per le donne. Per questo è da smontare la nostra struttura piramidale, così assurda per il cristiano: «Non così tra voi», dice Gesù ai suoi (Mc 10,43).
È necessario passare dall’uniformità all’eterogeneità in comunione: siamo di pari dignità, tutti figli di Dio e fratelli nella nostra diversità. 

Il sacerdozio ministeriale è a servizio di quello comune, non viceversa. 
I vescovi poi dovrebbero avere lo Spirito di Gesù e non mimare i potenti del mondo in gesti, abbigliamenti e parole. Sarebbe meglio farli eleggere dai sacerdoti: sarebbe forse più facile che venisse scelto non uno che vuol far carriera (vera piaga di ogni istituzione), ma chi è più zelante, intelligente e servizievole. 
Ogni conferenza episcopale potrebbe scegliere chi la rappresenti presso la Chiesa universale. In questo modo cesserebbe lo «scisma» tra capo e corpo della Chiesa; e si farebbe terra bruciata a persone che nella Curia sarebbe meglio che non ci fossero. Infine, perché non smettere di considerare proprio «appannaggio» la legge naturale, proprietà di tutti, per dedicarci a testimoniare il Vangelo, che va in cerca di ciò che per la legge è perduto?
Chiudo con un ricordo personale. Per molti anni ho avuto il privilegio di frequentare, ogni quindici giorni, padre Carlo Maria. Argomento del nostro stare insieme era leggere, in modo continuativo, alcuni testi della Bibbia, soprattutto le lettere di Paolo. Mi colpiva il suo rapporto con la Parola. Innanzitutto l’ascoltava, lasciandosi interpellare dalle sue provocazioni, e poi la provocava con domande attuali per ascoltare cosa avrebbe risposto. Era un vero dialogo, non da testo a testa, ma da persona a persona, come due che reciprocamente si apprezzano e amano. Vedevo in lui lo «scriba diventato discepolo del regno»: dal suo tesoro estraeva cose nuove e cose antiche. Attraverso la Parola trovava la novità delle cose antiche, colte nel loro frutto, e l’antichità delle cose nuove, colte nella loro radice.


- Silvano Fausti SJFCSF – 
Popoli.info
confratello di Martini, biblista, Fausti è stato per lungo tempo confessore del cardinale.




Buona giornata a tutti. :-)





lunedì 16 marzo 2020

Il figliol prodigo – Padre Silvano Fausti

In quel tempo, si avvicinavano Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

(Luca, 15 1-3)



Il Padre era sempre lì a guardare, non lo ha mai lasciato: dove andare lontano da lui? Lo vide e poi si commosse.
Non è che lo vide e si arrabbiò, Dio non si arrabbia.
Si commosse.

Proprio il commuoversi in greco fa riferimento alle viscere materne cioè tutto il suo amore gli si muove dentro (come un figlio nel grem­bo della madre) nel vedere il figlio che aspettava da sempre. E dopo questa commozione corre, gli cade sul collo e poi conti­nua a baciarlo, anzi in greco sarebbe letteralmente "lo strabaciava" questo figlio.
Ma poteva almeno far finta di essere un po' sdegnato, di addurre un motivo pedagogico, di girarsi dall'altra parte, di non farsi vedere, di farsi cercare un po', di fargli quel giusto rimprovero per il suo bene, ovviamente.

Perché non lo ha fatto? Perché già diciamo sempre: "Dio ti vede, ti puni­sce...", ed è importante, invece, vedere che Dio fa di tutto per smentire questa immagine che abbiamo di lui.

- Padre Silvano Fausti -



Questo testo è così importante che è chiamato il Vangelo nel Vangelo, cioè se perdessimo tutto il Vangelo e restasse solo questa pagina, sapendo di cosa parla, ed è abbastanza facile, capiremmo chi è Dio e chi siamo noi. 
State attenti, il senso di questo testo è la conversione più radicale che ci sia, non è la conversione del peccatore, non ha bisogno di convertirsi…è la conversione del giusto che è chiamato a convertirsi dalla sua giustizia alla misericordia. 
E’ quello che per Paolo è il passaggio dalla Legge al Vangelo. 
Noi pensiamo che Dio ci salvi perché siamo bravi, perché osserviamo la Legge, quindi bisogna osservare la Legge, andare a Messa, far questo…quest’altro…quest’altro…se no Dio ti punisce…così si dice, così si pensa, così pensa il minore, e allora dice: è meglio andarsene da casa che fare una vita così tutta ossequiante, una vita castrata per l’esistenza intera, senza libertà, senza piacere, senza niente. 
Ed è il Dio che tutte le religioni predicano, che tiene schiavo l’uomo dei suoi doveri…Il minore si ribella, il maggiore lo serve da schiavo, per cui i due fratelli in realtà rappresentano…i fratelli hanno questo…che sono uguali. Tutti e due hanno la stessa falsa immagine di Dio, sia chi fa il bravo religioso, sia chi si ribella…spiego: Satana ha suggerito a tutti che Dio è padrone di tutto, che è legislatore, che è giudice, che ti vede anche dentro e che è boia, cioè ti condanna alla morte eterna se non fai la legge che lui ha stabilito. 
Questa è l’immagine di Dio che tutte le religioni più o meno hanno e la religione prospera su questa immagine di Dio. 
L’ateo cosa fa? O il ribelle… nega questo Dio che le religioni affermano. 
Se Dio è così, io voglio la mia libertà e fare una vita umana, non da schiavo. Bene, il Vangelo ci presenta l’uscita e dall’ateismo e dalla religione della Legge del servilismo per arrivare alla libertà dei figli di Dio e alla religione dell’Amore, la cui unica Legge è l’Amore, che è legge a se stesso ed è libertà. Questa conversione dura tutta la vita e anche tutto l’Antico Testamento è preparazione a questo. Ed è la difficile conversione di Paolo…e Gesù durante il Vangelo non riuscì a convertire nessun fariseo, solo dopo morto ci riesce con uno. 
Il pericolo costante del cristiano, lo vediamo nelle Lettere di Paolo, la lettera ai Romani, la lettera ai Galati è quello di dimenticarsi del Vangelo e dire: “Osservo le norme, basta, sono a posto!”. 
Noi che le osserviamo siamo i bravi, gli altri sono tutti da ammazzare perché sono cattivi, quindi facciamo le Crociate, difendiamo la nostra Legge, difendiamo le nostre cose a tutti i livelli, col potere, con tutti i mezzi e così facciamo i bravi, eliminando possibilmente i cattivi con qualche Crociata…se non si possono più fare i roghi, pazienza..ma verranno i tempi che si faranno ancora e allora riusciremo a trionfare noi col bene. 
Ecco, questa parabola che leggiamo è l’uscita da questa religiosità comune a tutti e ci fa capire l’essenza del Vangelo.

- Padre Silvano Fausti -


Buona giornata a tutti. :-)






mercoledì 13 febbraio 2019

Fare agli altri ciò che Gesù ha fatto a noi - Padre Silvano Fausti

«Argento e oro non possiedo, ma ciò che ho ti do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, risorgi e cammina» (leggi Atti 3,1-9)


Pietro, insieme ai suoi fratelli, è testimone di Gesù: evangelizza innanzitutto vivendo, poi parlando e infine facendo come lui. 

Il testo narra la prima azione del primo Papa: rimette in piedi l’uomo. Programma, suo e della Chiesa, è fare agli altri ciò che Gesù ha fatto a noi.
Lo storpio, ritorto su se stesso, ha perso la stazione eretta, che distingue l’uomo dall’ animale. 

Non vede l’altro in faccia, ma solo dal basso in alto. Incapace di muoversi e mendico professionale, per lui l’altro non esiste: è solo mano che dà. 
Ma neppure lui esiste: è solo mano che riceve. 
Lo storpio è simbolo della disumanità di ogni uomo le cui relazioni sono strumentali alla sua stortura, che lo esclude dal tempio e da una vita autentica. 
Questo malato è specchio del vero male che ci affligge: l’egoismo che ci accartoccia su noi stessi, lasciandoci soli e bisognosi di tutto. 

Nessuno guarda il povero negli occhi, soprattutto il ricco: fa paura vedere in lui noi stessi se perdiamo ciò che abbiamo.
La Chiesa, come Gesù, vuole guarirci dall’ egoismo e darci la libertà di camminare sulla via dell’amore, in comunione con i fratelli e con il Padre.
Pietro, con Giovanni, fissa l’uomo e gli dice di guardare a loro, non alla loro tasca. 

Nel suo sguardo, ancora fresco di rinnegamento, lo storpio vede lo stesso sguardo di Gesù che l’ha salvato dal restare aggrovigliato nel suo fallimento (Lc 22,61). Quel Gesù che lo ha guardato come lui guarda l’uomo, è il vero tesoro di San Pietro. 

Avendo questo, e non argento e oro, può dirgli: «Ciò che ho, ti do. Risorgi e cammina».
Se Pietro avesse avuto danaro, avrebbe fatto l’elemosina, cosa buona. 

Se ne avesse avuto tanto, avrebbe fatto un istituto per zoppi, cosa ancora migliore. 
Ma l’unico mezzo per risuscitare l’uomo dalla sua morte religiosa e civile, è la povertà: Dio e mammona, danaro e nome di Gesù sono incompatibili. 
Ciò che possediamo ci possiede: ci rende paralitici e contorti come lo storpio. La brama di possedere è idolatria (Ef 5,5), l’amore del denaro radice di ogni male (1Tm 6,10).
A un giovane pio, osservante della legge, che chiede cosa fare per avere la vita eterna, Gesù risponde: «Una sola cosa ti manca: va’, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e poi vieni e seguimi». La prima comunità sa che i beni non sono da possedere, ma da condividere con i fratelli. È la solidarietà che dà vita, non l’accumulo di cose. 
L’accaparramento priva il povero della vita materiale e il ricco della vita eterna, che consiste nell’ amore fraterno. 

La solidarietà permette a tutti la vita materiale e dà nel contempo quella divina: ci fa figli perché fratelli.
Ciò che ostacola la missione della Chiesa non è la mancanza di beni. 

Una sola cosa sempre le manca, come a Davide per vincere Golia, simbolo del male: liberarsi dall’ armatura dei privilegi che ha, per fraternizzare con tutti.
Pensare così non è ingenuità, come già credeva Pietro quando Gesù lo chiamò «satana». 

Il pensiero di Dio è opposto a quello dell’uomo, come l’amore all’ egoismo (cfr Mc 8,31-33). Nonostante il fatto sia evidente in tutta la storia della Chiesa, non vogliamo mai capire che ricchezza e potere distruggono la Chiesa, mentre povertà e persecuzione la costruiscono e rafforzano. 
Sono stato spesso in Mozambico, Angola e Guinea Bissau, dove la Chiesa era potente: per cinque secoli ha goduto del «Patronato portoghese», che costruiva chiese, scuole e case parrocchiali, stipendiando clero e catechisti. 
In mezzo millennio di benessere e alleanza con i potenti la Chiesa non è mai decollata. 
Arrivati i comunisti, che le hanno confiscato tutto e l’hanno perseguitata, la Chiesa è nata, fiorita e cresciuta. 
Che Dio ci guarisca dalle nostre «scoliosi»!

- Padre Silvano Fausti -
Gesuita, biblista e scrittore
1940-2015



Nè San Domenico, nè San Francesco hanno fatto profezie sul futuro, ma hanno saputo leggere il segno dei tempi e capire che era arrivato per la Chiesa il momento di liberarsi dal sistema feudale, di ridare valore all'universalità e della povertà del Vangelo, come pure alla "vita apostolica". 
Così facendo hanno  ridato alla Chiesa il suo vero aspetto, quello di una Chiesa animata dallo Spirito Santo e condotta dal Cristo stesso. 
Hanno così contribuito alla riforma della gerarchia ecclesiastica. 
Altri esempi sono Santa Caterina da Siena e Santa Brigida di Svezia, due grandi figure di donne. Penso sia importante sottolineare come in un momento particolarmente difficile per la Chiesa, quale fu quello della crisi di Avignone e lo scisma che ne seguì si siano levate figure di donne per annunciare che il Cristo vivente è anche il Cristo che soffre nella sua Chiesa. 

- Cardinale Joseph Ratzinger -
intervista 1998



“Per otto anni ci è stato dato un papa della levatura intellettuale di Gregorio Magno, e non se ne sono neppure accorti perché troppo distratti dalle scarpe rosse cosiddette "di Prada", dalla mozzetta e dalla croce d'oro. 
Nella sua Santa Condiscendenza, allora, lo Spirito ha pensato bene di darcene un altro di stile completamente diverso per comunicarci in parole più povere (ma neanche tanto) le stesse cose, eppure non se ne accorgeranno lo stesso perché troppo distratti dal "segno di discontinuità" delle scarpe marroni, dell'assenza di mozzetta e dalla croce di ferro...

Si sono persi il primo, e si perderanno pure il secondo.
E per quanto riguarda la seconda categoria, se si perderanno il secondo, ci sarà da dubitare che abbiano mai per davvero capito il primo, nonostante gli entusiasmi.”

- Massimo Scaglione -  


Buona giornata a tutti. :-)





lunedì 18 marzo 2013

Il vero tesoro di San Pietro – Padre Silvano Fausti -


«Argento e oro non possiedo, ma ciò che ho ti do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, risorgi e cammina» (leggi Atti 3,1-9)

Pietro, insieme ai suoi fratelli, è testimone di Gesù: evangelizza innanzitutto vivendo, poi parlando e infine facendo come lui. 
Il testo narra la prima azione del primo Papa: rimette in piedi l’uomo. Programma, suo e della Chiesa, è fare agli altri ciò che Gesù ha fatto a noi.
Lo storpio, ritorto su se stesso, ha perso la stazione eretta, che distingue l’uomo dall’ animale. 

Non vede l’altro in faccia, ma solo dal basso in alto. Incapace di muoversi e mendico professionale, per lui l’altro non esiste: è solo mano che dà. 
Ma neppure lui esiste: è solo mano che riceve. 
Lo storpio è simbolo della disumanità di ogni uomo le cui relazioni sono strumentali alla sua stortura, che lo esclude dal tempio e da una vita autentica. 
Questo malato è specchio del vero male che ci affligge: l’egoismo che ci accartoccia su noi stessi, lasciandoci soli e bisognosi di tutto. 
Nessuno guarda il povero negli occhi, soprattutto il ricco: fa paura vedere in lui noi stessi se perdiamo ciò che abbiamo.
La Chiesa, come Gesù, vuole guarirci dall’ egoismo e darci la libertà di camminare sulla via dell’amore, in comunione con i fratelli e con il Padre.
Pietro, con Giovanni, fissa l’uomo e gli dice di guardare a loro, non alla loro tasca. 

Nel suo sguardo, ancora fresco di rinnegamento, lo storpio vede lo stesso sguardo di Gesù che l’ha salvato dal restare aggrovigliato nel suo fallimento (Lc 22,61). Quel Gesù che lo ha guardato come lui guarda l’uomo, è il vero tesoro di San Pietro. 
Avendo questo, e non argento e oro, può dirgli: «Ciò che ho, ti do. Risorgi e cammina».
Se Pietro avesse avuto danaro, avrebbe fatto l’elemosina, cosa buona. 

Se ne avesse avuto tanto, avrebbe fatto un istituto per zoppi, cosa ancora migliore. 
Ma l’unico mezzo per risuscitare l’uomo dalla sua morte religiosa e civile, è la povertà: Dio e mammona, danaro e nome di Gesù sono incompatibili. 
Ciò che possediamo ci possiede: ci rende paralitici e contorti come lo storpio. La brama di possedere è idolatria (Ef 5,5), l’amore del denaro radice di ogni male (1Tm 6,10).
A un giovane pio, osservante della legge, che chiede cosa fare per avere la vita eterna, Gesù risponde: «Una sola cosa ti manca: va’, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e poi vieni e seguimi». La prima comunità sa che i beni non sono da possedere, ma da condividere con i fratelli. È la solidarietà che dà vita, non l’accumulo di cose. 
L’accaparramento priva il povero della vita materiale e il ricco della vita eterna, che consiste nell’ amore fraterno. 
La solidarietà permette a tutti la vita materiale e dà nel contempo quella divina: ci fa figli perché fratelli.
Ciò che ostacola la missione della Chiesa non è la mancanza di beni. 
Una sola cosa sempre le manca, come a Davide per vincere Golia, simbolo del male: liberarsi dall’ armatura dei privilegi che ha, per fraternizzare con tutti.
Pensare così non è ingenuità, come già credeva Pietro quando Gesù lo chiamò «satana». 

Il pensiero di Dio è opposto a quello dell’uomo, come l’amore all’ egoismo (cfr Mc 8,31-33). Nonostante il fatto sia evidente in tutta la storia della Chiesa, non vogliamo mai capire che ricchezza e potere distruggono la Chiesa, mentre povertà e persecuzione la costruiscono e rafforzano. 
Sono stato spesso in Mozambico, Angola e Guinea Bissau, dove la Chiesa era potente: per cinque secoli ha goduto del «Patronato portoghese», che costruiva chiese, scuole e case parrocchiali, stipendiando clero e catechisti. 
In mezzo millennio di benessere e alleanza con i potenti la Chiesa non è mai decollata. 
Arrivati i comunisti, che le hanno confiscato tutto e l’hanno perseguitata, la Chiesa è nata, fiorita e cresciuta. 
Che Dio ci guarisca dalle nostre «scoliosi»!

(Padre Silvano Fausti)
Gesuita, biblista e scrittore




















Si lascino pure gli uomini del tempo nostro parlare (...) di anacronismo e di antistoria. (...) Li si lascino alle loro "verità" e ad un'unica cosa si badi: a tenersi in piedi in un mondo di rovine. (...) Rendere ben visibili i valori della verità, della realtà e della Tradizione a chi, oggi, non vuole il "questo" e cerca confusamente "l'altro" significa dare sostegni a che non in tutti la grande tentazione prevalga, là dove la materia sembra essere ormai più forte dello spirito. 
(Julius Evola)



Non abbiamo bisogno di grandi cose o chissà quali grandi uomini. 
Abbiamo solo bisogno di più gente onesta. 

- Benedetto Croce -



Nè San Domenico, nè San Francesco hanno fatto profezie sul futuro, ma hanno saputo leggere il segno dei tempi e capire che era arrivato per la Chiesa il momento di liberarsi dal sistema feudale, di ridare valore all'universalità e della povertà del Vangelo, come pure alla "vita apostolica". 
Così facendo hanno  ridato alla Chiesa il suo vero aspetto, quello di una Chiesa animata dallo Spirito Santo e condotta dal Cristo stesso. 
Hanno così contribuito alla riforma della gerarchia ecclesiastica. 
Altri esempi sono Santa Caterina da Siena e Santa Brigida di Svezia, due grandi figure di donne. Penso sia importante sottolineare come in un momento particolarmente difficile per la Chiesa, quale fu quello della crisi di Avignone e lo scisma che ne seguì si siano levate figure di donne per annunciare che il Cristo vivente è anche il Cristo che soffre nella sua Chiesa. 

- Cardinale Joseph Ratzinger, intervista 1998

Cristo in trono, Chiesa di S. Tommaso Apostolo, Caramanico Terme.

«Cristo è il Pastore della Chiesa, ma la sua presenza nella storia passa attraverso la libertà degli uomini: tra di essi uno viene scelto per servire come suo vicario, successore dell'apostolo Pietro. Ma Cristo è il centro, non il successore di Pietro: Cristo. Cristo è il centro. Cristo è il riferimento fondamentale, il cuore della Chiesa. Senza di lui, Pietro e la Chiesa non esisterebbero né avrebbero ragion d'essere, come ha ripetuto più volte Benedetto XVI». 


(Papa Francesco)


Buona giornata a tutti. :-)





mercoledì 14 dicembre 2011

Il figliol prodigo – Padre Silvano Fausti -

Il Padre era sempre lì a guardare, non lo ha mai lasciato: dove andare lontano da lui? Lo vide e poi si commosse.
Non è che lo vide e si arrabbiò, Dio non si arrabbia.
Si commosse.

Proprio il commuoversi in greco fa riferimento alle viscere materne cioè tutto il suo amore gli si muove dentro (come un figlio nel grem­bo della madre) nel vedere il figlio che aspettava da sempre. E dopo questa commozione corre, gli cade sul collo e poi conti­nua a baciarlo, anzi in greco sarebbe letteralmente "lo strabaciava" questo figlio.
Ma poteva almeno far finta di essere un po' sdegnato, di addurre un motivo pedagogico, di girarsi dall'altra parte, di non farsi vedere, di farsi cercare un po', di fargli quel giusto rimprovero per il suo bene, ovviamente.

Perché non lo ha fatto? Perché già diciamo sempre: "Dio ti vede, ti puni­sce...", ed è importante, invece, vedere che Dio fa di tutto per smentire questa immagine che abbiamo di lui.


(Padre Silvano Fausti)
fonte: http://www.gesuiti-villapizzone.it/attivita/vangeli.htm
  "Ritorno del figliol prodigo" (1619)
  Il Guercino
  Kunsthistorisches Museum, Vienna.
Buona giornata a tutti. :-)