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sabato 9 dicembre 2017

Litanie delle paure, della speranza, dell'impegno - + don Tonino Bello, Vescovo

litanie delle paure

[…] Paura del proprio simile. 
Paura del vicino di casa. 
Paura di chi mette in discussione i nostri consolidati sistemi di tranquillità, se non di egemonia. 
Paura dello zingaro. 
Paura dei terzomondiali. […] 
Paura di uscire di casa. 
Paura della violenza. 
Paura della guerra. […] 
Paura di non farcela. 
Paura di non essere accettati. 
Paura di non essere più capaci di uscire da certi pantani nei quali ci siamo infognati. 
Paura che sia inutile impegnarsi. 
Paura che, tanto, il mondo non possiamo cambiarlo noi. 
Paura che ormai i giochi sian fatti… Quante paure!




litanie delle speranze e dell’impegno

Ebbene di fronte a questo quadro così allucinante di paure umane, che cosa ci dice oggi il Signore? […] Rivolge a ciascuno di noi la stessa esortazione che l’angelo rivolse alla Vergine dell’Avvento e dell’Attesa. «Non temere, Maria». 
Non aver paura, Chiesa. 
Vedete: paura ha la stessa radice di pavimento. 
Viene dal latino «pavére». «Pavere» significa battere il terreno per livellarlo. Anche terrore ha la stessa radice di terra. 
Paura, quindi, è la conseguenza dell’essere battuto, appiattito, livellato, calpestato. 
Ora, che cosa mi dice il Signore di fronte a queste paure: rimani lì steso sul pavimento? Rimani appiattito atterrato? No! Mi dice la stessa cosa che ha detto a Maria: «non temere». 
E adopera due verbi bellissimi: alzatevi e levate il capo. 
Sono i due verbi dell’Avvento. Sono le due luci che ci devono accompagnare nel cammino che porta al Natale. 
Alzarsi significa credere che il Signore è venuto sulla terra duemila anni fa, proprio per aiutarci a vincere la rassegnazione. 
Alzarsi significa riconoscere che se le nostre braccia si sono fatte troppo corte per abbracciare tutta intera la speranza del mondo, il Signore ci presta le sue. 
Alzarsi significa abbandonare il pavimento della cattiveria, della violenza, dell’ambiguità, perché il peccato invecchia la terra. 
Alzarsi significa, insomma, allargare lo spessore della propria fede. 
Ma alzarsi significa anche  allargare lo spessore della speranza, puntando lo sguardo verso il futuro, da dove Egli un giorno verrà nella gloria per portare a compimento la sua opera di salvezza. 
E allora non ci sarà più pianto, né lutto, e tutte le lacrime saranno asciugate sul volto degli uomini. 
levare il capo che cosa significa? 
Fare un colpo di testa. Reagire. Muoversi. 
Essere convinti che il Signore viene ogni giorno, ogni momento nel qui e nell’ora della storia, [e] viene come ospite velato. E, quindi, saperlo riconoscere nei poveri, negli ultimi, nei sofferenti. 
Significa in definitiva: allargare lo spessore della carità. 
Ecco il senso di questo Avvento di solidarietà, ben espresso dall’augurio fortissimo che S. Paolo ci ha formulato nella seconda lettura «il Signore vi faccia crescere nell’amore vicendevole e verso tutti».

Verso tutti. Senza esclusione di nessuno.

[…] accanto ai poveri, agli ultimi, ai sofferenti, ai malati cronici, agli handicappati, agli anziani, ai malati terminali, ai dimessi dal carcere e dai manicomi… per condividerne tempo, gioie e speranze. […] accanto agli immigrati, ai migranti, ai terzomondiali, non soltanto dando loro un letto e la buona notte, ma incalzando soprattutto le pubbliche istituzioni perché i provvedimenti di legge siano meno disumani delle norme vigenti. […]

Vissuto così, l’Avvento non sarà il contenitore delle nostre paure, ma l’ostensorio delle nostre speranze.

+ don Tonino Bello, Vescovo 
[Antologia degli Scritti, Vol. 2, pagg. 177-183]



[…] Ogni momento il Signore compare come ospite velato. Avete ascoltato – dice Elia – il Signore è venuto ma non lo hanno riconosciuto. Il problema è del «riconoscimento». 
Per noi conoscere Gesù non è poi tanto difficile: lo conosciamo nella Liturgia, nella Bibbia, negli studi di Teologia, nelle nostre meditazioni, nel Tabernacolo; conosciamo il suo pensiero, la sua parola, la sua opera. 
Il problema è «riconoscere» che è molto più difficile di conoscere, perché bisogna sempre togliere il muro d’ombra, dice Ungaretti nella sua poesia «la Madre». 
Il nostro corpo è come il muro d’ombra, quando il cuore si fermerà, cadrà il muro d’ombra e davanti al Signore comparirà l’essere profondo della nostra persona.[…]

Sarebbe un guaio se non riconoscessimo il Signore che viene.

Se saremo sul passo degli ultimi, se cadenzeremo il nostro passo con gli ultimi, ci sarà più facile attardarci con gli ultimi; mentre si cammina insieme, aiutando coloro che viaggiano con noi, si ha anche la possibilità di dire: «Sei tu Signore che compari sotto la specie dell’uomo, sacramento di Te, sotto le specie consacrate che sono costituite dal corpo e dal sangue del nostro fratello».

Ed è una chiamata che erompe oggi dal cuore della storia… 

+ don Tonino Bello, Vescovo 
[Antologia degli Scritti, Vol. 2, pagg. 177-183]




in principio è la paura

[…] La catastrofe non è soltanto l’evento ultimo e conclusivo, è un processo. Va letta come un processo che investe le cose e le distrugge come una alluvione segreta che porta morte. E’ un fatto che va constatato, non sfuggendo all’evidenza creandoci piccole isole di sicurezza, come durante una alluvione, mentre l’acqua sale, si sta tutti addossati nell’ultimo isolotto rimasto indenne dall’acqua. L’acqua arriva anche lì. Tutto sommergerà se noi ci affidiamo alla falsa solidità delle cose acquisite. Il «principio di morte» – direbbero gli psicanalisti – entra e prevale.

Allora, una volta che noi ci troviamo – come dice il Signore – a dover vivere con vigilanza, cosa dobbiamo fare? Io credo che il nostro primo dovere sia di non fingere falsa sicurezza, ma di farci invadere dalla paura per ciò che essa ha di giusto e di razionale: sentirla dentro di noi. E c’è un modo, che appartiene all’antica pedagogica cristiana, anzi, oso dire, umanistica, ma che è stato un po’ abbandonato. Cioè: noi abbiamo tutti, nel nostro essere personale, il modo di verifica della catastrofe: ed è la nostra morte. La morte non è solo un evento biologico di cui naturalmente abbiamo paura, ma è un evento cosmico, perché il mondo acquista senso, per ciascuno di noi, nel suo angolo di vita personale; e per quanto accettiamo le spiegazioni oggettive e collettive, guai a noi se stacchiamo l’ancora dalla profondità del nostro essere: allora ci alieniamo, passiamo tutta la vita a parlare con categorie universali e rimaniamo lontani da noi stessi. Ma la paura verrà all’improvviso.

Questo è ciò che dice il Signore quando parla del «cuore appesantito dalle dissipazioni» C’è una dissipazione di tipo intellettuale, anche. Ed è la dissipazione di tipo intellettuale quella che ci porta sempre a mettere tra parentesi «la catastrofe» che ci riguarda. […]

La fede ci dà la possibilità di un altro discorso. Il Signore allude a questa posizione là dove dice: «Alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» […] di là di quei processi catastrofici non c’è il vuoto, la cifra senza spiegazione: per noi c’è l’alleanza. C’è l’impegno dall’altra parte. Il nostro è il Dio della Promessa. […] E allora, se c’è questa promessa che si è attuata nel figlio dell’uomo, il mio atteggiamento non è più di paura invincibile, perché per quanto passino il cielo e la terra, c’è qualcosa che non passa: appunto la Parola che la fede schiude dentro come un fiore sempre vivo.

C’è un modo – per così dire – di vivere dentro la tragedia della fine e insieme di scontarla in noi. Viverla senza finzione e insieme superarla in attesa di cose nuove che devono venire. Se la nostra consuetudine con la Parola di Dio non è occasionale ma strutturale, è una specie di ritmo interno che si intreccia col battito del cuore, queste cose noi le vediamo nascere.

E allora la nostra scelta di fede sarà non quella di piangere sulle catastrofi ma quella di allearci con le cose nuove in cui traluce l’adempimento della Promessa di Dio. […] perché Egli è Colui che viene. Il giorno del Signore viene, non appartiene al nostro calendario passato, è una dimensione del futuro che irrompe, appunto è un adventus, è qualcosa che viene verso di noi. Allora la fede consiste nel discernimento di questo processo antitetico al successo della catastrofe che è processo di vita. Consiste nell’allearsi ai nuovi segni di vita.

Prima di essere una morale, la fede è discernimento, è un saper cogliere la realtà che nasce, è un passo verso ciò che nasce e cresce. Questo è il modo di incontrare Dio. […] E quando la nostra vita si è legata, con questo nesso indissolubile, al processo del Dio che viene, allora siamo liberi dalla paura.

Infatti, che cosa può avvenire poi? Cosa può avvenire che spezzi questa certezza? Niente può avvenire! 
All’interno di una vera comunità cristiana non c’è la paura di esser incompresi, perseguitati, vittime della storia. […] 
Non staremo a piangere sul mondo che ci perseguita: staremo qui ad allevare il germoglio che è nato; ad esser pronti – in qualunque parte del pianeta  – a scommettere che per la promessa di Dio, adempiuta in Cristo, la morte sarà vinta. 
E questa certezza va pagata quotidianamente, non spesa nelle orazioni domenicali: va scontata giorno per giorno nelle scelte.

padre Ernesto Balducci 
[Il mandorlo e il fuoco, Avvento, 1a domenica] 


Buona giornata a tutti. :-)







domenica 3 dicembre 2017

Prima domenica di Avvento 2017

Ogni esistenza personale è chiamata a misurarsi con Lui.
Dio ci chiama alla comunione con sé, che si realizzerà pienamente al ritorno di Cristo, e Lui stesso si impegna a far sì che giungiamo preparati a questo incontro finale e decisivo. 
Il futuro è, per così dire, contenuto nel presente o, meglio, nella presenza di Dio stesso, del suo amore indefettibile, che non ci lascia mai soli, non ci abbandona nemmeno un istante, come un padre e una madre non smettono mai di seguire i propri figli nel cammino di crescita. 
Di fronte a Cristo che viene, l'uomo si sente interpellato con tutto il suo essere...ogni esistenza personale è chiamata a misurarsi con lui - in modo misterioso e multiforme - durante il pellegrinaggio terreno, per essere trovata "in lui" al momento del suo ritorno.

- papa Benedetto XVI - 
dalla "Omelia nei Primi Vespri della I Domenica di Avvento" - 26 novembre 2005





Andare incontro al Natale: quattro settimane diverse dal solito. 
Dare forma a uno spazio di calma e di silenzio. 
Vivere con consapevolezza un tempo che si lascia contagiare da ciò attendiamo nel Natale. 
Se per ogni giorno di Avvento ci lasciamo condurre un passo più vicini al mistero della nostra vita, possiamo giungere davvero all’interno del nostro cuore. E toccare l’amore di Dio per noi.

- Anselm Grün - 



AUGURI DI BUON AVVENTO!

«Noi guardiamo l'Avvento un po' troppo dalla parte dell'uomo. 
Forse bisognerebbe guardarlo di più dalla parte di Dio. 
Sì, perché anche in cielo oggi comincia l'Avvento. 
Il periodo dell'attesa. 
Qui sulla terra è l'uomo che attende il ritorno del Signore. 
Lassù, nel cielo, è il Signore che attende il ritorno dell'uomo».

- Don Tonino Bello -

E ogni cosa deve essere irrorata da Cristo.
"In mano tua non è nulla. Noi nasciamo dal niente, noi siamo niente. L'inizio tuo è nulla. L'inizio è l'accettazione dell'intervento dell'Altro; una accettazione che non è tale se non è domanda. Si può domandare la misericordia nell'atto stesso del male. Vuol dire che ami qualche cosa più del male che fai. E questo lo si impara con chi si vive o non lo si impara"

- don Luigi Giussani - 
da: Dal temperamento un metodo


Misericordia, pietà, clemenza del mio Dio!
Come in questo fatto manifesti la tua tenerezza!
Come una madre amorosa, la quale,
vedendo cadere vicino a sé il bambino,
corre ad arrestarlo sull'orlo del precipizio,
così Gesù, vedendo il suo discepolo sul punto
di consumare la sua riprovazione e piombare nell'inferno,
adoperò verso di lui, 
tutti i tratti della sua carità per riconquistarlo 
alla salute, alla grazia, alla vita!

- San Bernardo - 








Buona giornata a tutti. :-)




mercoledì 25 ottobre 2017

Preghiere allo Spirito Santo - don Tonino Bello

Spirito di Dio, fa' della tua Chiesa un roveto che arde di amore per gli ultimi. Alimentane il fuoco col tuo olio, perché l'olio brucia anche.
Da' alla tua Chiesa tenerezza e coraggio.
Lacrime e sorrisi.
Rendila spiaggia dolcissima per chi è solo e triste e povero.
Disperdi la cenere dei suoi peccati.
Fa' un rogo delle sue cupidigie.
E quando, delusa dei suoi amanti, 
tornerà stanca e pentita a Te, 
coperta di fango e di polvere dopo tanto camminare, 
credile se ti chiede perdono.
Non la rimproverare.
Ma ungi teneramente le membra di questa sposa di Cristo 
con le fragranze del tuo profumo e con l'olio di letizia.
E poi introducila, divenuta bellissima 
senza macchie e senza rughe, 
all'incontro con Lui perché 
possa guardarlo negli occhi senza arrossire, 
e possa dirgli finalmente:
"Sposo mio".

- Don Tonino Bello -



Spirito Santo, dono del Cristo morente,
fa' che la Chiesa dimostri di averti ereditato davvero.
Trattienila ai piedi di tutte le croci.
Quelle dei singoli e quelle dei popoli.
Ispirale parole e silenzi, perché sappia dare significato al dolore degli uomini.
Così che ogni povero comprenda che non è vano il suo pianto,
e ripeta con il salmo: "le mie lacrime, Signore, nell'otre tuo raccogli".
Rendila protagonista infaticabile di deposizione dal patibolo,
perché i corpi schiodati dei sofferenti trovino pace 
sulle sue ginocchia di madre.
In quei momenti poni sulle sue labbra canzoni di speranza.
E donale di non arrossire mai della Croce,
ma di guardare ad essa come all'antenna della sua nave,
le cui vele tu gonfi di brezza e spingi con fiducia lontano.

- don Tonino Bello -




Spirito Santo,
che riempivi di luce i Profeti e accendevi parole di fuoco sulla loro bocca, torna a parlarci con accenti di speranza.
Frantuma la corazza della nostra assuefazione all'esilio.
Ridestaci nel cuore nostalgie di patrie perdute.
Dissipa le nostre paure.
Scuotici dall'omertà.
Liberaci dalla tristezza di non saperci più indignare 
per i soprusi consumati sui poveri.
E preservaci dalla tragedia di dover riconoscere che le prime officine della violenza e della ingiustizia sono ospitate nei nostri cuori.
Donaci la gioia di capire che tu non parli solo dai microfoni delle nostre Chiese. Che nessuno può menar vanto di possederti.
E che, se i semi del Verbo sono diffusi in tutte le aiuole,  
è anche vero che i tuoi gemiti si esprimono nelle lacrime dei maomettani 
e nelle verità dei buddisti, 
negli amori degli indù e nel sorriso degli idolatri, 
nelle parole buone dei pagani e nella rettitudine degli atei.

- don Tonino Bello -


Buona giornata a tutti. :-)








martedì 19 settembre 2017

da: "Scritti di pace" di don Tonino Bello


Oggi soprattutto, nella bagarre ideologica che la guerra ha creato, la difficoltà più grossa che incontra il discorso della nonviolenza attiva è proprio questa: la sua inaffidabilità nella prassi comunitaria. 
Non mi è mai capitato di aver finito di parlare sul tema evangelico della guancia sinistra da girare a chi ti ha percosso già la guancia destra, o di aver riportato il comando perentorio di Gesù sulla necessità di rimettere la spada nel fodero perché chi di spada ferisce di spada perirà, che non mi sia sentito dire che queste dichiarazioni emozionali valgono per i singoli ma non valgono per i popoli. 
La morale del doppio binario circola a piede libero, perfino negli ambienti che del verbo di Cristo dovrebbero fare il principio architettonico di ogni scelta a costo di sbagliare per eccesso. 
C’è, in buona sostanza, una morale che è valida a regolare la sfera privata: e in questa sfera il disarmo unilaterale del perdono è raccomandato, la logica dell’ ”occhio per occhio e dente per dente” viene rifiutata come antievangelica, e il modulo della ritorsione violenta viene giustamente visto come contrario al discorso della montagna. 
E c’è poi una morale che regola la sfera dei rapporti collettivi. In questa sfera per i discorsi di Gesù Cristo sul perdono, sulla remissione dei debiti, sull’amore dei nemici… c’è il divieto assoluto di accesso. 
Anzi, bisogna fare in modo di creare attorno a questa sfera pubblica una cintura di sicurezza, costituita dal buon senso, perché non ci siano infiltrazioni pericolose. E’ questa la vera tragedia per noi credenti… 

- don Tonino Bello -
(da Scritti di pace di T. Bello – ed. Mezzana 1997)



La rampa del perdono

E' sulla rampa del perdono che vengono collaudati il motore e la carrozzeria della nostra esistenza cristiana. E' su questa scarpata che siamo chiamati a vincere la pendenza del nostro egoismo e a misurare la nostra fedeltà al mistero della croce.

- Don Tonino Bello -

Da: Alla finestra della Speranza


A dire il vero non siamo molto abituati a
legare il termine pace a concetti dinamici.
Raramente sentiamo dire:
"Quell'uomo si affatica in pace",
"lotta in pace",
"strappa la vita coi denti in pace"...
Più consuete, nel nostro linguaggio,
sono invece le espressioni:
"Sta seduto in pace",
"sta leggendo in pace",
"medita in pace" e,
ovviamente, "riposa in pace".
La pace, insomma, ci richiama più la vestaglia
da camera che lo zaino del viandante.
Più il comfort del salotto che i pericoli della strada.
Più il caminetto che l'officina brulicante di problemi.
Più il silenzio del deserto che il traffico della metropoli.
Più la penombra raccolta di una chiesa che una riunione di sindacato.
Più il mistero della notte che i rumori del meriggio.
Occorre forse una rivoluzione di mentalità per capire
che la pace non è un dato, ma una conquista.
Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno.
Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo.
La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia.
Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio.
Rifiuta la tentazione del godimento.
Non tollera atteggiamenti sedentari.
Non annulla la conflittualità.
Non ha molto da spartire con la banale "vita pacifica".
Sì, la pace prima che traguardo, è cammino.
E, per giunta, cammino in salita.
Vuol dire allora che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi,
i suoi percorsi preferenziali ed i suoi tempi tecnici,
i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste.
Se è così, occorrono attese pazienti.
E sarà beato, perché operatore di pace,
non chi pretende di trovarsi all'arrivo senza essere mai partito, ma chi
parte.
Col miraggio di una sosta sempre gioiosamente intravista,
anche se mai - su questa terra s'intende - pienamente raggiunta.

- don Tonino Bello -
(da Scritti di pace di T. Bello – ed. Mezzana 1997)



Buona giornata a tutti. :-)




martedì 25 luglio 2017

La vita giocatevela bene di Tonino Bello

Questo bisogno profondo di felicità che voi avvertite nel cuore Ragazze e ragazzi che state sperimentando la soglia dei 18 anni, c’è una cosa che accomuna tutti quanti, il vescovo e voi, un adolescente e una donna anziana, i credenti e i non credenti, gli atei e i santi, le monache di clausura che si alzano nel cuore della notte in preghiera e coloro che nel cuore della notte fanno delle rapine a mano armata…tutti quanti: il bisogno profondo di felicità. Sperimentiamo davvero, credenti e non credenti, la verità delle parole che Sant’Agostino diceva, anche lui alla ricerca ansiosa di spezzoni di felicità, che potessero riempirgli il cuore: “Oh Dio, tu ci hai fatto per te e il nostro cuore è inquieto finché non trova riposo in te”. 
Se anche voi perseguite questo bisogno di felicità che avvertite nel vostro cuore, non andate ad appagarlo a cisterne screpolate, o a fontane inquinate, a bòtti che hanno il vino diventato ormai aceto…
Il nostro cuore è inquieto: abbiamo un’inquietudine profonda, ma c’è chi appaga questo suo desiderio di felicità bevendo a fontane inquinate: chi si tuffa nell’alcool, nella droga, chi si tuffa nel piacere, chi insegue sogni di grandezza, chi si lascia affascinare dal mito della bellezza, al punto che si dispera per esempio per avere i capelli ricci invece che lisci, lunghi invece che corti… 
C’è gente che pensa di appagare il desiderio di felicità buttandosi a capofitto in amori fluttuanti, che durano lo spazio di un’estate… 
Allora, questo bisogno di felicità ce l’abbiamo tutti quanti; alcuni lo appagano in questi modi, a volte effimeri. Per esempio un modo per appagare il bisogno di felicità è quello dei soldi: c’è della gente che è presa, strangolata dalla smania di possesso, di accumulare, di avere… è incredibile quanta gente c’è che per il denaro si vende l’anima, si spappola la vita, si sgretola la felicità domestica...
Non potrò mai dimenticare quando alcuni anni fa andai negli Stati Uniti, e una sera un uomo che ha fatto fortuna aveva voluto invitarmi, e io ho accettato; mi ha mandato una macchina lunga da qui fino in fondo lì, c’era tutto - mancava solo la vasca da bagno - mandò il suo autista personale… in una villa lussuosa con due o tre piscine… e quest’uomo a tavola che continuava a dirmi delle sue ricchezze che aveva in Florida, nel Massachussets… e quando disse poi che aveva intenzione di mettere lo sterzo d’oro, io gli accennai che sulla terra ci sono moltissimi poveri, lui mi guardò… e io sorrisi a sua figlia, aveva un volto bellissimo, stava proprio di fronte a me… anche la ragazza, che capiva l’italiano, mi ricambiò col sorriso. 
E poi qualche minuto dopo venne il cameriere, prese la ragazza, una ragazza paralitica, l’unica figlia che aveva… 
Dico, guarda un po’… questo è un uomo arrivato, un uomo ricchissimo, però ti accorgi che ha anche lui questa sofferenza… 
Ci sono per fortuna coloro che si accostano a fontane di acqua chiara e limpida: c’è qualcosa che scavalca gli appagamenti momentanei… 
Anche per ciò che riguarda la vostra vita affettiva, coltivate dei sogni bellissimi, trovare un compagno, una compagna che dia pienezza alla vostra esistenza, che dia il gaudio di vivere, su cui puntare, giocarsi tutta l’esistenza… 
E’ bellissimo, coltivate queste cose, e coltivatele in trasparenza, in purezza interiore, perché non c’è nessuna esperienza al mondo di quella che voi alla vostra età vivete: proiettare su di una creatura i sogni del vostro futuro. 
È bellissimo… 
Coltivate questi “sogni diurni”, coltivateli! 
Queste non sono utopie, sono “eu-topie”, non sono il “non-luogo” ma sono il “buon luogo”, il luogo dove veramente si sperimenta la felicità. 
Però ricordate anche che questa esperienza è contrassegnata dal limite, perché la ragazza che vi sta accanto nella vita può essere splendida, bellissima, come la diva più luminosa di Hollywood, degli schermi televisivi; quel ragazzo che vi sta accanto può essere più bravo, più svelto degli atleti più formidabili che vediamo ogni tanto ingombrare i nostri teleschermi, può essere intelligente… ma dopo ne sperimenti il limite, dopo un po’ ne sperimenti il limite grazie a Dio! 
Meno male che tutti hanno un limite… tutti hanno un limite… e qualche volta non c’è soddisfazione più grande, quando si leggono certi articoli su questo o su quell’altro personaggio, e ti accorgi che anche lui ha i suoi difetti… 
C’è il limite! Ragazzi, che cosa voglio dirvi con questo discorso? 
La vita giocatevela bene, non bruciatela. 
Ragazzi, ragazze, questo io vorrei dirvi: la vita giocatevela bene… non perché la si vive soltanto una volta… ma giocatevela bene! 
Qualche volta voi sapete che rischio correte? 
Che in questa vostra smania di libertà, di grandezza, di orizzonti larghi, invece che raggiungere gli orizzonti larghi vi incastrate nei blocchi… 
Qualche volta noi corriamo proprio questo rischio: andiamo alla ricerca di obiettivi che pensiamo ci debbano liberare e invece ci danno proprio la prigione… 
Vivetela bene la vostra vita… non bruciatela! 
E’ splendido, soprattutto se voi la vostra vita la mettete al servizio degli altri… non è la conclusione moraleggiante di un vescovo di passaggio che viene a rifilarvi degli scampoli di omelia che non è riuscito a riciclare in chiesa e allora viene a darle qui... no no… 
Sto dicendo davvero! 
Questo è un fatto umano. 
Io sono convinto che se voi la vostra vita la spendete per gli altri, la mettete a disposizione degli altri, voi non la perdete! 
Perderete il sonno, ma non la vita! La vita è diversa dal sonno. 
Perderete il denaro, ma non la vita! La vita è diversa dal denaro. 
Perderete la quiete, ma non la vita! La vita travalica la quiete, soprattutto la quiete sonnolenta ruminante del gregge… 
Perderete tantissime cose… 
Perderete la salute, ma non la vita! 
Abbiamo sentito una canzone qualche sera fa nella cattedrale di Terlizzi ad un incontro per i giovani… facemmo mettere una canzone di Zucchero che diceva: “… voglio amare fino a che il cuore mi faccia male…”. 
Io vi auguro, ragazzi, che voi possiate essere capaci di amare a tal punto che il cuore veramente vi faccia male! Lo dico a tutti, indipendentemente dalla vostra esperienza religiosa, anche se c’è qualcuno che è molto lontano… sono convinto che è una cosa che tocca anche loro, starei per dire soprattutto loro! Vi auguro che possiate veramente amare, amare la vita, amare la gente, amare la storia, amare la geografia, cioè la Terra… a tal punto che il cuore vi faccia male… e ogni volta che vedete non soltanto queste ignominie che si compiono, queste oppressioni crudeli, queste nuove Hiroshima e Nagasaki, questi nuovi campi di sterminio. 
Di fronte a queste cose voi potreste dire: “Ma noi cosa possiamo fare?” ma io credo che pure nel piccolo qualche cosa potreste fare: il rispetto… Il rispetto dei volti, il rispetto delle persone, il rispetto… La bellezza… la cura della bellezza, che non è qualcosa di effimero… è la bellezza che salverà il mondo. Coltivate la bellezza del vostro corpo, la bellezza del vostro vestire, cioè l’eleganza non fatta di abiti firmati… non quella… l’eleganza, la semplicità. La bellezza del vostro sguardo: non potete immaginare quanta luce dà a chi è triste… non sono un romantico, ma non potete immaginare quanta voglia di vivere produce uno sguardo generoso che voi date su di una persona che è triste, su di un passante. 
Non c’è ricchezza al mondo, non c’è denaro che ti ripaghi… 
La scoperta di Dio, ragazzi, anche a voi che probabilmente siete molto scettici… la scoperta di Dio nelle cose belle che Lui ci dà… nella natura… e l’intuire la presenza di questo essere più grande di noi… che fa i miracoli ogni giorno e noi magari non li sappiamo cogliere. 
La vita è dura per tutti quanti, è difficile per tutti quanti, però io voglio indicarvi oggi una fontana a cui potersi abbeverare e trovare non la felicità piena, ma trovare soprattutto la forza per camminare, per andare avanti e trovare la felicità nell’ascolto della Parola del Signore, il Vangelo. 
Devo rispettare la laicità della scuola, non sono venuto a farvi una catechesi oggi, però vi dico soltanto: “Tu sei felice?” 
I miei problemi il Signore non me li risolve, li devo risolvere io. Però mi dà il significato di questi problemi, cioè il senso, l’orientamento… 
Dà senso ai miei problemi, al mio tormento, alle mie lacrime, al mio pianto… ma anche alla mia gioia, al mio andare avanti, al mio camminare… 
Dà senso… Non sono spezzoni slegati! 
Molte volte la nostra vita è fatta di spezzoni, di cose “sbullonate” tra di loro, messe nella coppetta della ruota, come fa il meccanico… e noi non sappiamo più decifrare l’ingranaggio, l’avvitamento giusto, e andiamo inseguendo gli spezzoni. 
Anche voi ragazzi, alla vostra età, provate momenti di felicità, ce ne sono… tu vorresti fermarli per sempre... Macché! 
Passano, passano… questa è l’ingiustizia!
Perché momenti di ebbrezza, di felicità, di luce ce li abbiamo tutti! Per un momento ti sembra di possedere il mondo... però è tutto fugace. ....

- don Tonino Bello -





«Cosa vuole da te il Signore? Egli vuole che dovunque vada, ovunque tu esprima fatica, ovunque metta in atto la tua esistenza, possa sentirsi il buon profumo di Cristo, e che ti lasci scavare l'anima dalle lacrime dei poveri, di coloro che soffrono, e interpreti la vita come dono e non come peso».