Ed ecco Lucifero dalle ali stupendamente blu; occhi
finissimi, zigomi accentati, pelle bianchissima più de le nuvole del suo
infinito oppositore, labbra carnose di odio, naso perfetto come 'l suono
perpetuo dei suoi fiumi infernali allattati dal pianto dei dannati. Capelli
color dell'oro ove punte di sangue innocente trovano luogo e denti bianchi ribelli
alle tenebre.
I demoni, affogati dalla saliva dell'odio, lo venerano, Padre lo
chiamano, ed in questa valle sconsolata, il punto più in basso dell'universo,
lo adorano; ma lui è per sé solo.
Non meno angosciato è il Dio dei cieli che
diletta i secoli con l'indifferenza; e di indifferenza governa la terra. Queste
anime dannate, l'una verso l'altra di amore si cibavano, imperano questo regno
del pianto; per orgoglio rimangono eretti nei propri troni, credendo di essere
l'un più in alto dell'altro; perché a seconda del punto di vista si vede in
profondità l'altro.
Così Lucifero, volgendo li occhi al cielo, che per lui è
sotto di lui, ricorda il suo amato e così, con non minore amore, il Dio volge
li occhi stupendi alla sua anima ritrovando Lucifero venerato.
Il Dio possiede
un trono bellissimo, con oro che disgusterebbe persino il più avaro fra li
uomini, il celeste regna come nelle sue pupille, giacinto giunto dal regno
dell'azzurro; il suo volto eternamente fanciullo ha fatto innamorare Venere e
l'intero creato si muove come atto di preghiera; la sua magnificenza è tale che
giustamente gli scarafaggi umani lo venerano.
Entrambi per amore tollerano
l'esistenza dell'altro. Egli venera l'amato Lucifero; nel silenzio della sua
anima. Ecco! parliamo di quell'anima che gli eserciti degli angeli da secoli
hanno tentato di penetrare con i loro sguardi capaci di comprendere gli
universi; i suoi capelli neri hanno saziato la notte, mentre il dorato trova
nella sua pelle luogo e tempo.
Tutte le sofferenze di tutti i secoli e di tutte
le lande del pianto degli umani sono un nulla di fronte alle lacrime di
Lucifero: di lui il popolo dei morti, tormentato dal castigo eterno della fine
del desiderio, ne ha compassione e non solo per se stesso piange, ma
soprattutto per il suo imperatore; splendono di più le lacrime che le stelle.
Oh Lucifero, maladetta aurora, dimentica le cose del giorno; abbracciati,
poiché nessuno questa notte ti abbraccerà.
Luogo è dall'albe remoto; nel centro dell'universo
l'oscurità sogna e l'incubo vien tradito da lucciole che sono le lacrime dei
dannati. Si intravede, attraverso un blu nervosamente, un colle ove sopra
regna, nero come un livido, come un capezzolo di un'arpia, un maestoso castello
relitto di tempi eterni; mura malefiche, come peccati taciuti o promesse
rinnegate, si alzano al cielo come bestemmie; piante malefiche, di un verde
cinereo, si strusciano come lingue di peccatrici alzandosi fra le mura come
urla; di lontano, sull'orizzonte, si intravedono le crudeli cupole del globo
che fan da cappello alla lordura delle basiliche. A nessuno, neppure ai demoni
più fedeli, neppure ai segugi infernali che allietano il male che non dorme
mai, è concesso di entrare: nella sala più vasta, nel trono imperiale, rosso di
sangue, impossibile che la mente guardi altro che, in qualche modo, lì è reso
perfetto e rassicura dell'oscurità che lo circonda, lo 'mperator del doloroso
regno si erge.
Ghigna il sudore, estraneo così a qualunque minatore di inferni
artificiali; come quando un treno passaci così velocemente accanto che l'aria
regola e qualità non possiede, così il naso non detiene argomenti; la lingua
sente il peso di una gravità nuova che la inchioda, nessuna favella, incatenate
nell'animo come un mastino infernale che ha poteri sovrumani ma la sua frenesia
ammutolita dal greve suono delle catene; pur li occhi tradiscono un desiderio
infinito. Come i fulmini nascono dall'incontro della crosta terrestre con le
reliquie del cosmo; così la paura è tale che false ombre crea. Ah come
lacrimano gli occhi; esistono enti indefinibili, eppure, nominandoli, li
distinguiamo (mirate un'ondulazione sopra un suolo bollente, intuirete) così lo
sguardo non si possiede, eppur sa di vedere. Nel trono dell'imperatore, tali
parole si possono leggere:
È giusto; dimenticano i viventi
le parole retro le quali torme
indistinte dell'esistenza vivono;
eppur il mio popolo ancora sogna,
e non può fa' altro che 'l sognare il sempre.
Nervosamente, senz'alcun movimento umano, Lucifero
muove i capelli, e sì facendo un suono stridulo ne esce; che le orecchie si
dilaniano ed in un mare di sangue trovano l'agognato silenzio. Appare l'ultima
volta, accanto a Lucifero, Maldoror, che rappresenta la perpetuità, che
simboleggia il sempre, ci guardiamo ne li occhi e ci giuriamo un amore
dilaniante. Qui termina il podere dello spazio esteso: uno Shinigami dalle ali
nere come il tradimento e dai denti sporchi come la falsità dei cieli, con le unghie
carche di secoli di angoscia, scrive questo nome sul suo braccio e ghigna per
la fiera preda che ottiene; ma non smette di vaneggiar la valle d'abisso nel
mio desiderio.
da: La Morte del Tempo di Giancarlo Petrella, ed. Feltrinelli
Ah, Faust,
Adesso non hai che un'ora da vivere,
E poi sarai dannato in eterno.
Sfere celesti in moto perpetuo, fermatevi,
Che il tempo possa cessare e mezzanotte mai giungere.
Occhio lieto della Natura, sorgi, sorgi ancora e fai
Un giorno eterno: o lascia quest'ora essere
Un anno, un mese, una settimana, un giorno,
Che Faust possa pentirsi, e l'anima salvare.
'O lente lente currite noctis equi'
C. Marlowe -
La morte degli innamorati
Lui sapeva della morte solo
quello che tutti sanno: che ci prende
e nella muta dimora ci spinge.
Ma quando lei da lui, no, non strappata,
ma lievemente sciolta dai suoi occhi,
scivolò ad ombre ignote, e lui sentì
che laggiù il suo sorriso di fanciulla
era come una luna a far del bene;
Allora i morti a lui furono noti,
quasi per lei di loro con ognuno
fosse parente: e lasciò parlare gli altri,
Senza prestarvi fede, e quella terra
Dolcissima chiamò, ed ameno luogo.
E la tastò per
giungere ai suoi piedi.