Visualizzazione post con etichetta natale 2015. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta natale 2015. Mostra tutti i post

domenica 6 dicembre 2015

Quel bambino - Chiara Lubich -

 Quando ti preghiamo, Gesù, nel nostro cuore, quando ti adoriamo nell'Ostia Santa dell'altare, quando conversiamo con te presente in Cielo, e a te diciamo il nostro grazie per la vita e su te versiamo il pentimento dei nostri sbagli, e da te invochiamo le grazie di cui abbiamo bisogno, sempre ti pensiamo adulto, Signore.
Ora ecco che, luce sempre nuova, ogni anno ritorna Natale e, come una rinnovata rivelazione, ti mostri a noi bambino, neonato in una culla, e un'onda di commozione ci invade. E non sappiamo più formulare parola, né osiamo chiedere, né ci sentiamo di pesare su tante minuscole forze seppur onnipotenti.
Il mistero ci ammutolisce ed il silenzio adorante dell'anima si confonde con quello di Maria, la quale, alla dichiarazione dei pastori che udirono il celeste canto degli angeli, "serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19).
Il Natale: quel Bambino sempre ci appare come uno dei misteri più sconcertanti della nostra fede, perché è principio della rivelazione dell'amore di Dio per noi che poi s'aprirà in tutta la sua divina, misericordiosa, onnipotente maestosità.

- Chiara Lubich -





 L'unico modo corretto di metterci di fronte al Signore - nella preghiera e nella vita - è quello di sentirsi costantemente bisognosi del suo perdono e del suo amore. Le opere buone le dobbiamo fare, ma non è il caso di calcolarle e tanto meno di vantarsene. Come pure non è il caso di fare confronti con gli altri. Il confronto con i peccati degli altri, per quanto veri essi siano, non ci avvicina al Signore.  



- Bruno Maggioni -
da: “Bisognava fare festa”, Ed. Messaggero






Buona giornata a tutti. :-)




sabato 5 dicembre 2015

Il senso del messaggio del Natale – don Romano Guardini -

Che cosa significa dunque Natale? Ora dobbiamo avanzare verso il nucleo della fede cristiana, poiché la risposta può essere data solo se si parte da esso.

Anche sull'essenza del cristianesimo esistono definizioni annacquate e corrotte; e anche da esse devono venir purificate le parole, perché il cristiano possa render loro onore. 
Il cristianesimo non è la religione dell'amore del prossimo, o dell'interiorità, o della personalità o di quant'altro di questo genere si possa ancora dire. Naturalmente, in tutto ciò v'è qualcosa di esatto, ma come un secondo aspetto, che acquisisce il suo senso solo quando è chiaro ciò che è primo e autentico. Ma questo significa che nella Rivelazione Dio manifesta se stesso in un modo in cui nessuna esperienza psicologica o comprensione filosofica può manifestarlo.

L'Antico Testamento ci mostra un avvenimento possente: come Dio s'attesti, in quanto è Colui il quale è, indipendente di fronte a tutto ciò che si chiama «mondo». «Io sono Colui che io sono», Egli risponde sull'Oreb all'uomo Mosè, che gli chiede il suo nome (Es 3, 14). Questo nome è dunque «Colui che sono». Quel concetto che ogni essere rivendica per sé e vuol dire solo che esso è, invece di non essere, il più universale e perciò il più semplice, è per Lui «nome», espressione della sua unicità. 
Quale abisso di pensiero che la parola «Io sono» sia nome di Dio, che come tale non spetta ad alcun altro essere! 
Infatti il mondo non «è» in senso puro e semplice, ma è in virtù di Lui: da Lui creato, totalmente e assolutamente e senza alcun dato previo. 
Creato in pura libertà, senza costrizione, foss'anche soltanto tale da trovarsi solo in Dio. 
Esso è «davanti» a Lui; provenendo da Lui e a Lui diretto.

Questo Dio è Uno - per il motivo che Egli è realmente «Dio», che non può stare mai al plurale. 
Attraverso il corso della Rivelazione antico testamentaria il messaggio dell'uno e unico Dio viene continuamente proclamato e sostenuto contro resistenze, che fiaccherebbero ogni energia diversa da quella del suo Spirito. Sostenuto in un ambiente, in cui da ogni punto di vista psicologico e storico dovrebbe essere impossibile. Infatti l'ambito di vita del popolo ebraico si trovava nelle sfere d'influenza delle più poderose civiltà e culture politeistiche: quella egiziana, quella babilonese, quella assira, quella persiana, infine quella greca e romana. 
Fu assolutamente un miracolo - prendendo la parola nel senso netto e genuino - che questa fede non abbia potuto essere sradicata da alcunché. 
Qui tutte le linee di collegamento col mito vennero troncate. 
Il mito infatti parla della divinità del mondo, che si presenta in forme sempre nuove; al contrario la fede in Dio propria della Rivelazione antico testamentaria confessa l'assoluta sovranità del Dio Uno, cui appartiene ogni attributo di divinità.

Ma poi avviene qualcosa di misterioso. Nella Rivelazione neotestamentaria, nella coscienza di Gesù, nel modo in cui Egli parla di Dio, tratta con Lui, rapporta a Lui la propria esistenza, si fanno chiare distinzioni che non hanno relazione con nulla di mitico. 
Questo Dio è l'Uno e Unico, ma non è solitario. 
In Lui v'è un mistero di comunione, v'è «Io» e v'è «Tu», e i nomi che Gesù cita per indicarli sono «Padre», «Figlio» e «Spirito Santo». 
Questi nomi non hanno relazione di sorta con le rappresentazioni di generazioni del mito, con i suoi dèi-padri e dèi-figli, ma esprimono ciò che sta al di sopra d'ogni concepire ed esprimere. Non è lecito però abbandonarli, poiché Dio stesso ce li ha dati, e sono le porte d'accesso al suo mistero.

Ora ci viene rivelato che questo Figlio è entrato nel mondo. Ma ciò in un senso inaudito. Non solo per via psicologica, nell'animo di una persona pia profondamente dotata; non solo in termini spirituali, nei pensieri di una grande personalità; realmente, storicamente invece, così da produrre l'unità personale con un essere umano. 
Dio s'è fatto uomo, figlio di una madre umana, uno di noi, ed è rimasto ciò che Egli è eternamente, Figlio del Padre nel ciclo. Egli, che come Dio era in tutto, ma sempre «dall'altro lato del confine», nell'eterno riserbo, è venuto al di qua del confine, ed è stato ora presso di noi, con noi.

Di questo evento parla il Natale. Questo è il suo contenuto, questo soltanto. Tutto il resto - la gioia per i doni, l'affetto della famiglia, il rinvigorirsi della luce, la guarigione dall'angustia della vita riceve di là il suo senso. Quando quella consapevolezza però svanisce, tutto scivola sul piano meramente umano, sentimentale, anzi brutalmente affaristico.

Sì deve dire ancora qualcosa, e mi auguro che il lettore, associandosi a me col suo pensiero, aiuti a far sì che divenga chiaro. Quando sentiamo di ciò che è così inaudito; di un agire divino, che non conosce alcun esempio; che non ha nulla, proprio nulla in comune con i miti del connubio d'una divinità con una donna terrena; che invece è qualcosa di assolutamente unico, il cui concetto viene accolto solo dalla sua Rivelazione propria, e con le sue parole si può esprimere - allora ci chiediamo involontariamente: perché ciò avviene? Se la parola dell'Incarnazione di Dio deve essere intesa così come ce la dice il Nuovo Testamento: perché Dio agì così? In assoluto, può Egli fare una cosa del genere? Tale enunciazione è compatibile con il concetto puro di Dio? O significa, come anzi si afferma continuamente, appunto una ricaduta nel mito?

Quale aspetto prende allora il concetto «puro» di Dio cui ci si riferisce quando si vuole giudicare un'enunciazione religiosa? È quell'idea, a far emergere la quale si sono sforzati due millenni e mezzo di pensiero occidentale: l'idea dell'Assoluto. Di quell'essere, di quell'ente, che è immune da ogni limitazione; eterno, infinito, perfetto in ogni direzione che si possa escogitare. Così è Dio, dice la metafisica, e ha ragione. L'idea con cui pensiamo Dio - cerchiamo di pensarlo - in realtà può essere soltanto la più nobile. Dio è l'Assoluto. Ma è solo questo? Un Dio soltanto Assoluto può farsi uomo? Nella serietà e nella verità, come lo intende il Nuovo Testamento? A questo interrogativo non potremo rispondere altrimenti che con un «no». Con tale immagine di Dio non si può collegare una vicenda del genere. Così sembra che siamo posti di fronte a una difficile decisione: quella di eliminare l'Incarnazione, per preservare la sovranità di Dio - o invece, per mantenere la sua pensabilità, di assumere un'essenza di Dio che possa semplicemente unirsi col mondo, e allora saremmo nel mito.

Proprio qui sta il centro del significato della Rivelazione. L'alternativa non è: l'Assoluto - o il mito. Dio non è, come ha detto Pascal, il «Dio dei filosofi»; dunque colui che sarebbe rinchiuso entro i concetti di necessità propri dell'assolutezza, e dal quale si dovrebbe staccare, in quanto priva di senso, un'idea come quella dell'Incarnazione. Non è però nemmeno un nume mitico, che possa entrare in tutti i possibili legami e trasformazioni. Egli è se stesso, e respinge qualsiasi subordinazione ai nostri concetti. No, l'alternativa, davanti alla quale siamo posti, o, detto più esattamente, la decisione da cui tutto dipende, è questa: se nella nostra vita vogliamo avere una reale Rivelazione o no. 
Se nel nostro pensare vogliamo partire dal giudizio di Dio o dal nostro proprio. 
In una parola: se vogliamo credere o essere increduli.

La Rivelazione ci dice: tu non puoi determinare se l'Incarnazione di Dio sia possibile partendo da te stesso, da nessun criterio terreno, fosse anche il più alto; devi invece accogliere nella fede che essa sia avvenuta, e giudicare movendo da essa. Tu non puoi dire partendo da te stesso come sia costituito, di che tipo sia il Dio «puro», ma devi percepire nella fede chi Egli manifesti d'essere, e pensarlo in corrispondenza a tale manifestazione. Allora ti renderai conto interiormente che Dio è appunto «Colui che attua l'Incarnazione». Il fatto dell'Incarnazione è esso stesso Rivelazione, anzi quella autentica e colmante. Essa dice: Dio è tale da essere in grado di farsi uomo. Egli è tale che, ai suoi occhi, per parlare col linguaggio della Genesi, è «cosa buona» e «molto buona» compierla (Gv 1, 10.12.18.25.31). Ma il motivo, di cui si parla così alla leggera, cioè che Dio lo fa per amore, anzi che Egli è Colui che ama in senso puro e semplice - risulta chiaro solo in ragione di questo, e viene così espresso: quell'intento, per il quale Dio attua l'inaudito fatto dell'Incarnazione - appunto ciò è l'amore. L'amore, di cui parla la Rivelazione, non è un valore etico universale; non è un orientamento, in sé determinato, del voler bene o della bontà, non un sentimento del cuore umano direttamente comprensibile, o che altro si voglia. La parola «amore» non è qui in assoluto un concetto, bensì un nome: un nome per indicare qualcosa che esiste solo una volta, e precisamente per designare l'intendimento di Dio. Per coglierlo, non si può partire da criteri preesistenti, ma ci si deve inserire in quelle vicende, in cui si compie la Rivelazione, e lo si deve pensare nelle parole, che questa stessa fornisce. Allora ha inizio la metànoia, la svolta o conversione dello spirito. Tutto si cambia, tutto diventa giusto, si rettifica, e si schiudono pensieri d'una grandezza e intimità a un tempo che, come dice Paolo, «superano ogni comprensione» (Fil 4, 7).

È questo ciò che proclama a noi il messaggio di Natale, quando ci stanchiamo delle realtà apparenti e fallaci e vogliamo ascoltare quanto è autentico.

(don Romano Guardini)

Romano Guardini, Natale e Capodanno. Pensieri per far chiarezza,  Morcelliana, 1994, pp.




"Non più silenzio, chiacchiere senza fine. Si parla sempre, a voce alta, profusamente. Si parla, si scrive, si ascolta su tutto. 
Non c'è più nulla di santo; non ha più senso, non esiste più una sicura zona di silenzio, non conta più niente, neppure la cosa più degna di venerazione. 
Si parla di tutto riducendo a pezzi e frammenti ogni oggetto, senza rispetto né vergogna: nei giornali, nella società, nelle sale di adunanze. 
Si allineano ogni sorta di parole: quelle elevate, quelle acute, quelle sagge e profonde, quelle ribelli, quelle commoventi, tutte."


- don Romano Guardini - 



Tocca il mio animo col soffio della tua eternità, affinché io compia bene la mia opera nel tempo e possa un giorno portarla nel tuo regno eterno»

- Romano Guardini -
Preghiere teologiche


Buona giornata a tutti. :-)






  

venerdì 4 dicembre 2015

Il primo presepe - Johann Jorgensen -

La santa sera tutto era pronto, a Greccio, come frate Francesco aveva desiderato; verso l'ora di mezzanotte, tutto il popolo di quei pressi era convenuto intorno al presepe per festeggiare la nascita del Signore. 
Come ci racconta Tomaso da Celano: «Greccio era diventata una nuova Betlemme; la foresta risuonava di voci melodiose e le rocce echeggiavano ai canti della folla». Ognuno portava torce accese, mentre, vicino al presepe, stavano i frati coi loro ceri; tanto che i boschi erano rischiarati come fosse pieno giorno. Sulla mangiatoia che serviva d'altare, un prete lesse la messa, perché il divino fanciullo fosse presente, sotto le specie del pane e del vino, al modo stesso che lo era stato corporalmente a Betlemme. 
Ci fu pure un istante in cui Giovanni Vellita ebbe l'impressione di vedere un vero bambino coricato nella mangiatoia, ma che sembrava morto, o, per lo meno, addormentato. 
Ed ecco che frate Francesco si avvicina al bambino e lo prende teneramente tra le braccia; ed ecco che anche il bambino si sveglia, sorride a frate Francesco, e, con le sue piccole mani, gli accarezza le guance barbute e la stoffa grigia della sottana! 
Visione che, del resto, non aveva nulla di stupefacente per messer Vellita: poiché egli conosceva già parecchi cuori, in cui, allo stesso modo, Gesù era stato morto, o per lo meno addormentato, fino al giorno in cui frate Francesco, con la sua parola e il suo esempio, non l'aveva risvegliato e risuscitato.
Dopo la lettura del Vangelo, frate Francesco, in veste di diacono, si avanzò verso la folla. «Sospirando profondamente, ci dice Celano, accasciato sotto la pienezza della sua pietà, e traboccante di meravigliosa gioia, il santo di Dio si drizzò presso la mangiatoia. 
E la sua voce, la sua voce forte e dolce, la sua voce chiara e sonora, trascinò gli uditori a ricercare il bene supremo».
Frate Francesco predica alla folla. «Con parole d'una dolcezza squisita, parla del povero re nato quella notte che è il Signore Gesù, nella città di David. 
E, ogni volta che vuole pronunciare il nome di Gesù, ecco che egli è tutto arso dal fuoco del suo amore, e che, invece di dirgli questo nome, lo chiama teneramente il Bambino di Betlemme! 
E, questa parola Betlemme, la dice col tono d'un agnello belante; e quando ha proferito il nome di Gesù, lascia scivolare la lingua sulle labbra, come per assaporare la dolcezza che quel nome ha sparso dietro di sé, passando su quelle labbra. 
E non fu che molto tardi che terminò quella santa notte di vigilia, e che ciascuno, con il cuore pieno di gioia, se ne ritornò alla sua casa».
«In seguito, questo luogo, dove era stato piantato il presepe, fu consacrato al Signore con l'erezione di un tempio; e sopra la mangiatoia fu alzato un altare in onore del nostro beato Padre Francesco: così che, là dove poco prima le bestie senza ragione mangiavano il fieno dalla greppia, oggi gli uomini, per la salute delle loro anime e del loro corpo, ricevono l'Agnello immacolato, Nostro Signore Gesù Cristo, che, spinto da ineffabile amore, ha dato la sua carne per la vita del mondo, e che, col Padre e lo Spirito Santo, vive e regna in somma grandezza per tutti i secoli dei secoli. Così sia!».

Johann Jorgensen - 




L'Avvento è un cammino verso Betlemme. 
Lasciamoci attrarre dalla luce di Dio fatto uomo! 

- Papa Francesco -





Una coltre fitta di tenebre avvolge le nazioni. 

In troppi, hanno smarrito la strada.
Il male continua a dilagare, c'è bisogno di stelle risplendenti di luce che illuminino le notti, che mostrino la via da percorrere.

- Chiara Amirante - 


                                                     Rennes - Natività


”Preghiamo il Signore di donarci la grazia
di guardare il presepe con la semplicità dei pastori, 
per ricevere così la gioia
con la quale essi tornarono a casa.
Preghiamolo di darci
l’umiltà e la fede con cui san Giuseppe
guardò il bambino
che Maria aveva concepito dallo Spirito santo.
Preghiamo che ci doni di guardarlo con quell’amore, 
con cui Maria l’ha osservato.
E preghiamo che così la luce,
che i pastori videro,
illumini anche noi
e che si compia in tutto il mondo
ciò che gli angeli cantarono in quella notte:
“Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e pace in terra agli uomini che egli ama”


- papa Benedetto XVI - 





Buona giornata a tutti. :-)