7 Ottobre 2016 - 445° Anniversario della
Battaglia di Lepanto
Non ci si poteva esimere dal ricordare ancora
questa data, solitamente taciuta dai media, ma anche dalla Chiesa recente,
tutta presa a scusarsi anche di essersi difesa: ha mutato la vita nel
nostro Continente a quel tempo, e per i secoli a venire; e, insieme, ci lascia
misurare con inquietudine quanto la situazione nelle nostre terre sia mutata
oggi, e di segno opposto.
7 ottobre 1571: San Pio V, il Papa di Lepanto
Da Ludwig von Pastor, “Storia dei Papi. Dalla
fine del medio evo”, Desclée, Roma 1950, vol. 8, pp. 1566-1572
Con indescrivibile tensione aveva Pio V
tenuto gli occhi rivolti all’Oriente.
I suoi pensieri erano continuamente
presso la flotta cristiana, i suoi voti la precorrevano di molto. Giorno e
notte egli in ardente preghiera la raccomandava alla protezione dell’Altissimo.
Dopo che ebbe ricevuto notizia dell’arrivo di Don Juan a Messina, il papa
raddoppiò le sue penitenze ed elemosine. Egli aveva ferma fiducia nella potenza
della preghiera, specialmente del rosario.
In un concistoro del
27 agosto Pio V invitò i cardinali a digiunare un giorno la settimana ed a fare
straordinarie elemosine, solo colla penitenza potendosi sperare misericordia da
Dio in sì grande distretta. Sua Santità – così notificò ai 26 di settembre del
1571 l’ambasciatore spagnuolo – digiuna tre giorni la settimana e dedica
quotidianamente molte ore alla preghiera: ha ordinato anche preghiere nelle
chiese. Per assicurare Roma da un’improvvisa irruzione di corsari turchi, il
papa al principio di settembre aveva comandato che si terminasse la
fortificazione di Borgo. Soltanto molto rare arrivavano notizie sull’armata
cristiana e pertanto alla Curia si stava in penosa incertezza. Fu quindi come
una liberazione l’apprendere finalmente ai primi di ottobre l’arrivo della
flotta della lega a Corfù.
Giunta ai 13 di ottobre la nuova che la
flotta turca trovavasi a Lepanto e che quella della lega si sarebbe messa in
movimento il 30 settembre, non v’aveva dubbio che il cozzo era imminente. Il
papa, sebbene fermamente fiducioso della vittoria delle armi cristiane, ordinò
tuttavia straordinarie preghiere diurne e notturne in tutti i monasteri di
Roma: egli poi in simili esercizi andava avanti a tutti col migliore esempio.
La sua preghiera doveva finalmente venire esaudita. Nella notte dal 21 al 22
ottobre arrivò un corriere mandato dal nunzio a Venezia Facchinetti e rimise al
cardinal Rusticucci che dirigeva gli affari della segreteria di Stato una
lettera del Facchinetti contenente la notizia portata a Venezia il 19 ottobre
da Giofrè Giustiniani della grande vittoria ottenuta presso Lepanto sotto
l’ottima direzione di Don Juan.
Il cardinale fece tosto svegliare il papa, che
prorompendo in lagrime di gioia pronunziò, le parole del vecchio Simeone:”nunc
dimittis servum tuum in pace”. Si alzò subito per ringraziare Iddio in
ginocchio e poi ritornò in letto, ma per la lieta eccitazione non poté trovar
sonno.
La mattina seguente si recò a S. Pietro per
nuova calda preghiera di ringraziamento, ricevendo poscia gli ambasciatori e
cardinali ai quali disse che ora dovevansi fare nel prossimo anno gli sforzi
estremi per continuare la guerra turca. In quest’occasione egli alludendo al
nome di Don Juan ripeté le parole della Scrittura: “fuit homo missus a Deo, cui
nomen erat Ioannes”. (…) Tanto Colonna quanto il papa avevano chiara coscienza
di quanto mancasse ancora per raggiungere la grande meta dell’abbattimento
della potenza degli ottomani: ambedue erano così concordi sui passi da
intraprendersi che Pio V associò il suo esperimentato ammiraglio ai cardinali
deputati per gli affari della lega, che dal 10 dicembre tenevano quasi ogni
giorno coi rappresentati di Spagna, Requesens e Pacheco, e cogli inviati di
Venezia due sedute, spesso della durata di cinque ore.
Sotto pena di scomunica riservata al papa
tutto era tenuto rigorosissimamente segreto, perché il sultano aveva mandato a
Roma degli spioni parlanti italiano. Nelle consulte ordinate dal papa nei mesi
di ottobre e novembre era venuta in prima linea la provvista dei mezzi
finanziari; ora trattavasi principalmente dello scopo dell’impresa da
compiersi nella prossima primavera. E qui solo malamente i rappresentanti sia di
Spagna, sia di Venezia potevano nascondere la gelosia e avversione, che
nutrivano a vicenda. Gli interessi particolari dei due alleati emersero sì
fortemente che venne messa in forse qualsiasi azione comune.
I veneziani
volevano servirsi della lega non solo per riavere Cipro, ma anche per fare
nuove conquiste in Levante. Filippo II, invece, avverso ad ogni rafforzamento
della repubblica di S. Marco, fece dichiarare dal Requesens che la lega doveva
in primo luogo muovere contro gli stati berbereschi dell’Africa, perché questi
tornassero in possesso della Spagna. In questa proposta i veneziani videro una
trappola per impedirli dalla riconquista di Cipro ed esporli al pericolo di
perdere anche Corfù mentre la loro flotta combatteva gli stati berbereschi pel re
di Spagna. A Venezia ritenevasi ora sicuro che Filippo II volesse trarre il
maggior utile possibile nel suo proprio interesse dalle forze della lega.
Non può dirsi con certezza quanto le lagnanze
per ciò sollevate siano giustificate. Per giudicare rettamente il re di Spagna
va in ogni modo tenuto conto del contegno della Francia, il cui governo fu
abbastanza svergognato da proporre al sultano subito dopo la battaglia di
Lepanto un’alleanza diretta contro la Spagna. Filippo II era perfettamente a
giorno delle trattative che la Francia conduceva non solo col sultano, ma anche
cogli ugonotti, i capi della rivoluzione neerlandese e con Elisabetta
d’Inghilterra. In conseguenza egli doveva fare i conti con un contemporaneo
attacco d’una coalizione franco-neerlandese-inglese-turca. Non fu pertanto solo
gelosia verso Venezia quella che guidò il re cattolico. Del resto lo stesso Don
Juan confessò ch’era contro il tenore del patto della lega rinunciare alla
guerra contro il sultano a favore di un’impresa in Africa.
Di fronte al contrasto degli interessi
spagnuoli e veneziani Pio V continuò a rappresentare la concezione più vasta e
sommamente disinteressata: egli pensava alla liberazione di Gerusalemme, a cui
doveva precedere la conquista di Costantinopoli. Ma, come scrisse Zúñiga
all’Alba il 10 novembre 1571, un colpo efficace nel cuore della potenza
ottomana era possibile soltanto in vista di un attacco contemporaneo e
all’impensata per terra e per mare. Di qui i continuati sforzi di Pio V per
arrivare a una coalizione europea contro i Turchi. Se a questo riguardo nulla
era da sperarsi dalla Francia, che nel luglio aveva mandato un ambasciatore in
Turchia, egli tuttavia sperava di guadagnare all’idea almeno altre potenze,
prima di tutti l’imperatore, poi Polonia e Portogallo. A dispetto di tutti gli
insuccessi finallora incontrati egli coi suoi legati e nunzi continuò a
spingere sempre a questa meta.
Rivelazione di S. Pio V e vittoria della
Lega Santa a Lepanto, Museo Naval, Madrid
Pio V cercava di utilizzare al possibile a
questo riguardo il più leggero segno di buona volontà. Così prese occasione
dalle frasi generiche, con cui Massimiliano II assicurò di essere disposto ad
aiutare la causa cristiana, per dargli l’aspettativa da parte degli alleati di
un aiuto di 20,000 uomini a piedi e di 2000 a cavallo. L’imperatore ringraziò
ai 25 di gennaio del 1572 dell’offerta deplorando di non potere subito
decidersi in un negozio di tale importanza.
A Roma il duca di Urbino fece
risaltare che c’era poco da sperare da Massimiliano ed anzi nulla dai principi
tedeschi, specialmente dai protestanti. In un memoriale del papa del gennaio
1572 egli sostenne con buone ragioni l’idea che la guerra dovesse condursi là
dove esercito e flotta potessero operare congiunte e dove «noi siamo padroni
della situazione», quindi principalmente colla flotta in Levante.
Se i Turchi
venissero attaccati in Europa dall’imperatore e dalla Polonia, tanto meglio; ma
la cosa principale è che si attacchi tosto, perché chi semplicemente si difende
non combatte; chi vuole conquistare deve andare avanti risoluto.
La lega quindi si volga contro Gallipoli
aprendosi così lo stretto dei Dardanelli. Ma per tale impresa era
incondizionatamente necessaria una intesa della Spagna con Venezia, mentre
invece i loro rappresentanti da mesi altercavano a Roma nel modo più
spiacevole. Quando finalmente i veneziani fecero la proposta, conforme alle
clausole del patto della lega del maggio 1571, di far decidere dal papa i punti
contestati, anche la Spagna non osò fare opposizione.
Decise Pio V che la guerra della lega dovesse
continuarsi nel Levante, che nel marzo la flotta pontificia si riunisse con la
spagnuola a Messina e s’incontrasse con la veneta a Corfù, donde le tre forze
unite dovevano procedere secondo gli ordini dei loro ammiragli, che gli alleati
aumentassero, potendolo, le loro galere fino a 250 e procurassero secondo la
proporzione prescritta nel patto della lega 32,000 soldati e 500 cavalieri
oltre alla corrispondente artiglieria e munizioni e che alla fine di giugno
dovessero trovarsi riuniti a Otranto 11,000 soldati (1000 pontifici, 6000
spagnuoli e 4000 veneziani). Ognuno degli alleati doveva preparare vettovaglie
per sette mesi. Queste convenzioni vennero sottoscritte il 10 febbraio 1572.
Il 16 Pio V ammonì il gran maestro dei
Gerosolimitani di tenere pronte le sue galere a Messina. I preparativi nello
Stato pontificio, pei quali il denaro venne procurato principalmente col Monte
della Lega, furono spinti avanti sì alacremente che nello stesso giorno si poté
inviare ad Otranto 1800 uomini. A Civitavecchia erano pronte tre galere ed
altre là erano attese da Livorno. Il papa era tutto pieno del pensiero della
crociata: egli viveva e movevasi nel progetto, di cui fin dal principio era
stato da solo l’anima.
Ti saluto,
o Maria, nella dolcezza del tuo gioioso mistero e all'inizio della beata
Incarnazione, che fece di te la Madre dei Salvatore e la madre dell'anima mia.
Ti benedico per la luce dolcissima che hai portato sulla terra.
O Signora
di ogni gioia, insegnaci le virtù che danno la pace ai cuori e, su questa
terra, dove il dolore abbonda, fa che i figli camminino nella luce di Dio
affinché, la loro mano nella tua mano materna, possano raggiungere e possedere
pienamente la meta cui il tuo cuore li chiama, il Figlio del tuo amore, il
Signore Gesù.
Ti saluto,
o Maria, Madre del dolore, nel mistero dell'amore più grande, nella Passione e
nella morte del mio Signore Gesù Cristo e, unendo le mie lacrime alle tue,
vorrei amarti in modo che il mio cuore, ferito come il tuo dai chiodi che hanno
straziato il mio Salvatore, sanguinasse come sanguinano quelli del Figlio e
della Madre. Ti benedico, o Madre del Redentore e Corredentrice, nel purpureo
splendore dell'Amore crocifisso, ti benedico per il sacrificio, accettato al
tempio ed ora consumato con l'offerta alla giustizia di Dio del Figlio della
tua tenerezza e della tua verginità, in olocausto perfetto.
Ti
benedico, perché il sangue prezioso che ora cola per lavare i peccati degli
uomini, ebbe la sua sorgente nel tuo Cuore purissimo. Ti supplico, o Madre mia,
di condurmi alle vette dall'amore che solo l'unione più intima alla Passione e
alla morte dell'amato Signore può far raggiungere.
Ti saluto,
Maria, nella gloria della tua Regalità.
Il dolore della terra ha
ceduto il posto a delizie infinite e la porpora sanguinante ti ha tessuto il
manto meraviglioso, che si addice alla Madre dei Re dei re e alla Regina degli
Angeli. Permetti che levi i miei occhi verso di te durante lo splendore dei
tuoi trionfi, o mia amabile Sovrana, e diranno i miei occhi, meglio di
qualsiasi parola, l'amore del figlio il desiderio di contemplarti con Gesù
nell'eternità, perché tu sei Bella, perché sei Buona, o Clemente, o Pia, o
Dolce Vergine Maria!
Buona giornata a tutti. :-)