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mercoledì 11 giugno 2014

Aria condizionata o era glaciale? - Bombeck Erma -

L'altro giorno ho letto che nel lago Michigan è stato ripescato quello che si credeva un cadavere. Portato in un ambiente caldo, cominciò a sgelarsi e tornò in vita. Questo non è niente in confronto a quello che succede a me da un po' di tempo a questa parte.
Grazie a tutti i benintenzionati che tengono l'aria condizionata a un livello da museo delle cere, io vivo allo stato solido da maggio a settembre. E nessuno mostra di accorgersene.
Vado al cinema con il soprabito sul braccio. Vado al supermercato e passo metà del tempo a scaldarmi davanti allo spiedo della rosticceria. 
In macchina mi tengo sulla corsia sbagliata solo per avere un po' di sole sul braccio. L'altra sera, in un ristorantino intimo, a metà della cena, ho detto a mio marito: «Mi metti un braccio intorno alle spalle?»
«Sei venuta qui per mangiare o per pomiciare?» mi ha chiesto lui, imburrando un pezzo di pane strofinato d'aglio.
«No», ho detto io. «È solo che sto gelando. Vedi altra gente intorno?»
«Non saprei», ha detto lui socchiudendo gli occhi nel tentativo di penetrare l'oscurità.
«Perché?»
«Se gli altri sono appesi ad un uncino, vuol dire che siamo entrati per sbaglio nella cella frigorifero.»
«Io sto benissimo», ha detto lui, crogiolandosi nella giacca sportiva di pura lana. «Forse hai un'anemia o qualcosa del genere. Se senti sempre freddo, dovresti andare dal dottore.»
Dal dottore l'infermiera mi ha sorriso e mi ha detto: «Buongiorno». 
«Sarà buono per lei», ho borbottato io, «con quel golf addosso.» Mi ha fatto entrare in una stanza e mi ha detto: «Si spogli e indossi questo». 
Ho indossato un camicione di carta con uno spacco sulla schiena sufficiente a farci passare un camion e mi sono lasciata andare sul tavolo di metallo freddo. Un condizionatore sopra la porta ha fatto volar via la mia cartella clinica dal tavolo. Quando è arrivato il dottore, ero ormai scossa da un tremito incontrollabile. Lui ha preso uno stetoscopio dal frigorifero e me l'ha piazzato sul petto. Mi sono soffiata sulle mani e ho tossito.
Lui si è raddrizzato lentamente, si è tolto lo stetoscopio dal collo ed è andato lentamente alla scrivania. «Se non fossi certo del contrario, penserei di aver di fronte un cadavere.» 
«Che cosa mi ha tradito?»
«Le lacrime agli occhi quando le ho alitato sugli occhiali e si sono appannati.»


(Erma Bombeck)



Illustrazione : Duane Bryers

Odio spendere soldi in scarpe e vestiti….
Ma anch’io devo fare la mia parte: l’economia ha bisogno di me!
Come faccio a dirle di no?



Non accontentatevi della felicità, aspirate alla serenità.

(Aldo Busi)


 Lo dice il mio servizio previsioni meteo. Per i prossimi giorni si segnalano inondazioni seguite dalla fine del mondo! Con un probabile miglioramento per il week-end”

Dal film  Era Glaciale 2



Il mondo ha bisogno di persone felici. Ne ha bisogno come l’aria, il sole… Non c'è regalo più bello che possiamo fare a noi stessi ed agli altri che essere felici.


(Agostino Degas)





Iniziamo la giornata con un sorriso :-)





lunedì 26 maggio 2014

"Perché non possiamo andare a vivere per conto nostro?" - Erma Bombeck

Sapevamo che i ragazzi l'avrebbero presa male, ma dovevamo farlo comunque.
«Bambini», dicemmo, «io e vostro padre abbiamo deciso di andare a vivere per conto nostro.»
Uno dei ragazzi alzò gli occhi dal quaderno e gli altri due si spinsero fino ad
abbassare il volume del televisore. «Che cosa hai detto?»
«Ho detto che vorremmo traslocare, andare a stare un po' per conto nostro.»
«Ma perché?» chiese nostra figlia. «Non state bene qui? Avete la vostra stanza e potete fare quello che volete.»
«Lo so, ma molti genitori, arrivati alla nostra età, vogliono vedere se riescono a cavarsela da soli.»
«E ai soldi non ci pensate?» disse nostro figlio. «Vi verrà a costare un sacco. Avete pensato alla luce, al gas, al telefono, ai giornali, alle centinaia di piccole cose che qui date per scontate?» «Abbiamo pensato a tutto.»
«Avanti, sputate il rospo», disse mia figlia. «Perché non vi va di vivere con noi? chiediamo troppo? in fondo, che cosa dovete fare? Cucinare, rifare i letti, lavare e stirare, tener in ordine il giardino, le macchine e portare a casa i soldi. È troppo?» 
«Non è questo il punto», dissi io, dolcemente. «È solo che vogliamo una casa tutta per noi, dove possiamo andare e venire come ci pare e piace.»
«Se è la macchina che volete, perché non l'avete detto prima? Si può vedere di accontentarvi.»
«Non è solo la macchina. Vogliamo sentir musica quando ci pare, uscire e tornare tardi senza qualcuno che ci dica 'Dove siete stati?' e invitare i nostri amici senza altra gente intorno a mangiare tutti i salatini.» 
«E come farete per i mobili?»
«Non ce ne vogliono poi tanti. Solo qualche oggetto indispensabile, un po' di biancheria, i mobili della nostra stanza, la macchina da scrivere, le valigie, il tavolino da bridge con le sue seggiole, il televisore vecchio, un po' di pentole e tegami e qualche tavolo con relative sedie.» 
«E telefonerete tutti i giorni?» Annuimmo.
Mentre ci dirigevamo alla macchina sentii uno dei ragazzi sussurrare tristemente:

«Aspetta che ricevano il primo conto della luce. Torneranno».

(Erma Bombeck)



Dipinto: ( Dario Campanile)


“Certi animali, per non essere scovati,
confondono le loro orme intorno alla tana:
devi fare lo stesso, altrimenti non mancheranno i seccatori”.

- Seneca -




Il miglior consiglio lo dà l’esperienza,
ma è un consiglio che arriva sempre troppo tardi.

Illustrazione: (Duane Bryers)

Viviamo in un mondo dove tutti si accorgono se sei ingrassata o dimagrita ma nessuno si chiede perché sei triste o perché stai ridendo.

(Rasha)







Buona giornata a tutti :-)



martedì 1 aprile 2014

Non ho sempre voluto più bene a comesichiama? - Erma Bombeck

Non ho sempre voluto più bene a comesichiama?
Di solito le donne cominciano a pensare al nome da dare al nuovo bambino appena si accorgono di aspettarlo. Lo scrivono per esteso, lo pronunciano ad alta voce, lo provano con le amiche, lo ricamano sui carnicini. 
Quando il bambino nasce, gli sussurrano dolcemente il nome all'orecchio, lo scrivono su una dozzina di partecipazioni e lo comunicano all'ufficio anagrafico.
Dopo qualche anno e qualche altro bambino, se lo dimenticano.
Mi è capitato di sentire madri provare dieci o dodici nomi prima di avere la fortuna di incappare in quello giusto. (Una volta che mi ero messa il pigiama alla rovescia, mia madre, pensando che l'etichetta portasse il mio nome, mi chiamò Chicco per una settimana.)
Sembra che i bambini pensino che ci sia qualcosa di freudiano in tutta questa storia. 
Il vecchio trauma del se-mia-madre-mi-volesse-bene-davvero-ri-corderebbe-come-mi- chiamo. 
Balle. Io voglio bene a Marc... Mar... Mic- Mas... comesichiama tanto quanto a Bet... Bru... Luc... Fil... insomma lo sai tu come ti chiami.
Lo psichiatra del quartiere mi dà ragione. Dice che non si possono fare generalizzazioni sulle madri che non sempre riescono a chiamare i loro figli con il nome giusto.
Di solito è già buona che riesca a ricordare perché li chiamo, figuriamoci il nome. L'altro giorno, parlando con un giovanotto appena sposato, sono venuta a sapere che aveva sette fratelli e non ricordava una sola volta in cui la madre l'aveva chiamato con il suo nome. «Forse perché eravamo tanti», ha detto, «la povera mamma faceva confusione.»
Mi dispiace molto demolire questa teoria, ma io sono stata a lungo figlia unica, eppure venivo chiamata di volta in volta Sara... Bea... Cris... Vir... Edna. Alla fine, disperata, mia madre si metteva a gridare: «Quante volte ti devo chiamare prima che ti degni di rispondere?»
E io urlavo di rimando: «Risponderò quando mi chiamerai col mio nome».
«Ma ci sono andata vicino, no?» gridava lei. 
«Ci sei quasi arrivata, con Edna.»
«Edna è un nome che mi è sempre piaciuto», diceva lei tutta soddisfatta. «Avrei proprio dovuto chiamarti Edna.»
«E allora perché mi hai chiamata Erma?» «Perché era facile da ricordare.»

(Erma Bombeck)



"Per un genitore è importante capire che suo figlio, più ancora che un ingegnere o un medico, deve saper diventare un uomo". 


- Piero Angela -




Quello che agli altri, spesso, può apparire sciocco e insignificante, per noi può essere strumento per raggiungere grandi traguardi.


Illustrazione: Monica Carretero

La vita non è una competizione. Non è una corsa per cercare di essere migliore degli altri. 
Perché ci sarà sempre qualcuno migliore di noi che ci batterà. La vita è invece l’umile tentativo per cercare di dare il meglio di noi stessi. E non abbiamo altri rivali che noi stessi… 

(Agostino Degas) 




Nel tempo ho imparato 
che l’unica persona di cui devo davvero prendermi cura,
che devo amare sempre, 
che non devo far soffrire, 

a cui devo tutto
sono io. 
Avrò bisogno sempre di me stessa, 
per questo devo trattarmi bene.

- M. Monroe -



Buona giornata a tutti :-)




martedì 18 febbraio 2014

La mistica della maternità - Bombeck Erma -

Una volta una bambina di undici anni mi scrisse:
Signora Bombeck, non capisco le mamme.
Com'è che mia madre riesce a colpire chiunque, ovunque e a qualunque distanza con una scarpa?
Come fa a capire, senza girare la testa, quando siamo in macchina, che sto facendo le boccacce a mio fratello sul sedile posteriore? 
Come fa a guardare la televisione in soggiorno e a sapere che io sto rubando i biscotti in cucina?
Nemmeno i miei amici capiscono le mamme. 
Vorrebbero sapere come fa la mamma ad accorgersi con una sola occhiata che hanno mangiato un pezzo di pizza e bevuto tre coche tornando da scuola prima di cena. O dove perderanno il maglione che odiano.
A volte il telefono suona e prima ancora che tiriamo su la cornetta lei dice: «Cinque minuti!» Fa venire i brividi!

Siamo tutti d'accordo sul fatto che nessuno al mondo possiede una vista, un udito e un odorato come quello delle mamme. 
Un mio amico mi ha raccontato che una volta aveva un pezzetto di gomma da masticare avvolto nella stagnola e nascosto in una scarpa e sua madre ha detto: «Dammi quella gomma. Vuoi rovinare la suoletta?»
Dato che tu scrivi sempre di bambini, pensavamo che potessi spiegarci un po' le mamme. Cordialmente tua, Caterina.

Cara Caterina e amici:

La tua lettera è molto divertente.
In realtà, la maternità non ha nulla di sacro o di mistico. Siamo state tutte bambine normali come te, poi siamo cresciute e abbiamo sviluppato una normale vista a raggi X, due occhi dietro la testa, un udito bionico e un olfatto affinato dal continuo odore di scarpe da ginnastica bagnate. 
(Non chiedermi che cosa significa «olfatto». Guarda sul dizionario.) 
Noi mamme non abbiamo mai considerato eccezionali queste capacità. 
Le definiamo istinti di sopravvivenza. Senza di esse saremmo mortali e vulnerabili. (Non fare quella faccia. Resterai congelata in quell 'espressione e allora che farai?)
Un giorno, quando si saranno sviluppati in te i geni della maternità, anche tu saprai chi sta rovistando nel frigorifero mentre partecipi alla riunione genitori-insegnanti. Saprai che le scarpe sono bagnate e piene di fango anche senza riuscire a trovarle. Capirai che il tuo bambino ti sta mentendo anche se ha la Bibbia in una mano, il rosario nell'altra e sta in piedi sotto un ritratto del papa.
Le mamme sono gente normale, davvero. Non abbiamo la pretesa di essere perfette o di sapere tutto sull'allevamento dei figli.
Ti dirò che dopo tutti questi anni ci sono ancora moltissimi aspetti dei bambini di cui non so assolutamente niente, lo confesso. 
Per esempio...
Chi è non-lo-so?
Per quanto ricordi, la nostra casa ha sempre ospitato un quarto bambino... Non-lo-so. Tutti lo vedono tranne me. Io so soltanto una cosa, che è odioso. «Chi ha lasciato aperta la porta d'ingresso?» «Non-lo-so.»
«Chi ha lasciato il sapone a mollo nell'acqua?» «Non-lo-so.»
«Chi ha mangiato la banana che tenevo da parte per la torta?» «Non-lo-so.»
Sinceramente, Non-lo-so mi farà diventare matta. 
Ha perso due ombrelli, quattro paia di stivali e una bicicletta. Deve restituire tredici libri alla biblioteca, da tre anni non porta a casa un compito in classe da firmare e una volta ha lasciato un thermos pieno di latte in macchina per tre settimane.
L'altro giorno ha suonato il telefono. Mi sono precipitata di corsa dalla cassetta delle lettere, mi sono fatta un taglio a una gamba, mi sono spezzata un'unghia aprendo la porta e sono arrivata al telefono in tempo per vedere mio figlio riappendere la cornetta. 
«Chi era?» ho chiesto senza fiato. «Non-lo-so. Ha riattaccato.»
Quando ho raccontato questa storia alla mia vicina, mi ha detto: «Sta' allegra. Anch'io ho un bambino invisibile da anni».
«Come si chiama?»
«Nessuno.»
«È odioso?»
«Al confronto Pierino la Peste è un angioletto. Ha rotto il coperchio di un portadolci antico, fa a pezzi il giornale prima che qualcuno riesca a leggerlo, e una volta, mentre guidavo la macchina con tutti i bambini dentro, mi ha quasi steso con una mazza da baseball.»
«Ah!» ho detto io amaramente, «dovresti vedere Non-lo-so. 
L'altra sera, quando è uscito, ha lasciato tredici luci accese. 
Se mi chiedi per quanto ancora potrò sopportarlo, francamente, non-lo-so.»
Stamattina a colazione ho detto a mio marito: «Chi vuole il fegato per cena?»
Lui ha alzato gli occhi e ha detto: «Per-me-è-lo-stesso».

Questo può significare soltanto una cosa. Non-lo-so ha un fratello.

(Erma Bombeck)


Mamma per sempre

Una mamma è mamma a tempo pieno, senza ferie o permessi, né congedo per pensione. 
Una mamma è mamma per tutta la vita, tra alti e bassi, gioie e dolori. 
La gravidanza non finisce dopo i nove mesi, continua nell'allattamento e poi per quanto la madre lotti per tagliare i cordone ombelicali di affetto sensazioni e pensieri (attaccamento psicologico) verso i figli, non ci riuscirà mai per il resto della sua vita.



Illustrazione: Monica Carretero 

E' difficile essere donna perché devi:

Comportarti come una signora.
Mostrarti sempre curata e bella come una ragazzina.
Essere fragile ma dimostrarti sempre forte.
E lavorare come un mulo…



Dipinto: Cayetano De Arquer

"Il segno che la vita è continuamente ricevuta
per essere offerta è per esempio nel nostro ombelico. 
Ma se davvero ti guardi l’ombelico, che cosa scopri?
Una cicatrice.
La tua prima cicatrice,
che è la testimonianza ineffabile
del tuo rapporto con un altro,
della tua relazione con tua madre,
che fu per te la prima dimora.
E se non l’avessi incontrata non saresti mai nato.
Cosicché il nostro ombelico
ci ricorda la nostra dipendenza originale da un altro,
ci ricorda che non ci siamo fatti da noi stessi
e che nel mezzo di noi stessi c’è questa ferita,
questa ferita che è il segno di un dono,
questa ferita che ci chiama a donare a nostra volta,
a non temere le ferite
se sono per dare la vita.

(Fabrice Hadjadj) 



Buona giornata a tutti:-)


















martedì 10 dicembre 2013

“Buona giornata” – Erma Bombeck -

L'espressione «buona giornata» fu coniata la settimana in cui finì la provvista di gasolio, l'acqua cominciò a scarseggiare, aumentarono le tariffe telefoniche, venne razionata la benzina e i prezzi della carne, del caffè e dello zucchero fecero il grande balzo in avanti. Era come se fosse finito il periodo di garanzia concesso al paese. «Buona giornata» era proprio l'espressione giusta.
Ecologia diventò la parola d'ordine. Mio marito si trasformò in un genio del riciclaggio. Fino a qualche anno prima credeva che il riciclaggio fosse un programma supplementare della lavatrice che gli strappava i bottoni dalle camicie e gli riduceva in brandelli la biancheria. Ora passa le giornate a trasformare in portasciugamani gli attaccapanni.
Un giorno mia figlia infilò la testa in cucina e mi disse che la situazione dell'ozono era precaria.
«Fammi capire», dissi. «La macchina perde l'antigelo? le mie cavità nasali stanno per emettere fumo? oppure qualcuno ha acceso l'accendino vicino alle carte ammucchiate nel seminterrato?»
«Sto parlando delle confezioni spray», gemette lei. «Non intendo più usarle e anche tu dovresti fare lo stesso. Ti rendi conto che il governo sta preparando un progetto di legge che proibirà l'uso dei prodotti spray contenenti fluorocarburi?» «Non mi sembra che ci fosse bisogno di sottoporre la questione al governo», dissi. «Mamma! Di certo hai potuto renderti conto da te di come i fluorocarburi contenuti nei prodotti spray stiano danneggiando lo strato atmosferico che protegge la terra dalle radiazioni solari.»
«Ma certo!» annuii. «Per non parlare di quando per sbaglio ci si spruzza il detersivo per il bagno sui denti. Voglio dire, chi vuole avere i denti schiumanti e deodorati?»
«Non posso crederci, mamma.» Sorrise. «Ti rendi conto che questa è la prima conversazione seria che io e te riusciamo a intavolare da anni?»
Passai in bagno e mi spruzzai le ascelle con un po' di deodorante. Può darsi che questi siano gli unici due ozoni che riuscirò mai ad avere, e ho intenzione di tenermeli stretti.
Buona giornata...


A mano a mano che la tecnologia della compagnia telefonica diventava più sofisticata, l'uso del telefono si faceva maledettamente complicato. Non mi ero mai resa conto del significato esatto della parola complicato fino a quando la compagnia dei telefoni lanciò una campagna pubblicitaria intesa a farmi risparmiare.
Tutte le volte che sollevavo il ricevitore, mi sembrava di vedere la faccia di un'impiegata della compagnia su un teleschermo, con mezza cornetta che le spuntava dall'orecchio. Diceva: «Usi la teleselezione. Risparmierà il sessanta per cento di notte e durante i fine settimana. Le tariffe diminuiscono con il diminuire della distanza. Ventidue minuti di conversazione con Nashville le costeranno come dieci minuti in un giorno feriale all'ora di punta».
Una domenica mi trovai a caricare la sveglia per le tre di notte, a chiamare in teleselezione un tizio di Nashville che non mi era mai andato a genio e a conversare con lui per quattro minuti, tutto questo per risparmiare un dollaro e venticinque cent. Era un'occasione che non potevo perdere. In effetti, nel corso di quattro settimane, riuscii a risparmiare abbastanza da telefonare a mia sorella nell'Ohio a un'ora civile, durante la settimana e con una centralinista ad annunciare la chiamata. Mi adattai alla situazione perché sapevo che si stavano facendo grandi progressi nel campo delle comunicazioni. Comunque la chiamata di una centralinista che mi chiedeva se avessi fatto una telefonata nel Nord Carolina e, nel caso di risposta affermativa, se potevo comunicarle il numero, perché non era stato registrato, mi colse assolutamente impreparata.
«Come ha fatto ad avere il mio numero?» le chiesi. «Non c'è, sulla guida.» «Dal servizio informazioni», disse lei.
«Vergogna», dissi io. «Che razza di spreco. E lo sa che se mi avesse telefonato durante il fine settimana, invece che all'ora di punta di un giorno lavorativo, avrebbe potuto risparmiare trentadue cent durante il primo minuto di conversazione?» «Ma io...»
«Non solo, se mi telefonerà per avere informazioni del genere altre tre volte questo mese, pagherà venti cent per ogni telefonata. Questi sono soldi. Suppongo che stia telefonando da un apparecchio d'ufficio, al cui numero viene addebitato l'intero costo del servizio, il che significa che ogni minuto di conversazione con me le viene a costare quaranta cent. Senta, mia cara, ora le farò un grosso favore e riattaccherò. Non credo che possa permettersi di parlare con me.»
Buona giornata...


L'Ammutinamento della Carne arrivò senza preavviso. Un giorno si mangiava di più e si pagava di meno, e quello dopo vennero immessi sul mercato duecentosettantotto prodotti per arricchire gli hamburger.
Le massaie non restarono con le mani in mano. Manifestarono davanti ai negozi, mangiando per protesta cibo per cani.
Alzarono cartelli con la scritta: BOICOTTATE LA CARNE. SUCCHIATEVI IL POLLICE.
E vennero pubblicati centinaia di libri di cucina povera per affrontare la crisi. (La cucina povera, $ 19.95.)
Da un giorno all'altro i macellai diventarono gli ospiti più ambiti ai cocktail e alle feste, al posto dei medici. Mi vergognavo come una ladra, ma non potei fare a meno di comportarmi come tutte le altre massaie.
«Com'è il filetto oggi, Fred?» chiesi un giorno al macellaio, quando chiamò il mio numero.
Si guardò intorno con aria circospetta. «Sei una mia buona cliente da due anni, Erma.
Mi hai curato il bambino quando c'era l'epidemia di influenza e mi hai prestato i soldi per aprire il negozio. Favori del genere non si dimenticano. (Feci un sorriso.)
Posso finanziarti l'acquisto di un filetto al sei per cento per trentasei mesi.»
«Ci vediamo a casa mia sabato sera?» dissi sorridendo.
«Puoi scommetterci», disse lui, agitando la mano in segno di saluto.
Avevo perso ogni pudore. «Ma guarda, è proprio Fred Astor. Odio tirare in ballo questo argomento a una festa, Fred, ma mi chiedevo se potessi darmi qualcosa per una bistecca dura. Il termometro segna normale e le ho già somministrato due cucchiai di 'ammorbidente'.»
Mi guardò con aria annoiata. «Dalle due aspirine e telefonami domattina», disse. «Ora, se vuoi scusarmi, stavo parlando con questa signora. Il suo girello ha un orzaiolo all'occhio.»
Restai lì, confusa. Chissà perché, mi sentivo meglio solo per aver toccato la mano dell'uomo che aveva toccato una costoletta...
Far la fila davanti al banco della carne un giorno dopo l'altro era molto deprimente.
Mi trovai a esaminare tagli di carne che in tempi normali avrei giudicato adatti a esser conservati in formalina al museo di storia naturale.
«Che cos'è quello?» chiesi un giorno a Fred. «Là nell'angolo.»
«Lingua.»
«Di chi?»
«Un anonimo benefattore», rispose lui seccamente. «E questa è trippa», disse, alzando un contenitore.
«Ah, davvero?» dissi io debolmente.
«Hai mai provato lo zampino di porco?»
«No, non si può mai sapere dove li hanno infilati.»
«Pollo?»
«Farò finta di non aver sentito.»
Feci segno a Fred di avvicinarsi: «Senti, Fred, ricordi quel filetto che mi hai finanziato la settimana scorsa? Be', dopo che gli hai tolto un po' di grasso, ha avuto uno choc e...»
«Non faccio visite a domicilio», disse lui freddamente.
«Allora perché non fai un salto a casa nostra domani sera», dissi. «Ci sarà un po' di gente e...»
«Il mercoledì gioco a golf», disse lui.
Buona giornata...
Quando il prezzo del caffè salì a due dollari l'etto, decisi di boicottarlo. Ci provai, ma sono fondamentalmente debole e non riesco a sopportare il dolore.
Ero conscia del fatto che sei etti di caffè costavano più del cappotto che avevo comprato ai tempi del mio matrimonio, ma non riuscivo a farne a meno.
Non potete immaginare le pressioni che esercitavano su di me le donne del quartiere.
Una mattina, mi trovai praticamente a correre a casa di Sara. Mi aveva invitato a far quattro chiacchiere davanti a una tazza da caffè.
Appena dentro la porta, Sara disse: «Vuoi una tazza?»
Mi mise in mano una tazza vuota.
«E il caffè dov'è?» chiesi.
«Non ho mai detto che ci sarebbe stato anche il caffè.»
«Senti, Sara, se è uno scherzo non è divertente. Hai idea di quello che darei per una tazza di caffè? Venderei i miei figli.»
«Saremmo tutte disposte a fare lo stesso.»
«Venderei il mio corpo.»
«Esagerata.»
«Sara, venderei il trofeo del bowling.»
«Vuoi cercare di darti una regolata? Dobbiamo restare unite, altrimenti il prezzo del caffè andrà alle stelle.»
«Senti», dissi, riacquistando la padronanza di me stessa, «non ho mai pensato che avrei finito con il fare un'ammissione del genere, ma io sono più vecchia di tutte voi e ricordo perfettamente la Grande Penuria di Caffeina del 1942, durante la guerra» «Non ne ho mai sentito parlare», disse Sara.
«Non sai quanto sei fortunata», dissi. «Io l'ho vista, mia madre, senza la tazza di caffè del mattino.
Lo spettacolo più penoso a cui abbia mai assistito. L'ho vista tostarsi e imburrarsi la mano e poi metterla nel piatto di mia sorella. L'ho vista sbattere la testa contro uno sgabello. L'ho sentita dire che c'era uno spiffero d'aria e invece aveva solo battuto le palpebre. Quando credeva che nessuno la stesse guardando, infilava la testa nel barattolo del caffè e inalava come una matta. Mio padre la sorprese mentre tentava di radersi la lingua. Uno spettacolo spaventoso.»
«Dev'esser stata un'esperienza terribile, per una bambina», cercò di confortarmi Sara, «ma fatti coraggio, non durerà a lungo.»
«Lo so», gemetti, «ma un giorno senza moka è un giorno senza sole.»
Non si può reggere a lungo una situazione del genere. Tornando da scuola dopo colazione, entrai di corsa in un bar e urlai: «Una tazza di caffè, per favore... posso pagare con un assegno di conto corrente?»
Buona giornata...

(Erma Bombeck)



Buona giornata a tutti (in modo particolare alle mamme :-)