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mercoledì 9 gennaio 2013

Suor Maria Laura Mainetti martire vittoriosa sul satanismo - suor Beniamina Mariani

Suor Maria Laura Mainetti, uccisa da tre giovani sataniste nella notte del 6 giugno del 2000 in Val Chiavenna, è una martire del nostro tempo. Nella sua vita non è stata un’eroina, se per eroina si intende chi compie gesti clamorosi, ma una religiosa umile e riservata che si è donata con semplicità ai bisogni degli altri nella quotidianità di ogni giorno. Lei stessa ha scritto: “Quanta pazienza! E tu, Gesù, ne hai poca con me?! Non mi sento un eroe. Sono un piccolo granellino di sabbia. Tutto ciò che di bello si realizza, con l’azione o con la collaborazione, è solo merito tuo”.

Suor Maria Laura, al secolo Teresina Mainetti, era una persona semplice, umile, volitiva, aperta, sorridente e determinata a portare fino in fondo ciò che riteneva il bene.

Non aveva nulla di straordinario, era una donna del quotidiano, dell’ordinario, ma l’amore no, l’amore che metteva in tutto il suo essere ed il suo agire, era davvero straordinario.

Amava la vita in tutte le sue espressioni, perché la sua mamma era morta dandola alla luce. La sua esistenza può, quindi, essere considerata un inno alla vita, ma sempre nel silenzio e nel nascondimento. Infatti, solo dopo il 6 giugno 2000, la sera in cui fu barbaramente uccisa, la sua persona è venuta alla ribalta.

Cosa era successo quella sera?

Suor Maria Laura era stata ingannata da tre giovani minorenni che, mentendo, avevano chiesto il suo aiuto per evitare, diceva una di loro, un aborto imposto dopo una violenza sessuale, facendo leva sulla sua disponibilità ad aiutare chiunque avesse bisogno, soprattutto se giovani.

Così l’avevano attirata in un appuntamento e, nonostante i suoi due tentativi di incontrarle alla presenza di altre persone, prima con una operatrice del Centro di Aiuto per la vita e poi col Parroco, erano riuscite a mettere in atto il loro diabolico stratagemma: portarla, da sola, appena fuori città per sacrificarla a Satana.

In Via Poiatengo, quando Suor Maria Laura si accorge di essere stata ingannata dalle sue predilette, quando viene colpita a tradimento con pietre di porfido, e cerca ancora, invano, di far leva su ciò che di buono può annidarsi in fondo ad ogni cuore umano: “Ma cosa fate? Lasciatemi andare! Non dirò nulla a nessuno…”, si sente rispondere: “No, bastarda, devi morire!”.

A questo punto, per confessione delle stesse ragazze durante i primi interrogatori, Suor Maria Laura si abbandona nelle mani di Dio e, in ginocchio (gesto simbolico di sottomissione a Satana, imposto dalle ragazze) pronuncia queste parole: “Signore, perdonale”.

Ma le tre ragazze, imperterrite, si passano il coltello da cucina, prelevato da casa, e la colpiscono 6 volte + 6 + 6 come richiede il rito satanico. Erroneamente la feriscono 19 volte. Poi la lasciano nel sangue, sola, al buio.

Lavano il coltello alla fontana vicina, lo ripongono e vanno insieme al Luna Park.

Questo è il fatto di cronaca ricostruito nel processo. Ma c’è sicuramente una cronaca nascosta, nota a Dio solo.

Cosa avrà pensato, detto, pregato Suor Maria Laura quando si è trovata sola davanti a se stessa e a Dio?

Giustamente Mons. Maggiolini, allora Vescovo di Como, chiederà una sua biografia perché, scriveva: “Non si capisce un tramonto, se non a partire dall’alba… Non si decifra una vita, se non segnandone i vari passaggi e identificandone il cominciamento…”.

E concluderà, dopo aver conosciuto alcuni aspetti della sua vita: “…se il suo morire verrà giudicato un martirio, si sappia che l’epilogo è preceduto da una sorta di martirio di ogni giorno”.

Quale è stato questo martirio quotidiano?
Fondamentalmente il suo itinerario umano è stato un dono silenzioso e incessante, un inno alla vita nelle sue diverse espressioni: dal nascere al suo tramonto.

Si dedicava ai piccoli, ai giovani, alle famiglie, agli ammalati, alle persone sole e anziane, a tutti coloro che erano bisognosi di qualcosa. E tutto, con il sorriso e la gioia in cuore e sul volto.

La sua vita era una missione e così era definita da lei stessa: “La tua missione? Sei mandata. Non importa se al vertice o in fondo. L’amore potenzia tutto. Umiltà nel lasciarlo agire… La missione consiste essenzialmente nel lasciarsi “disturbare”. Cioè accogliere, ascoltare, intervenire come e dove si può, coi mezzi che si hanno a disposizione”.

Del resto, non aveva raccontato ad un gruppo di giovani che la sua vocazione era nata quando un sacerdote durante una confessione le aveva detto: “Devi fare della tua vita qualcosa di bello per gli altri” ?

Sì, tutte le testimonianze sono concordi nel dire che la sua vita è stata un bel dono per gli altri, per quei fratelli in cui lei diceva di vedere “il mio Gesù”, quel Gesù che aveva detto: “Quello che farete al più piccolo lo riterrò fatto a me”.

Infaticabile, attenta a rispondere ad ogni richiesta, come avrebbe potuto ignorare quel grido: “Vogliono farmi abortire, mi aiuti…”?

Sì, era un vigliacco tranello. Lei aveva preso tutte le precauzioni possibili per rispondere, ma il demonio si era impadronito di Veronica, Milena e Ambra… e come resistergli se non con la Croce di Gesù Cristo?

Erano tre ragazze come tante, della zona, iscritte alla scuola superiore, di famiglie apparentemente normali. Annoiate dalla vita monotona di una cittadina di frontiera, avevano cercato un diversivo nel satanismo, lasciandosi coinvolgere dai testi di Marilyn Manson, dai mass media e da informazioni che circolavano a scuola tra i ragazzi.

Avevano anche bruciato una Bibbia della Parrocchia e distrutto il Crocifisso della scuola; avevano riempito il diario di simboli e di frasi sataniche; avevano suggellato tra loro un patto di sangue, e praticavano un evidente autolesionismo… ma la scuola e la famiglia non si erano accorte di nulla...

Ogni sera, al bar, praticavano riti tesi ad incontrare satana. Infine, erano giunte a pensare di offrirgli in sacrificio una vittima, una vittima “pura”: ad esempio un feto, un bambino, un animale, un sacerdote…ma poi avevano ripiegato su una suora, Suor Maria Laura.

Volevano uscire dalla noia, affermando se stesse contro Dio, contro la morale e contro il limite di ogni autorità. Avevano scelto come culto la parodia blasfema della religione cattolica (ad es. recitavano il Padre nostro e l’Ave Maria al contrario) ma, come afferma lo psichiatra Vittorino Andreoli: “il satanismo rappresenta, per paradosso, un bisogno deviato di religione, di sacro. Perché i giovani non possono vivere senza trovare il senso dell’esistenza, un perché nell’agire”.

Ma queste povere ragazze avevano accanto degli educatori veri? Avevano ricevuto la proposta di valori contro il nichilismo ed il relativismo imperanti?

Martire Vittoriosa: come? 




Quella sera le tre ragazze volevano dimostrare l’esistenza di satana, volevano provare che il male è più forte del bene.

Quando, nel loro furore violento, si trovarono davanti una donna che persisteva a credere e a fare il bene, quando si resero conto che il male che le si scatenava addosso portava la Suora a pregare Dio e a chiedere perdono per le sue assassine, “ci rimasi male” ammetterà una di loro.

Loro malgrado, erano testimoni del trionfo del bene!

E una di loro testimonierà: “L’ho ingannata tirandola in una trappola e poi l’ho uccisa. Mentre facevamo questo, lei ci ha perdonato… Non posso avere, da parte sua, che un ricordo d’amore… In lei trovo conforto e grazia di sopportare… Sono sicura che mi aiuterà a diventare una persona migliore…”.

Diventava già realtà quanto è scritto sulla croce di pietra, posta sul luogo della sua morte: “Se il chicco di grano muore, porta frutto” (Gv. 12,24)

Sì, le hanno tolto la vita, ma non l’amore; la sua croce qui diventa già risurrezione.

Personaggi illustri, parlando di lei, scriveranno:

“Affascinante anomalìa… nessuno può umanamente, nel momento in cui viene ucciso, preoccuparsi del suo assassino…”.

“… figura rarissima… Prova che non tutto è materia, interesse personale, denaro, consumo… Finché ci sono queste figure, non muore la speranza nel futuro, sono luci nel mondo”.

Sì, Suor Maria Laura ha realizzato lo specifico del cristianesimo: non solo vincere il male con il bene, ma addirittura trasformare il male in bene.

E quanta vita è sgorgata dopo la sua morte! A Chiavenna, in Italia e all’estero. In suo nome tante opere sociali di carità che promuovono la vita.
Cosa direbbe Suor Maria Laura a chi si lascia irretire dal Satanismo?

Confiderebbe loro la propria esperienza:

“Fa’ della tua vita qualcosa di bello per gli altri! La risonanza di questo imperativo ti riempirà di gioia e la tua vita avrà un senso”.

“Perché non dai un po’ del tuo tempo alle persone sole, anziane, a chi è nel bisogno? Scoprirai perché e come servire gli altri, e ne godrai, perché donando si riceve e, come ha detto Gesù: “Si prova più gioia nel dare che nel ricevere”. (Atti 20,35)

“Sii certo di una Presenza, quella di Cristo Risorto che, incarnata nella tua storia quotidiana, ti ama, ti perdona, ti rinnova e non ti abbandona mai”.

“Ama ogni persona in quanto tale e in quanto incarnazione del Cristo, particolarmente i piccoli, i giovani, i meno amati”.

E gli confesserà come anche per lei non tutto era chiaro, ma aveva una certezza: “Signore, non sempre ti capisco, ma so che mi vuoi bene”.

Vorrà ripetere quanto ha lasciato scritto:

“Parlare ai giovani e dire loro che Dio è amore: li ama, ama ciascuno come fosse unico”.

“Il Signore non ti chiede la riuscita, ma il sì dell’amore, della fedeltà, della fiducia”.
PROVACI!

suor Beniamina Mariani
congr. "Figlie della Croce"





Teresina Mainetti nasce a Colico (Lecco) il 20 agosto 1939. 

Teresina - questo è il nome di battesimo della futura Suor Maria Laura - nasce a Colico, in provincia di Lecco, il 20 agosto 1939, decima figlia di mamma Marcellina e di papà Stefano.
Riceve il battesimo a Villatico di Colico il 22 agosto 1939. 

Sappiamo quanto i primi mesi dei neonati, come il tempo della gestazione, siano fondamentali nella vita di una persona. Anche se inconsciamente, queste prime esperienze si imprimono in modo indelebile forgiando il carattere e l'identità dell'adulto. Teresina, a pochi giorni di vita, vive lo strappo doloroso dall'affetto materno, ma riceve anche tutta la forza dell'amore e del dono di sé: impara dalla sua mamma a "morire" per dare la vita, impara a crescere e a farsi strada dimenticandosi per gli altri. 
Appena adolescente, Teresina intuisce la bellezza di una vita tutta donata nell'amore, e piano piano, il Cristo Crocifisso le apre orizzonti immensi di realizzazione, attirandola a sé.  "Della tua vita devi fare una cosa bella per gli altri". Questo invito, rivoltole da un sacerdote durante una confessione, è decisivo. Teresina lo avverte come il progetto di Dio su di lei e risponde con disponibilità e prontezza. Ama la sua famiglia, il suo mondo, le sue vallate... ma altre "cime" l'attraggono irresistibilmente al dono totale di sé a Dio e ai fratelli.

A 18 anni fa la sua scelta: entra nella Congregazione delle Figlie della Croce. Quella frase rimarrà per Teresina - divenuta Suor Maria Laura nell'agosto 1959 - una luce vivida, una stella polare che orienterà e guiderà sempre la sua vita di Figlia della Croce.
A Roma inizia il postulato tra le Figlie della Croce il 22 agosto 1957.
Emette i primi voti il 15 agosto 1959 a Roma.




E' insegnante a Vasto (Chieti), Roma, Parma e Chiavenna (Sondrio).


Attingendo la sua forza dall'ascolto quotidiano della Parola di Dio e dall'Eucaristia, Suor Maria Laura si dedica con gioia e passione alla sua missione tra i bambini e i giovani, sempre disponibile verso quanti hanno bisogno di attenzione e di amorevole cura, nella consapevolezza di incontrare in ognuno "il mio Gesù".


Le Suore della sua comunità così la descrivono:
"Era instancabile: sempre svelta e leggera, serena, come sospinta da una forza invisibile e invincibile. Sempre pronta ad accogliere, a rimboccarsi le maniche per servire, a scomodarsi per recare aiuto e conforto dov'era richiesto e dove scopriva una situazione di sofferenza, di povertà, di disagio di qualunque tipo. Amava tutti, ma i suoi «prediletti» erano gli ultimi. In loro vedeva il Cristo sofferente. «E' il mio Gesù», soleva dire tra il serio e il faceto e accorreva senza farsi attendere”.
Il 21 marzo 2000 scrive ad una consorella :
"...ti auguro di cercare e trovare Gesù tra i tuoi poveri e nella quotidianità. Sarai felice davvero!”.
La sera del 6 giugno 2000, mentre si accinge a prestare l'aiuto richiesto da tre ragazze, viene uccisa dalle stesse.
Muore pregando e donando il suo perdono.










sabato 15 dicembre 2012

San Pio X - Biografia

Giuseppe Sarto, nato a Riese, Treviso, 2 giugno 1835 – morto a Roma, 21 agosto 1914.
 
Il Pontificato di san Pio X ha lasciato un segno indelebile nella storia della Chiesa e fu caratterizzato da un notevole sforzo di riforma, sintetizzata nel motto Instaurare omnia in Christo, "Rinnovare tutte le cose in Cristo".
I suoi interventi, infatti, coinvolsero i diversi ambiti ecclesiali.
Fin dagli inizi si dedicò alla riorganizzazione della Curia Romana; poi diede avvio ai lavori per la redazione del Codice di Diritto Canonico, promulgato dal suo Successore Benedetto XV.
Promosse, poi, la revisione degli studi e dell'"iter" di formazione dei futuri sacerdoti, fondando anche vari Seminari regionali, attrezzati con buone biblioteche e professori preparati.
Un altro settore importante fu quello della formazione dottrinale del Popolo di Dio (noi..gente normale). Fin dagli anni in cui era parroco aveva redatto egli stesso un catechismo e durante l'Episcopato a Mantova aveva lavorato affinché si giungesse ad un catechismo unico, se non universale, almeno italiano.
 
Da autentico pastore aveva compreso che la situazione dell'epoca, anche per il fenomeno dell'emigrazione, rendeva necessario un catechismo a cui ogni fedele potesse riferirsi indipendentemente dal luogo e dalle circostanze di vita.
 
Da Pontefice approntò un testo di dottrina cristiana per la diocesi di Roma, che si diffuse poi in tutta Italia e nel mondo.
Questo Catechismo chiamato "di Pio X" è stato per molti una guida sicura nell'apprendere le verità della fede per il linguaggio semplice, chiaro e preciso e per l'efficacia espositiva.
 
Notevole attenzione dedicò alla riforma della Liturgia, in particolare della musica sacra, per condurre i fedeli ad una più profonda vita di preghiera e ad una più piena partecipazione ai Sacramenti.
Nel Motu Proprio "Tra le sollecitudini" (1903, primo anno del suo pontificato), egli afferma che il vero spirito cristiano ha la sua prima e ed indispensabile fonte nella partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa (cfr ASS 36[1903], 531).
Per questo raccomandò di accostarsi spesso ai Sacramenti, favorendo la frequenza quotidiana alla Santa Comunione, bene preparati, e anticipando opportunamente la Prima Comunione dei bambini verso i sette anni di età, "quando il fanciullo comincia a ragionare" (cfr S. Congr. de Sacramentis, Decretum Quam singulari : AAS 2[1910], 582).
 
Fedele al compito di confermare i fratelli nella fede, san Pio X, di fronte ad alcune tendenze che si manifestarono in ambito teologico alla fine del XIX secolo e agli inizi del XX, intervenne con decisione, condannando il "Modernismo", per difendere i fedeli da concezioni erronee e promuovere un approfondimento scientifico della Rivelazione in consonanza con la Tradizione della Chiesa. Il 7 maggio 1909, con la Lettera apostolica Vinea electa, fondò il Pontificio Istituto Biblico.
 
Gli ultimi mesi della sua vita furono funestati dai bagliori della guerra. L'appello ai cattolici del mondo, lanciato il 2 agosto 1914 per esprimere «l'acerbo dolore» dell'ora presente, era il grido sofferente del padre che vede i figli schierarsi l'uno contro l'altro.
Morì di lì a poco, il 20 agosto e la sua fama di santità iniziò a diffondersi subito presso il popolo cristiano.
 
"Cari fratelli e sorelle, san Pio X insegna a noi tutti che alla base della nostra azione apostolica, nei vari campi in cui operiamo, ci deve essere sempre un'intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno.
Questo è il nucleo di tutto il suo insegnamento, di tutto il suo impegno pastorale. Solo se siamo innamorati del Signore, saremo capaci di portare gli uomini a Dio ed aprirli al Suo amore misericordioso, e così aprire il mondo alla misericordia di Dio."(Papa Benedetto XVI)
 
 


Appassionato di matematica e astronomia, Giuseppe Sarto realizzò vari orologi solari per i paesi delle campagne venete.

Quando Giuseppe Sarto, il futuro Papa Pio X, maturava la vocazione sacerdotale e muoveva i primi passi di giovane prete nelle campagne venete coltivò una singolare passione, quella di costruire meridiane. Nato a Riese nel 1835 da una famiglia non ricca ma solida nella sua consuetudine con il lavoro e i principi cristiani, distintosi in particolar modo durante gli studi "per moltissima destrezza nella soluzione de' problemi sì algebrici che geometrici" e "per chiarezza d'idee e per molte precise cognizioni anche delle prove matematiche", don Giuseppe Sarto, consacrato sacerdote a 23 anni nel duomo di Castelfranco, viene subito assegnato come cappellano a Tombolo in aiuto del parroco don Antonio Costantini. Ed è lì che, pur nell'intenso lavoro pastorale e manuale per cui viene soprannominato "moto perpetuo" - e anzi proprio in ottica di servizio - riesce a dedicarsi alla sua assai meno nota attività di costruttore di meridiane. "Ne fece una su di una parete della canonica di Tombolo", dove peraltro non era lui ad abitare, e ne disseminò i paesi vicini, dove si spargeva rapidamente la sua fama di ispirato predicatore. 
Sua la meridiana della chiesa di Fontaniva, sotto la quale il 19 marzo 1904 fu inaugurata un'iscrizione per ricordarne la costruzione da parte di colui che nel frattempo era divenuto Pio X.
Non è difficile pensare come, una volta Pontefice, l'antica sua passione per l'osservazione astronomica applicata si armonizzasse alla linea del predecessore Leone XIII, che aveva tra l'altro rifondato la Specola Vaticana. Fu Pio X a volervi nel 1904 Pietro Maffi e su suo consiglio, nel 1906, nominò a dirigerla il gesuita austriaco Johann Georg Hagen, astronomo noto e stimato a livello internazionale, che virò decisamente l'indirizzo dell'osservatorio da meteorologico ad astronomico.
Si dice che un giorno il parroco di Fontaniva, in udienza da Pio X, si lamentasse che la sua meridiana non stava funzionando molto bene.

Pare che il Papa abbia risposto con una delle sue battute: "Non ero mica infallibile allora!".



I processi canonici per la beatificazione di Pio X (1923-1946)
La fama di Pio X come santo è sempre stata sulla bocca di tutti. Gli agiografi di Pio X assicurano la fama della sua santità in vita, in morte e dopo la morte.
Quasi nove anni dopo la sua morte, il 14 febbraio 1923, 28 cardinali domandarono al papa la glorificazione di Pio X ed incaricarono come postulatore della causa don Benedetto Pierami dei Benedettini Vallombrosani, abate di S. Prassede.
Questi organizzò i pro
cessi informativi ordinari diocesani, celebrati fra il 1923 ed il 1931, in diocesi di Treviso (1923-26), di Mantova (1924-27), di Venezia (1924-30) e di Roma (1923-1931) raccogliendo le deposizioni di 205 testimoni. Questo immane lavoro finì l'8 luglio 1931.

Don Benedetto morì improvvisamente il 12 agosto 1934. Il 18 ottobre successivo fu incaricato don Alberto Parenti della medesima congregazione religiosa, che a conclusione degli studi sui processi ordinari, il 12 febbraio 1943 poté dare alle stampe la Positio super causae introductione.
Tra il 1943 ed il 1946 furono celebrati nelle quattro diocesi i processi apostolici e furono sentiti 89 testimoni.
Tre anni più tardi, nel 1949, fu data alle stampe la Positio super virtutibus.

Per il 1950 Pio XII aveva in animo la celebrazione di tre grandi avvenimenti:
. il dogma dell'assunzione in cielo della Vergine,
. l'Anno Santo
. la beatificazione di Giuseppe Sarto,
ma all'ultimo momento furono mossi seri rilievi sul comportamento tenuto dal papa nel periodo della lotta al Modernismo, e fu quindi istruito un processo straordinario a partire dal 15 dicembre 1949, celebrato a causa delle Animadversines del promotore della fede Salvatore Natucci.
Alla fine fu stampata la Nova positio super virtutibus (1950) con un Summarium addizionale di documenti.

Superate tutte queste difficoltà, la causa subì una notevole accelerazione.
L'11 febbraio 1951 furono riconosciuti i due miracoli richiesti per la beatificazione e il 4 marzo successivo fu pubblicato il decreto del Tuto, che sanciva giuridicamente la possibilità di potere procedere.

Il 3 giugno 1951 avveniva la solenne cerimonia della beatificazione. Il papa Pio XII ebbe parole di particolare effetto: "Pio X, col suo sguardo d'aquila più perspicace e più sicuro che la veduta corta di miopi ragionatori [...], illuminato dalla chiarezza della verità eterna, guidato da una coscienza delicata, lucida, di rigida dirittura è un uomo, un pontefice, un santo di tale elevatezza che difficilmente troverà lo storico che sappia abbracciare tutta insieme la sua figura e in pari tempo i suoi molteplici aspetti."

Otto mesi più tardi, il 17 febbraio 1952, la sua venerata salma venne posta sotto l'altare della Presentazione in S. Pietro.

La glorificazione e la fortuna di S. Pio X nel mondo contemporaneo

Dopo la beatificazione, l'iter glorificatorio procedette speditamente: il 17 gennaio 1954 furono riconosciuti i due miracoli necessari per la canonizzazione.

Il 29 maggio 1954, davanti ad 800.000 persone, Pio XII celebrò la cerimonia della canonizzazione.

Pio X è l'unico papa santificato dal XVII secolo in poi: è sembrato a tutti che si attualizzasse la profezia de Il Giornale d'Italia, che aveva scritto:
"La Storia ne farà un gran Papa: la Chiesa ne farà un gran Santo".

Iniziò il decennio della fortuna di S. Pio X: il culto di S. Pio X fu subito portato in auge e numerosissime chiese in Italia e nel mondo furono costruite in onore del nuovo santo, con un riflesso positivo sulla liturgia e sull'arte sacra contemporanea.

Durante il Concilio Vaticano II (dieci anni dopo) emersono voci negative sui rapporti che Pio X aveva avuto con il mondo moderno.

Nel periodo postconciliare veniva esaltato dai cattolici tradizionalisti, che coglievano parzialmente il messaggio piano, rifacendosi quasi esclusivamente il momento antimodernista e di chiusura alle istanze del mondo moderno: molti di questi credenti divennero in seguito scismatici sulla scia di mons. Marcel Lefebvre (1905-1991) e della sua Fraternité Saint Pie X di Econe.

Al contrario, veniva denigrato dai cattolici progressisti o conciliari, che lo definivano come intransigente, integralista, integrista, tradizionalista, reazionario ed accentratore.






lunedì 19 novembre 2012

San Giuseppe Moscati “Il medico Santo” di Napoli, preghiera di intercessione e biografia -

Oggi grande festa in Cielo e in terra

Preghiamo:


O San Giuseppe Moscati, medico e scienziato insigne, che nell'esercizio della professione curavi il corpo e lo spirito dei tuoi pazienti, guarda anche noi che ora ricorriamo con fede alla tua intercessione.

Donaci sanità fisica e spirituale, intercedendo per noi presso il Signore.

Allevia le pene di chi soffre, dai conforto ai malati, consolazione agli afflitti, speranza agli sfiduciati.

I giovani trovino in te un modello, i lavoratori un esempio, gli anziani un conforto, i moribondi la speranza del premio eterno.

Sii per tutti noi guida sicura di laboriosità, onestà e carità, affinché adempiamo cristianamente i nostri doveri, e diamo gloria a Dio nostro Padre. Amen.


La morte, per i cristiani, è la nascita al Cielo e per questo le feste dei santi si celebrano nel giorno della loro dipartita dal mondo. Anche la festa di S. Giuseppe Moscati doveva tenersi il 12 aprile di ogni anno, ma, per motivi pastorali (evitare che la festa cadesse durante il periodo quaresimale), si è ottenuto, dalla Congregazione per il Culto Divino, di celebrarla il 16 novembre. In questo giorno, infatti, nel 1930, i resti mortali del Santo furono trasferiti nella chiesa del Gesù Nuovo e, in questo stesso giorno, nel 1975, fu beatificato.
Poiché il Martirologio Romano e i calendari liturgici e non, in generale, pongono la memoria al 12 aprile, questa composizione agiografica si trova e al 12 aprile e al 16 novembre-






Giuseppe Moscati nacque il 25 luglio 1880 a Benevento, settimo tra i nove figli del magistrato Francesco Moscati e di Rosa De Luca, dei marchesi di Roseto. Fu battezzato il 31 luglio 1880.

Nel 1881 la famiglia Moscati si trasferì ad Ancona e poi a Napoli, ove Giuseppe fece la sua prima comunione nella festa dell'Immacolata del 1888.
Dal 1889 al 1894 Giuseppe compì i suoi studi ginnasiali e poi quelli liceali al "Vittorio Emanuele", conseguendovi con voti brillanti la licenza liceale nel 1897, all'età di appena 17 anni. Pochi mesi dopo, cominciò gli studi universitari presso la facoltà di medicina dell'Ateneo partenopeo.


Fin dalla più giovane età, Giuseppe Moscati dimostra una sensibilità acuta per le sofferenze fisiche altrui; ma il suo sguardo non si ferma ad esse: penetra fino agli ultimi recessi del cuore umano.
Vuole guarire o lenire le piaghe del corpo, ma è, al tempo stesso, profondamente convinto che anima e corpo sono tutt'uno e desidera ardentemente di preparare i suoi fratelli sofferenti all'opera salvifica del Medico Divino.
Il 4 agosto 1903, Giuseppe Moscati conseguì la laurea in medicina con pieni voti e diritto alla stampa, coronando così in modo degno il “curriculum” dei suoi studi universitari.

Dal 1904 il Moscati, dopo aver superato due concorsi, presta servizio di coadiutore all'ospedale degl'Incurabili, a Napoli, e fra l'altro organizza l'ospedalizzazione dei colpiti di rabbia e, mediante un intervento personale molto coraggioso, salva i ricoverati nell'ospedale di Torre del Greco, durante l'eruzione del Vesuvio nel 1906.
Negli anni successivi Giuseppe Moscati consegue l'idoneità, in un concorso per esami, al servizio di laboratorio presso l'ospedale di malattie infettive Domenico Cotugno.
Nel 1911 prende parte al concorso pubblico per sei posti di aiuto ordinario negli Ospedali Riuniti e lo vince in modo clamoroso. Si succedono le nomine a coadiutore ordinario, negli ospedali e poi, in seguito al concorso per medico ordinario, la nomina a direttore di sala, cioè a primario. Durante la prima guerra mondiale è direttore dei reparti militari negli Ospedali Riuniti.

A questo “curriculum” ospedaliero si affiancano le diverse tappe di quello universitario e scientifico: dagli anni universitari fino al 1908, il Moscati è assistente volontario nel laboratorio di fisiologia; dal 1908 in poi è assistente ordinario nell'Istituto di Chimica fisiologica. In seguito a concorso viene nominato preparatore volontario della III Clinica Medica, e preposto al reparto chimico fino al 1911. Contemporaneamente, percorre i diversi gradi dell'insegnamento.

Celebre e ricercatissimo nell'ambiente partenopeo quando è ancora giovanissimo, il professore Moscati conquista ben presto una fama di portata nazionale ed internazionale per le sue ricerche originali, i risultati delle quali vengono da lui pubblicati in varie riviste scientifiche italiane ed estere.

Non sono tuttavia unicamente e neppure principalmente le doti geniali ed i successi clamorosi del Moscati che suscitano la meraviglia di chi lo avvicina. Più di ogni altra cosa è la sua stessa personalità che lascia un'impressione profonda in coloro che lo incontrano, la sua vita limpida e coerente, tutta impregnata di fede e di carità verso Dio e verso gli uomini.
Scienziato di prim' ordine, vede nei suoi pazienti il Cristo sofferente, lo ama e lo serve in essi. È questo slancio di amore generoso che lo spinge a prodigarsi senza sosta per chi soffre, a non attendere che i malati vadano a lui, ma a cercarli nei quartieri più poveri ed abbandonati della città, a curarli gratuitamente, anzi, a soccorrerli con i suoi propri guadagni.
E tutti, ma in modo speciale coloro che vivono nella miseria, intuiscono ammirati la forza divina che anima il loro benefattore.
L'attività esterna cresce costantemente, ma si prolungano pure le sue ore di preghiera e si interiorizzano progressivamente i suoi incontri con Gesù sacramentato.

La sua concezione del rapporto tra fede e scienza ben si riassume in due suoi pensieri:
« Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo, in alcuni periodi; e solo pochissimi uomini son passati alla storia per la scienza; ma tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell'eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa, una metamorfosi per un più alto ascenso, se si dedicheranno al bene.»
« La scienza ci promette il benessere e tutto al più il piacere; la religione e la fede ci danno il balsamo della consolazione e la vera felicità... »

Il 12 aprile 1927, il prof. Moscati dopo aver preso parte alla Messa, come ogni giorno, ed aver atteso ai suoi compiti in Ospedale e allo studio privato, si sentì male e spirò sulla sua poltrona, stroncato in piena attività, a soli 46 anni; la notizia del suo decesso viene annunciata e propagata di bocca in bocca con le parole: “È morto il medico Santo”.

Giuseppe Moscati è stato beatificato dal Servo di Dio Paolo VI (Giovanni Battista Montini, 1963-1978), nel corso dell'Anno Santo, il 16 novembre 1975; proclamato Santo dal Beato Giovanni Paolo II (Karol Józef Wojtyła, 1978-2005), il 25 ottobre 1987.



San Giuseppe Moscati di fronte al malato

[Poesia anonima, ispirata da una testimonianza del dott. Giovanni Cattatelli, pubblicata dall’Osservatore Romano della Domenica, del 23-11-1975]

 « Ti spiace accompagnarmi? »
Sentì chiedersi lo studente
dal giovane Primario
a cui riconosceva tutta Napoli,
un prestigio già fuor dell'ordinario
per aver legato saldamente
alla Scienza la Fede più fervente.

« Non è per esercizio di diagnostica
che desidero averti insieme a me.
Le discussioni sopra i casi clinici
le sai fare benissimo da te.
Vorrei che,
da cristiano già temprato,
tu vedessi
l’autentico “malato” ».

Si avviarono in un dedalo di vicoli
stretti e fangosi, non senza disagio.
Poi, dentro il corridoio di un tugurio,
(il professor Moscati più a suo agio
per la pratica certo dell'ambiente;
un poco più a tentoni lo studente),

si spinsero all'estremo pianerottolo
contemplando uno squallido spettacolo:
un uomo dall'aspetto cadaverico,
sopra una branda retta per miracolo,
fissò lo sguardo sopra il professore,
quasi in attesa del suo salvatore.

Il quale, prontamente inginocchiatosi
presso il giaciglio come ad un rituale,
conchiuse un minuzioso esame clinico
con la puntura di un medicinale,
furtivamente alla famiglia ansiosa,
lasciando anche un'offerta generosa.
Poche parole al bravo allievo espressero
il senso di quel gesto (abituale al Maestro)
e so quanto ne orientarono
l'esimia attività professionale:
« Ricordalo: tu hai visto nettamente

l'immagine del CRISTO Sofferente! ».

Chi pensa solamente a prendere non potrà mai cogliere la bellezza del donare e la felicità che si nasconde nel far felici gli altri. Dividere i dispiaceri li dimezza; ma dividere le gioie, le raddoppia. Ma se non abbiamo nulla cosa possiamo... mai donare? Invece possiamo sempre donare qualcosa. Cedere il posto sull’autobus è donare, salutare la gente per strada è donare, regalare un semplice sorriso è donare, tutte cose che, nessun denaro potrà mai comprare, che rendono felice il cuore e “arricchiscono chi le riceve, senza impoverire chi le dona”.


lunedì 12 novembre 2012

San Martino, soldato di Cristo e difensore del popolo – biografia


Nato a Sabaria Sicca, nell’attuale Ungheria, nel 316-317, conobbe il cristianesimo in giovane età frequentando le riunioni delle comunità di Pavia, contro la volontà dei genitori pagani. All’età di 15 anni, essendo figlio di un ufficiale romano, fu costretto ad arruolarsi nell’esercito e venne quindi inviato a prestar servizio in Gallia. Il giovane Martino era noto tra i soldati per la sua generosità e bontà d’animo, si racconta che alla vista di un povero il suo animo si infuocasse e il suo cuore ardeva di un’indomabile carità tanto da dimenticare il suo ruolo e i suoi compiti.
Il  gesto, che tutti conosco, del tagliare il proprio mantello per darne la metà a un povero, per il quale il santo è conosciuto in tutto il mondo, in realtà fu solamente il primo di una serie e nemmeno il più eclatante. La sua importanza è data dal fatto che segnò il momento decisivo della sua conversione; dopo quel giorno, infatti, Martino, già catecumeno, decise di farsi battezzare (339).
La carità che mostrava verso i più deboli e gli emarginati della società, che Martino difendeva energicamente contro i soprusi e le ingiustizie arrecate dal fisco romano, spiega l’ampia diffusione del suo culto dopo la morte, ma anche la grande popolarità di cui godeva già in vita, tanto che nel 371 fu nominato vescovo di Tours a furor di popolo.

Nemmeno da Vescovo tale ardore si quietò, come narra la Legenda Aurea. Diciassette anni dopo aver ricevuto il battesimo decise di lasciare l’esercito per divenire, come lui stesso disse, “soldato di Cristo” e qui avvenne il primo miracolo attribuito al Santo. Nel 354 Martino si trovava con l’esercito romano sulle rive del Reno per affrontare gli Alamanni; la sera precedente lo scontro Martino rifiutò il compenso anticipato per la battaglia dichiarando di voler lasciare l’esercito, fu allora accusato di tradimento e codardia, messo in prigione e minacciato d’esser giustiziato, ma il santo rispose che il giorno seguente si sarebbe presentato in campo di battaglia armato del solo “segno della croce”.

Il giorno seguente, all’alba, fu mandato in catene da solo davanti alle truppe romane e proprio in quel momento sopraggiunse un emissario nemico con una richiesta di pace, tutti gridarono al miracolo e Martino fu lasciato libero di andarsene. Da quel giorno in poi la volontà di Dio cominciò a prender forma. Lasciato l’esercito si recò da sant’Ilario, Vescovo di Poitiers, che conobbe precedentemente, dal quale ricevette un’adeguata istruzione e la nomina di esorcista; strenuo oppositore dell’arianesimo fu per questo motivo fustigato e cacciato dalla Francia, prima, e da Milano, poi, dunque, si ritirò sull’isola di Gallinara dove visse alcuni anni da eremita, dove ebbe modo di immergersi anima e corpo nella preghiera e nella meditazione; nel 360, rientrato a Poiters, fu consacrato sacerdote.

Quello che più colpiva di lui era l’audacia e il coraggio dimostrato nella predicazione, non avendo paura nemmeno di ammonire imperatori e regnanti; quando, dinnanzi a folle di pagani, faceva abbattere un albero sacro, per dimostrare la potenza di Dio, si metteva nella traiettoria di caduta dell’albero che all’improvviso cambiava direzione tra gli sguardi stupefatti dei presenti. La fama che andava seminando al suo passaggio lo resero ben presto noto in tutto l’impero.
 
La vita di San Martino, narrata nell’opera Vita sancti Martini di Venanzio Fortunato, fu caratterizzata da uno zelo pressoché unico per l’evangelizzazione, la difesa delle classi più abbienti e da un’impressionante numero di miracoli.

Nel corso di quello che erroneamente venne chiamato Concilio di Màcon, nel 585, che in realtà fu un sinodo di prelati francesi, venne stabilito giorno di festa non lavorativo l’11 novembre, data che fa riferimento alla sepoltura del santo vescovo. Oggi la festa di San Martino, grazie proprio a questa sua straordinaria fama tra il popolo, è diffusa in tutto l’Occidente.

San Martino, vescovo di Tours, protettore dei mendicanti, è il santo più popolare che la Francia abbia mai avuto nella storia, uno tra i primi santi non martiri proclamati dalla Chiesa Cattolica, venerato anche dalla Chiesa Ortodossa e da quella Copta, considerato padre del monachesimo e l’evangelizzatore delle Gallie per eccellenza.

Nel corso del suo ministero operò talmente tanti miracoli da non poter essere elencati, mise in fuga per ben due volte il demonio, resuscitò due morti, smascherò falsi profeti, operò numerosissime guarigioni, anche a distanza, tra cui San Paolino di Nola, convertì folle sterminate di pagani, compresa la madre, e battezzò interi villaggi; fu il primo vescovo ad uscire dalle mura cittadine, inaugurando l’evangelizzazione nelle campagne, fondò numerosissime Chiese e monasteri, tra cui quello di Ligugé, considerato il più antico monastero d’Europa, e moltissime parrocchie rurali, che tornerà a visitare abitualmente, inaugurando le visite episcopali.

Un anno dopo la sua elezione a vescovo, dopo aver constatato che molte delle eresie correnti erano dovute alla diffusa ignoranza in materia dottrinale tra i cosiddetti “preti di campagna”, fondò l’abazia Majus Monasterium, oggi conosciuta come abazia di Marmoutier, che altro non era che una sorta di “scuola di formazione” dottrinale e spirituale per i chierici della Gallia. Attualmente sono migliaia le Chiese dedicate a lui in tutto il mondo, centinaia di paesi e villaggi portano il suo nome e il suo culto è diffuso in tutto il mondo Occidentale.

Dopo la sua morte a Tours venne eretta la più grande ed imponente basilica che la Francia avesse mai avuto all’epoca, che divenne da subito meta di pellegrinaggi (saccheggiata e data alle fiamme dai protestanti nel 1562 e demolita nel corso della Rivoluzione francese, venne ricostruita e consacrata nel 1925).

Nelle Fiandre, in Germania e in Austria, ma anche in regioni italiane come l’Alto Adige, l’ 11 novembre  viene organizzata una lunga processione composta da bambini che, ognuno con una lanterna in mano, in ricordo della fiaccolata in barca che accompagnò la traslazione del corpo, procedono cantando canzoni sul santo.

Nei paesi del Nord Europa è tradizione mangiare un’oca arrostita, in ricordo del divertente aneddoto sull’elezione episcopale di Martino; si racconta che il santo, essendo un uomo di grande umiltà, era restio a diventare vescovo e, venuto a sapere della sua nomina, per non farsi trovare si nascose in una stalla piena d’oche presso un convento, ma il rumore provocato da quest’ultime rivelarono il nascondiglio alla gente che lo stava cercando.

l’ 11 di novembre a San Martino in Rio, a Reggio-Emilia, un corteo storico sfila per le vie della città mettendo in scena le gesta più famose del Santo; mentre a Scanno, in Abruzzo, vengono accese, in ogni contrada, le cosiddette “glorie di San Martino”, grandi cataste di legna preparate nel pomeriggio dello stesso giorno, attorno alle quali i ragazzi, con il viso cosparso di fuliggine, ballano e cantano agitando campanacci e altri oggetti rumorosi.

A Venezia, dove è conservata una tibia del santo, gruppi di bambini si aggirano per le calli e i campi della città chiedendo la questua ad ogni negozio, bar, ristorante del centro storico cantando canzoni e filastrocche in dialetto veneziano dedicate al santo, accompagnandosi con vecchie pentole, mestoli e padelle. In origine con i soldi guadagnati si andava a comperare il tradizionale San Martino, un dolce di pastafrolla cosparso di glassa colorata, praline e cioccolatini, raffigurante il Santo in sella al suo cavallo con la spada sguainata.

È interessante notare come in ogni paese venga ricordato il Santo e, soprattutto, come il suo culto abbia forgiato un vero e proprio sapere radicatosi nella cultura popolare, che ha dato origine a tradizioni, massime e proverbi in uso ancora oggi; l’affermazione “far San Martin”, ad esempio, deriva dal fatto che tradizionalmente, nelle campagne venete, novembre era il mese in cui finiva l’anno lavorativo dei contadini e si rinnovavano i contratti se il padrone lo richiedeva, altrimenti si doveva cercare impiego presso altri proprietari, da qui il significato del detto “far San Martin”, ossia, traslocare; nei primi giorni di novembre.

Inoltre, è tradizione aprire le botti e assaggiare il vino novello, accompagnandolo con i frutti di stagione, in particolare le castagne, raccolte per l’occasione, da ciò deriva il detto“a San Martino ogni mosto diventa vino!”. “Estate di san Martino”, invece, è un’espressione usata per indicare le belle giornate nel mese di novembre, in quanto si racconta che il giovane Martino mentre si avviava sulla strada di ritorno in groppa al suo cavallo, dopo aver consegnato la metà del suo mantello al mendicante, il clima cambiò improvvisamente, smise di piovere e le nuvole si diradarono lasciando apparire un sole splendente che riscaldò l’intera giornata, tanto che il santo dovette togliersi il resto del mantello che portava addosso tanto fece caldo.
 
Questi sono solo alcuni semplici esempi di cosa significa quando si afferma che l’Europa fonda le proprie “radici” nel cristianesimo.

 
Dalla cappa di San Martino ai cappellani, il passo è breve.  
Che fine ha fatto la cappa di San Martino?

Mantello, in latino, si dice cappa. Ma trattandosi del mantello corto dei militari si parlava, al diminutivo, di cappella (cappa corta).

Questa cappella venne conservata come insigne reliquia ed entrò a far parte della collezione di reliquie dei re Merovingi.
I Franchi la portavano come stendardo in guerra, davanti alle truppe, fidando nella protezione del santo patrono.
Da Carlomagno la cappa di san Martino venne inviata all'oratorio palatino di Aquisgrana, che da allora si chiamerà, in francese Aix-la-chapelle (Aachen, in tedesco). Infatti, il termine latino, dal significare la reliquia del mantello di san Martino, passò per estensione ad indicare l'oratorio che la conteneva; le persone incaricate di conservare tale insigne reliquia vennero chiamate: "cappellani"!

E fu così la chiesetta del palazzo reale di Carlomagno divenne una "cappella" in senso moderno.

Il nome, in seguito, identificherà per ulteriore estensione tutte le chiesette e saranno chiamati cappellani tutti i sacerdoti ad esse preposti, anche se non avevano più nulla a che fare con il prodigioso indumento del santo vescovo di Tours.
Dalla cappa di Martino prende nome, perfino, la dinastia reale francese dei "Capetingi".

Una vera e propria devota fissazione!
Pezzetti del mantello di san Martino erano nel medioevo reliquie ambitissime (e parecchio diffuse), vere e proprie narrazioni reificate dell'esempio di carità del primo santo non martire dell'Occidente cristiano.

Una lettura teologica e sociale del gesto di amore disinteressato di san Martino, l'ha data papa Benedetto XVI nel messaggio dell'Angelus dell'11 novembre 2007, dove, tra l'altro, diceva:

“Cari fratelli e sorelle, il gesto caritatevole di san Martino si iscrive nella stessa logica che spinse Gesù a moltiplicare i pani per le folle affamate, ma soprattutto a lasciare se stesso in cibo all’umanità nell’Eucaristia, Segno supremo dell’amore di Dio, Sacramentum caritatis. E’ la logica della condivisione, con cui si esprime in modo autentico l’amore per il prossimo. Ci aiuti san Martino a comprendere che soltanto attraverso un comune impegno di condivisione, è possibile rispondere alla grande sfida del nostro tempo: quella cioè di costruire un mondo di pace e di giustizia, in cui ogni uomo possa vivere con dignità. Questo può avvenire se prevale un modello mondiale di autentica solidarietà, in grado di assicurare a tutti gli abitanti del pianeta il cibo, l’acqua, le cure mediche necessarie, ma anche il lavoro e le risorse energetiche, come pure i beni culturali, il sapere scientifico e tecnologico.”
Testo preso da: Cantuale Antonianum



San Martino - Giosuè Carducci

La nebbia agli irti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
urla e biancheggia il mare;
Ma per le vie del borgo
Dal ribollir dè tini
Va l'aspro odor de i vini
L'anime a rallegrar.
Gira sù ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l'uscio a rimirar
Tra le rossastre nubi
Stormi d'uccelli neri,
Com'esuli pensieri,
Nel vespero migrar.

(Giosuè Carducci)



 

lunedì 5 novembre 2012

Preghiera a San Carlo Borromeo e biografia -




O Gloriosissimo San Carlo,
modello per tutti di fede, di umiltà,
di purità, di costanza nel patire,
di ogni più eletta virtù, voi che arricchito
dall'Altissimo dei doni più eccelsi,
tutti li impiegaste nel promuovere
la gloria di Dio e la salvezza delle anime
fino a restar vittima del vostro zelo,
impetrateci dal Signore, vi supplichiamo,
la grazia di essere vostri imitatori,
come voi lo foste di Gesù Cristo.

Otteneteci ancora, vi preghiamo,
lo spirito di sacrificio, lo zelo indefesso
per il bene dei nostri fratelli, la fedeltà a Dio,
l'amore alla Chiesa, la rassegnazione
nelle avversità e la perseveranza nel bene.

E voi, Dio delle misericordie,
e Padre di ogni consolazione,
che vedete i mali onde è afflitta
la cristiana famiglia, deh !
muovetevi a pietà di noi,
soccorreteci e salvateci.

Non guardate, no, ai nostri meriti,
ma a quelli del vostro servo e nostro
protettore San Carlo.

Esaudite le sue preghiere a favor nostro,
ora che trionfa nei Cieli, come esaudite
quelle che vi innalzava pel suo popolo
quaggiù sulla terra. Così sia!



Glorioso S.Carlo, che v'adoperaste con ogni premura perchè fosse da tutti osserv
ata con esattezza la disciplina di santa Chiesa, applicando quelle riforme dalla medesima stabilite, alle quali voi prendeste gran parte; otteneteci la grazia di amare sempre con tenerezza questa madre santissima di tutti i fedeli, e di praticare con esattezza e docilità quanto ella ci prescrive.




San Carlo Borromeo nasce nel 1538 ad Arona, sulla Rocca dei Borromeo, padroni del Lago Maggiore e delle terre rivierasche. Era il secondo figlio del conte Giberto e quindi, secondo l’uso di quei tempi  andò in convento a 12 anni. Si rivelò subito un ottimo studente. Suo zio era Papa Pio IV e a soli 22 anni lo nominò cardinale.
Amante dello studio, fondò un’accademia, secondo l’uso dei tempi, detta delle “Notti Vaticane”. Inviato al Concilio di Trento, fu indispensabile la sua opera per attuare le direttive conciliari.
Instancabile lavoratore, innumerevoli i suoi scritti. 
Nel 1562, muore  il fratello maggiore. Carlo avrebbe potuto chiedere di mettersi a capo della famiglia ma preferì rimanere allo stato di ecclesiastico. Fu consacrato Vescovo nel 1563, a soli 25 anni.
Entrò trionfalmente a Milano, destinata ad essere il campo della sua attività apostolica. La sua arcidiocesi era vasta quanto un regno, stendendosi sulle terre in Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria e Svizzera. Il giovane Vescovo la visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e della condizione dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali ed ospizi. Profuse, inoltre, a piene mani, le ricchezze di famiglia in favore dei poveri. Nello stesso tempo difese i diritti della Chiesa contro i signorotti e i potenti.
Riportò l’ordine e la disciplina nei conventi, con un tal rigore da buscarsi un colpo d’archibugio, sparato da un frate indegno, mentre stava pregando nella sua cappella. La palla non lo colpì, nonostante la sua mantella rimase forata all’altezza della spina dorsale. La cosa fu vista come il segno che Dio voleva che si realizzassero alcune opere del santo. Il foro fu la più bella decorazione dell’arcivescovo di Milano.
Durante la terribile peste del 1576, quella stessa mantella divenne coperta per i malati, assistiti personalmente dal cardinale Arcivescovo. La sua attività parve prodigiosa, come organizzatore e ispiratore di confraternite religiose, di opere pie, di istituti benefici. Milano, durante il suo episcopato, rifulse su tutte le altre città italiane. Da Roma, i Santi della riforma cattolica guardavano ammirati e consolati al Borromeo, modello di tutti i Vescovi. Ma per quanto robusta, la sua fibra era sottoposta a una fatica troppo grave.
Bruciato dalla febbre, continuò le sue visite pastorali, senza mangiare, senza dormire, pregando e insegnando. Fino all’ultimo, continuò a seguire personalmente le sue fondazioni, contrassegnate da una sola parola: "Humilitas."
Il 3 novembre del 1584, San Carlo morì. Aveva solo 46 anni, e lasciava ai Milanesi il ricordo di una santità seconda soltanto a quella di un altro Vescovo Milanese, Sant’Ambrogio.
 
Fonte: Confraternita di San Carlo Borromeo
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