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martedì 2 novembre 2021

Gli Angeli e i defunti - don Marcello Stanzione

Dal libro di Hope Prince "Angeli custodi" riporto due episodi di interventi evangelici al capezzale di persone che stanno per morire.

Verso il 1960, in Inghilterra, Andrey Graham era un'allieva infermiera quando, mentre si trovava nella corsia dell'ospeda­le, la sua attenzione fu attratta da un suo­no frusciante, simile a quello del vento che soffia tra il grano. Riconobbe un Angelo nella corsia, dall'aria dolce e gentile, in piedi accanto a un letto. L’infermiera si av­vicinò e la paziente le disse: "Non si pre­occupi; infermiera, è appena venuto un Angelo per annunciarmi che questa notte sarò con Gesù. L'Angelo mi ha detto di non aver paura, lui mi aiuterà in questo difficile passo. Quando sarò là, racconterò a Gesù di lei". Andrei Grahairi continua: "Sebbene non volessi defraudarla neppu­re di una minima parte della sua esperien­za, le risposi dolcemente: - Non crede che Gesù mi conosca già? - il suo volto si illu­minò - Naturalmente. Non ci avevo pensa­to". Questa amabile signora morì tran­quillamente, nel sonno, quella notte stes­sa.


Il secondo episodio riguarda Philipa Dodd, che era al capezzale di suo padre. Verso l'una e mezzo di notte dell'8 aprile 1982, un giovedì Santo, Philipa stava vegliando, mentre le sue due sorelle dormivano. Ecco il suo racconto: "Stavo recitando delle preghiere a bassa voce quando improvvi­samente udii me stessa dire a voce alta: 'Dio ti benedica, papà, ora sei nelle mani del Signore' . Proprio allora, lo guardai di sbieco. Sapevo che aveva esalato il suo ul­timo respiro ed era in pace. Poi, per pochi secondi, vidi una foschia gialla sopra di lui e degli Angeli che lo trasportavano verso l'alto, apparentemente su per una scalina­ta. Il mio unico dispiacere fu che, al mo­mento della morte di mio padre, le mie so­relle non erano sveglie per assistere al­l'evento e per avvertire la pace meravi­gliosa che regnava nella stanza. La vista degli Angeli fu una tale emozione per me che, sul cartello che accompagnava la co­rona di fiori del funerale, scrissi: 'Dio ti be­nedica, papà; Vennero gli angeli. Li vidi là, Ti portarono su per la scala d'oro".


Nella liturgia cattolica, già prima che la morte si compia, gli Angeli vengono invo­cati in una preghiera di intercessione del­la Liturgia delle ore dei Vespri: "Raccogli, Signore, il gemito dei morenti, il tuo Santo Angelo li visiti e li conforti."
Sul momento che il moribondo sta per esalare l'ultimo respiro, il sacerdote invoca gli Spiriti cele­sti, dicendo:
"Andategli incontro, Angeli del Signore: accogliete la sua anima, offri­tela all'Altissimo, portatela al suo cospet­to".
Nei riti dei funerali, alla fine, dopo aver benedetto con l'acqua e incensato la salma il Sacerdote dice:
"In Paradiso ti conducano gli Angeli e al tuo ingresso ti accolgano i Martiri per introdurti nella santa Gerusalemme. Il coro degli Angeli ti accolga per darti eterna pace".


 
Gli spiriti "psicagoghi"


Gli Angeli, che hanno assistito gli uomini durante la loro vita sulla terra, hanno an­cora un compito importante da svolgere, al momento della loro morte. È assai inte­ressante notare come la Tradizione biblica e la tradizione filosofica greca si armoniz­zino sulla funzione degli Spiriti "psicago­ghi", cioè degli Angeli che hanno il compi­to di accompagnare l'anima all'ultimo de­stino. I rabbini ebrei insegnavano che pos­sono essere introdotti in cielo soltanto quelli la cui anima è portata dagli Angeli. Nella Parabola famosa del povero Lazzaro e del ricco Epulone, è lo stesso Gesù che attribuisce agli Angeli questa funzione. "Il mendicante morì e fu portato dagli Angeli nel seno di Abramo" (Lc. 16,22). Nella let­tura apocalittica giudaico-cristiana dei pri­mi secoli si parla di tre angeli "psycopom­nes', - che coprono il corpo di Adamo (cioè dell'uomo) "con lini preziosi e lo ungono con olio fragrante, poi lo mettono in una grotta rocciosa, dentro una fossa scavata e costruita per lui. Ivi resterà fino alla re­surrezione finale". Allora comparirà Abbatan, l'Angelo della morte, per avviare gli uomini in questo viaggio verso il giudi­zio; in gruppi diversi secondo le loro virtù, sempre guidati dagli Angeli.


È assai frequente tra i primi scrittori cri­stiani e tra i Padri della Chiesa, l'immagi­ne degli Angeli che assistono l'anima al momento della morte e l'accompagnano in Paradiso. La più antica e chiara indica­zione di questo compito angelico, si trova negli Atti della Passione di Santa Perpetua e compagni, scritta nel 203, quando Satiro narra di una visione avuta in carcere: "Noi avevamo lasciato la nostra carne, quando quattro Angeli, senza toccarci, ci portaro­no nella direzione dell'Oriente. Noi non eravamo caricati nella posizione abituale, ma ci sembrava dì salire un pendio molto dolce". Tertulliano nel "De Anima" così scrive: "Quando, grazie alla virtù della morte, l'anima viene estratta dal suo am­masso di carne e balza fuori dal velo del corpo verso la pura, semplice e serena lu­ce, esulta e trasale nello scorgere il viso del suo Angelo, che si prepara ad accom­pagnarla alla sua dimora".
San Giovanni Crisostomo, con la sua proverbiale argu­zia, commentando la Parabola del povero Lazzaro, dice: "Se abbiamo bisogno di una guida, quando passiamo da una città ad un'altra, quanto più l'anima che rompe i legami della carne e passa alla vita futura, avrà bisogno di qualcuno che le indichi la via".


Nelle preghiere per i morti è consueto in­vocare l'assistenza dell'Angelo. Nella "Vita di Macrina", Gregorio Nisseno pone, sulle labbra della sorella morente, questa meravigliosa preghiera:
"Mandami l'Angelo della luce perché mi guidi verso il luogo del refrigerio, ove si trova l'acqua del riposo, nel seno dei Patriarchi".


Le Costituzioni Apostoliche hanno que­st'altra preghiere per i morti:
"Volgi gli oc­chi al tuo servo. Perdonagli se ha peccato e rendigli gli Angeli propizi".
Nella storia delle comunità religiose fondate da San Pacomio si legge che, quando una persona giusta e pia muore, si portano presso di lui quattro Angeli, quindi il corteo si eleva con l'anima attraverso l'aria, dirigendosi verso Oriente, due Angeli trasportano, in un len­zuolo, l'anima del defunto, mentre un ter­zo Angelo canta inni in una lingua scono­sciuta.
San Gregorio Magno annota nei suoi Dialoghi: 'Bisogna sapere che gli Spiriti beati cantano dolcemente le lodi di Dio, quando le anime degli eletti partono da questo mondo affinché, occupate ad intendere questa armonia celeste, esse non sentano la separazione dai loro cor­pi .„


(don Marcello Stanzione)

La giovane Virginia, con un gesto delicato, per un’ultima volta scosta il lenzuolo a scoprire il volto del marito, Raffaele Pienovi, ora che il respiro di lui non si sente più.
Oh, era assai più anziano di lei e se n’è andato così, in silenzio.
Questa è’ una delle tombe più belle del Cimitero Monumentale di Staglieno, dove coloro che hanno lasciato questo mondo sono effigiati nel marmo, a memoria dei posteri, in sculture di inestimabile valore artistico.

I Cherubini del paradiso scendono ad accogliere l’anima di una fanciulla troppo presto strappata alla vita.

E sono sempre le creature celesti a confortare e ad indicare la via a chi l’ha smarrita.
 
Né vi lasciate ingannare dalle subdole dichiarazioni di altri, che protestano ripetutamente di voler stare con la Chiesa, di amare la Chiesa, di combattere perché il popolo non si allontani da essa, di lavorare perché la Chiesa, comprendendo i tempi, si riaccosti al popolo e lo riguadagni.
Ma giudicateli dalle loro opere. Se maltrattano e disprezzano i Pastori della Chiesa e persino il Papa; se tentano ogni mezzo per sottrarsi alla loro autorità, per eludere le loro direzioni, i loro provvedimenti, se non si peritano di innalzare la bandiera della ribellione, di quale Chiesa intendono questi parlare?
Non certamente di quella stabilita «super fundamentum Apostolorum et Prophetarum, ipso summo angulari lapide, Christo Iesu», e quindi dobbiamo aver sempre presente il monito, che faceva S. Paolo ai Galati : «quand’anche noi o un Angelo del cielo evangelizzi a voi, oltre a quello che « abbiamo a voi evangelizzato, sia anatema».
(San Pio X)

Buona giornata a tutti. :-)

sabato 26 ottobre 2019

Lettera a un giovane prete - mons. Francesco Lambiasi

Carissimo fratello Timoteo,
da circa un mese sei parroco in Santa Maria del terzo Millennio. 
Come non ricordare la solenne e commovente “Presa di possesso”? 
L’unica pecca, che stava per guastare la festa, fu proprio quella bruttissima espressione – “presa di possesso” – che il cancelliere vescovile voleva implacabilmente inserire nel verbale da conservare nell’archivio diocesano e in quello parrocchiale. 
Ti ho letto nel lampo degli occhi che stavi per scattare – per dire con la vostra brutalità giovanile che non ti sentivi affatto un vassallo in atto di prendere possesso del suo ambito feudo. 
Intervenni io, un po’ a gamba tesa, e spiegai alla tanta gente in festa che tu, la parrocchia, non l’avresti mai e poi mai vista come un “tuo” possesso, ma solo come un dono immeritato e preziosissimo, e a quel punto mi permisi un’auto-citazione, presa dalla mia seconda lettera ai cristiani di Corinto: “Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia”.

Mi telefonasti la sera dopo, e mi dicesti:
“Che bella Parrocchia! E c’è anche la luna!”. 
Da allora non ti ho più visto né sentito, ma dato che siamo al primo… “trigesimo” di quel felice inizio, ho pensato bene di scriverti questa breve lettera, perché vorrei che la tua gioia di essere parroco crescesse di giorno in giorno. 
Si, lo so: questo miracolo della beatitudine è purtroppo un po’ raro tra noi pastori, ma non è improbabile e niente affatto impossibile. 
Ed è proprio di questo che vorrei parlarti. 
Stai sereno, non ti rifilo un trattato di ascetica e mistica sulla carità pastorale. 
Ti vorrei parlare solo di una condizione assolutamente irrinunciabile – sine qua non, si diceva ai miei tempi – perché il miracolo si avveri. 
Sarai un parroco felice nella misura in cui sarai un vero missionario. 
Non si scappa: o missionari o… dimissionari.

E’ una conversione profonda, che bisogna rinnovare ogni giorno. 
Ogni mattina, prima di mettere i piedi fuori dal letto, beato te se dirai: “Grazie, Signore, per avermi creato, fatto cristiano e parroco-missionario”. 
Scrivi sullo specchio in sagrestia, o almeno in quello del bagno: “Non sono un professionista del sacro, né un insegnante della fede: sono un annunciatore del Vangelo”. 
Quando ero a Corinto io avevo scritto sulla porta della stanzetta nella casa di Aquila e Priscilla: “Non sono stato mandato qui a battezzare, ma ad evangelizzare”.
Ricordi la grammatica di base del missionario, che ti ho insegnato quando prima di essere tuo vescovo, ti ho fatto da rettore in seminario? 
E’ una grammatica costruita su un quadrilatero di certezze che devono rimanere solide più delle fondamenta della tua splendida chiesetta romanica.

· La Parola di Dio è come l’acqua e la neve, se cade…

· La Parola di Dio non è lontana, ma molto vicina al cuore, anzi è dentro. Basta trovare il modo per far scattare il contatto…

· “Come agnelli tra i lupi”: non è per farci sbranare, ma per far accogliere il messaggio: quanto più siamo deboli umanamente…

· A noi tocca il compito di annunciare. E’ il Signore che vigila sulla sua parola perché si realizzi…

Stai attento, Timoteo: devi essere severo nel vigilare che questo spirito missionario del vangelo non venga aggredito da virus micidiali, quali l' idolatria del prete che pensa:
“Come me non c’è nessuno: prima di me e dopo di me, non ci sarà nessuno uguale a me!”. 
Perciò niente cose alla “W il parroco!”. 
Un altro virus che fa strage in casa nostra è quello dello stress da pastorale: correre, competere, confliggere e alla fine… l’eterno riposo! 
Ma non c’è da scherzare neanche con la Depressio Clericalis (si chiama così anche quando infetta i laici): la si vede come un messaggio scritto sulla maglietta in quei “nostri” che vanno in giro con l’aria fritta di chi sembra dire: “Fateme ‘na flebo”. 
Ti ripeto: devi essere severo. 
E se lo sarai con te, potrai vigilare anche sullo spirito missionario dei “vicini”. 
Per esempio i gruppi – dal coro a quello liturgico, a quello catechistico e caritativo, dall’azione cattolica ai carismatici – non devono essere luoghi di potere o gradini per emergere (è un pericolo sempre in agguato), ma sviluppare il servizio al Vangelo. 
Allora la tua – la vostra – parrocchia non sarà una scuola in cui si spiega il cristianesimo o, peggio ancora, un ufficio di controllo della fede dei parrocchiani, ma riuscirete a far circolare la Parola di Dio per le strade, in modo che la gente la incontri.

E con gli altri?

Quelli che si servono della parrocchia per continuare abitudini e consuetudini sociali? Quelli che la ignorano? Cosa puoi esigere se non hanno le motivazioni? 
Allora ringrazia Dio tutte le volte che capitano a messa. 
Tutte le volte che ti portano i figli al catechismo. 
Tutte le volte che ti chiedono i sacramenti, per sé o per i figli, o il funerale per il caro estinto. 
Tutte le volte che ti chiedono la messa per i defunti. 
Anche se per le loro motivazioni non proprio di fede. Tutte le volte! 
Non è una disgrazia. E’ un dono di Dio che vengano, quando saresti tu che dovresti andare a cercarli. Accogliendoli così come sono, non farai finta che abbiano le tue motivazioni. 
Quindi non li rimproveri e non li ricatti, non imponi loro dei compiti come se avessero le tue motivazioni, non parli loro e non fai prediche come se avessero la fede. 
Ti comporti da missionario: entri nella loro situazione, cerchi di capire le loro domande e i loro interessi, parli la loro lingua, proponi con libertà e chiarezza il messaggio, non imponi loro dei fardelli che nemmeno tu riesci a portare.

Per finire, permettimi di ricordarti alcune regole che ti potranno servire per misurare il tuo spirito missionario.

1) Non maledire i tempi correnti: sta per finire il cristianesimo dell’abitudine e sta rinascendo il cristianesimo per scelta, per innamoramento.

2) Non anteporre nulla all’annuncio di Gesù Cristo, morto e risorto. 
Afferra ogni situazione, ogni problema, ogni interesse e riportalo lì, al centro di tutta la fede.

3) Annuncia il cristianesimo delle beatitudini e non vergognarti mai del vangelo della croce: Cristo non toglie nulla e dà tutto!

4) Il Vangelo è da proporre, non da imporre. Non imporlo mai a nessuno, neanche ai bambini, soprattutto ai bambini: gli resterebbe un ricordo negativo per tutta la vita.

5) Non amareggiarti per l’indifferenza dei “lontani” e non invocare mai il fuoco dal cielo perché li consumi, ma fa festa anche per uno solo di loro che si converte.

6) Ricorda: il kerygma non è come un chewing-gum che più si mastica e più perde sapore. Il messaggio cristiano non è da ripetere, è da reinterpretare nella mentalità e nella lingua della gente.

7) Sogna una parrocchia che sia segno e luogo di salvezza, non club di perfetti.

8) Non credere di comunicare il Vangelo da solo! Almeno in 2, meglio in 12, molto meglio in 72! Creare un gruppo di parrocchiani veri per evangelizzare i presunti tali.

9) Ricordati che i laici non vanno usati come ausiliari utili, ma vanno aiutati a diventare collaboratori corresponsabili.

10) Non ridurti mai a vigile del traffico intraparrocchiale: tu non sei il coordinatore delle attività o il superanimatore di gruppi, ma sei una vera guida, sei il primo evangelizzatore.

Ti auguro di credere nella presenza forte e dolce dello Spirito Santo e ti raccomando di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. 
Caro Timoteo, ti ripeto quanto ti scrissi nella mia prima Lettera: custodisci con cura quanto ti è stato affidato. Evita le chiacchiere contrarie alla fede. 



La grazia sia con te e con tutti i fedeli della tua comunità, anche con quelli che ancora non sei riuscito mai ad incontrare.


                                                                  Paolo (di Tarso)

Questa lettera è stata presentata al Convegno degli Uffici Catechistici Diocesani nel giugno 2005 ad Acireale (Catania). È una specie di decalogo per un giovane prete che incomincia la sua avventura di parroco. É un testo ricco di suggestioni e di stimoli per chiunque sia chiamato ad evangelizzare. Vi si immagina San Paolo, Vescovo dei giorni nostri, che scrive una lettera a don Timoteo, cui ha appena affidato l’incarico di Parroco.




Né vi lasciate ingannare dalle subdole dichiarazioni di altri, che protestano ripetutamente di voler stare con la Chiesa, di amare la Chiesa, di combattere perché il popolo non si allontani da essa, di lavorare perché la Chiesa, comprendendo i tempi, si riaccosti al popolo e lo riguadagni. Ma giudicateli dalle loro opere. Se maltrattano e disprezzano i Pastori della Chiesa e persino il Papa; se tentano ogni mezzo per sottrarsi alla loro autorità, per eludere le loro direzioni, i loro provvedimenti, se non si peritano di innalzare la bandiera della ribellione, di quale Chiesa intendono questi parlare? Non certamente di quella stabilita «super fundamentum Apostolorum et Prophetarum, ipso summo angulari lapide, Christo Iesu», e quindi dobbiamo aver sempre presente il monito, che faceva S. Paolo ai Galati : «quand’anche noi o un Angelo del cielo evangelizzi a voi, oltre a quello che « abbiamo a voi evangelizzato, sia anatema».

- San Pio X -
discorso agli studenti della Federazione Universitaria Cattolica



  Buona giornata a tutti :-)


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mercoledì 19 giugno 2013

... sei uno di quelli che pensano che i figli sono un dono del cielo.... - Nembrini Franco -



"...E lei con l'aria di fare la saputella mi disse: "Lo so che sei uno di quelli che pensano che i figli sono un dono del cielo..."

" ...Ma senti un po', ma tu, che cosa dici di te stesso?" 

Sapete cosa mi rispose, in seconda superiore, vuol dire a quindici anni? Disse: " Professore, poche storie" scusate la parola, ma ve la riferisco come l'ho ricevuta "io sono l'esito di una scopata".
...
Sono rimasto annichilito per dieci minuti, poi ho cercato di recuperare, di ragionare. La vera crisi del nostro tempo è che nei nostri figli, nei nostri giovani s'infila un cinismo così; per forza poi vengono fuori le violenze più devastanti. E si va allora a cercare se è colpa dell'insegnante che gli ha dato quattro o se il papà lo ha preso a sberle, non c'entra niente. 

E' la questione dell'educazione.
Perchè, neanche a farlo apposta, quel giorno all'intervallo vado al bar, tutto colpito dall'episodio di questo ragazzino, e trovo una collega brillante, la tipica sessantottina di un po' di anni fa, che è venuta a sapere che aspetto il quarto figlio.
Così si sente in dovere di prendermi un po' in giro: "Ah ah, ci sei cascato un'altra volta!" Allora le ho detto: " Guarda che io i figli li cerco, li voglio e non ci sono proprio "cascato". Meglio per te che non ci sei cascata, ma per me no. Io i figli li ho desiderati. E lei con l'aria di fare la saputella mi disse:
"Lo so che sei uno di quelli che pensano che i figli sono un dono del cielo." Allora non ci ho visto più : "Senti bella collega, i casi sono due: o i figli sono un dono del cielo, come hai detto tu, perchè è proprio giusto, i figli sono testimonianza e presenza dell'Essere, del Mistero presente, di Uno più grande di me e di te; o l'alternativa che hai è che ti porto in una classe dove c'è un ragazzino che ti spiega lui cosa sono i figli.
E devi scegliere, perchè non c'è una terza possibilità. O i figli sono l'esito di una scopata - ma glielo devi dire ai tuoi figli mentre li guardi, devi averne il coraggio - oppure dovrai dire ai tuoi figli che sono un dono del Cielo.
Cioè, misteriosamente, sono l'irrompere di una cosa che è più grande di me e di te e di tuo marito messi insieme; non c'è una terza possibilità.

(Franco Nembrini)

Fonte: Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare"




Siate forti per custodire e difendere la vostra fede, quando tanti la combattono e la perdono; siate forti per mantenere in voi il verbo di Dio, e per manifestarlo colle opere, quando tanti altri l’hanno bandito dall’anima; siate forti per acquistare la vera scienza, e per vincere gli ostacoli che incontrerete nell’azione a pro’ dei vostri fratelli. Non abbiate paura che si voglia imporvi dei gravi sacrifìci, di proibirvi dei leciti sollazzi; si vuole soltanto rendere veramente cara la vostra età, che è l’età delle belle speranze, di rendere splendida la vostra carriera, così che nell’autunno della vita possiate cogliere copiosi quei frutti, dei quali sono presagio i fiori della vostra primavera; e quindi vi raccomando soltanto di esser forti per conservarvi figli devoti della Chiesa di Gesù Cristo, quando tanti purtroppo, senza forse saperlo, si mostrano ribelli, perché il criterio primo e massimo della fede, la regola suprema e incrollabile della ortodossia è l’obbedienza al magistero sempre vivente e infallibile della Chiesa, costituita da Cristo columna et firmamentum veritatis, colonna e sostegno di verità.

San Pio X





Sarò immortale in me, in mio figlio e nella sua prole.
Ritroverò sempre in me lo spirito del primo, da oggi fino alla fine. 
Sarà in mio figlio, ed in suo figlio dopo di lui.
Viviamo tutti, sotto falsi nomi e sotto una maschera.
Parte di un solo uomo che in principio assicurò la nostra esistenza e che non contento del poco tempo concesso nacque di nuovo con suo figlio.
Non potranno perciò dire tu assomigli a tuo padre, perché in realtà sono parte del primo e per sempre ne porterò la volontà.

(Diva de Bioso)



Buona giornata a tutti :-)))



venerdì 15 febbraio 2013

Lettera a un giovane prete - mons. Francesco Lambiasi -

Carissimo fratello Timoteo,

da circa un mese sei parroco in Santa Maria del terzo Millennio. 
Come non ricordare la solenne e commovente “Presa di possesso”? 
L’unica pecca, che stava per guastare la festa, fu proprio quella bruttissima espressione – “presa di possesso” – che il cancelliere vescovile voleva implacabilmente inserire nel verbale da conservare nell’archivio diocesano e in quello parrocchiale. 
Ti ho letto nel lampo degli occhi che stavi per scattare – per dire con la vostra brutalità giovanile che non ti sentivi affatto un vassallo in atto di prendere possesso del suo ambito feudo. 
Intervenni io, un po’ a gamba tesa, e spiegai alla tanta gente in festa che tu, la parrocchia, non l’avresti mai e poi mai vista come un “tuo” possesso, ma solo come un dono immeritato e preziosissimo, e a quel punto mi permisi un’auto-citazione, presa dalla mia seconda lettera ai cristiani di Corinto: “Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia”.

Mi telefonasti la sera dopo, e mi dicesti:
“Che bella Parrocchia! E c’è anche la luna!”. 
Da allora non ti ho più visto né sentito, ma dato che siamo al primo… “trigesimo” di quel felice inizio, ho pensato bene di scriverti questa breve lettera, perché vorrei che la tua gioia di essere parroco crescesse di giorno in giorno. 
Si, lo so: questo miracolo della beatitudine è purtroppo un po’ raro tra noi pastori, ma non è improbabile e niente affatto impossibile. 
Ed è proprio di questo che vorrei parlarti. 
Stai sereno, non ti rifilo un trattato di ascetica e mistica sulla carità pastorale. 
Ti vorrei parlare solo di una condizione assolutamente irrinunciabile – sine qua non, si diceva ai miei tempi – perché il miracolo si avveri. 
Sarai un parroco felice nella misura in cui sarai un vero missionario. 
Non si scappa: o missionari o… dimissionari.

E’ una conversione profonda, che bisogna rinnovare ogni giorno. 
Ogni mattina, prima di mettere i piedi fuori dal letto, beato te se dirai: “Grazie, Signore, per avermi creato, fatto cristiano e parroco-missionario”. 

Scrivi sullo specchio in sagrestia, o almeno in quello del bagno: “Non sono un professionista del sacro, né un insegnante della fede: sono un annunciatore del Vangelo”. 
Quando ero a Corinto io avevo scritto sulla porta della stanzetta nella casa di Aquila e Priscilla: “Non sono stato mandato qui a battezzare, ma ad evangelizzare”.

Ricordi la grammatica di base del missionario, che ti ho insegnato quando prima di essere tuo vescovo, ti ho fatto da rettore in seminario? 
E’ una grammatica costruita su un quadrilatero di certezze che devono rimanere solide più delle fondamenta della tua splendida chiesetta romanica.

· La Parola di Dio è come l’acqua e la neve, se cade…

· La Parola di Dio non è lontana, ma molto vicina al cuore, anzi è dentro. Basta trovare il modo per far scattare il contatto…

· “Come agnelli tra i lupi”: non è per farci sbranare, ma per far accogliere il messaggio: quanto più siamo deboli umanamente…

· A noi tocca il compito di annunciare. E’ il Signore che vigila sulla sua parola perché si realizzi…

Stai attento, Timoteo: devi essere severo nel vigilare che questo spirito missionario del vangelo non venga aggredito da virus micidiali, quali l' idolatria del prete che pensa:
“Come me non c’è nessuno: prima di me e dopo di me, non ci sarà nessuno uguale a me!”. 
Perciò niente cose alla “W il parroco!”. 
Un altro virus che fa strage in casa nostra è quello dello stress da pastorale: correre, competere, confliggere e alla fine… l’eterno riposo! 
Ma non c’è da scherzare neanche con la Depressio Clericalis (si chiama così anche quando infetta i laici): la si vede come un messaggio scritto sulla maglietta in quei “nostri” che vanno in giro con l’aria fritta di chi sembra dire: “Fateme ‘na flebo”. 
Ti ripeto: devi essere severo. 
E se lo sarai con te, potrai vigilare anche sullo spirito missionario dei “vicini”. 
Per esempio i gruppi – dal coro a quello liturgico, a quello catechistico e caritativo, dall’azione cattolica ai carismatici – non devono essere luoghi di potere o gradini per emergere (è un pericolo sempre in agguato), ma sviluppare il servizio al Vangelo. 
Allora la tua – la vostra – parrocchia non sarà una scuola in cui si spiega il cristianesimo o, peggio ancora, un ufficio di controllo della fede dei parrocchiani, ma riuscirete a far circolare la Parola di Dio per le strade, in modo che la gente la incontri.

E con gli altri?

Quelli che si servono della parrocchia per continuare abitudini e consuetudini sociali? Quelli che la ignorano? Cosa puoi esigere se non hanno le motivazioni? 
Allora ringrazia Dio tutte le volte che capitano a messa. 
Tutte le volte che ti portano i figli al catechismo. 
Tutte le volte che ti chiedono i sacramenti, per sé o per i figli, o il funerale per il caro estinto. 
Tutte le volte che ti chiedono la messa per i defunti. 
Anche se per le loro motivazioni non proprio di fede. Tutte le volte! 
Non è una disgrazia. E’ un dono di Dio che vengano, quando saresti tu che dovresti andare a cercarli. Accogliendoli così come sono, non farai finta che abbiano le tue motivazioni. 
Quindi non li rimproveri e non li ricatti, non imponi loro dei compiti come se avessero le tue motivazioni, non parli loro e non fai prediche come se avessero la fede. 
Ti comporti da missionario: entri nella loro situazione, cerchi di capire le loro domande e i loro interessi, parli la loro lingua, proponi con libertà e chiarezza il messaggio, non imponi loro dei fardelli che nemmeno tu riesci a portare.

Per finire, permettimi di ricordarti alcune regole che ti potranno servire per misurare il tuo spirito missionario.

1) Non maledire i tempi correnti: sta per finire il cristianesimo dell’abitudine e sta rinascendo il cristianesimo per scelta, per innamoramento.

2) Non anteporre nulla all’annuncio di Gesù Cristo, morto e risorto. 
Afferra ogni situazione, ogni problema, ogni interesse e riportalo lì, al centro di tutta la fede.

3) Annuncia il cristianesimo delle beatitudini e non vergognarti mai del vangelo della croce: Cristo non toglie nulla e dà tutto!

4) Il Vangelo è da proporre, non da imporre. Non imporlo mai a nessuno, neanche ai bambini, soprattutto ai bambini: gli resterebbe un ricordo negativo per tutta la vita.

5) Non amareggiarti per l’indifferenza dei “lontani” e non invocare mai il fuoco dal cielo perché li consumi, ma fa festa anche per uno solo di loro che si converte.

6) Ricorda: il kerygma non è come un chewing-gum che più si mastica e più perde sapore. Il messaggio cristiano non è da ripetere, è da reinterpretare nella mentalità e nella lingua della gente.

7) Sogna una parrocchia che sia segno e luogo di salvezza, non club di perfetti.

8) Non credere di comunicare il Vangelo da solo! Almeno in 2, meglio in 12, molto meglio in 72! Creare un gruppo di parrocchiani veri per evangelizzare i presunti tali.

9) Ricordati che i laici non vanno usati come ausiliari utili, ma vanno aiutati a diventare collaboratori corresponsabili.

10) Non ridurti mai a vigile del traffico intraparrocchiale: tu non sei il coordinatore delle attività o il superanimatore di gruppi, ma sei una vera guida, sei il primo evangelizzatore.

Ti auguro di credere nella presenza forte e dolce dello Spirito Santo e ti raccomando di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. 
Caro Timoteo, ti ripeto quanto ti scrissi nella mia prima Lettera: custodisci con cura quanto ti è stato affidato. Evita le chiacchiere contrarie alla fede. 

La grazia sia con te e con tutti i fedeli della tua comunità, anche con quelli che ancora non sei riuscito mai ad incontrare.


                                                                  Paolo (di Tarso)

Questa lettera è stata presentata al Convegno degli Uffici Catechistici Diocesani nel giugno 2005 ad Acireale (Catania). È una specie di decalogo per un giovane prete che incomincia la sua avventura di parroco. É un testo ricco di suggestioni e di stimoli per chiunque sia chiamato ad evangelizzare. Vi si immagina San Paolo, Vescovo dei giorni nostri, che scrive una lettera a don Timoteo, cui ha appena affidato l’incarico di Parroco.




Né vi lasciate ingannare dalle subdole dichiarazioni di altri, che protestano ripetutamente di voler stare con la Chiesa, di amare la Chiesa, di combattere perché il popolo non si allontani da essa, di lavorare perché la Chiesa, comprendendo i tempi, si riaccosti al popolo e lo riguadagni. Ma giudicateli dalle loro opere. Se maltrattano e disprezzano i Pastori della Chiesa e persino il Papa; se tentano ogni mezzo per sottrarsi alla loro autorità, per eludere le loro direzioni, i loro provvedimenti, se non si peritano di innalzare la bandiera della ribellione, di quale Chiesa intendono questi parlare? Non certamente di quella stabilita «super fundamentum Apostolorum et Prophetarum, ipso summo angulari lapide, Christo Iesu», e quindi dobbiamo aver sempre presente il monito, che faceva S. Paolo ai Galati : «quand’anche noi o un Angelo del cielo evangelizzi a voi, oltre a quello che « abbiamo a voi evangelizzato, sia anatema».
San Pio X, Discorso agli studenti della Federazione Universitaria Cattolica


Chi è il sacerdote? 
«Un uomo – dice il Santo curato d'Ars – che sta al posto di Dio, un uomo che è rivestito di tutti i poteri di Dio… Provate ad andare a confessarvi dalla santa Vergine o da un angelo: vi potranno assolvere? No. Vi daranno il Corpo e il Sangue di Nostro Signore? No. La santa Vergine non può far discendere il suo divin Figlio nell’Ostia. Se anche foste di fronte a duecento angeli, nessuno di loro potrebbe assolvere i vostri peccati. Un semplice prete, invece, può farlo; egli può dirvi: “Va in pace ti perdono”. Oh! Il prete è veramente qualcosa di straordinario!... Dopo Dio il prete è tutto!». «Oh, - afferma un giorno - come è grande il sacerdote! Il sacerdote non si comprenderà bene che nel Cielo… Se egli comprendesse qui che cos’è, ne morrebbe non di spavento, ma di amore»


Mi hai scritto chiedendo che pregassi per i tuoi peccati. 
Ti dirò la stessa cosa: "Prega per i miei". 

- San Barsanufio (monaco anacoreta)




  

Buona giornata a tutti :-)