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giovedì 29 aprile 2021

Benedizione - Anselm Grün

Non ti lascio cadere e non ti abbandono. 
Resto presso di te con il mio amore, 
ti accompagno dovunque andrai.
 

Il mio amore sia la tua forza, la mia fedeltà la tua difesa.
 
Ti avvolga la mia tenerezza,
 
e ti venga incontro la mia brama.
 

Se sei triste, ti consolerò,
 
nella tua inquietudine stendo la mia mano su di te,
 
nel tuo dolore bacio le tue ferite,
 
nel tumulto mi metto al tuo fianco
 
come angelo delle difficoltà.
 

Se gli uomini ti deridono ti irrobustirò le spalle,
 
nella tua mutezza ti offrirò la mia voce
 
e quando sarai ricurvo per il dolore ti solleverò
 
con uno sguardo d’amore.
 

Quando tutto inaridirà in te, ti regalerò il mio calore,
 
e quando le preoccupazioni ti opprimeranno,
 
ti sussurrerò parole di fiducia.
 

Se l’affanno colmerà la tua anima, lo caccerò,
 
e la mia presenza sarà per te luce in tutto quello che farai.
 

Al mattino ti risveglia il mio desiderio
 
e alla sera ti ricopre il mio amore;
 
addormentati nelle mie braccia
 
faccia a faccia, cuore a cuore…
 
tendi l’orecchio, batte per te… nella lunga notte,
 
a ogni nuovo giorno…

(Anselm Grun e Maria M. Robben)
Fonte: Come vincere nelle sconfitte, Ed. Queriniana 2003



e con questa bellissima benedizione vi  auguro una splendida giornata :-)

lunedì 29 giugno 2020

Salute, guarigione, salvezza: Guarigione come riconciliazione - Anselm Grün

Introduzione

Molte persone si ammalano perché hanno dentro di sé qualcosa che si è spaccato. La spaccatura si ripercuote spesso sul corpo. 
Essere sano significa essere intatto, integro, essere pacificato con tutto quello che c’è in me. Ci sono forme di spiritualità, nel passato come pure nel presente, che ci fanno ammalare. 
Chi si identifica con ideali elevati, corre sempre il pericolo di lasciar da parte la propria realtà. 
Ciò che non si vuole ammettere in se stessi viene rimosso o represso. 
Ma non possiamo rimuovere la nostra realtà impunemente: essa si ripercuoterà negativamente sull’anima, oppure si riverserà sul corpo come malattia.
Nella Bibbia la guarigione avviene allorquando Gesù tocca i malati. Questi devono mettere davanti a Cristo la loro vera situazione, affinché la sua forza sanante possa scorrere sulle loro ferite e le possa trasformare. Gesù non è un mago divino che fa sparire d’incanto le nostre malattie. Solo quando ci mettiamo di fronte alla nostra realtà, ci rendiamo conto delle ferite che sono in noi e le presentiamo coscientemente a Cristo, solo allora la guarigione è possibile. Una via di guarigione è mettersi di fronte alle nostre ferite; l’altra via consiste nel fare pace con noi stessi. Questa pacificazione non è un’autoguarigione, ma è piuttosto una risposta alla fiducia di essere accolti da Dio incondizionatamente. 
In questo articolo vorrei prendere in considerazione la seconda via di guarigione: la riconciliazione con me stesso, con Dio e con gli altri.

1. Il concetto di riconciliazione
Riconciliazione è un concetto centrale nella teologia di san Paolo. Nella Seconda Lettera ai Corinzi, Paolo afferma che Dio «ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione» (2Cor 5,18). Paolo parte dalla premessa che gli uomini si sono alienati da se stessi e in tal modo hanno perduto anche il contatto con Dio. In Gesù Cristo, Dio ha preso l’iniziativa e nella sua morte in croce ha colmato l’abisso che separava gli uomini da Dio e da se stessi. In Gesù, Dio si è avvicinato agli uomini ed è giunto fino all’ultima solitudine e abbandono. Là, sulla croce, ha tolto via la più profonda alienazione dell’uomo con se stesso e con Dio. La riconciliazione è dunque un agire di Dio su di noi. Ma tocca a noi rispondere a questa azione di Dio, dicendo: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20). È necessario che noi stessi collaboriamo, affinché in noi possa compiersi la riconciliazione.
La parola latina reconciliatio significa originariamente il ristabilimento di amicizia, una rappacificazione. Il verbo corrispondente reconciliare significa: rimettere in ordine, ristabilire, unire nuovamente, rendere di nuovo sano, rappacificare. Il significato originario intende dunque far capire che Cristo, mediante la sua morte in croce ha ricondotto gli uomini all’amicizia con Dio, dal quale si erano allontanati. 
Riconciliazione significa quindi anche che sappiamo trattare noi stessi in modo amichevole, che consideriamo nostro amico tutto ciò che è in noi. Molti esseri umani non hanno una relazione né con Dio, né con se stessi. La riconciliazione significa che finalmente riescono a prendere contatto con se stessi e solo allora diventano capaci anche di entrare in relazione con gli altri e con Dio.



2. Riconciliazione con se stessi
Il primo e nello stesso tempo il più difficile compito della nostra «umanizzazione» consiste nel riconciliarci con noi stessi. 
La condizione per realizzare questo compito è la fiducia di essere accolti da Dio incondizionatamente. 
La pacificazione con me stesso ha diversi aspetti. Anzitutto mi devo rappacificare con la storia della mia vita. 
Sono diventato così come sono. 
Non posso far sì che la mia nascita ritorni nuovamente al punto di partenza. Non posso far finta che le mie ferite non siano avvenute. 
Far la pace con se stessi significa dire di sì alle ferite e alle offese che abbiamo ricevuto nel corso della vita. 
Molte persone rimangono per tutta la vita dei querelanti. Accusano i genitori di averli feriti. Rifiutano di prendersi la responsabilità della propria vita. Ma in questo modo non riescono mai a trovare la pace con se stessi. Preferiscono soffrire invece di rappacificarsi con se stessi e con la storia della propria vita.
Fa parte della riconciliazione con la propria storia di vita anche la riconciliazione con il proprio corpo, così come esso è diventato. 
Incontro molti cristiani che mi assicurano di sentirsi bene accolti da Dio, ma questa fede nell’accettazione da parte di Dio non va tanto in profondità nel loro cuore, così che possano accogliere se stessi anche nel proprio corpo. 
Sono così fortemente condizionati dalle immagini esterne di come dovrebbe essere il loro corpo, che respingono se stessi come sono realmente cresciuti. Non riescono ad accettare il proprio volto, perché sarebbe troppo banale, non abbastanza bello, non corrisponde ai canoni attuali della bellezza. 
Si arrabbiano perché sono troppo grassi, tentano di nascondere le gambe e preferirebbero non mostrarsi mai così come sono. 
Talvolta questo odio verso il proprio corpo si manifesta nell’anoressia o nella bulimia. 
Ildegarda di Bingen sostiene che l’anima dovrebbe rallegrarsi di abitare nel nostro corpo. Ma molti cristiani non hanno interiorizzato questo atteggiamento di santa Ildegarda. Si vergognano – come si racconta del filosofo greco Plotino – di essere nel loro corpo. Ci vuole un amore umile per il proprio corpo. Devo coscientemente accettarlo volentieri, affinché la mia anima vi si senta a suo agio.

Un altro aspetto della riconciliazione con se stessi esige la pacificazione con i propri lati oscuri. Lo psicoterapeuta svizzero Karl Gustav Jung ha coniato il concetto di «ombra». Intende con ciò tutto quello che abbiamo escluso dalla nostra sfera cosciente. Jung concepisce la persona umana come un essere «polarizzato». 
Abbiamo sempre due poli: amore e aggressività, ragione e sentimento, disciplina e indisciplina, virilità e femminilità. Ogni volta che accentuiamo troppo uno dei poli, l’altro cade nell’ombra e di là agisce distruttivamente sulla nostra vita. Quando reprimiamo i nostri sentimenti, spesso finiscono per esternarsi in un sentimentalismo, in cui siamo sopraffatti dalle emozioni e non sappiamo più come trattare con esse. 
San Benedetto esige dal monaco l’umiltà, humilitas. Questa virtù consiste nel discendere nel regno delle nostre ombre, nell’accettare la condizione terrena e nel pacificarsi con i nostri lati oscuri. Tale pacificazione non significa semplicemente lasciarli sfogare. 
Devo soltanto prenderli sul serio: vogliono che si presti loro attenzione e allora sono soddisfatti. Invece quanto più li si combatte, tanto più intervengono in modo sgradevole, spesso in reazioni spropositate oppure in sogni che procurano ansia.
Ancora più difficile è riconciliarsi con le nostre colpe. Possiamo perdonarci solo perché Dio ci ha perdonato. Ma è necessario far scorrere la fede nel perdono divino anche in tutti i sensi di colpa e i rimproveri che ci facciamo per i nostri sbagli. Molti affermano di credere nel perdono da parte di Dio, ma continuano a rinfacciarsi di aver fatto questo o quell’errore. Non riescono a perdonare se stessi per il fatto di aver commesso certe colpe. Spesso i sensi di colpa li dilaniano anche su cose di cui non hanno colpa alcuna. Una donna continuava a rimuginare sensi di colpa per il fatto di non essere stata presente nell’istante in cui la madre era morta, benché per molti anni si fosse presa cura di lei. Far pace con le proprie colpe e con i sensi di colpa richiede che mi distacchi dall’illusione di poter andare in giro per tutta la vita con una veste candida. Che lo voglia o no, mi macchio di qualche colpa. Dobbiamo per forza ricorrere al perdono di Dio, per poter perdonare a noi stessi. Ma spesso in noi c’è un giudice spietato, il nostro Super-io, che continuamente ci giudica quando non obbediamo alle norme che abbiamo appreso dai nostri genitori. Riconciliazione significa gettare giù dal trono questo giudice spietato e credere alla misericordia di Dio. Su questo punto ci può aiutare la meditazione sulle parole della Prima Lettera di Giovanni: «Se anche il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1Gv 3,20).
La riconciliazione con me stesso non avviene mai una volta per sempre. È un processo che dura per tutta la vita: in me scopro continuamente aspetti che non posso accettare bene. Quindi sono di nuovo sfidato a dire di sì a quello che vorrei ben volentieri far finta di non vedere. Si richiede una grande umiltà per guardare i propri lati oscuri e metterli davanti a Dio, perché disturbano l’immagine di noi stessi che ci siamo costruiti e perché ci mettono a confronto con la nostra vera realtà. Ma è la verità che ci farà liberi, come Gesù ci ha già promesso (Gv 8,32).


3. Riconciliazione con gli altri
Solo chi è riconciliato con se stesso è capace di riconciliarsi anche con gli altri. Molti incontrano grosse difficoltà nel perdonare gli altri. Esigono troppo da se stessi, perché pensano di dover perdonare immediatamente. Il perdono è sempre un processo che richiede tempo. Alcune persone non guariscono perché non sanno perdonare. Finché non riescono a perdonare, rimangono legate a colui che le ha ferite, si lasciano condizionare da lui. Nella mia esperienza di accompagnamento, incontro continuamente persone che per lunghi anni portano dentro di sé il rancore verso qualcuno. L’astio divora la loro anima e ruba le loro energie: e abbastanza spesso finiscono anche per ammalarsi. La riconciliazione con quelli che mi hanno ferito nel corso della mia vita, non è semplicemente una decisione della volontà. È piuttosto un processo che secondo me avviene in cinque fasi.
Il primo passo richiede che io lasci spazio al dolore. Non debbo scusare troppo presto colui che mi ha ferito. È del tutto indifferente se l’altro mi ha ferito apposta oppure non poteva fare altrimenti: il fatto è che mi ha fatto soffrire. E questo dolore devo nuovamente percepirlo nella sua realtà. Mi sono sentito abbandonato, sminuito, preso non seriamente in considerazione.
Il secondo passo consiste nel lasciar spazio alla collera (rabbia). La collera è la forza di buttare fuori da me colui che mi ha ferito. Collera non vuol dire mettermi a gridare contro l’altro oppure ferirlo a mia volta. Essa consiste invece nel prendere una sana distanza dall’altro. Posso dirmi per esempio: non penso più continuamente a lui; gli impedisco di entrare in casa mia, cioè gli proibisco di abitare nel mio intimo, di occuparmi continuamente di lui nei miei pensieri. Nello stesso tempo devo trasformare in energia questa collera: posso vivere da me stesso; non ho bisogno dell’altro perché la mia vita abbia un esito positivo.
Il terzo passo si riferisce al guardare oggettivamente ciò che è accaduto. Cerco ora di comprendere perché l’altro mi ha ferito. Forse non ha fatto altro che trasmettere le ferite che a sua volta aveva ricevuto. Mi sforzo quindi di capire me stesso: per quale motivo il comportamento dell’altro mi ha fatto soffrire così tanto. Forse l’altro ha toccato in me un’antica piaga, un posto dove non mi sono ancora riconciliato con me stesso. Questa riflessione diventa un invito a occuparmi di questa zona così vulnerabile e ad accettare me stesso con questa mia vulnerabilità.
Il quarto passo della riconciliazione con l’altro consiste propriamente nell’atto del perdono. Perdonare significa che mi libero dal legame con l’altro. Lascio che il suo comportamento rimanga in lui e così mi distacco dall’altro. Il perdono è sempre un segno di forza e non di debolezza. Rinuncio a girare continuamente attorno alle mie ferite. Se queste sono però troppo profonde, non riesco ancora a incontrarmi con l’altro, nonostante il mio perdono. Devo allora accettare i miei limiti. Ho perdonato all’altro, ma non sono ancora capace di costruire con lui un rapporto normale. Molti psicologi hanno sperimentato, tra le altre cose, che il perdono è un atto terapeutico, che rende possibile la guarigione delle proprie piaghe e ci libera dal rimuginare continuamente il nostro passato. Il perdono ci rende capaci di impegnarci nel momento presente con tutto il nostro essere.
Il quinto passo della riconciliazione trasforma le piaghe in perle. 
Ildegarda di Bingen sostiene che la riuscita della vita dipende dal fatto che le nostre piaghe vengano trasformate in perle. Se compissi soltanto i primi quattro passi, avrei sempre la sensazione di subire un danno, poiché ero stato ferito in modo veramente grave. Il quinto passo mi mostra che nelle mie ferite si trova un tesoro prezioso. Là dove mi hanno ferito sono crollate le mie maschere e ho potuto mettermi in contatto col mio vero Sé. Le piaghe mi fanno sentire vivo, mantengono sveglia in me la nostalgia di Dio e mi aprono verso le persone con le loro ferite. Dato che io stesso sono stato ferito, posso meglio comprendere le altre persone con le loro piaghe. Molti terapeuti e pastori d’anime hanno trasformato le loro piaghe in perle. Gli antichi greci sapevano già che solo il medico ferito poteva veramente guarire. 
Se le mie piaghe vengono trasformate in perle, non porto più rancore contro quelli che mi hanno ferito. Allora il perdono non è soltanto qualcosa di passivo, ma rende possibile la scoperta delle mie energie e mi dà fiducia di imprimere in questo mondo la traccia inconfondibile e del tutto personale della mia vita.

Questi cinque passi della riconciliazione con l’altro si possono percorrere senza parlare con l’altro. Spesso però è di grande aiuto chiarire la ferita con un altro. È sempre necessaria tuttavia la prudenza nel giudicare se il dialogo con l’altro sia veramente opportuno. Se dico a dei genitori anziani che mi hanno ferito, li metterò in confusione e pretenderei troppo da loro. Il processo della riconciliazione avviene dentro di me. Spesso è bene parlarne con una terza persona, ad esempio nell’accompagnamento pastorale o in una analisi terapeutica. Se si tratta di ferite attuali, devo decidere se per me è meglio segnalare all’altro che mi ha ferito, oppure se posso perdonargli interiormente. Se dico all’altro che mi ha ferito, ciò non deve essere in alcun modo una rimostranza, bensì un’informazione, affinché sappia come il suo comportamento si riflette su di me.

Un’altra questione è se devo dire all’altro che lo si perdona. Il direttore di una fabbrica mi raccontava di avere un conflitto con la sua segretaria. Durante la discussione, la donna disse: «Le perdono in nome di Gesù». 
Per il direttore fu come uno schiaffo in faccia. Infatti in questa frase risuonava implicitamente: «Tu sei colpevole. Sei un tipo cattivo, ma io sono una persona spirituale e di animo generoso e ti perdono». 
Per l’altro, simili dichiarazioni di perdono sono un’accusa. Non producono alcuna riconciliazione, bensì rendono il disaccordo più profondo. 
Quando l’altro non accoglie il nostro perdono, abbiamo sempre la sensazione di essere persone migliori di lui. 
Nel monachesimo dei primi secoli cristiani, si racconta la storia di un monaco che andò dal suo vecchio padre spirituale lagnandosi che suo fratello non aveva accettato il suo perdono. 
Allora il vecchio abate gli rispose: «Guarda bene dal non metterti al di sopra di tuo fratello. Immagina di aver peccato contro di lui e va così da tuo fratello». Quando il monaco andò dal fratello con questo atteggiamento, fu il fratello che gli andò incontro e i due si abbracciarono. Certamente il fratello si era accorto del cambiamento avvenuto nel monaco. Il nostro perdono potrà giungere fino all’altro solo quando è inteso sinceramente e riusciamo a scorgere anche la nostra parte di colpa.


4. Riconciliazione con Dio
Il messaggio fondamentale della Bibbia è che Dio ha riconciliato gli uomini con sé. 
Dio non ha bisogno di essere riconciliato, perché egli è per essenza amore e misericordia. È l’uomo invece, diventato colpevole, che si è separato interiormente da Dio. La colpa significa sempre una spaccatura. Se mi addosso una colpa, ho sempre l’impressione di non poter più comparire innanzi agli occhi degli altri e di dovermi nascondere – come Adamo ed Eva – davanti a Dio. Il messaggio dell’amore misericordioso di Dio, che colma questa spaccatura interiore, mi permette di presentare a Dio tutto quello che c’è dentro di me. 
La croce di Gesù non produce il perdono. Dio non perdona perché Gesù è morto in croce, ma perché egli è Dio. Tuttavia la croce è per noi la più efficace comunicazione del perdono. Quando vedo che Gesù in croce perdona ai suoi uccisori, posso confidare che in me non c’è nulla che non possa essere perdonato. Così la croce rafforza la mia fiducia nell’amore perdonante di Dio. Se medito la croce, so questo: sono accolto da Dio incondizionatamente. Anche la mia colpa non mi separa da lui.
La riconciliazione parte da Dio. Ma anch’io devo riconciliarmi con Dio. Spesso in me c’è una ribellione contro di lui. Non gli posso perdonare di avermi creato così come sono. Non gli posso perdonare che mi abbia destinato un genere di vita come quello che ho, di non avermi preservato dai miei errori e colpe. E così anch’io devo perdonare Dio che mi ha posto nella difficile situazione che mi tocca affrontare. In definitiva, la riconciliazione con Dio richiede che mi liberi dalle false immagini di Dio e di me stesso, per affidarmi al mistero inafferrabile di Dio. Allora potrò sperimentare la vera pace e riconciliazione con lui.

Ma la riconciliazione con Dio implica ancora un ulteriore aspetto. Quando faccio l’esperienza di Dio, sperimento anche la riconciliazione non solo con lui, ma anche con tutto ciò che esiste. Ho accompagnato per molti anni nella terapia una donna che cercava di superare le ferite ricevute dalla madre. Tutto lo sforzo di analizzarle non le era giovato a riconciliarsi veramente con la madre. Durante una celebrazione liturgica aveva sperimentato la vicinanza guaritrice di Dio. E ad un tratto si è sentita una sola cosa con se stessa e in accordo con tutta la sua vita. Non c’era più alcun odio verso la madre, ma solo amore. La vera esperienza di Dio è sempre anche esperienza di riconciliazione. Se sono una cosa sola con Dio, sono una sola cosa anche con tutto quello che è dentro di me, con gli altri, con la mia vita, con Dio. Sperimento una profonda pace interiore. Tuttavia non posso fissare questa esperienza di essere riconciliato. È sempre solo un istante quello in cui sono una sola cosa con Dio, ma è un istante che mi mostra che cos’è veramente riconciliazione: essere una sola cosa con tutto ciò che esiste; essere in accordo con il Dio inafferrabile e con quello che egli ha mi ha riservato.

5. Riconciliazione e guarigione
La riconciliazione è un percorso importante per giungere alla guarigione. Guarire non significa che Dio ci toglie e fa sparire le nostre piaghe, bensì che noi apriamo le nostre piaghe per Dio e in lui diventiamo sani e integri. 
Le piaghe fanno parte della nostra identità, non ci separano né da Dio né dal nostro vero Sé. Al contrario aprono in noi una breccia che ci fa scoprire il nostro vero Sé, l’immagine originaria e autentica di Dio in noi. Chi si riconcilia con se stesso, con gli uomini e con Dio, sente di essere una persona nuova. Paolo lo ha formulato così: «Se uno è in Cristo, è una creatura nuova: le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove» (2Cor 5,17).

La vera e propria malattia del nostro tempo – ci dice la psicologia – è la mancanza di relazione (di riferimenti). Gli uomini non sono capaci di mettersi in relazione con se stessi, e neppure con le cose, con gli altri e con Dio. La riconciliazione è il mezzo per mettersi in relazione con tutto quello che c’è in me, così da non escludere più niente dal mio vero Sé. Colui che mette tutto in relazione con il Sé più intimo, il Cristo in noi, è totalmente risanato e salvo, e sperimenta se stesso come un uomo nuovo. 
Per Paolo riconciliazione è un altro concetto (un sinonimo) per esprimere la redenzione. Sulla croce Dio ha riconciliato a sé gli uomini con tutte le loro contraddizioni. L’uomo lacerato diventa in tal modo risanato e integro, si sente un essere nuovo. Le cose vecchie sono veramente passate. In Cristo l’uomo ha trovato la sua nuova identità, un’identità in cui egli non ha più bisogno di escludere niente, né da se stesso, né davanti a Dio. 
Ha la capacità di vedere con occhi nuovi se stesso e anche il mondo attorno a sé. Da lui la riconciliazione si espande in tutto l’ambiente in cui vive. In tal modo, per suo mezzo, anche il mondo che lo circonda viene ri-creato. 
Nella riconciliazione muore l’uomo vecchio che giudica se stesso. Siamo così liberi di camminare nella novità della vita divina (cf. Rm 6,4). La «novità di vita» non è un’affermazione puramente teologica, ma si riferisce alla nostra esperienza. Chi si riconcilia con se stesso, vive se stesso in modo diverso da prima. Non vive più sul piano del rifiuto o della estraniazione da sé, bensì come una persona unificata nel proprio intimo, rinnovata, riconciliata e capace di donare riconciliazione agli altri. 

- Anselm Grün -
scrittore, monaco dell’abbazia benedettina di Münsterschwarzach in Germania, traduzione di Luigi Dal Lago, in Credere Oggi, 145/2005)


Lo so ..  lo so .. quest'ultima citazione non vi piace....

Buona giornata a tutti. :-)





giovedì 2 aprile 2020

Brani estratti del libro “Ti ho chiamato per nome” di Anselm Grün - 3

Il tuo nome ti rammenta il giorno del battesimo. Infatti sei stato battezzato col tuo nome. Aspergendo l'acqua su di te, il sacerdote ha pronunciato queste parole: «Alberto, ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». 
Nel battesimo il tuo nome è stato legato a quello del Dio uno e trino. Il battesimo ti ha unito a Dio, tuo padre, che ti ha pensato e creato. 
Ha creato un'unione spirituale con Gesù che si è fatto uomo come te e ti accompagna come un fratello. E ti ha riempito di Spirito Santo, che trasforma ogni cosa dentro di te e ti ha ricolmato di vita e amore divini. 
Da quel momento partecipi della comunione con il Dio uno e trino. 
Non sei semplicemente in te stesso. Sei già in ogni momento nel Signore, immerso nell'amore divino.
Sei stato asperso con acqua. Ogni volta che ti fai il segno della croce con l'acqua benedetta ti viene ricordato il momento del battesimo. Il battesimo è la promessa che non seccherai mai, che non perderai mai il legame con la fonte dello Spirito Santo che zampilla dentro di te. Dissetandoti a questa fonte puoi lavorare molto senza sfinirti. Perché la fonte da cui attingi è inesauribile, poiché è divina. Lì avrai sempre voglia di vivere, potrai sempre essere creativo. La fonte dello Spirito Santo è in te. 
Ti ristorerà, guarirà le tue ferite e renderà feconda la tua vita.
L'acqua del battesimo significa anche qualcos'altro. Con l'acqua ci purifichiamo. Che cosa viene lavato via nel battesimo? 
Si tratta forse del peccato originale? E’ il peccato del singolo? E’ il sudiciume del mondo? 
Per me il lavacro attraverso l'acqua battesimale significa cancellare la patina che i nostri genitori applicano su di noi o noi stessi creiamo. 
La nostra pura immagine originaria viene offuscata da quanto padre e madre proiettano su di noi. In questo caso mia madre non mi percepisce come sono realmente. 
Vede piuttosto in me tutto ciò che non ha potuto sperimentare e mi spinge a vivere la sua esistenza non vissuta. 
Oppure i genitori vedono in me tutto ciò che hanno vietato a se stessi, i loro bisogni e le loro passioni rimosse. 
Così la loro immagine si sovrappone al mio io e offusca il mio pensiero e i miei sentimenti. 
Non crescerò mai nella forma che il Signore ha pensato per me. Il battesimo è la promessa che Dio laverà via questa patina. Spesso si tratta di una patina che creo io stesso. 
Non mi vedo come sono realmente, bensì attraverso gli occhiali della mia ambizione o dello svilimento e del disprezzo di me stesso. 
Anche questa patina va lavata via, affinché la pura immagine di Dio possa farsi visibile in me.
Il tuo onomastico vuole farti toccare l'immagine autentica che Dio ha disegnato di te. Segnati in modo consapevole con l'acqua benedetta e immagina come il Signore ti purifichi dalla patina con cui la vita ti ha intorbidato, come diventi più limpido e puro, chiaro e autentico. Ricordati del battesimo, in cui sei stato unto re, sacerdote e profeta. Hai una dignità regale. Sei un profeta. Hai qualcosa da comunicare a questo mondo che tu solo puoi annunciare. E sei sacerdote o sacerdotessa. Sei in grado di scoprire i segni di Dio in questo mondo. E hai la capacità di tramutare le cose terrene in divine, di accogliere lo Spirito di Dio che libera e guarisce.

- estratto da: “Ti ho chiamato per nome” di Anselm Grün, ed. Querininana - 



Puoi leggere nel nome di Dio e di Gesù il significato del tuo nome. Nel nome di Dio è espressa la sua essenza, in quello di Gesù la sua azione salvifica e redentrice. Oggi, giorno del tuo onomastico, medita sul nome di Dio che ti promette di essere sempre con te e dalla tua parte. 
Medita sul nome di Gesù attraverso la preghiera dedicata a lui. Sovrapponi il nome di Gesù al tuo. 
Non ti si rivelerà solo il vero significato del tuo nome. Sentirai anche come attraverso il nome di Gesù ritrovi te stesso, la tua essenza più vera, il tuo Io autentico creato da Dio. E forse allora potrai intuire anche tu qualcosa della “dolcezza” del tuo nome, del fatto che il tuo nome lascia in te un gusto piacevole, che il tuo nome è pieno di amore. 
Nel tuo nome si condensa l'amore di cui ti avvolge il Signore, riversandolo in te con lo Spirito Santo. 
Nel nome incontri l'amore che ti portano gli altri. Riversa nel tuo nome anche il tuo amore e la tua tenerezza. Pronunciando il tuo nome con amore dici di sì a te stesso e ti accetti. 
Nel pronunciare con tenerezza il tuo nome cresce l'amore per te stesso.
Il tuo nome ti conduce alla parte più intima di te stesso. Nel nome sei te stesso in modo assoluto. Tutti i nomi e i giudizi pronunciati dalla gente su di te svaniscono. Lì percepisci il tuo vero io, l'immagine autentica e incontaminata di Dio in te. Là dove tu sei tu, in modo assoluto, sei pieno di amore e di bontà come Gesù. Lì sei in armonia con te stesso. 
Vivi la pace, la forza vitale e la libertà. 
Sei redento, libero, limpido e puro, risanato e completo. Quando mediti sul tuo nome e senti il suo puro suono, si realizza ciò che sant'Ireneo ha detto della dignità umana: «Gloria dei - homo vivens = La gloria di Dio è l'uomo vivente». 
Quando nel Padre nostro dici «Sia santificato il tuo nome» prega Dio che la sua gloria divina rifulga anche nel tuo nome, che l'energia vitale del Signore fiorisca in te.

Brani estratti del libro “Ti ho chiamato per nome” di Anselm Grün
monaco benedettino – Ediz. Queriniana


Buona giornata a tutti. :-)


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lunedì 2 marzo 2020

Brani estratti del libro “Ti ho chiamato per nome” di Anselm Grün - 2 -

Il tuo nome ha un significato. Ti sei già occupato del significato del tuo nome? Qual è la sua radice? 
Sarebbe bene che approfondissi lo studio dell'etimologia del tuo nome. L'etimologia è l'analisi del significato originario autentico di una parola. Riconoscendo il significato letterale del tuo nome scoprirai allo stesso tempo un progetto per la tua esistenza. Il tuo nome ti offre una forma in cui puoi crescere. 
Vorrei citare solo alcuni esempi: Alberto significa «splendente di nobiltà». 
Se ti chiami così, il tuo nome costituisce un segno del fatto che in te c'è qualcosa di nobile, lo splendore della nobiltà interiore. 
Il tuo nome crea uno spazio al cui interno puoi penetrare, nel quale scoprire la tua complessità e la tua bellezza. 
Il mio nome, Anselmo, significa «colui che è protetto dagli dei». E’ un nome che mi conforta. Non sono solo al mondo. Dio tiene la sua mano protettiva su di me. Nel corso della mia vita l'ho sperimentato spesso. 
Giovanni significa «Dio è misericordioso». Chi porta questo nome vive sotto il segno della promessa che Dio lo circonda sempre e in ogni luogo della sua presenza d'amore risanatrice, che la grazia divina assorbe, trasformandoli, tutti i suoi fallimenti e le sue colpe.
Prendendo in considerazione il tuo nome potrai comprendere esperienze che hai già vissuto. 
Ti apri a ciò che è già presente in te e nella tua persona, che però spesso, nella routine quotidiana, non vedi. 
Il nome ti mostra il tuo potenziale nascosto, ti mostra sotto il segno di quale promessa stia la tua vita.

- estratto da: “Ti ho chiamato per nome” di Anselm Grün, ed. Querininana - 




Consulta un dizionario specifico per conoscere l'etimologia del tuo nome. Cosa ti fa venire in mente? 
Che cosa ti colpisce? Dai fiducia al significato nascosto del nome. Fallo tuo attraverso la meditazione e poi osserva te stesso. Che cosa scopri di nuovo che finora non avevi notato? 
Come ti senti a confidare nel fatto che il tuo nome non è soltanto un suono vuoto, ma esprime la tua essenza, e che in esso si cela una promessa? Anche se ti sembra di essere lontano da quanto esprime il tuo nome, puoi crescere nella sua realtà, scoprendo così per la prima volta quanto è nascosto in te.
 Il tuo nome ti rimanda al tuo santo patrono. 
Il giorno del tuo onomastico la Chiesa celebra la festa del santo di cui porti il nome. 
Se ti occupi del tuo santo protettore, scoprirai in te alcune cose che non noti badando solo alla tua storia familiare. 
Hai delle capacità che non derivano esclusivamente dai genitori. Il santo patrono vuole indicarti le possibilità celate dentro di te. Se osservi la sua figura, puoi crescere attraverso di essa e scoprire l'immagine unica che Dio si è formato di te. Nella figura del santo protettore puoi riconoscere l'immagine autentica e non deformata di te che nasce dalla mano creatrice di Dio.
Sono affezionato al mio santo patrono, sant'Anselmo. 
Due aspetti del suo carattere sono per me particolarmente importanti. 
Per prima cosa, si dice che sant’Anselmo fosse una delle persone più amabili della sua epoca. Ciò mi sprona a sviluppare l’amabilità in me stesso. In secondo luogo sant’Anselmo fu uno dei teologi più importanti del suo tempo, la cui teologia però scaturiva dalla preghiera. 
Il giorno di sant'Anselmo, il 21 aprile, prendo sempre un suo libro per leggerlo. Di solito si tratta delle preghiere da lui redatte. 
In esse percepisco il suo amore per Cristo, il desiderio di vedere il volto di Dio, la sua sensibilità, il suo grande cuore, ma anche la sua fragilità. Leggendo i suoi testi anche il mio cuore diventa più grande. 
Arrivo a sentire il mio desiderio di vedere il volto di Dio e trovare pace nel Signore. 
Prego sant'Anselmo di donare anche a me quell'amore che lo ha contraddistinto, di far sì che anch'io come lui mi sforzi sempre di riconoscere il Signore in ogni cosa, vedendolo come il vero scopo della mia vita. 
Per me l'onomastico è sempre un giorno prezioso, non solo perché i miei confratelli e amici mi fanno gli auguri. 
Il giorno del mio onomastico riacquisto la consapevolezza di chi sono veramente e di quale sia la traccia indelebile che vorrei lasciare in questo mondo. 
Il giorno del mio onomastico mi sento in comunione con sant'Anselmo. Questo mi fa bene. Mi fa sentire a casa, al sicuro, con un compagno di strada che percorre con me ogni via e che mi svela la ricchezza della mia esistenza.
Leggi in un martirologio la storia della vita del tuo santo patrono. Cerca dei libri per poter apprendere qualcosa su di lui. Magari ti risulterà simpatico. 
In lui hai un maestro interiore che ti conduce alla pienezza di vita. Leggendo la sua biografia, con tutti gli alti e bassi che ha attraversato, comprendi meglio te stesso. 
Il santo ti incita a lavorare su te stesso, affinché sviluppi quanto è celato in te, affinché non ti accontenti della mediocrità. 
Se ti chiami Francesco o Francesca la vita di san Francesco ti affascinerà e ti aprirà gli occhi per riconoscere lo splendore della creazione e cantare il Signore come suo creatore. Sant'Alfonso ti mostrerà il suo grande cuore. Sant'Ignazio ti ha mostrato con il suo esempio come reagire ai colpi del destino senza demordere.
Esistono tuttavia anche santi la cui storia si perde nella notte dei tempi. 
Da un punto di vista storico sappiamo pochissimo di loro, ci sono state tramandate solo delle leggende. 
Eppure molte volte proprio nelle leggende viene espresso l'aspetto fondamentale di quel santo. 
Se ad esempio prendi in considerazione la leggenda di san Cristoforo, vedrai che in essa si svela il segreto della sua esistenza. Era un uomo alla ricerca di qualcosa, che ha seguito la sua inquietudine fino a trovare Dio stesso. Ed è l'uomo che sta sulla riva e ci aiuta a superare bene i fiumi che attraversano la nostra esistenza. 
Se ti chiami Barbara, riconoscerai in lei il mistero della donna sacerdotessa. 
E’ la consolatrice degli agonizzanti e porta loro Cristo nel calice dell'Eucaristia. Quando venne colpita, le sue ferite si tramutarono in nuova bellezza. 
In questo modo assicura anche a te che le tue ferite si tramuteranno in perle. Caterina è la donna pura e sincera, la regina che ti rende sempre consapevole della tua dignità e la donna saggia che supera tutti i dotti del mondo in saggezza. Fidati della saggezza celata dentro di te. E’ sufficiente per riuscire a superare le difficoltà in questo mondo.
Nei santi diventa evidente l'azione di Dio sugli esseri umani. Alcuni santi sono modelli da emulare. Altri esprimono in misura maggiore l'operato di Dio. Dimostrano che Dio sana tutte le tue ferite e trasforma i tuoi bisogni. 
I santi sono come un prisma che riflette l'operato di Dio su di noi. 
Mostrano come Dio trasformi gli esseri umani e come vorrebbe trasformarti affinché tu viva quanto di autentico è celato dentro di te, così che tu possa sfiorare la pura immagine scaturita dalle mani del Signore.

- estratto da: “Ti ho chiamato per nome” di Anselm Grün, ed. Querininana - 




Il tuo santo patrono ti dimostra che non sei solo durante il cammino della tua esistenza. 
Qualcuno ti accompagna lungo la tua vita. 
Il santo di cui porti il nome viene con te. E’ come un angelo che ti protegge, che ti segue quando sbagli strada o prendi una deviazione, finché ti conduce alla meta. Il santo vuole incoraggiarti ad andare avanti quando ti sembra che le tue forze siano esaurite. 
Ti rialza quando cadi. Ti mostra che non è mai troppo tardi per tornare indietro. E vuole dirti che tutto ciò che è in te ha il diritto di esistere. Dio può trasfigurare ogni lato di te. Non devi vergognarti di non essere santo quanto il tuo patrono. Anche lui non lo è sempre stato. Anche lui è passato attraverso alti e bassi, luci e ombre per ritrovare Dio in ogni cosa. 
E’ al tuo fianco persino quando tu stesso non riesci a sopportarti, quando vengono alla luce così tanti aspetti insostenibili di te stesso. 
Il tuo santo patrono non ti da mai per perso. 
Ti incita a non svalutare te stesso, ma a scegliere sempre la vita.
Il tuo patrono è il tuo intercessore presso Dio. Puoi pregarlo di intervenire per te quando ne hai bisogno. E’ ovvio che puoi anche pregare direttamente Dio di aiutarti. Ma pregando il tuo santo patrono percepisci nella preghiera qualcosa di umano. Sei rappresentato dal tuo santo protettore davanti al trono di Dio. Non devi pregare da solo. 
Qualcuno prega per te. 
Quando la tua preghiera ammutolisce, quando non trovi più parole, quando la tua fiducia vacilla, il tuo santo patrono continua a pregare per te. 
Quando dialoghi con lui, sai che egli è presso Dio. 
Qualcuno che sta dalla tua parte è davanti al Signore. Attraverso di lui raggiungi l'ambito divino, in lui sei già rappresentato davanti a Dio, una parte di te si trova già presso il Signore. Poiché attraverso il nome sei unito al santo che si chiama come te.
Prega il tuo patrono soprattutto quando hai la sensazione di aver smarrito la strada, quando sei così lontano da ciò che esprime il tuo nome o da quanto ha incarnato il santo che festeggi oggi, il giorno del tuo onomastico. 
Pregalo di farti avvicinare a quanto è autentico, di aiutarti a scoprire l'immagine unica che Dio ha di te e a tradurla in realtà ogni giorno di più. Pregalo di stare al tuo fianco anche nell'anno che verrà, affinché la tua strada ti conduca a una libertà, a una forza vitale e un amore sempre crescenti.

- estratto da: “Ti ho chiamato per nome” di Anselm Grün, ed. Querininana - 



Buona giornata a tutti. :-)


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martedì 25 febbraio 2020

Brani estratti del libro “Ti ho chiamato per nome” di Anselm Grün - 1 -

I tuoi genitori ti hanno dato un nome. 
Dal giorno della tua nascita ti hanno chiamato con quel nome. Il nome è parte essenziale di te. Attraverso di esso trovi la tua identità. Quando venivi chiamato con il tuo nome, sapevi che si riferiva solo a te. 
Conti nella tua qualità di persona unica. Hai un nome. 
Attraverso questo nome ti differenzi dagli altri. 
Non sei un numero interscambiabile. Il nome diventa parte integrante della tua identità. Nel tuo nome è riassunta tutta la storia della tua vita. 
I tuoi genitori ti hanno chiamato con quel nome, ma nel corso della tua esistenza gli hai dato un significato con il tuo modo di sentire e di pensare, con la tua azione. Anche in bocca ai tuoi amici il tuo nome assume un sapore particolare. Altre persone possono chiamarsi come te, ma il tuo ha un suono totalmente diverso, unico, speciale. 
Quando si chiama il tuo nome, esso si riferisce a te, a te e alla tua inconfondibile persona.

tratto da: “Ti ho chiamato per nome” di Anselm Grün, ed. Queriniana


Il modo in cui percepiamo il nostro nome è legato alle persone che ci chiamano così. Quando le persone care ci chiamano con questo nome, tutto il loro affetto e il loro amore si condensa in esso. Sento il mio nome e già si risveglia il ricordo di come mio padre, mia madre, i miei fratelli, i miei zii lo hanno pronunciato. Il loro amore è condensato in questo nome. Mi raggiunge ogni volta che si fa il mio nome. 
Forse la tua ragazza o il tuo ragazzo, tua moglie o tuo marito hanno donato al tuo nome un nuovo suono. Forse in esso hai udito qualcosa che prima non avevi mai collegato al tuo nome.
Quando i tuoi compagni di scuola ti hanno preso in giro per il tuo nome, lo hanno abbreviato o storpiato, lo hai forse trovato brutto. Ma è bene che ti ricordi di tutte le persone che hanno riversato il loro amore nel tuo nome. 
Il modo in cui percepisci il tuo nome dipende anche da chi altro lo porta. Se tuo padre o tua madre si chiamano come te o se ti è stato dato il nome di tuo nonno o di tua nonna o di un tuo zio, tutto ciò ti riempie di orgoglio. 
Continui la tradizione familiare. Ti senti in dovere di rappresentare su questa terra un po' dello spirito dei tuoi genitori o dei tuoi nonni, di tramandarlo. 
Nel tuo nome sopravvive una parte di quanto hanno vissuto i tuoi antenati.
Tutti coloro che pronunciano il tuo nome indicano te così come sei. Connotano il nome attraverso il significato del rapporto che hanno con te, attraverso i loro sentimenti, attraverso il loro amore e il loro affetto, talvolta purtroppo attraverso i loro pregiudizi e il loro risentimento. 
Lascia i pregiudizi a quelli che li hanno. Isola nel tuo nome solo l'amore e la dolcezza che gli attribuiscono Dio e gli uomini. 
Pronuncia il tuo nome lentamente e ad alta voce. Assaporalo e gustalo. Com'è? 
Quali sensazioni lascia? 
Che immagini fa scaturire dentro di te?



tratto da: “Ti ho chiamato per nome” di Anselm Grün, ed. Queriniana


Non solo gli uomini ti hanno chiamato per nome, bensì anche Dio. Nel libro del profeta Isaia Dio dice a Israele: «Non temere perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni» (Is. 43,1). Ciò vale anche per te. Quando Dio ti chiama per nome esprime con questo il fatto che per Lui sei importante. Davanti a Dio sei unico. Dio stesso ti ha creato. Tu gli appartieni. Nessun essere umano ha potere su di te. Dio riversa il suo amore divino nel tuo nome. Dio si rivolge a te, Dio ti conosce per nome, conosce il tuo cuore, sa che cosa provi. Si rivolge a te personalmente. 
Ha una relazione individuale con te. Non sei solo uno tra i tanti. Sei unico. Per Dio hai un'importanza tale che si rivolge personalmente a te per prometterti qualcosa di bello, qualcosa destinato a essere un sostegno per la tua vita, qualcosa che costituisce le fondamenta su cui edificare la tua esistenza. Il nome con cui Dio ti chiama ti dimostra la tua inconfondibile dignità di essere umano.
Quando la Chiesa celebra la festa di San Giovanni Battista canta nell'antifona la sua nascita con le parole tratte dal libro del profeta Isaia: «Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome» (Is 49,1). 
Dal momento della tua nascita in poi il Signore ti ha chiamato per nome. E ti ha chiamato a fare qualcosa. 
Hai una missione in questo mondo. 
La tua vocazione è quella di contribuire a far sì che questo mondo appaia più umano e più degno di essere vissuto. 
Attraverso di te, qualcosa che può farsi visibile solo grazie a te vuole risplendere in questo mondo. Dio ti dice: «Mio servo tu sei, sul quale manifesterò la mia gloria» (Is 49,3). Dio ha un progetto speciale per te. 
In te deve rifulgere la sua gloria. In te deve apparire un po' della bellezza divina. 
Sei un prisma attraverso il quale Dio appare in questo mondo in modo unico e irripetibile.
Gesù come buon pastore «chiama le sue pecore una per una» (Gv 10,3). 
Ogni singola persona è per lui così importante che dona la sua vita per lei. Poiché intercede per ognuno di noi, ciascuno si sente protetto. Il sacrificio di Gesù ci dona la vita eterna, la vera vita. «Io do loro vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano» (Gv 10,28). Gesù non ha soltanto chiamato i discepoli per nome in un lontano passato, anche oggi pronuncia il tuo nome. 
Gesù ti conosce personalmente. Conosce i tuoi sentimenti, i pericoli che ti minacciano, le tue doti.
Desidera una relazione personale con te. Se entri in relazione con Lui, ti donerà la vita eterna, una vita degna di questo nome. 
Vita eterna significa vita autentica, un'esistenza in cui cielo e terra, Dio e essere umano sono uniti tra di loro. Quando Gesù ti chiama per nome, nessuno ti può rapire dalla sua mano, nessuno ti può sciogliere dal tuo legame con Lui. 
La sua mano ti protegge, ti dona un riparo e ti sostiene.
Dopo la risurrezione Gesù chiamò Maria Maddalena per nome. Ciò penetrò fin nel profondo del suo cuore. Maria cadde in ginocchio e disse: «Rabbuni = Maestro mio». Nel momento in cui udì il suo nome dalle labbra di Colui a cui doveva la vita, avvenne in lei la risurrezione. Il suo lutto venne trasfigurato, le lacrime smisero di scorrere. Si sentì di nuovo amata, risollevata alla sua dignità inviolabile. Nel proprio nome percepì l'amore di quel Gesù che aveva scacciato da lei sette demoni.
Maria Maddalena era infatti così lacerata al suo interno da poter ritrovare se stessa solo con l'accettazione totale di Gesù. Poiché Gesù le si era rivolto con tanto amore riuscì ad accettare se stessa. 
Nel momento in cui Gesù nomina il suo nome dopo la risurrezione, Maria sperimenta la dolcezza risanatrice dell'amore di Gesù. Era un nuovo nome quello datole da Cristo, un nome che la rigenerava. Le cose vecchie si staccarono da lei. La malattia era guarita. Era solamente Maria, l'amata da Dio, l'amica di Gesù, a cui era destinato il suo amore. L'amore di Gesù l'ha rigenerata nel pronunciare il suo nome.
Quando pensi al tuo nome, immagina che Gesù in questo momento ti stia chiamando. Gesù rigenera anche te quando pronuncia il tuo nome. Si rivolge a te, rivolge a te il suo sguardo. 
La sua voce e il suo sguardo ti trasformano nell'immagine unica che Dio ha di te, nell'immagine bella e nuova che rispecchia la gloria di Dio in modo puro. Quando Egli pronuncia il tuo nome vuole dirti: «E’ bene che tu esista. E’ bene che tu sia qui. 
Puoi essere come sei. 
Sei unico. Io ti sostengo. 
Ti amo. 
Ora accettati a tua volta. 
Chiama te stesso con il tuo nome e ricolmalo di tutta la dolcezza di cui sei capace».



tratto da: “Ti ho chiamato per nome” di Anselm Grün, ed. Queriniana


Buona giornata a tutti. :-)


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