Sovrano
indiscusso dell’Olimpo era il potente Zeus, un Dio pieno di sé che non amava
essere disobbedito né contraddetto.
Come
tutti i potenti sovrani, Zeus, aveva gusti difficili, non solo riguardo al cibo
ma anche in amore. Il sogno di tutte le dee era quello di essere la prescelta
sposa del sovrano, ma Zeus sembrava non decidersi mai. Fino a ché un bel giorno
una dea bellissima catturò la sua attenzione e conquistò il suo amore. La dea
si chiamava Demetra ed era figlia di Crono, re dei Titani, e di sua moglie Rea.
Zeus
rimasto estasiato da tanta bellezza chiese la mano di Demetra e la ottenne in
sposa.
Nell’Olimpo
Zeus e Demetra regnavano felici e contenti. Demetra era ben voluta da tutti gli
dei e anche particolarmente amata dagli uomini della Terra. Era la dea
dell’agricoltura e della semina, proteggeva i campi, faceva maturare i frutti e
biondeggiare il grano, ricopriva la terra di fiori e di erbe. Durante i primi
mesi di nozze trascorse il suo tempo a fare quello che sapeva fare meglio, così
sulla terra i frutti abbondavano e deliziavano il palato degli uomini, mentre i
fiori coloravano e profumavano l’atmosfera, dandole un tocco magico.
Zeus
era felice del suo matrimonio e amava profondamente la sua sposa, per questo
dopo pochi mesi le chiese di avere un figlio da lei. Il nascituro sarebbe stato
il frutto del loro amore e il futuro sovrano dell’Olimpo. Dopo qualche mese la
vita matrimoniale di Zeus e Demetra fu allietata dalla nascita di una bambina
alla quale diedero il nome di Proserpina, dal latino “ proserpere” (emergere) a
simboleggiare la crescita del grano. Il padre Zeus, nonostante avesse
desiderato un figlio maschio, alla vista della bambina si innamorò subito di
quella piccola creatura che era il riflesso della madre.
Gli anni passavano e Proserpina cresceva bella, forte e sana. Anche lei come la madre era ben voluta da tutti gli dei dell’Olimpo e dalle piccole ninfe che facevano a gara per poter giocare con lei. Fin da piccolissima intraprese varie attività come voleva la tradizione di corte, infatti tutte le principesse affiancavano ai normali studi classici lezioni di arte, musica, dipinto, ricamo e quant’altro fosse di loro gradimento.
Proserpina amava molto dipingere e trascorreva parte delle sue giornate a raffigurare sulla tela tutti i magnifici paesaggi dell’Olimpo. Tra le altre cose le piaceva molto disegnare abiti che poi la madre faceva realizzare dalla sarta di corte e che lei indossava nelle serate danzanti organizzate dal padre o in quelle dove andavano ospiti. La madre le aveva trasmesso la passione per i gioielli e gli ornamenti vari e lei l’aveva coltivata ottenendo, anche in questa, discreti risultati.
Crescendo la
sua curiosità iniziò a spostarsi verso la terra e tutto ciò che ne faceva
parte. La madre negli anni le aveva parlato di paesaggi bellissimi e fiori dai
mille colori, che lei aveva sempre immaginato e provato a raffigurare nelle sue
tele, sognando il giorno in cui avrebbe finalmente potuto vederli. Sognava di
passare pomeriggi immersa nel verde a dipingere paesaggi e a raccogliere fiori
che avrebbe usato da ornamento per i suoi abiti, o per creare collane e
gioielli. Gli anni passavano ma i genitori non le permettevano di scendere
sulla terra poiché temevano potesse essere pericoloso, finché un giorno, con
grande stupore della madre e della ragazza, Zeus acconsentì a mandarla con
alcune ninfe sulla terra. La madre, che non voleva contraddire il marito, non
si oppose alla scelta di Zeus né provò a convincere la figlia a non andare,
poiché sapeva che questa volta non l’avrebbe ascoltata.
Era ormai divenuta una fanciulla soave, sempre sorridente, con i capelli biondi e
due occhi grandi e profondi.
<<
Ora è grande abbastanza per poter scendere con le altre ninfe sulla terra.
>> Disse Zeus, mentre guardava la moglie che aveva un’aria preoccupata.
<<
Non si è mai abbastanza grandi per incorrere in qualche pericolo, ma non
discuterò la tua decisione, poiché so che non metteresti mai a repentaglio la
vita di nostra figlia. >> Rispose Demetra.
Davanti
all’affermazione di Demetra, Zeus, si sentì come in colpa, ma non lo diede a
vedere per non insospettire la moglie.
Preoccupata
Demetra chiese al marito di poter essere lei ad accompagnare la figlia nel suo
primo viaggio sulla terra, ma questo non acconsentì e con aria adirata le disse
che era arrivato il tempo che permettesse alla figlia di vivere come a tutte le
ragazze della sua età. Prima di andar via disse a Demetra di stare tranquilla,
perché anche se Proserpina non si era mai allontanata dall’Olimpo, con lei ci
sarebbero state le ninfe, che conoscevano bene la terra, dove si recavano quasi
ogni giorno.
Arrivò
il giorno successivo. Il sole quel mattino era più radioso che mai. Proserpina
non stava più nella pelle all’idea di scendere finalmente a visitare la terra.
Mise uno dei suoi abiti più belli e insieme ad altre ninfe sue amiche andò a
fare una passeggiata sulle sponde del lago di Pergusa, nel cuore della Sicilia.
Giunti lì si misero a raccogliere rose, giacinti e viole che sarebbero serviti
per fare delle ghirlande che avrebbero adornato le loro vesti. Mentre ridevano
e si divertivano improvvisamente udirono un forte boato che lacerò l’aria. Le
fanciulle iniziarono a gridare e provarono a fuggire, ma la terra si spaccò e
dai sottofondi uscì, su un cocchio d’oro trainato da quattro cavalli neri, un
Dio bello ma dallo sguardo triste. Era Plutone, Dio delle tenebre, che si era
innamorato di Proserpina e aveva chiesto a Zeus di poterla sposare. Quel
giorno, dopo aver ottenuto il consenso di Zeus, era salito sulla terra per
portarla con sé.
La
ninfa Ciane nel tentativo di salvarla si aggrappò al cocchio di Plutone
cercando di trattenerlo dal tornare sottoterra, ma non poté impedirlo. Questo
suo gesto scatenò la collera di Plutone che la percosse con il suo scettro e la
trasformò in una sorgente.
Attirato
dalle urla arrivò sul posto il giovane Anapo, innamorato della ninfa Ciane, che
vedendosi liquefatta la fidanzata si fece trasformare anch’egli in un fiume.
Questo ancora oggi al termine del suo percorso si unisce alle acque del fiume
Ciane, per poi sfociare con lui nel Porto Grande di Siracusa.
A
nulla servirono le grida disperate di Proserpina e la richiesta d’aiuto al
padre Zeus, che non poté far nulla dopo che aveva acconsentito a Plutone di
sposarla. Prima di sprofondare sottoterra la fanciulla levò un ultimo grido
alla madre, le montagne tremarono e i boschi fecero eco alla sua voce,
permettendo a Demetra di udirle.
Demetra
dall’Olimpo accorse sulla terra in aiuto della figlia. Poco prima di giungere
sul lago incontrò le altre ninfe che scappavano e le fermò. Queste le
raccontarono di essere fuggite via dopo un forte boato che aveva lacerato la
terra e di non avere idea di dove fosse finita Proserpina. A quel punto
ritenendole colpevoli della scomparsa della figlia, per non aver fatto nulla,
le trasformò in sirene e andò via. Sconvolta cercò ovunque l’adorata figlia,
vagando in un lungo e largo per nove giorni. Chiese all’Aurora e al tramonto,
ai fiumi e ai mari, ma nessuno le rivelò cosa fosse accaduto alla figlia.
All’alba del decimo giorno, dopo le vane ricerche, interrogò il sole nella
speranza di ricevere una risposta su quanto accaduto. Il sole nel vederla così
triste le rivelò che a rapirla era stato Plutone, dio delle tenebre, per farla
sua sposa. Prima che Demetra andasse via, per provare a consolarla, aggiunse
che ora Proserpina con il suo sorriso rallegrava il triste mondo degli inferi.
Demetra
disperata andò via e si rifugiò a Eleusi, in un tempio a lei consacrato,
dimenticandosi della terra.
I
giorni passavano e sulla terra i campi iniziarono ad ingiallire, i frutti
marcirono, i fiori appassirono e le spighe si seccarono. La terra divenne
spoglia e brutta. Gli uomini iniziarono a lamentarsi e a buttare al cielo e
agli dei maledizioni di ogni sorta. Non avevano più nulla, i loro campi ormai
erano aridi e non davano più alcun frutto. Molte famiglie di contadini non
avendo più di che vivere caddero in una profonda disperazione. Gli animali da
pascolo andarono in sofferenza per la mancanza di erba da poter mangiare e
anche il loro latte ne risentì, al punto che alcune mucche e alcune capre non
riuscirono a sfamare i loro cuccioli, alcuni dei quali denutriti morirono. La
situazione sulla terra ormai era critica. Occorreva fare subito qualcosa per
bloccare la carestia che da lì a poco avrebbe finito per uccidere tutti,
animali e uomini.
A
quel punto Zeus, avendo compassione degli uomini per tutto quello che stava
accadendo sulla terra, mandò la dea Iride da Demetra per chiederle di tornare
tra gli dei, ma questa non ottenne risposta. Nei giorni successivi tutti gli
dei dell’Olimpo si recarono da Demetra a supplicarla di tornare sulla terra, ma
questa rispose loro che sarebbe tornata solo se avesse riavuto sua figlia.
A
quel punto per impedire una catastrofe sulla terra, Zeus, mandò Mercurio dal re
degli inferi Plutone, per dirgli di restituire la figlia, poiché solo il suo
ritorno avrebbe potuto salvare la terra.
Plutone
acconsentì e lasciò che Mercurio riportasse Proserpina da sua madre, anche se
in cuor suo non voleva perderla per sempre. Mentre la fanciulla si apprestava a
salire sul carro, Mercurio, escogitò un modo per far si che questa dovesse
tornare di tanto in tanto agli inferi. Le offrì dei chicchi di Melograno che la
fanciulla mangiò, ignara del fatto che secondo un’antica legge divina chiunque
mangiasse i chicchi rossi di quel frutto sarebbe rimasto legato al mondo degli
inferi per sempre.
Proserpina
era felicissima all’idea di riabbracciare la madre e con Mercurio si recò a
Eleusi.
Appena Demetra vide arrivare la figlia si rincuorò e corse ad abbracciarla. Madre e figlia, che finalmente si erano ritrovate, parlarono a lungo. Dai racconti della figlia Demetra comprese che ormai il suo legame con Plutone era indissolubile, poiché lei era legata agli inferi e di conseguenza al loro Dio. Non potendo accettare di perdere di nuovo sua figlia, invitò Proserpina ad andare un po’ a riposare, dopo di che si recò da Zeus per convincerlo a fare qualcosa. Giunta da Zeus gli chiese di poter tenere con sé la figlia almeno una parte dell’anno e lui acconsentì, per amore della moglie, della figlia e per far ritornare la terra al suo splendore.
Da quel giorno, ogni volta che Proserpina torna dalla madre, i prati si ricoprono di fiori, i frutti cominciano a maturare e il grano a germogliare.
Quel periodo è quello che sulla
terra chiamiamo la primavera. Nei restanti mesi dell’anno, invece, quando
Proserpina si ricongiunge con Plutone, la terra inizia a sfiorire. Questo
periodo ha inizio con l’autunno e dura fino al ritorno della primavera, quando
Proserpina e la madre si ricongiungono. La leggenda, difatti, narra che le
stagioni nascono proprio dal rapimento di Proserpina.
Il
giorno seguente quando Demetra e la figlia fecero ritorno all’Olimpo, in loro
onore, ci fu una grande festa. In cielo e in terra finalmente tutto tornò al
suo posto e uomini e Dei ricominciarono a vivere felici.
Una luce c’è in primavera
Una luce c’è in
primavera
non presente nel resto dell’anno
in qualsiasi altra stagione –
Quando marzo è appena arrivato
un colore appare fuori
sui campi solitari
che la scienza non può sorpassare
ma la natura umana sente.
Indugia sopra il prato,
delinea l’albero più lontano
sul più lontano pendio che tu sappia
quasi sembra parlarti.
Poi come orizzonti arretrano
o il mezzogiorno trascorre,
senza formula di suono
esso passa e noi restiamo –
e una qualità di perdita
tocca il nostro sentimento
come se a un tratto il guadagno
profanasse un sacramento.
(Emily Dickinson)
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