Nel 1884 Edmondo De Amicis si imbarca sul piroscafo Galileo alla volta dell'Argentina come corrispondente per il "Nacional”. Dal suo viaggio nacque il libro “Sull'Oceano”, una fotografia della società dell’epoca scattata tra le murate di una nave che raccoglieva passeggeri d’ogni ceto sociale, trasportando speranze, tristezze, gioie e paure. Un resoconto di viaggio che ci riporta in altri tempi, un’epoca in cui una traversata atlantica era, per i passeggeri di terza classe, un viaggio all’inferno da cui molti non sarebbero più usciti. …Quando arrivai, verso sera, l'imbarco degli emigranti era già cominciato da un'ora, e il Galileo, congiunto alla calata da un piccolo ponte mobile, continuava a insaccar miseria: una processione interminabile di gente che usciva a gruppi dall'edifizio dirimpetto, dove un delegato della Questura esaminava i passaporti. La maggior parte, avendo passato una o due notti all'aria aperta, accucciati come cani per le strade di Genova, erano stanchi e pieni di sonno. Operai, contadini, donne con bambini alla mammella, ragazzetti che avevano ancora attaccata al petto la piastrina di latta dell'asilo infantile passavano, portando quasi tutti una seggiola pieghevole sotto il braccio, sacche e valigie d'ogni forma alla mano o sul capo, bracciate di materasse e di coperte, e il biglietto col numero della cuccetta stretto fra le labbra. Delle povere donne che avevano un bambino da ciascuna mano, reggevano i loro grossi fagotti coi denti; delle vecchie contadine in zoccoli, alzando la gonnella per non inciampare nelle traversine del ponte, mostravano le gambe nude e stecchite; molti erano scalzi, e portavan le scarpe appese al collo. Di tratto in tratto passavano tra quella miseria signori vestiti di spolverine eleganti, preti, signore con grandi cappelli piumati, che tenevano in mano o un cagnolino, o una cappelliera, o un fascio di romanzi francesi illustrati, dell'antica edizione Lévy. Poi, improvvisamente, la processione umana era interrotta, e veniva avanti sotto una tempesta di legnate e di bestemmie un branco di bovi e di montoni, i quali, arrivati a bordo, sviandosi di qua o di là, e spaventandosi, confondevano i muggiti e i belati coi nitriti dei cavalli di prua, con le grida dei marinai e dei facchini, con lo strepito assordante della gru a vapore, che sollevava per aria mucchi di bauli e di casse. Dopo di che la sfilata degli emigranti ricominciava: visi e vestiti d'ogni parte d'Italia, robusti lavoratori dagli occhi tristi, vecchi cenciosi e sporchi, donne gravide, ragazze allegre, giovanotti brilli, villani in maniche di camicia, e ragazzi dietro ragazzi, che, messo appena il piede in coperta, in mezzo a quella confusione di passeggieri, di camerieri, d'ufficiali, d'impiegati della Società e di guardie di dogana, rimanevano attoniti, o si smarrivano come in una piazza affollata. Due ore dopo che era cominciato l'imbarco, il grande piroscafo, sempre immobile, come un cetaceo enorme che addentasse la riva, succhiava ancora sangue italiano. …..da “ sull’Oceano” di Edmondo de Amicis …Ma lo spettacolo eran le terze classi, dove la maggior parte degli emigranti, presi dal mal di mare, giacevano alla rinfusa, buttati a traverso alle panche, in atteggiamenti di malati o di morti, coi visi sudici e i capelli rabbuffati, in mezzo a un grande arruffio di coperte e di stracci. Si vedevan delle famiglie strette in gruppi compassionevoli, con quell'aria d'abbandono e di smarrimento, che è propria della famiglia senza tetto: il marito seduto e addormentato, la moglie col capo appoggiato sulle spalle di lui, e i bimbi sul tavolato, che dormivano col capo sulle ginocchia di tutti e due: dei mucchi di cenci, dove non si vedeva nessun viso, e non n'usciva che un braccio di bimbo o una treccia di donna. …E il peggio era sotto, nel grande dormitorio, di cui s'apriva la boccaporta vicino al cassero di poppa: affacciandovisi, si vedevano nella mezza oscurità corpi sopra corpi, come nei bastimenti che riportano in patria le salme degli emigrati chinesi; e veniva su di là, come da uno spedale sotterraneo, un concerto di lamenti, di rantoli e di tossi, da metter la tentazione di sbarcare a Marsiglia. …..da “ sull’Oceano” di Edmondo de Amicis Nella copertina de “L’Illustrazione
italiana” il naufragio dell’Utopia, un bastimento inglese che, partito da
Trieste e fatta tappa a Napoli, trasportava 3 passeggeri in 1ª classe, 3
clandestini, 59 membri equipaggio e 813 migranti italiani. Arrivato davanti al
porto di Gibilterra la sera del 17 marzo 1891 con un tempo pessimo e visibilità
ridotta, sbagliò manovra e andò a sbattere contro il rostro di una corazzata
alla fonda. Colò a picco in pochi minuti,
facendo 576 vittime. Quasi tutte meridionali. …Dalla boccaporta spalancata vidi una donna che singhiozzava forte, col viso nella cuccetta: intesi dire che poche ore prima d'imbarcarsi le era morta quasi all'improvviso una bambina, e che suo marito aveva dovuto lasciare il cadavere all'ufficio di Pubblica Sicurezza del porto, perché lo facessero portare all'ospedale. …..da “ sull’Oceano” di Edmondo de Amicis …Quando
salii sul palco di comando, poco dopo le otto, che era l'ora della colazione,
la prua offriva l'aspetto tra d'un mercato di campagna e d'un accampamento di
zingari, che avessero disfatto le tende. Ciascun gruppo d'emigranti aveva preso
il suo posto, dove passava la maggior parte della giornata, e i posti presi,
per consuetudine tradizionale, eran rispettati da tutti. Dovunque si potesse
star seduti senza ingombrare il passaggio, in tutti i cantucci che formavan le
torri di cordami e i mucchi di fieno o di merci addossati all'opera morta,
s'era ficcata, come una covata di gatti, una brigatella di conoscenti o una
famigliuola, con le sue seggiole e qualche cuscino o coperta, e alcune eran
così ben rimpiattate, che vi si sarebbe potuto passar davanti dieci volte senza
scoprirle; poiché la povera gente si adatta a tutti i vani come l'acqua. …..da “ sull’Oceano” di Edmondo de Amicis Cogli occhi spenti, con lo guancie cave, Pallidi, in atto addolorato e grave, Sorreggendo le donne affrante e smorte, Ascendono la nave Come s'ascende il palco de la morte. E ognun sul petto trepido si serra Tutto quel che possiede su la terra. Altri un misero involto, altri un patito Bimbo, che gli s'afferra Al collo, dalle immense acque atterrito. Salgono in lunga fila, umili e muti, E sopra i volti appar bruni e sparuti Umido ancora il desolato affanno Degli estremi saluti Dati ai monti che più non rivedranno. Salgono, e ognuno la pupilla mesta Sulla ricca e gentil Genova arresta, Intento in atto di stupor profondo, Come sopra una festa Fisserebbe lo sguardo un moribondo. Ammonticchiati là come giumenti Sulla gelida prua morsa dai venti, Migrano a terre inospiti e lontane; Laceri e macilenti, Varcano i mari per cercar del pane. Traditi da un mercante menzognero, Vanno, oggetto di scherno allo straniero, Bestie da soma, dispregiati iloti, Carne da cimitero, Vanno a campar d'angoscia in lidi ignoti. Vanno, ignari di tutto, ove li porta La fame, in terre ove altra gente è morta; Come il pezzente cieco o vagabondo Erra di porta in porta, Essi così vanno di mondo in mondo. Vanno coi figli come un gran tesoro Celando in petto una moneta d'oro, Frutto segreto d'infiniti stonti, E le donne con loro, Istupidite martiri piangenti. Pur nell'angoscia di quell'ultim'ora Il suol che li rifiuta amano ancora; L'amano ancora il maledetto suolo Che i figli suoi divora, Dove sudano mille e campa un solo. E li han nel core in quei solenni istanti I bei clivi di allegre acque sonanti, E le chiesette candide, e i pacati Laghi cinti di piante, E i villaggi tranquilli ove son nati! E ognuno forse sprigionando un grido, Se lo potesse, tornerebbe al lido; Tornerebbe a morir sopra i nativi Monti, nel triste nido Dove piangono i suoi vecchi malvivi. Addio, poveri vecchi! In men d'un anno Rosi dalla miseria e dall'affanno, Forse morrete là senza compianto, E i figli nol sapranno, E andrete ignudi e soli al camposanto. Poveri vecchi, addio! Forse a quest'ora Dai muti clivi che il tramonto indora La man levate i figli a benedire… Benediteli ancora: Tutti vanno a soffrir, molti a morire. Ecco il naviglio maestoso e lento Salpa, Genova gira, alita il vento. Sul vago lido si distende un velo, E il drappello sgomento Solleva un grido desolato al cielo. Chi al lido che dispar tende le braccia. Chi nell'involto suo china la faccia, Chi versando un'amara onda dagli occhi La sua compagna abbraccia, Chi supplicando Iddio piega i ginocchi. E il naviglio s'affretta, e il giorno muore, E un suon di pianti e d'urli di dolore Vagamente confuso al suon dell'onda Viene a morir nel core De la folla che guarda da la sponda. Addio, fratelli! Addio, turba dolente! Vi sia pietoso il cielo e il mar clemente, V'allieti il sole il misero viaggio; Addio, povera gente, Datevi pace e fatevi coraggio. Stringete il nodo dei fraterni affetti. Riparate dal freddo i fanciulletti , Dividetevi i cenci, i soldi, il pane, Sfidate uniti e stretti L'imperversar de le sciagure umane. E Iddio vi faccia rivarcar quei mari, E tornare ai villaggi umili e cari, E ritrovare ancor de le deserte Case sui limitari I vostri vecchi con le braccia aperte. - Edmondo De Amicis - Buona giornata a tutti. :-) |
sabato 28 agosto 2021
Gli emigranti - Edmondo De Amicis
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