domenica 27 dicembre 2020

La preghiera dell'asino di Betlemme

 Signore,

credo d'averti già molestato troppo chiedendoti di liberarmi da questa stupida vita d'asino di un piccolo paese ai margini della Palestina.

Quante volte mi è venuto il desiderio di diventare feroce o velenoso come tante altre bestie, giusto per obbligare gli uomini ad essere più accorti nei miei confronti, ma non te ne sei curato.
Con testarda tenacia ho nutrito il desiderio di libertà, ma non mi è stato possibile fuggire da questo carico, sempre meno sopportabile; non mi è stato possibile fuggire dal peso che gli altri hanno caricato sulle mie spalle, senza chiedermi nulla, né consenso né permesso, incuranti delle mie ginocchia traballanti.
Ti ho supplicato di allontanare almeno la verga del mio aguzzino, che batteva la mia schiena ad ogni tentativo di alzare la testa.
Non sapevo neanche com'è il sole di cui sentivo il calore sulle spalle!
Sconosciuta era per me la bellezza della luna e delle stelle che di notte rischiarano le vie.
Comunque grazie! Per quella notte di grazia.
Doveva essere gravosa e buia come tutte le altre, invece ha cambiato il contenuto dei miei pensieri, il corso della mia vita.
L'uomo e la donna che hai mandato nella mia stalla, non sono venuti né con la forza né con il bastone, non fremevano né minacciavano.
Sono entrati piano, umilmente e modestamente.
E allora nell'attimo più buio della notte, ho visto il Sole in persona.
Quella luce e quel calore verso i quali ho anelato tutta la vita.
A notte fonda, attorno al Bambino adagiato sulla greppia è risuonato un canto:
"Astro del ciel, Pargol divin, mite Agnello Redentor!".
In un istante ho sentito di non valere meno degli angeli.
Davanti a me e davanti a loro si trovava lo stesso mistero.
Non da meno era la mia meraviglia di fronte al miracolo avvenuto!
Proprio quando mi sono inginocchiato davanti a questo Mistero, hai reso salde le mie ginocchia vacillanti, con la forza che lui emanava hai dato fermezza alle mie membra.
Grazie Signore,
perché mi hai liberato a modo tuo e non come io ti ho chiesto.
Non mi hai dato una vita lunga, però me l'hai riempita di senso.
Non hai maledetto le tenebre che mi avvolgevano, però mi hai mostrato la luce.
Quando non ho potuto né saputo alzare la testa, tu ti sei chinato davanti a me per mostrarti.
Non hai tolto la croce dalle mie spalle, mi hai insegnato come portarla.
Sono diventato orgoglioso di me imparando che è virtuoso portare i pesi degli altri.
Mi hai aperto la porta della conoscenza quando mi hai persuaso che il tuo giogo è dolce, il carico leggero.
Ora lo sai perché ho accettato con gioia l'ulteriore peso, perché mi sono offerto per il viaggio in Egitto, nonostante gli sforzi e i pericoli.
Grazie,
perché hai scelto me e la mia misera specie per servire la Sacra Famiglia.
Una sola cosa mi ha messo in imbarazzo: quando mi hanno cambiato il nome,
ma ora so che il mio nome era proprio quello, e sono fiero di essere chiamato Cristoforo, portatore di Cristo.




Il Natale è fermarsi a contemplare quel Bambino, il Mistero di Dio che si fa uomo nell’umiltà e nella povertà, ma è soprattutto accogliere ancora di nuovo in noi stessi quel Bambino, che è Cristo Signore, per vivere della sua stessa vita, per far sì che i suoi sentimenti, i suoi pensieri, le sue azioni, siano i nostri sentimenti, i nostri pensieri, le nostre azioni. 
Celebrare il Natale è quindi manifestare la gioia, la novità, la luce che questa Nascita ha portato in tutta la nostra esistenza, per essere anche noi portatori della gioia, della vera novità, della luce di Dio agli altri. 

(papa Benedetto XVI)



 

Buona giornata a tutti. :-)

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