Oggigiorno, chi affronta una situazione di dolore e
sofferenza e si rivolge a qualcun altro essere umano per ricavarne conforto e
lenimento, incoccia quasi sempre, e non solo quando interpella un amico, ma
anche quello che dovrebbe essere un professionista della cura, in un fanatico
del pensiero positivo.
Sì é verissimo, il pensare positivo fa bene e risolve
un sacco di problemi, ma ci sono momenti nella vita di tutti noi in cui questo
non è semplicemente possibile. Può essere un traguardo, un obiettivo di lungo
termine della relazione di cura, ma nell'immediato non si può proporre come
soluzione.
Se uno va al pronto soccorso con una gamba fratturata,
non gli si può proporre come cura quella di andarsi a fare una bella
passeggiata, anche se notoriamente camminare fa benissimo...
Proporre il pensiero positivo a chi in quel momento ne
é evidentemente incapace significa non solo omettere di aiutarlo e curarlo,
quando magari se ne avrebbe il dovere, ma addirittura aggravarlo, facendolo
sentire ancora più inadeguato, inadatto, sfortunato e, persino, giudicato.
Il primo intervento é sempre e solo l'ascolto e
l'atteggiamento della compassione, nel suo significato etimologico cum patior,
stare insieme senza fare niente condividendo, per quanto possibile, la
situazione di sofferenza e dolore.
La modalità dell'essere, in contrapposizione a quella
oggi tanto di moda quanto disfunzionale del «fare» qualcosa a tutti i costi -
pena sentirsi un inetto e un incapace che «non cura i propri problemi», é
l'unica che funziona e che mette in moto i meccanismi di autoguarigione e
lenimento dell'animo umano.
La sofferenza va accettata, accolta e persino
esplorata, senza la minima pretesa di fare alcunché, tutte le ferite vanno
rimesse a Dio e all'universo e, soprattutto, nessuna goccia di dolore va mai
sprecata, ma bevuta fino in fondo per poter andare presto oltre e più in alto.
- Tiziano Solignani -
da: Blog.solignani.it
«C’era un uomo che aveva paura della propria ombra e orrore delle proprie impronte. Così le sfuggiva correndo. Ma quante più volte alzava il piede, tanto più numerose erano le impronte che lasciava; e più in fretta scappava, meno l’ombra l’abbandonava. Credendo di andare troppo piano, corse più svelto senza mai riposare, finché, all’estremo delle forze, morí. Egli non capiva che per far scomparire l’ombra bisogna rimanere nell’oscurità, che per far cessare le impronte bisogna rimanere nella quiete.
Ecco, una stanza della meditazione non è un luogo esemplare, né dove essere esemplari, ma dove stare fermi nell’oscurità per conoscere la propria ombra e le proprie impronte. E per procedere oltre.»
- Chandra Livia Candiani -
«Da qualche parte, nel profondo di ciascuno di noi, c’è il bambino che era innocente e libero e che sapeva che il dono della vita era il dono della felicità.
I sentimenti profondi che abbiamo seppellito appartengono a quel bambino innocente e libero che sapeva godere della vita.
Quel bambino vive ancora nei nostri cuori e nelle nostre viscere ma abbiamo perso il contatto con lui perchè abbiamo perso il contatto con la parte più profonda di noi stessi. Per ritrovarci dobbiamo scendere nei territori profondi del nostro essere, nell’oscurità dell’inconscio.»
- Alexander Lowen -
da: Arrendersi al corpo
Buona giornata a tutti. :-)
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