L'Esistenza alla deriva
E proprio questa è la caratteristica saliente
della grande deriva attuale in materia di rispetto della vita; non si tratta
più di una problematica di morale semplicemente individuale, ma di una
problematica di morale sociale, a partire dal momento in cui gli Stati e
perfino delle organizzazioni internazionali, si fanno garanti dell'aborto o
dell'eutanasia, votano delle leggi che le autorizzano e pongono i mezzi a loro
disposizione al servizio di coloro che li eseguono.
Il diritto del più forte
IV. Ma perché questa vittoria di una
legislazione o di una prassi antiumana proprio nel momento in cui l'idea dei
diritti umani sembrava arrivata a un riconoscimento universale ed
incondizionato? Perché anche persone di alta formazione morale pensano che la normativa
sulla vita umana potrebbe e dovrebbe entrare nei compromessi necessari della
vita politica?
1. Ad un primo livello della nostra
riflessione, mi sembra di poter segnalare due motivi, dietro i quali se ne
nascondono probabilmente altri. Uno si riflette nella posizione che afferma
come necessaria la separazione tra convinzioni etiche personali e ambito
politico, nel quale sono formulate le leggi: qui l'unico valore da rispettare
sarebbe la totale libertà di scelta di ciascun individuo, in dipendenza dalle
proprie opinioni private.
La vita sociale, nell'impossibilità di
fondarsi su qualsiasi riferimento oggettivo comune, dovrebbe concepirsi come
esito di un compromesso di interessi al fine di garantire il massimo di libertà
possibile a ciascuno. Ma in realtà, laddove il criterio decisivo del
riconoscimento dei diritti diventa quello della maggioranza, laddove il diritto
all'espressione della propria libertà può prevalere sul diritto di una
minoranza che non ha voce, lì è la forza che è divenuta il criterio del
diritto.
Ciò risulta tanto più evidente e
drammaticamente grave quando in nome della libertà di chi ha potere e voce, si
nega il fondamentale diritto alla vita di chi non ha possibilità di farsi
ascoltare.
In realtà ogni comunità politica, per sussistere, deve riconoscere
almeno un minimo di diritti oggettivamente fondati, non accordati tramite
convenzioni sociali, ma precedenti ogni regolamentazione politica del diritto.
Si capisce allora come uno Stato, che si arroghi la prerogativa di definire quali
esseri umani siano o non siano soggetti di diritti, che di conseguenza
riconosca ad alcuni il potere di violare il fondamentale diritto alla vita di
altri, contraddice l'ideale democratico, al quale pure continua a richiamarsi e
mina le stesse basi su cui si regge.
Si vede così che l'idea di una tolleranza
assoluta della libertà di scelta di alcuni distrugge il fondamento stesso di
una convivenza giusta tra uomini.
Ci si può chiedere però quando inizia ad
esistere la persona, soggetto di diritti fondamentali che vanno assolutamente
rispettati. Se non si tratta di una concessione sociale, ma piuttosto di un
riconoscimento, anche i criteri per questa determinazione devono essere
oggettivi.
Come ha ricordato la Donum Vitae (1, 1), le recenti acquisizioni della
biologia umana riconoscono che "nello zigote derivante dalla fecondazione
si è già costituita l'identità biologica di un nuovo individuo umano".
Anche se nessun dato sperimentale può essere per sé sufficiente a far
riconoscere un'anima spirituale, tuttavia le conclusioni della scienza
sull'embrione umano forniscono un'indicazione preziosa per discernere
razionalmente una presenza personale fin da questo primo comparire di una vita
umana. In ogni caso, fin dal primo momento della sua esistenza, al frutto della
generazione umana va garantito il rispetto incondizionato che è moralmente
dovuto all'essere umano nella sua totalità corporale e spirituale.
La coscienza e la morale
2. Un secondo motivo che spiega il
diffondersi di una mentalità di opposizione alla vita mi sembra connesso con la
concezione stessa della moralità oggi largamente diffusa. È una visione
individualistica della libertà, intesa come diritto assoluto di
autodeterminarsi sulla base delle proprie convinzioni, si associa spesso
un'idea meramente formale di coscienza.
Essa non si radica più nella concezione classica della coscienza morale (cf. Gaudium et spes). In tale concezione, propria di tutta la tradizione cristiana, la coscienza è la capacità di aprirsi all'appello della verità obiettiva, universale e uguale per tutti, che tutti possono e devono cercare.
Essa non si radica più nella concezione classica della coscienza morale (cf. Gaudium et spes). In tale concezione, propria di tutta la tradizione cristiana, la coscienza è la capacità di aprirsi all'appello della verità obiettiva, universale e uguale per tutti, che tutti possono e devono cercare.
Invece, nella concezione innovativa, di
chiara ascendenza kantiana, la coscienza è sganciata dal suo rapporto
costitutivo con un contenuto di verità morale e ridotta una mera condizione formale
della moralità essa si rapporterebbe solo alla bontà dell'intenzione
soggettiva. In tal modo la coscienza viene ad essere nient'altro che la
soggettività elevata a criterio ultimo dell'agire. La fondamentale idea
cristiana che non c'è nessuna istanza che possa opporsi alla coscienza non ha
più il significato originario e irrinunciabile per cui la verità non può che
imporsi in virtù di se stessa, cioè nell'interiorità personale, ma diventa una
deificazione della soggettività, di cui la coscienza è oracolo infallibile, che
non può essere messa in questione da niente e da nessuno.
V. Ma occorre andare più a fondo ancora
nell'identificare le radici di quest'opposizione alla vita. Così, ad un secondo
livello, riflettendo nei termini di un approccio più personalistico, troviamo
una dimensione antropologica sulla quale è necessario soffermarci se pur
brevemente.
Va qui segnalato un nuovo dualismo che si
afferma sempre più nella cultura occidentale e verso cui convergono alcuni dei
tratti caratterizzanti la sua mentalità l'individualismo, il materialismo,
l'utilitarismo e l'ideologia edonista della realizzazione di se stessi da parte
di se stessi. Infatti, il corpo non è più percepito spontaneamente dal soggetto
come la forma concreta di tutte le sue relazioni nei confronti di Dio, degli
altri e del mondo, come quel dato che lo inserisce all'interno di un universo
in costruzione, in una conversazione in corso, in una storia ricca di senso a
cui non può partecipare in modo positivo se non accettandone le regole e il
linguaggio. Il corpo appare piuttosto come uno strumento al servizio di un
progetto di benessere, elaborato e perseguito dalla ragione tecnica, la quale
calcola come potrà trarne il profitto migliore.
La sessualità stessa viene in tal modo de-personalizzata e strumentalizzata. Essa appare come una semplice occasione di piacere e non più come la realizzazione del dono di sé, né come l'espressione di un amore che, nella misura in cui è vero, accoglie integralmente l'altro e si apre alla ricchezza di vita di cui è portatore, al suo bambino che sarà anche il proprio bambino. I due significati, unitivo e procreativo, dell'atto sessuale vengono separati. L'unione è impoverita, mentre la fecondità è rinviata alla sfera del calcolo razionale: "il bambino, certo. Ma quando lo voglio e come lo voglio".
La sessualità stessa viene in tal modo de-personalizzata e strumentalizzata. Essa appare come una semplice occasione di piacere e non più come la realizzazione del dono di sé, né come l'espressione di un amore che, nella misura in cui è vero, accoglie integralmente l'altro e si apre alla ricchezza di vita di cui è portatore, al suo bambino che sarà anche il proprio bambino. I due significati, unitivo e procreativo, dell'atto sessuale vengono separati. L'unione è impoverita, mentre la fecondità è rinviata alla sfera del calcolo razionale: "il bambino, certo. Ma quando lo voglio e come lo voglio".
Diventa così chiaro che tale dualismo tra una
ragione tecnica e un corpo oggetto permette all'uomo di sfuggire al mistero
dell'essere. In realtà, la nascita e la morte, il sorgere di un'altra persona e
la sua scomparsa, la venuta e la dissoluzione dell'"io" rimandano
direttamente il soggetto alla questione del suo proprio senso e della sua
propria esistenza.
È forse per sfuggire a questa domanda angosciante che egli cerca di assicurarsi un dominio quanto più completo possibile su questi due momenti chiave della vita, che cerca di trasferirli nella zona del fare. In tal modo l'uomo si illude di possedere se stesso, godendo di una libertà assoluta: egli potrebbe essere fabbricato secondo un calcolo che non lascia nulla all'incerto, nulla al caso, nulla al mistero.
È forse per sfuggire a questa domanda angosciante che egli cerca di assicurarsi un dominio quanto più completo possibile su questi due momenti chiave della vita, che cerca di trasferirli nella zona del fare. In tal modo l'uomo si illude di possedere se stesso, godendo di una libertà assoluta: egli potrebbe essere fabbricato secondo un calcolo che non lascia nulla all'incerto, nulla al caso, nulla al mistero.
2. Un mondo che assume opzioni di efficienza
tanto assolute, un mondo che ratifica a tal punto la logica utilitarista, un
mondo che per di più concepisce la libertà come un diritto assoluto
dell'individuo e la coscienza come un'istanza soggettivistica del tutto
isolata, tende necessariamente a impoverire tutte le relazioni umane fino a
considerarle ultimamente come relazioni di forza e a non riconoscere all'essere
umano più debole il posto che gli è dovuto.
L'ideologia utilitarista
Da questo punto di vista l'ideologia
utilitarista va nel medesimo senso della mentalità "maschilista" ed
il "femminismo" appare come una reazione legittima alla
strumentalizzazione della donna. Tuttavia, molto spesso, il cosiddetto
"femminismo" si basa sugli stessi presupposti utilitaristici del
"maschilismo" e, lungi dal liberare la donna, coopera piuttosto al
suo asservimento.
Quando, nella linea del dualismo già
precedentemente evocato, la donna rinnega il proprio corpo, considerandolo come
un puro oggetto al servizio di una strategia di conquista della felicità,
mediante la realizzazione di sé, essa rinnega anche la sua femminilità, il suo
modo propriamente femminile del dono di sé e dell'accoglienza dell'altro, di
cui la maternità è il segno più tipico e la realizzazione più concreta.
Quando la donna si schiera per l'amore libero
e giunge al punto di rivendicare il diritto di abortire, essa contribuisce a
rinforzare una concezione delle relazioni umane, secondo cui la dignità di ognuno
dipende, agli occhi dell'altro, da quanto egli può dare.
In tutto questo la donna prende posizione contro la propria femminilità e contro i valori di cui quest'ultima è portatrice: l'accoglienza alla vita, la disponibilità al più debole, la dedizione senza condizioni a chi ne ha bisogno. Un autentico femminismo, lavorando per la promozione della donna nella sua verità integrale e per la liberazione di tutte le donne, lavorerebbe anche alla promozione dell'uomo intero e alla liberazione di tutti gli esseri umani. Lotterebbe infatti affinché la persona sia riconosciuta nella dignità che gli viene solo dal fatto di esistere, di essere stata voluta e creata da Dio, e non dalla sua utilità, dalla sua forza, dalla sua bellezza, dalla sua intelligenza, dalla sua ricchezza e dalla sua salute. Si sforzerebbe di promuovere un'antropologia che valorizzi l'essenza della persona come fatta per il dono di sé e per l'accoglienza dell'altro, di cui il corpo, maschile o femminile, è il segno e lo strumento. È proprio sviluppando un'antropologia che presenta l'uomo nella sua integralità personale e relazionale che si può rispondere all'argomentazione diffusa, secondo cui il mezzo migliore per lottare contro l'aborto sarebbe quello di promuovere la contraccezione. Una simile tesi che di primo acchito sembra del tutto plausibile, è però contraddetta dall'esperienza: si constata generalmente una crescita parallela dei tassi di ricorso alla contraccezione e dei tassi di aborto. Il paradosso non è apparente.
Infatti bisogna rendersi conto che la contraccezione e l'aborto affondano entrambi le loro radici in quella visione de-personalizzata e utilitaristica della sessualità e della procreazione, che abbiamo appena descritta e che si basa a sua volta su una concezione mutilata dell'uomo e della sua libertà.
In tutto questo la donna prende posizione contro la propria femminilità e contro i valori di cui quest'ultima è portatrice: l'accoglienza alla vita, la disponibilità al più debole, la dedizione senza condizioni a chi ne ha bisogno. Un autentico femminismo, lavorando per la promozione della donna nella sua verità integrale e per la liberazione di tutte le donne, lavorerebbe anche alla promozione dell'uomo intero e alla liberazione di tutti gli esseri umani. Lotterebbe infatti affinché la persona sia riconosciuta nella dignità che gli viene solo dal fatto di esistere, di essere stata voluta e creata da Dio, e non dalla sua utilità, dalla sua forza, dalla sua bellezza, dalla sua intelligenza, dalla sua ricchezza e dalla sua salute. Si sforzerebbe di promuovere un'antropologia che valorizzi l'essenza della persona come fatta per il dono di sé e per l'accoglienza dell'altro, di cui il corpo, maschile o femminile, è il segno e lo strumento. È proprio sviluppando un'antropologia che presenta l'uomo nella sua integralità personale e relazionale che si può rispondere all'argomentazione diffusa, secondo cui il mezzo migliore per lottare contro l'aborto sarebbe quello di promuovere la contraccezione. Una simile tesi che di primo acchito sembra del tutto plausibile, è però contraddetta dall'esperienza: si constata generalmente una crescita parallela dei tassi di ricorso alla contraccezione e dei tassi di aborto. Il paradosso non è apparente.
Infatti bisogna rendersi conto che la contraccezione e l'aborto affondano entrambi le loro radici in quella visione de-personalizzata e utilitaristica della sessualità e della procreazione, che abbiamo appena descritta e che si basa a sua volta su una concezione mutilata dell'uomo e della sua libertà.
Non si tratta, infatti, di assumere una
gestione responsabile e degna della propria fecondità in funzione di un
progetto generoso, sempre aperto all'accoglienza eventuale di una nuova vita
imprevista.
Si tratta piuttosto di assicurarsi un dominio
completo della procreazione, che respinge persino l'idea di un figlio non
programmato. Compresa in questi termini, la contraccezione conduce
necessariamente all'aborto come "soluzione di riserva". In realtà
solo se si sviluppa l'idea che l'uomo non ritrova pienamente se stesso che nel
dono generoso di sé e nell'accoglienza incondizionata dell'altro, semplicemente
perché questi esiste, l'aborto apparirà come un crimine assurdo.
Un'antropologia di tipo individualistico
conduce, come abbiamo visto, a considerare la verità oggettiva come
inaccessibile, la libertà come arbitraria, la coscienza come una istanza chiusa
in se stessa. Essa orienta la donna non solamente all'odio verso gli uomini, ma
anche all'odio verso di sé e verso la propria femminilità, soprattutto verso la
propria maternità.
Una simile antropologia orienta più
generalmente l'essere umano all'odio verso di sé. L'uomo disprezza se stesso;
non è più d'accordo con Dio che aveva trovato "cosa molto buona" la
creatura umana (Gen. 1,31).
Al contrario, l'uomo di oggi vede in se stesso il grande distruttore del mondo, un prodotto infelice dell'evoluzione. E in realtà, l'uomo che non ha più accesso all'infinito, a Dio, è un essere contraddittorio, un prodotto fallito.
Qui appare la logica del peccato: l'uomo volendo essere come Dio, cerca l'indipendenza assoluta. Per essere autosufficiente deve diventare indipendente, deve emanciparsi anche dall'amore, che è sempre grazia libera, non producibile e fattibile. Però facendosi indipendente dall'amore l'uomo si è separato dalla vera ricchezza e del suo essere, è divenuto vuoto e l'opposizione contro il proprio essere diventa inevitabile. "Non è bene essere un uomo", la logica della morte appartiene alla logica del peccato.
La strada verso l'aborto, verso l'eutanasia e lo sfruttamento dei più deboli è aperta.
Al contrario, l'uomo di oggi vede in se stesso il grande distruttore del mondo, un prodotto infelice dell'evoluzione. E in realtà, l'uomo che non ha più accesso all'infinito, a Dio, è un essere contraddittorio, un prodotto fallito.
Qui appare la logica del peccato: l'uomo volendo essere come Dio, cerca l'indipendenza assoluta. Per essere autosufficiente deve diventare indipendente, deve emanciparsi anche dall'amore, che è sempre grazia libera, non producibile e fattibile. Però facendosi indipendente dall'amore l'uomo si è separato dalla vera ricchezza e del suo essere, è divenuto vuoto e l'opposizione contro il proprio essere diventa inevitabile. "Non è bene essere un uomo", la logica della morte appartiene alla logica del peccato.
La strada verso l'aborto, verso l'eutanasia e lo sfruttamento dei più deboli è aperta.
In sintesi possiamo quindi dire: la radice
ultima dell'odio contro la vita umana, di tutti gli attacchi contro la vita
umana è la perdita di Dio. Dove Dio compare, compare anche la dignità assoluta
della vita umana.
Le possibili risposte
VI. Che fare in questa situazione, per
rispondere alla sfida appena descritta? Da parte mia vorrei limitarmi alle
possibilità connesse con la funzione del Magistero. Non mancano gli interventi
magisteriali su questo problema in questi ultimi anni.
Il Santo Padre insiste instancabilmente sulla difesa della vita come dovere fondamentale di ogni cristiano; molti vescovi ne parlano con grande competenza e forza. La Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato in questi anni alcuni importanti documenti sulle tematiche morali connesse al rispetto dovuto alla vita umana.
Il Santo Padre insiste instancabilmente sulla difesa della vita come dovere fondamentale di ogni cristiano; molti vescovi ne parlano con grande competenza e forza. La Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato in questi anni alcuni importanti documenti sulle tematiche morali connesse al rispetto dovuto alla vita umana.
Nonostante tali prese di posizione,
nonostante numerosissimi interventi pontifici su alcuni di questi problemi o su
loro aspetti particolari, il campo rimane largamente aperto a una ripresa
globale a livello dottrinale che vada alle radici più profonde e denunci le
conseguenze più aberranti della "mentalità di morte".
Si potrebbe quindi pensare a un eventuale
documento sulla vita umana, che dovrebbe a mio avviso presentare due
caratteristiche originali rispetto ai documenti precedenti. Anzitutto non
dovrebbe sviluppare solo considerazioni di morale individuale, ma anche
considerazioni di morale sociale e politica. Più in dettaglio le diverse minacce
contro la vita umana potrebbero essere affrontate da cinque punti di vista:
il punto di vista dottrinale (con una forte riaffermazione del principio secondo cui "l'uccisione diretta di un essere umano innocente è sempre materia di colpa grave"), quello culturale, quello legislativo, quello politico, e infine, quello pratico.
il punto di vista dottrinale (con una forte riaffermazione del principio secondo cui "l'uccisione diretta di un essere umano innocente è sempre materia di colpa grave"), quello culturale, quello legislativo, quello politico, e infine, quello pratico.
Arriviamo così alla seconda caratteristica
originale in un eventuale nuovo documento: benché la denuncia vi debba avere uno
spazio, questo non sarà lo spazio principale. Si tratterebbe innanzi tutto di
una ripresa gioiosa dell'annuncio del valore immenso dell'uomo e di ogni uomo,
per quanto povero debole, sofferente egli sia" così come questo valore può
apparire agli occhi dei filosofi, ma soprattutto così come, ci dice la
Rivelazione, esso appare agli occhi di Dio.
Si tratterebbe di ricordare con ammirazione
le meraviglie del Creatore verso la creatura, quella del Redentore per colui
che è venuto a incontrare e salvare.
Si tratterebbe di mostrare come
l'accoglienza dello Spirito comporti in se stessa la disponibilità generosa
all'altra persona e dunque l'accoglienza di ogni vita umana a partire dal
momento in cui essa si annuncia fino al momento in cui si spegne.
In breve, contro tutte le ideologie e le
politiche di morte, è la Buona Novella cristiana che si tratta di richiamare in
quanto essa ha di essenziale: Cristo ha aperto al di là di ogni sofferenza, la
via all'azione della grazia, per la vita sia nel suo aspetto umano che nel suo
aspetto divino
- cardinale Joseph Ratzinger -
Concistoro straordinario del 1991, svolto ufficialmente in veste di Prefetto della Congregazione
La vita umana è sacra perché, fin dal suo
inizio, comporta l'azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione
speciale con il Creatore, suo unico fine.
Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente »
- Catechismo Chiesa Cattolica 2258 -
Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente »
- Catechismo Chiesa Cattolica 2258 -
Sì ... si .... lo so... oggi un po pesante da leggere.
Così .... giusto perchè abbiamo avuto la fortuna di nascere....
Prendiamoci un poco di tempo per riflettere sul valore della vita.
Buona giornata a tutti. :-)
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